CASSAZIONE SENTENZE

Il condono clemenziale si perfeziona solo con l’intero versamento del dovuto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21143 del 24 agosto 2018, ha statuito che la fattispecie di condono previsto dall’art. 9-bis della L. n. 289/2002 costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale e che, di conseguenza, è condizionato dall’integrale e tempestivo pagamento di quanto dovuto. Inoltre, proseguono gli Ermellini, anche la cartella con cui l’Amministrazione chiede il pagamento delle imposte dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione, non risultando a tale fine applicabile neanche l’art. 3 della legge n. 241/1990, che prevede siano messi a disposizione del contribuente gli atti di cui egli già non disponga.

I Supremi Giudici, dando così continuità al costante e condivisibile indirizzo della Corte e seguendo la scia di quanto già affermato dalla stessa Cassazione (ex multis n. 417 del 13 gennaio 2016), hanno quindi affermato che il condono previsto dalla legge n. 289, relativo alla possibilità di definire gli omessi e/o tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi ,costituisce di per sé una forma di condono clemenziale.

Tale sanatoria ha natura eccezionale rispetto alle altre forme di definizione in quanto la “tolleranza” accordata dal legislatore è subordinata all’integrale e puntuale adempimento dell’obbligazione tributaria, pena l’inefficacia ipso iure della definizione, non potendo estendersi, a causa della differente natura, la disciplina dettata per i condoni di tipo premiale, che prevedono esclusivamente l’iscrizione a ruolo della rata insoluta.

Nella fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte, una Casa di cura in controversia per l’impugnazione di una cartella di pagamento per IVA, IRPEG, IRAP e IRPEF riferita agli anni 2002 e 2003, emessa a seguito di un controllo automatizzato ex art. 36-bis, DPR n. 600/1973, da cui risultava l’omesso versamento delle suindicate imposte e delle ritenute operate dalla società come sostituto d’imposta, ricorre contro l’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che accoglieva l’appello dell’Ufficio e respingeva quello incidentale della contribuente.

Dopo alterne vicende, con la sentenza 95/2011, la CTR del Lazio ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della Casa di cura avverso l’avviso di diniego del condono, ex art. 9-bis della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativo a IVA, IRPEG e IRAP, per gli anni d’imposta 2002 e 2003, emesso a seguito dell’omesso versamento delle rate successive alla prima. La CTR, infatti, ha ritenuto che in caso di rateizzazione dell’importo dovuto, per la definizione della lite pendente, è sufficiente l’accettazione da parte dell’Ufficio della domanda del contribuente, seguita dal versamento della prima rata.

Da qui il ricorso dell’Agenzia in cassazione.

Secondo gli Ermellini, però, la CTR ha sostanzialmente e arbitrariamente modificato il contenuto e la portata dell’art. 9-bis della L n.289/2002 con una decisione che è incorsa in una palese violazione di legge, e pertanto deve essere emendata.

Inoltre, in merito all’argomento sollevato dalla difesa sul presunto vizio della sentenza impugnata che non avrebbe rilevato la nullità della cartella di pagamento, non preceduta da alcun atto prodromico (avviso di liquidazione, avviso di accertamento etc.) e priva di un’adeguata motivazione, gli Ermellini ricordano che: “… Nella specie, infatti, la cartella di pagamento, derivante dall’omesso versamento delle imposte dichiarate della contribuente, non necessitava di una particolare indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, essendo la società già a conoscenza del contenuto della propria dichiarazione dei redditi, da cui scaturiva l’obbligazione tributaria. È il caso di ricordare, al riguardo, il costante e condivisibile orientamento della Corte, in virtù del quale: ‘La cartella con cui l’Amministrazione chieda il pagamento delle imposte, dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione, non risultando a tale fine applicabile né l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (il quale prevede siano messi a disposizione del contribuente gli atti di cui egli già non disponga), né l’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (che prescrive il contenuto minimo della cartella), in quanto la pretesa tributaria scaturisce dalla pura e semplice obbligazione di pagamento delle imposte, determinate nella dichiarazione del contribuente. Spetta, eventualmente, a quest’ultimo, in relazione ai principi generali in tema di onere della prova, allegare e provare di avere effettuato in tutto o in parte i versamenti richiesti, in adempimento dell’obbligo in questione. (Fattispecie relativa a cartella recante la dizione ‘somme dovute a seguito di controllo della dichiarazione dei redditi’ (Cass. 16/12/2011, n. 27140)”.

 

Corte di Cassazione Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21143

Sul ricorso iscritto al n. 26741/2011 R.G. proposto da CASA DI CURA V. L. SRL, rappresentata dall’avv. Gianfrancesco Vecchio, elettivamente domiciliata in Roma, viale Bruno Buozzi n. 49, presso lo studio dell’avv. Alessandro Riccioni.

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

EQUITALIA GERIT SPA

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 10, n. 171/10/10, pronunciata il 24/06/2010, depositata il 2/09/2010.

Sul ricorso iscritto al n. 14583/2012 R.G. proposto da AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro CASA DI CURA V. L. SRL, rappresentata dall’avv. Roberto Milia, elettivamente domiciliata in Pescara, piazza Alessandrini n. 14, presso il suo studio.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 37, n. 95/37/11, pronunciata il 21/03/2011, depositata il 19/04/2011.

Sul ricorso iscritto al n. 8566/2013 R.G. proposto da AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente – contro CASA DI CURA V. L. SRL, rappresentata dall’avv. Gianfrancesco Vecchio, elettivamente domiciliata in Roma, viale Bruno Buozzi n. 49, presso lo studio dell’avv. Alessandro Riccioni.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 1, n. 496/01/12, pronunciata il 10/07/2012, depositata il 16/10/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Cons. est. Riccardo Guida

Fatti di causa

  1. La Casa di Cura V. L. Srl ricorre (r.g. n. 26741/2011), con quattro motivi (che, salvo il primo motivo, che ne è privo, si concludono con la formulazione di altrettanti quesiti di diritto), nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, e di Equitalia Gerit Spa, non costituita, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento per IVA, IRPEG, IRAP, IRPEF sostituto d’imposta, in relazione agli anni 2002 e 2003, emessa a seguito di un controllo automatizzato ex art. 36-bis DPR n. 600/1973, da cui risultava l’omesso versamento delle suindicate imposte e delle ritenute operate dalla società come sostituto d’imposta – accoglieva l’appello dell’Ufficio e respingeva l’appello incidentale della contribuente.

Il giudice di secondo grado, innanzitutto, ha ritenuto che l’Ufficio avesse fornito prova documentale dell’invio alla contribuente della comunicazione d’irregolarità, escludendo, comunque, la necessità di tale incombente, trattandosi, nella specie, dell’omesso versamento delle imposte dichiarate e delle ritenute operate come sostituto d’imposta.

Quanto all’appello incidentale della contribuente, la CTR ne ha rilevata la genericità e ha, inoltre, escluso la sussistenza dei vizi formali (per omessa motivazione e omessa sottoscrizioni) della cartella di pagamento da , quest’ultima dedotti.

  1. Contro la medesima sentenza della CTR n. 171 del 24/06/2010 la società, oltre a proporre il ricorso per cassazione appena menzionato, propose ricorso per revocazione, a norma dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ..

La CTR del Lazio, con la sentenza n. 496 del 10/07/2012, accolse il ricorso pronunciando la revocazione della citata sentenza d’appello.

Quanto al profilo rescindente, ravvisò un errore di fatto revocatorio nella parte in cui la sentenza n. 171/2010 aveva affermato che la contribuente non avesse fornito la prova di avere presentato istanza di definizione ai sensi dell’art. 9-bis della legge n. 289/2002, mentre, in realtà, l’istanza di condono risultava prodotta in giudizio, insieme con la copia della ricevuta di versamento della prima rata.

Quanto al profilo rescissorio, dichiarò infondata la pretesa creditoria di cui alla cartella di pagamento impugnata in quanto, prima dell’iscrizione a ruolo dei tributi, non era stato notificato alla società l’avviso bonario di cui all’art. 6, comma 5, della legge n. 212/2000.

Contro la sentenza di revocazione l’Agenzia delle entrate propone ricorso (r.g. n. 8566/2013), per due motivi; la società resiste con controricorso.

  1. Infine, con la sentenza 95/2011 la CTR del Lazio ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della Casa di Cura V. L. SRL avverso l’avviso di diniego del condono, ex art. 9-bis della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativo a IVA, IRPEG e IRAP, per gli anni d’imposta 2002 e 2003, emesso a seguito dell’omesso versamento delle rate successive alla prima.

La CTR, infatti, ha ritenuto che, in caso di rateizzazione dell’importo dovuto, per la definizione della lite pendente, è sufficiente l’accettazione, da parte dell’Ufficio, della domanda del contribuente, seguita dal versamento della prima rata.

Per la cassazione ricorre (r.g. n. 14583/2012) l’Agenzia delle entrate, sulla base di un unico motivo; la società resiste con controricorso.

Il Procuratore generale L. C. ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto l’accoglimento di quest’ultimo ricorso.

Ragioni della decisione

  1. Preliminarmente si dispone la riunione di tre ricorsi, ai sensi dell’art. 274 cod. proc. civ.
  2. È prioritaria la trattazione del ricorso dell’Ufficio con r.g. n. 14583/2012 che, come suaccennato, poggia su un unico motivo.
  3. L’Agenzia delle entrate deduce la violazione degli artt. 9-bis, 7, comma 5, 8, comma 3, 9, comma 12, 15, commi 2 e 5, 16, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e si duole che la sentenza impugnata abbia affermato contra legem che la procedura di condono si perfezioni ugualmente, anche in caso di mancato versamento delle rate successive alla prima.

1.1. Il motivo è fondato.

S’intende dare continuità al costante e condivisibile indirizzo della Corte che ha definito la vicenda processuale, tra le stesse parti, riguardante l’impugnazione del diniego di condono per altre annualità, secondo cui: «il condono previsto dall’art. 9 bis della L n. 289/ 2012, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono demenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dagli artt. 7, 8, 9, 15 e 16 della legge n. 289 del 2002, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9 bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del terzo comma, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo quando tale condizione venga rispettata, e si provveda al pagamento delle imposte, nei termini e nei modi di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che, nel caso di omesso o non integrale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata (cfr. ex multis Cass. nn. 19546/2011, 21346/2012, 10650/2013, 25238/2013).

1.2 Nel caso in esame è incontestato che il versamento delle rate non sia stato completato, come previsto dall’art. 9 bis della L n.289/2002 e successive proroghe, e che quindi non ricorrevano le condizioni di legge prima ricordate per la efficacia del condono. La CTR, tuttavia, ha affermato la validità del condono, sia pure con riferimento alla parte di importo versato, ritenendo che il parziale omesso versamento comportasse l’inefficacia della definizione solo per la parte non versata e che le sanzioni andassero commisurate a questa.

1.5. Così facendo la Commissione Regionale è incorsa in una palese violazione di legge.

1.6. Inoltre, come questa Corte ha già affermato (Cass. n. 30722/2011), in materia tributaria, l’interpretazione analogica, pur essendo in astratto possibile, in quanto le norme impositive non appartengono alle categorie contemplate dall’art. 14 delle preleggi (che concerne solo le norme penali e quelle eccezionali), trova, tuttavia, in concreto, difficile possibilità di applicazione in ragione della struttura solitamente rigida della loro formulazione, e risulta del tutto esclusa per le disposizioni che accordano benefici fiscali, di natura derogatoria e quindi eccezionale, così come nel caso in esame dettata in tema di condono. Invero, le leggi che prevedono meccanismi estintivi delle liti, attraverso comportamenti solutori o in base a presupposti di altra natura, hanno, in ordine alle previsioni di dettaglio, riguardanti i presupposti e le condizioni di loro operatività, carattere eccezionale che vieta all’interprete la possibilità di estenderle in via analogica a fattispecie diverse da quelle specificamente previste dalle norme premiali. Ciò vale anche per le differenti ipotesi di condono previste dalla L. n. 289/2002, disciplinate con modalità autonome.

1.3. Né l’operato della CTR può essere ricondotto ad una interpretazione estensiva, tesa, cioè, a comprendere nella portata concreta della norma tutti i casi da essa anche implicitamente considerati, quali risultanti non solo dalla lettera ma anche dalla ratio della disposizione, e ritenuta ammissibile anche per le disposizioni che accordano benefici fiscali (ex Cass. nn. 1540/1969, 1302/1973, 8361/2002, e, più recentemente, Cass., Sez. un., n. 21493/ 2010).

Nel caso che occupa la Corte, la Commissione Regionale ha sostanzialmente ed arbitrariamente modificato il contenuto e la portata dell’art. 9 bis della L n.289/2002 con una decisione che va perciò emendata.

1.4. A ciò va aggiunto, in modo tranciante, con riguardo all’IVA, che questa Corte ha più volte affermato, in tema di condono fiscale, che le misure demenziali (come quelle di cui al citato art. 9-bis della I. n. 289 del 2002) o premiali (come quelle di cui agli artt. 7 ed 8 della medesima legge) comportanti una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già accertato sono idonee a pregiudicare seriamente il funzionamento del sistema comune dell’IVA, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto, e, pertanto, contrastano con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06.

Va perciò disapplicato, con riferimento all’IVA, il citato art. 9-bis della legge n. 289 del 2002, che, in quanto consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento, comporta una rinuncia definitivo alle suddette sanzioni (sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale: ex plurimis, Cass. n. 19546 del 2011; n. 8110 e n. 13505 del 2012; n. 20435 del 2014; n. 420, n. 1003, n. 5953, n. 6667, n. 7852, n. 19436 e n. 20064 del 2015).» (Cass. 20/05/2016, n. 10481; in senso conforme: 27/04/2018, n. 10206).

Tornando al caso di specie, è evidente che la CTR, nell’affermare che l’omesso versamento delle rate del condono clemenziale, ex art. 9-bis cit., successive alla prima, non è causa ostativa al suo perfezionamento, ha completamente disatteso i principi di diritto appena enunciati.

  1. In definitiva, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
  2. Si deve adesso trattare del ricorso dell’Ufficio (r.g. n. 8566/2013) contro la sentenza di revocazione che, come suaccennato, si articola in due motivi.

3.1. Primo motivo del ricorso avverso la sentenza di revocazione: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 395 co. 1 n. 4 cpc, e dell’art. 64 D.lgs 546/1992, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc».

L’Ufficio lamenta che la CTR abbia ravvisato contra legem la sussistenza dell’errore revocatorio poiché, in realtà, il giudice d’appello (la cui sentenza è stata revocata) non ha arbitrariamente negato che la società avesse dimostrato di avere presentato istanza di condono, incorrendo in una “svista” in merito alle risultanze probatorie, ma è giunto a tale conclusione in virtù della valutazione dell’inidoneità dei documenti prodotti dalla contribuente a costituire a prova del perfezionamento del condono.

Soggiunge che, comunque, anche ammettendo, per mera ipotesi, l’esistenza di un simile errore di percezione, esso non avrebbe il crisma del P. revocatorio”, non riguardando un aspetto decisivo della controversia.

È pacifico, in giurisprudenza, che, per il perfezionamento della definizione dei ritardati od omessi versamenti ex art. 9-bis cit., non è sufficiente il pagamento della prima rata, ma è necessario l’adempimento integrale dell’obbligazione tributaria.

3.2. Secondo motivo: «In subordine: Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 co. 5 L. 212/2000, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc».

L’Agenzia delle entrate, in subordine, si duole del contenuto rescissorio della sentenza di revocazione, in quanto nel caso di specie l’invio dell’avviso bonario non era necessario poiché, dal controllo formale ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, non erano sorte incertezze sulla dichiarazione dei redditi della società.

  1. Il primo motivo è fondato.

Innanzitutto, l’eccezione della società d’inammissibilità/improcedibilità sopravvenuta del ricorso, per acquiescenza o per carenza d’interesse all’impugnazione, fondata sul presupposto che l’Agenzia delle entrate, in data 23/01/2013, avrebbe disposto l’annullamento della cartella impugnata, con sgravio di tutte le somme iscritte a ruolo, va disattesa perché non soddisfa il principio di autosufficienza ex art. 366, primo comma, n. 6. cod. proc. civ.

Difatti, la mancata riproduzione, all’interno del ricorso, dell’indicato atto di annullamento, non consente alla Corte di vagliare il rilievo.

Tornando all’esame del motivo, s’intende dare continuità all’insegnamento della Corte, secondo cui: «Ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica. (Nella specie, l’errore, pur commesso, e consistito nell’aver ritenuto “anticipata” di un giorno la data di pubblicazione del provvedimento oggetto della decisione di cui era poi stata chiesta la revocazione non era decisivo, in quanto, in ragione del principio di diritto applicabile “ratione temporis”, la soluzione giuridicamente applicata sarebbe stata comunque la stessa).» (Cass. 29/03/2016, n. 6038).

Nella specie, osserva la Corte che la: «svista materiale (derivante dall’errato convincimento che la Società non aveva presentato alcuna istanza di definizione, ai sensi della L. n. 289/02)», come si esprime la sentenza di revocazione (ibidem, pag. 7), che, secondo la CTR, ha giustificato la revocazione della sentenza n. 171/2010, ove anche si riconosca che si sia effettivamente verificata, è priva dei requisiti di essenzialità e decisività che caratterizzano l’errore revocatorio ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 3/03/2017, n. 5412).

Difatti, come suaccennato (§ 1.1.), in forza del consolidato indirizzo della Corte (Cass. 20/05/2016, n. 10481; in senso conforme: 27/04/2018, n. 10206), anche ipotizzando che la sentenza revocata avesse reputato provata l’affermazione della contribuente di avere presentato domanda di condono ex art. 9-bis cit. e di avere pagato la prima rata, nondimeno la Commissione territoriale avrebbe dovuto negare il perfezionamento della procedura demenziale, in tal modo pervenendo ad una soluzione giuridica della controversia conforme a quella prescelta, e cioè sfavorevole alla società.

  1. Il secondo motivo è assorbito.
  2. In accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata è, pertanto, cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, quarto comma, cod. proc. civ.
  3. Infine, va esaminato il ricorso della contribuente con r.g. n. 26741/2011 avverso la sentenza della CTR n. 171/2010 che, come suaccennato, è affidato a quattro motivi.

7.1. Primo motivo di ricorso: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione al 5° comma dell’art. 6 della legge 212/2000 ed al terzo comma dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/1973 – omessa, insufficiente/ contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia.».

Si denunciano l’errore di diritto e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha respinto l’eccezione della contribuente di mancata notifica della necessaria comunicazione d’irregolarità, laddove la CTR ha affermato, apoditticamente, che l’Ufficio avrebbe fornito piena prova documentale della redazione e dell’invio di tale comunicazione, ritenuta, comunque, dalla stessa CTR, non indispensabile.

7.2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione al 5° comma dell’art. 6 della legge 212/2000 ed al terzo comma dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/1973 – omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia.».

Si fanno valere l’errore di diritto e il vizio motivazionale della sentenza impugnata che avrebbe aderito ad un’interpretazione riduttiva delle norme sostanziali appena menzionate, omettendo di considerare che l’invio dell’avviso ex art. 36-bis cit. è un adempimento obbligatorio per il Fisco affinché il contribuente sia messo nella condizione di fornire tutti gli elementi utili per contrastare la pretesa impositiva.

7.2.1. I due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati.

La CTR, oltre ad affermare – con apprezzamento di fatto, insuscettibile di essere sindacato nel giudizio di legittimità – che l’Ufficio aveva dato prova della redazione e dell’invio alla contribuente della comunicazione di irregolarità, ha altresì escluso che tali adempimenti fossero, nella specie, “indispensabili” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

La statuizione è conforme a diritto.

Secondo l’univoco indirizzo della Corte, al quale s’intende aderire: «L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della I. n. 212 del 2000.» (Cass. 24/01/2018, n. 1711; in senso conforme: Cass. 6/06/2018, n. 14575).

Nella specie, non è contestato che il recupero a tassazione dell’Ufficio impositore è avvenuto a seguito dell’omesso, integrale, versamento, da parte della società, delle imposte dovute a saldo, risultanti dalla sua dichiarazione dei redditi, e delle ritenute operate come sostituto d’imposta, sicché non vi era alcuna ragione o alcuna situazione d’incertezza sulla dichiarazione che rendessero necessario il previo invio della comunicazione d’irregolarità.

7.3. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 9 bis della legge 289/2002 – omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia.».

Questa doglianza riguarda l’errore di diritto e il vizio di motivazione della sentenza impugnata che, sebbene la contribuente avesse documentato di avere aderito alla sanatoria ex art. 9-bis L. n. 289/2002, si è limitata a negare che la società avesse dato prova della presentazione della domanda di condono.

7.3.1. Il motivo è inammissibile.

È venuto meno l’interesse della ricorrente a fare valere la censura, per effetto del rigetto del ricorso della società avverso il diniego di condono relativo agli anni d’imposta 2002 e 2003, oggetto del presente giudizio (cfr. 2).

7.4. Quarto motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 7 della legge 212/2000 e al terzo comma dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/1973.».

L’ultima critica attiene al vizio della sentenza impugnata che non avrebbe rilevato la nullità della cartella di pagamento, non preceduta da alcun atto prodromico (avviso di liquidazione, avviso di accertamento etc.) e priva di un’adeguata motivazione.

7.4.1. Il motivo è infondato.

Nella specie, infatti, la cartella di pagamento, derivante dall’omesso versamento delle imposte dichiarate della contribuente, non necessitava di una particolare indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, essendo la società già a conoscenza del contenuto della propria dichiarazione dei redditi, da cui scaturiva l’obbligazione tributaria.

È il caso di ricordare, al riguardo, il costante e condivisibile orientamento della Corte, in virtù del quale: «La cartella con cui l’Amministrazione chieda il pagamento delle imposte, dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione, non risultando a tale fine applicabile né l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (il quale prevede siano messi a disposizione del contribuente gli atti di cui egli già non disponga), né l’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (che prescrive il contenuto minimo della cartella), in quanto la pretesa tributaria scaturisce dalla pura e semplice obbligazione di pagamento delle imposte, determinate nella dichiarazione del contribuente. Spetta, eventualmente, a quest’ultimo, in relazione ai principi generali in tema di onere della prova, allegare e provare di avere effettuato in tutto o in parte i versamenti richiesti, in adempimento dell’obbligo in questione. (Fattispecie relativa a cartella recante la dizione “somme dovute a seguito di controllo della dichiarazione dei redditi”).» (Cass. 16/12/2011, n. 27140).

  1. Ne consegue il rigetto del ricorso.
  2. Le spese del giudizio dei gradi di merito, in relazione ai ricorsi con r.g. n. 14583/2012 e con r.g. n. 8566/2013, vanno compensate; invece, le spese del giudizio di legittimità, delle tre cause riunite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

riunisce al ricorso con r.g. n. 26741/2011 il ricorso con r.g. n. 14583/2012 e il ricorso con r.g. n. 8566/2013; accoglie il ricorso con r.g. n. 14583/2012; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; accoglie il ricorso con r.g. n. 8566/2013; cassa senza rinvio la sentenza di revocazione; rigetta il ricorso con r.g. n. 26741/2011; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito, in relazione ai ricorsi con r.g. n. 14583/2012 e con r.g. n. 8566/2013; condanna la società a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, relativo ai tre ricorsi riuniti, che liquida in euro 18.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate e debito.

 

 

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