CASSAZIONE IVA

Giochi a premio in TV: acquisto gettoni d’oro senza detrazione

Tributi – IVA – Giochi – Spettacolo –  Operazioni a premio – Imponibilità – Criteri – Acquisto di gettoni d’oro – Detrazione dell’imposta –  Art. 7 d.P.R. n. 430 del 2001- Funzione – Conseguenze – Incertezza normativa oggettiva – Giurisprudenza UE – Corte Giust. 11 luglio 2018, causa C-154/17 – Corte Giust. 14 settembre 2017 causa C-132/16 – Illegittimità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.7624 del 18 marzo 2021, si è occupata dell’assoggettabilità all’IVA per chi organizza dei concorsi a premio che erogano al vincitore gettoni d’oro, per pubblicare il seguente principio di diritto: “In tema di Iva, la società produttrice di programmi televisivi che acquisti gettoni d’oro che rappresentino oro da investimento da destinare in premio ai vincitori nel corso di uno di quei programmi non matura alcun diritto di detrazione dell’Iva”.

Il concorso a premio, ove l’attribuzione dei premi offerti dipende dalla sorte o dall’abilità dei candidati, è un’iniziativa avente fini anche in parte commerciali diretta a favorire, nel territorio dello Stato italiano e attraverso la promessa di premi, la conoscenza di prodotti, servizi, ditte, insegne o marchi oppure la vendita di beni o servizi, ed è noto che la legge italiana ha impedito il gioco d’azzardo (e quindi la vincita di denaro contante) al di fuori di contesti regolamentati.

Per questi motivi le trasmissioni televisive che mettono in palio premi in denaro pagano a distanza di massimo sei mesi con un quantitativo di gettoni d’oro che corrisponde più o meno alla vincita effettuata al netto dell’aliquota IVA. L’articolo 7 del DPR 430/2001 stabilisce che uno degli elementi essenziali per la realizzazione di una manifestazione a premi, oltre che al regolamento, è la stipula di una cauzione che deve coprire il 100% del valore dei premi nei concorsi e il 20% nelle operazioni a premio; si veda al riguardo Cass. Ord. n. 24428/2020, nella quale la Suprema Corte nel fornire la prima interpretazione della norma del DPR 430/2001, ricordava che l’articolo 7 prevede che il Ministero delle Attività produttive possa disporre l’incameramento della cauzione, in caso di violazioni relative alla consegna dei premi.

Per la Corte di legittimità è dunque chiaro l’intento del legislatore di garantire che le poste promesse siano effettivamente assegnate: un diritto che può essere assicurato solo versando al vincitore la cauzione.  Da sottolineare, quindi, che a parere dei Supremi Giudici la prestazione di una cauzione da parte del promotore al Ministero delle Attività produttive non assolve a una funzione meramente sanzionatoria ma che è, invece, finalizzata a garantire l’effettivo soddisfacimento del vincitore, di modo che è a quest’ultimo che, in caso di mancato pagamento del premio, vada versata la somma incamerata dall’Amministrazione.

Inoltre, dal primo gennaio 2019 la cauzione per una manifestazione a premi può essere prestata, oltre che con le consuete modalità, anche attraverso un deposito in denaro effettuato attraverso bonifico bancario intestato alla Banca d’Italia. Peraltro la disciplina fiscale attribuisce al bene conferito in premio una natura di valore imponibile ai fini di diverse imposte e prevede una serie di adempimenti fiscali per il loro corretto assolvimento specificando, per quanto oggi interessa, che è prevista l’indetraibilità dell’IVA assolta sull’acquisto di beni destinati a premio o, in alternativa, nella corresponsione di un’imposta sostitutiva sull’acquisto di beni non soggetti a IVA.

Occorre comunque precisare che la vera tassazione delle manifestazioni a premio è costituita esclusivamente dalla cosiddetta indetraibilità dell’IVA, secondo quanto sancito dal DPR 633/1972, che stabilisce che sono assoggettabili all’imposta sul valore aggiunto tutte le cessioni di beni ovvero qualsiasi forma di trasferimento di proprietà di un bene da un soggetto a un altro. L’art. 19, c. 1, della legge 449/1997, nel rispetto di un principio comunitario ha modificato l’art. 19, c. 2, del DPR 633/1972, introducendo l’indetraibilità dell’imposta relativa agli acquisti ed alle importazioni dei beni e servizi impiegati come premi.

Questo principio generale si applica sia ai concorsi a premio che alle operazioni a premio.

L’entità del peso fiscale, pertanto, è subordinata alla natura del premio che la società organizzatrice decide di mettere in palio commisurata all’aliquota IVA propria di ciascun prodotto, bene o servizio offerto che ne costituisce l’oggetto.

Ciò che è veramente importante ai fini del calcolo dell’IVA indetraibile non è altro che l’importo effettivamente esposto e indicato nella fattura di acquisto dei premi, considerato, perciò stesso, base imponibile ai fini IVA in applicazione di un principio fiscale di carattere generale. Il comma 6 dell’art. 19 della L. 449/1997, recepito dall’art. 4 del DPR 430/2001, stabilisce chiaramente che i premi possono consistere soltanto in beni e servizi assoggettati a IVA o alla relativa imposta sostitutiva.
La “tassazione”, pertanto, delle manifestazioni a premio è interamente costituita e caratterizzata, per l’operatore economico organizzatore, dall’obbligo di non detrarre l’IVA relativa ai premi acquistati, con la conseguenza che la stessa assume, per la società, la natura di un vero e proprio costo.

Nello specifico odierno gli Ermellini hanno anche voluto rimarcare che nel sistema comune dell’IVA possono essere detratte soltanto le imposte che hanno gravato a monte sui beni o sui servizi utilizzati dai soggetti passivi ai fini delle loro operazioni soggette a imposta. E la detrazione delle imposte a monte è a sua volta collegata alla riscossione delle imposte a valle: occorre che le spese compiute per acquistare beni o servizi a monte facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione.

Ma quando i beni acquistati – per di più in esenzione – da un soggetto passivo sono usati ai fini di operazioni a loro volta esenti, non può esservi né riscossione dell’imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte (cfr. C. Giust. Ue 9 luglio 2020 C-374/19).

In tema d’IVA, quindi, l’imposizione indiretta delle operazioni a premio è a carico non del vincitore bensì dell’organizzatore della manifestazione, con annesso regime di indetraibilità laddove il premio sia assoggettato a IVA e previsione di imposta sostitutiva se il bene (o servizio) non è assoggettabile a IVA.

Tanto premesso e tornando al caso odierno, i giudici di piazza Cavour hanno respinto il ricorso delle parti contribuenti confermando le ragioni prospettate dall’Avvocatura erariale nelle quali emergeva che gli uffici finanziari avevano recuperato l’IVA che ritenevano indebitamente detratta in relazione a operazioni di acquisto di beni, specificamente di gettoni d’oro, messi in palio nell’ambito di manifestazioni considerate a premio.

Il quesito posto nel ricorso, in sintesi, consisteva nel fatto che pur ammettendo che il meccanismo di detrazione dell’IVA mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’imposta dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, occorre pur sempre che esse siano soggette all’IVA. Punto fondante della questione verteva dunque nella liceità dell’individuazione degli strumenti mediante i quali l’organizzatore del concorso potesse sganciarsi del peso economico corrispondente all’IVA versata per l’acquisto dei premi offerti, poiché non aveva la possibilità di riversarla sul vincitore o sull’assegnatario del premio. Gli Ermellini, richiamandosi anche alla giurisprudenza Ue e sottolineandola rilevanza della natura delbene, che è stato l’oggetto, e dell’operazione,consistente in gettoni d’oro, hanno osservato che: “…. Il fatto, tuttavia, che nel caso in esame, nella prospettazione offerta, sia stato soltanto addebitato il costo alla committente non consente di equiparare il passaggio dalla commissionaria alla committente a una cessione di beni, ai fini dell’Iva: a norma sia  dell’art. 14, paragrafo 2, lettera c), della sesta direttiva, sia dell’artt. 28 della direttiva Iva, alla luce dei quali va interpretato l’art. 2, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633/72, sarebbe stato necessario a tal fine anche il trasferimento del diritto di proprietà dei beni acquistati per conto della committente (Corte giust. In causa C-734/19, cit., punto 54).

Sicché non si riesce a creare la fictio iuris di due cessioni di beni identiche consecutive, rientranti nell’ambito di applicazione dell’Iva. Per altro verso, le prestazioni dei commissionari relative ai passaggi al committente dei beni acquistati in esecuzione dei contratti di commissione non sono imponibili ai fini dell’Iva, giusta l’art. 3, comma 3, lett. h), del d.P.R. n. 633/72.

– La ricostruzione offerta è comunque contrastata in radice dall’Agenzia, la quale obietta che l’art. 6, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 430/01 non riesce a discriminare le ipotesi ivi contemplate quanto all’applicazione dell’IVA, perché, sostiene, essa si pone su un piano differente e non interferente con quello fiscale. Laddove la V., che ha predisposto tutti i mezzi per lo svolgimento della manifestazione, non può che esserne la promotrice. – La questione complessivamente posta, in realtà, anche di là dalle incongruenze segnalate, si rivela irrilevante ai fini del decidere. E ciò perché le contribuenti trascurano la rilevanza della natura del bene che è stato l’oggetto e dell’operazione a monte, e di quella a valle.

Il punto centrale sta, invece, nel fatto che entrambe hanno avuto ad oggetto gettoni d’oro. Questi gettoni sono oro da investimento, come hanno ammesso le stesse società contribuenti, con le memorie depositate in esito alla sollecitazione del contraddittorio disposta da questa Corte; e il loro valore «…è essenzialmente in funzione del valore intrinseco che può essere loro attribuito» (Corte giust. 11 luglio 2018, causa C-154/17, SIA «E LA TS», punto 28).- Al riguardo i considerando 53 e 54 della direttiva Iva prevedono che «(53) Le cessioni di oro da investimento sono per natura analoghe ad altri investimenti finanziari che sono esenti dall’imposta. L’esenzione da imposta sembra pertanto essere il trattamento fiscale più appropriato per le cessioni di oro da investimento. (54) È opportuno includere nella definizione di oro da investimento le monete d’oro il cui valore rispecchi essenzialmente la quotazione dell’oro che esse contengono. Per ragioni di trasparenza e di certezza del diritto, si dovrebbe redigere annualmente un elenco delle monete che possono beneficiare del regime applicabile all’oro da investimento, in modo da offrire garanzie agli operatori che le trattano. L’elenco non pregiudica l’esenzione di monete che non vi sono incluse ma che sono conformi ai criteri previsti nella presente direttiva». – Ebbene, l’art. 10, comma 1, n. 11, del d.P.R. n. 633/72, che riproduce la definizione unionale di oro da investimento, stabilisce che le cessioni che concernono quest’oro sono esenti da imposta (sull’ampia applicazione dell’esenzione, cfr. Cass. 2 ottobre 2000, n. 12994; 24 marzo 2001, n. 4327; 26 maggio 2003, n. 8286). Il successivo art. 19, comma 5-bis, che le società invocano in memoria, non giova alle loro ragioni. Il comma va applicato in combinazione con la lettera d) del precedente comma 3, che si riferisce a soggetti che producono oro da investimento, o che trasformano oro in oro da investimento, e pur sempre postula che l’esenzione non operi e che, dunque, sussista il diritto di detrazione: diritto, che si configura, in base all’art. 10, comma 1, n. 11, anche in capo ai soggetti che commerciano oro da investimento che abbiano optato per l’applicazione dell’imposta, nonché per le relative prestazioni d’intermediazione. Nel caso in esame anzitutto la V. mai ha allegato di aver acquistato i gettoni d’oro da uno di questi soggetti. Inoltre, essa stessa, che ha proceduto a cedere l’oro da investimento agli assegnatari dei premi, non rientra in quel novero soggettivo. – E allora, non si configurano in radice i presupposti dell’esercizio del diritto di detrazione del quale si discute nel giudizio odierno. 

Vero è che il meccanismo di detrazione dell’IVA mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche; ma occorre pur sempre che esse siano soggette all’Iva (tra varie, Corte  giust. 8 maggio 2019, causa C-712/17, EN.SA . s.p.a., punto 30). Nel sistema comune dell’IVA, soltanto le imposte che hanno gravato a monte sui beni o sui servizi utilizzati dai soggetti passivi ai fini delle loro operazioni soggette a imposta possono essere detratte.  E la detrazione delle imposte a monte è a sua volta collegata alla riscossione delle imposte a valle: occorre che le spese compiute per acquistare beni o servizi a monte facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione (tra varie, Corte giust. 14 settembre 2017, Iberdrola Immobiliaria Real Estate Investments, C-132/16, punto 28). Ma quando beni acquistati – perdi più in esenzione – da un soggetto passivo sono usati ai fini di operazioni a loro volta esenti, non può esservi né riscossione dell’imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte (Corte giust. 9 luglio 2020, causa C-374/19, Finanzamt Bad Neuenahr-Ahrweiler, punto 21; Corte giust. in causa C-734/19, cit., punto 42).

.- La censura in questione, è allora, decettiva rispetto al cuore del problema e si rivela infondata.

Il che ne comporta il rigetto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

“In tema di Iva, la società produttrice di programmi televisivi che acquisti gettoni d’oro che rappresentino oro da investimento da destinare in premio ai vincitori nel corso di uno di quei programmi non matura alcun diritto di detrazione dell’Iva”.

– Infondato è altresì il terzo motivo dei ricorsi delle due società, col quale si denuncia sia la motivazione insufficiente in ordine al fatto controverso della sussistenza di obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni implicate, sia la violazione e falsa applicazione della combinazione degli artt. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dell’art. 10, comma 3, della I. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, là dove il giudice d’appello ha trascurato la natura incolpevole dell’errore in cui sono incorse le contribuenti.

.- Questa Corte ha avuto più occasioni per stabilire che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, quando è ravvisabile una condizione d’inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (tra varie, Cass., ord. 1 febbraio 2019, n. 3108). – E si è altresì specificato (Cass., ord. 13 giugno 2018, n. 15542) che l’incertezza normativa oggettiva -che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997- è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio:

1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative;

2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;

5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari;

6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale;

8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente. .- In particolare, poi, il contribuente ha l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi che giustificano l’esenzione per incertezza normativa oggettiva, che ricorre nell’ipotesi di incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria, anche all’esito del procedimento di interpretazione della stessa da parte del giudice (Cass., ord. 13 luglio 2018, n. 18718). – Nessun elemento è stato, invece, allegato dalle due società, che in definitiva si sono limitate a far leva sulla novità del regime introdotto dall’art. 19 della I. n. 449/97 e dal suo regolamento di delegificazione. I ricorsi delle due società vanno respinti. Ne risulta assorbito il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia in via condizionata”.

Corte di Cassazione – Sentenza 18 marzo 2021, n. 7624

sul ricorso iscritto al n. 21648 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da:

s.p.a. V., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Giancarlo Zoppini, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe Pizzonia, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del primo in Roma, alla via della Scrofa, n. 57

– ricorrente-

contro Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia

-controricorrente-

e da

s.p.a. Mediaset, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Giancarlo Zoppini, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe Pizzonia, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del primo in Roma, alla via della Scrofa, n. 57

-ricorrente incidentale-

contro Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia

-controricorrente e ricorrente incidentale-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 16 febbraio 2012, n. 28/22/12;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 10 novembre 2020 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi delle società;

uditi l’avv. Giuseppe Pizzonia per le società e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per l’Agenzia.

Fatti di causa

Emerge dalla narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle Entrate, per l’anno d’imposta 2004, recuperò l’Iva che riteneva indebitamente detratta dalla s.p.a. V., controllata dalla s.p.a. M., in relazione a operazioni di acquisto di beni, specificamente di gettoni d’oro, messi in palio nell’ambito di manifestazioni considerate a premio.

Entrambe le società impugnarono il relativo avviso di accertamento, notificato alla s.p.a. M. giacché vi era stato ricorso alla procedura di liquidazione dell’iva di gruppo, e sostennero che l’acquisto dei gettoni d’oro non si riferisse a manifestazioni a premio, bensì a giochi-spettacolo privi di finalità commerciali o pubblicitarie anche indirette, ma la Commissione tributaria provinciale di Milano respinse i ricorsi.

Quella regionale della Lombardia ha rigettato il successivo appello delle contribuenti.

Ha osservato al riguardo che la manifestazione della quale si discute rientra comunque in quelle a premio, sicché è applicabile l’art. 19, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a norma del quale in nessun caso è detraibile l’imposta relativa all’acquisto di beni o servizi utilizzati per le manifestazioni in questione.

A fronte di tale disposizione, ha aggiunto il giudice d’appello, nessuna rilevanza assume il d.P.R. n. 430/01 invocato dalle società, il quale si limita a disciplinare aspetti amministrativi, e non già fiscali, dei giochi-spettacolo.

D’altronde, ha specificato, se pure il d.P.R. n. 430/01 comportasse la detraibilità dell’Iva in questione, ciò determinerebbe l’abrogazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/72, ma quest’effetto sarebbe comunque impedito dalla natura unionale dell’imposta.

Infine, ha rimarcato la Commissione tributaria regionale, benché ammissibile, è infondata la richiesta delle società di disapplicazione delle sanzioni, non sussistendo alcuna in certezza normativa e interpretativa al riguardo.

Contro questa sentenza propongono distinti ricorsi in successione entrambe le società, ciascuno articolato in tre motivi, dei quali il terzo strutturato in due subcensure, e illustrati con memorie, cui l’Agenzia delle entrate risponde con distinti controricorsi, dei quali quello proposto nei confronti di M. s.p.a. corredato di ricorso incidentale sviluppato in due motivi, contrastato con controricorso dalla società.

In esito all’udienza pubblica dell’11 giugno 2019 questa Corte ha sollecitato il contraddittorio in ordine alla possibile rilevanza dell’art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, in correlazione con l’art. 19, commi 3, lett. d), e comma 5-bis;

si è quindi rifissata l’udienza, in prossimità della quale le parti hanno depositato ulteriori memorie.

Ragioni della decisione

1.- Col primo e col secondo motivo dei ricorsi delle due società, proposti ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., da esaminare congiuntamente, perché connessi, si denunciano la violazione dell’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633/72, come interpretato in via autentica dall’art. 5 della I. 18 febbraio 1999, n. 28, e 6, comma 1, lett. b), del d.P.R. 26 ottobre 2001, n. 430 (primo motivo), nonché la violazione della combinazione degli artt. 5 della I. n. 28/99 e 5 del d.P.R. n. 430/01 (secondo motivo).

1.1.- Le contribuenti rilevano che il d.P.R. n. 430/01 è stato emanato in attuazione dell’art. 19, comma 8, della I. 27 dicembre  1997, n. 449, che ha introdotto nell’ordinamento disposizioni di natura fiscale, e che già in precedenza, con l’art. 5 della I. n. 28/99, il legislatore aveva fornito l’interpretazione autentica dell’art. 19, comma 2, ultimo periodo, del d.P.R. n. 633/72, là dove ha stabilito che le parole «beni o servizi utilizzati per l’effettuazione di manifestazioni a premio> devono intendersi riferite esclusivamente ai premi messi in palio dai soggetti promotori in occasione della manifestazioni medesime».

Ne ricavano che i giochi-spettacolo come quello in relazione al quale sono stati acquistati i gettoni d’oro (si riferiscono in ricorso in particolare allo spettacolo “…..?” condotto da G.S.) sono programmi destinati a soddisfare esigenze di evasione e di divertimento del pubblico, senza alcuna finalità commerciale o pubblicitaria, di modo che è a essi inapplicabile l’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633/72.

Aggiungono che comunque la s.p.a. V., non svolgendo l’attività di produzione e di commercializzazione o distribuzione di beni o servizi oggetto della promozione, non risponde alla nozione di soggetto promotore, assunta come necessaria dal legislatore ai fini dell’applicabilità dell’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633/72, come interpretato in via autentica.

La complessiva censura è infondata.

2.- Dispone l’art. 2, comma 3, lett. m), del d.P.R. n. 633/72 che «non sono considerate cessioni di beni: …m) le cessioni di beni soggette alla disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio di cui al R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito nella L. 5 giugno 1939, n. 937, e successive modificazioni».

 2.1.- La norma si riferisce in primo luogo ai premi corrisposti ai vincitori dei concorsi e ai partecipanti alle operazioni a premio e trova la propria ratio nella difficoltà tecnica della riscossione dell’imposta: poiché, appunto, si tratta di premi, manca per definizione il pagamento del corrispettivo dei beni che ne costituiscono oggetto, sicché si prospetta un chiaro effetto disincentivante, che scaturirebbe dalla fissazione in capo ai vincitori dell’obbligo di versare la sola Iva a fronte dell’acquisizione dei beni oggetto dei premi.

3.- Al fine d’individuare l’ambito di applicazione della norma rilevano la definizione, e la correlativa distinzione, tra concorsi e operazioni a premio: vi provvedeva l’art. 44 del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, secondo cui «Sono considerati concorsi a premio le manifestazioni pubblicitarie, in cui i premi sono offerti ad alcuni soltanto dei partecipanti o su designazione della sorte, o in riguardo alla loro abilità, o ad altri determinati requisiti. Sono considerate operazioni a premio: a) le offerte di premi a tutti coloro che acquistano un determinato quantitativo di merci da una stessa ditta e ne offrono la documentazione, raccogliendo e consegnando un certo numero di figurine, buoni, etichette, tagliandi od altro; b) le offerte di un regalo consegnato all’atto  dell’acquisto a tutti coloro che acquistano una determinata merce…» e successivamente vi hanno provveduto in termini simili gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 430/01.

A norma, poi, degli artt. 45 e 49 del r.d.l. n. 1933/1938 i concorsi erano assoggettati a una tassa di lotteria, commisurata a una percentuale del valore della massa dei premi, mentre le operazioni a premio erano sottoposte a una tassa di licenza, computata in misura fissa. Gli artt. 45 e 49 sono stati successivamente abrogati e sostituiti dall’art. 7 del d.l. 30 settembre 1989 n. 332, conv. con modificazioni con I. 27 novembre 1989 n. 384, che ha previsto le tasse di licenza e di lotteria nei commi 3 e 4.

Disposizioni centrali si rinvenivano poi, per i profili d’interesse nel giudizio odierno, nell’art. 51 del r.d.l. n. 1933/38, secondo cui «I premi offerti debbono consistere solo in oggetti mobili, escluso il danaro e i titoli di prestiti pubblici e privati, salvo quanto è disposto dal primo comma dell’articolo precedente per i premi consistenti in biglietti delle lotterie ed in giuocate del lotto», nonché nell’art. 52, secondo cui «Il valore dei premi consistenti in oggetti mobili viene determinato ai fini dell’applicazione della tassa, sulla base del prezzo di acquisto della merce regolarmente comprovato».

3.1.- Non si dubitava, quindi, che le operazioni di cessione dei premi ai vincitori fossero soggette all’applicazione dell’art. 2,  comma 3, lett. m) del d.P.R. n. 633/72 e, cioè, che fossero prive del presupposto impositivo dell’Iva, perché non considerate cessione di beni.

D’altronde, esse dovevano essere valutate ad altro fine, ossia al fine dell’applicazione della tassa di lotteria o di licenza.

Sicché si è posto il problema d’individuare gli strumenti mediante i quali l’organizzatore del concorso -o anche dell’operazione a premi- potesse liberarsi del peso economico corrispondente all’Iva versata per l’acquisto dei premi offerti, giacché non aveva la possibilità di riversarla sul vincitore o sull’assegnatario del premio.

3.2.- La risposta è stata fornita dalle sezioni unite di questa Corte, le quali (con sentenza 29 aprile 1997, n. 3671; conf., 13 settembre 1997, n. 9070 e 18 settembre 1997, n. 9286), hanno stabilito che «allorché il legislatore, considerato il carattere gratuito del trasferimento, ha fatto rientrare nell’ambito delle operazioni escluse dall’Iva le cessioni di beni soggette alla  disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio, ha riconosciuto che in questo caso non vi è “cessione di beni” in senso stretto, per cui l’imprenditore non può acquisire il ruolo di consumatore finale, anzi gli è consentito di portare in detrazione il tributo versato per l’acquisto del bene messo in palio, ai sensi dell’art. 19».

3.3.- Ne conseguiva, in quel sistema, che l’organizzatore del concorso o dell’operazione a premi si liberava mediante la detrazione del peso dell’Iva assolta per l’acquisto dei premi, che non poteva fatturare in rivalsa ai vincitori/assegnatari, in ragione dell’esclusione dall’area d’imponibilità ai fini Iva stabilita dall’art. 2, comma 3, lett. m), del d.P.R. n. 633/72; ma a bilanciare l’omesso  incasso dell’Iva da parte dell’erario intervenivano la tassa di lotteria e quella di licenza che rispettivamente gravavano sull’organizzatore.

4.- Il regime è stato radicalmente modificato dall’art. 19 della I. 27 dicembre 1997, n. 449.

Il legislatore ha disposto l’abrogazione, tra l’altro, dei commi 2 e 3 dell’art. 7 del d.l. n. 332/89, come convertito (comma 3, lett. b), dell’art. 19); contestualmente, così novellando l’art. 19 del d.P.R. n. 633/72, ha stabilito che «In nessun caso è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni o servizi utilizzati per l’effettuazione di manifestazioni a premio».

4.1.- Sicché l’esclusione dall’imponibilità delle operazioni di cessione dei premi ai vincitori/assegnatari non è stata più bilanciata dalla tassa di lotteria o da quella di licenza, bensì dall’indetraibilità dell’iva sull’acquisto dei premi.

Il che risponde al sistema dell’Iva, in quanto chi è soggetto passivo e agisce in quanto tale allorché acquista un bene ha diritto di detrarre l’Iva dovuta o assolta relativamente a tale bene soltanto se lo utilizzi ai fini delle proprie operazioni imponibili (tra varie, Corte giust. 12 novembre 2020, causa C-734/19, ITH Comercial Timisoara SRL, punti 31 e 35; 25 luglio 2018, causa C-140/17, Gmyna Ryjevo, punto 34, e 22 ottobre 2015, causa C-126/14, Sveda, punto 18).

4.2.- Non solo: qualora gli acquisti dei premi non siano stati assoggettati a IVA, il legislatore ha previsto una misura compensativa, data dall’imposta sostitutiva: «Per le modalità di prelievo fiscale relativo a premi consistenti in beni e servizi non  imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, si applica una imposta sostitutiva del 20 per cento con esclusione dei biglietti delle lotterie nazionali e delle giocate del lotto» (art. 19, comma 8, della I. n. 449/97).

L’imposta sostitutiva, dunque, non subentra alle abrogate tassa sulle lotterie o di licenza, ma è chiamata a far le veci del divieto di detrazione qualora le operazioni di acquisto dei premi non abbiano scontato imposta.

Il che significa che essa è alternativa all’imposta sul valore aggiunto e non cumulativa con essa; si determinerebbe, altrimenti,  una doppia imposizione (Cass. 29 ottobre 2008, n. 25907).

4.3.- Coerentemente, allora, questa Corte (con Ord. 13 febbraio 2019, n. 4180), prendendo le mosse giustappunto dall’abrogazione delle tasse di lotteria e di licenza, ha stabilito che, nel sistema dell’imposizione indiretta delle manifestazioni a premio, a essere tassato non è il vincitore del premio, ma l’organizzatore della manifestazione; sicché, a differenza di quel che accadeva nel sistema precedente, è appunto il soggetto passivo organizzatore che assume la veste di consumatore finale.

4.4.- Opportunamente, quindi, il legislatore, nell’interpretare autenticamente, con l’art. 5 della I. n. 28/99, l’art. 19 della I. n. 449/97, ne ha circoscritto l’applicazione ai soli premi messi in palio dai soggetti promotori in occasione delle manifestazioni a premio, anziché, in generale, ai beni o ai servizi utilizzati per l’effettuazione di manifestazioni a premio.

5.- In questo contesto, le contribuenti invocano il regolamento di delegificazione adottato a norma dell’art. 19, comma 4, della I. n. 449/97, ossia il d.P.R. n. 430/01, e, in particolare, sotto il profilo oggettivo, il suo art. 6, comma 1, lett. b), che esclude dal novero delle manifestazioni a premio quelle «b)…nelle quali è prevista l’assegnazione di premi da parte di emittenti radiotelevisive a spettatori presenti esclusivamente nei luoghi ove si svolgono le manifestazioni stesse, sempre che l’iniziativa non sia svolta per promozionare prodotti o servizi di altre imprese; per le emittenti radiofoniche si considerano presenti alle manifestazioni anche gli ascoltatori che intervengono alle stesse attraverso collegamento radiofonico, ovvero qualsivoglia altro collegamento a distanza» e, sotto quello soggettivo, l’art. 5, che riserva la qualità di soggetti promotori delle manifestazioni a premio alle «imprese produttrici o commerciali fornitrici o distributrici dei beni o dei servizi promozionati… ».

Ad avviso delle contribuenti, dunque, l’estraneità del gioco spettacolo al novero delle manifestazioni a premio da un lato e l’estraneità di V. a quello dei soggetti promotori dall’altro comporta l’inoperatività del divieto di detrazione dell’Iva assolta per l’acquisto dei beni da assegnare agli spettatori.

Riconoscono, tuttavia, di non aver fatturato agli assegnatari dei premi l’Iva di rivalsa, che hanno tuttavia detratto; e al fine di escludere che per l’effetto si sia prodotto il salto d’imposta paventato dall’Agenzia, riferiscono di aver addebitato i costi dell’acquisto dei premi alla s.p.a. R.T.I., committente dell’intero pacchetto concernente la realizzazione e la produzione del gioco spettacolo.

5.1.- Sul punto, diversamente da quanto sostenuto in alcuni tratti del ricorso e nel corso della discussione orale, come emerge  dagli atti (e, in particolare, dalla sentenza impugnata, nonché dalle pag. 14 e seguenti del ricorso, che riproducono il ricorso di primo grado), il giudizio, conformato dall’oggetto della pretesa impositiva, ha riguardato esclusivamente la detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti di gettoni d’oro destinati ad essere assegnati in premio a concorrenti di programmi televisivi, e non già l’Iva assolta in relazione alla realizzazione complessiva del gioco-spettacolo commissionato dalla s.p.a. R.T.I.

5.2.- La prospettazione si rivela allora insoddisfacente.

Quanto ai premi, difatti, le contribuenti riconoscono di averli acquistati a nome proprio in esecuzione del complessivo incarico ricevuto dalla R.T.I. e di averne soltanto addebitato il costo alla committente.

Evocano in sostanza la figura della commissione all’acquisto, che ricorre al cospetto di un mandato che ha per oggetto appunto l’acquisto – o la vendita- di beni per conto del committente e in nome del commissionario (art. 1731 c.c.).

Il fatto, tuttavia, che nel caso in esame, nella prospettazione offerta, sia stato soltanto addebitato il costo alla committente non consente di equiparare il passaggio dalla commissionaria alla committente a una cessione di beni, ai fini dell’Iva: a norma sia  dell’art. 14, paragrafo 2, lettera c), della sesta direttiva, sia dell’artt. 28 della direttiva Iva, alla luce dei quali va interpretato l’art. 2, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633/72, sarebbe stato necessario a tal fine anche il trasferimento del diritto di proprietà dei beni acquistati per conto della committente (Corte giust. In causa C-734/19, cit., punto 54).

Sicché non si riesce a creare la fictio iuris di due cessioni di beni identiche consecutive, rientranti nell’ambito di applicazione dell’Iva.

Per altro verso, le prestazioni dei commissionari relative ai passaggi al committente dei beni acquistati in esecuzione dei contratti di commissione non sono imponibili ai fini dell’Iva, giusta l’art. 3, comma 3, lett. h), del d.P.R. n. 633/72.

5.3.- La ricostruzione offerta è comunque contrastata in radice dall’Agenzia, la quale obietta che l’art. 6, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 430/01 non riesce a discriminare le ipotesi ivi contemplate quanto all’applicazione dell’IVA, perché, sostiene, essa si pone su un piano differente e non interferente con quello fiscale.

Laddove la V., che ha predisposto tutti i mezzi per lo svolgimento della manifestazione, non può che esserne la promotrice.

6.- La questione complessivamente posta, in realtà, anche di là dalle incongruenze segnalate, si rivela irrilevante ai fini del decidere.

E ciò perché le contribuenti trascurano la rilevanza della  natura del bene che è stato l’oggetto e dell’operazione a monte, e di quella a valle.

Il punto centrale sta, invece, nel fatto che entrambe hanno avuto ad oggetto gettoni d’oro.

6.1.- Questi gettoni sono oro da investimento, come hanno ammesso le stesse società contribuenti, con le memorie depositate in esito alla sollecitazione del contraddittorio disposta da questa Corte; e il loro valore «…è essenzialmente in funzione del valore intrinseco che può essere loro attribuito» (Corte giust. 11 luglio 2018, causa C-154/17, SIA «E LA TS», punto 28).

6.2.- Al riguardo i considerando 53 e 54 della direttiva Iva prevedono che «(53) Le cessioni di oro da investimento sono per natura analoghe ad altri investimenti finanziari che sono esenti dall’imposta. L’esenzione da imposta sembra pertanto essere il trattamento fiscale più appropriato per le cessioni di oro da investimento.

(54) È opportuno includere nella definizione di oro da investimento le monete d’oro il cui valore rispecchi essenzialmente la quotazione dell’oro che esse contengono. Per ragioni di trasparenza e di certezza del diritto, si dovrebbe redigere annualmente un elenco delle monete che possono beneficiare del regime applicabile all’oro da investimento, in modo da offrire garanzie agli operatori che le trattano. L’elenco non pregiudica l’esenzione di monete che non vi sono incluse ma che sono conformi ai criteri previsti nella presente direttiva».

6.3.- Ebbene, l’art. 10, comma 1, n. 11, del d.P.R. n. 633/72, che riproduce la definizione unionale di oro da investimento, stabilisce che le cessioni che concernono quest’oro sono esenti da imposta (sull’ampia applicazione dell’esenzione, cfr. Cass. 2 ottobre 2000, n. 12994; 24 marzo 2001, n. 4327; 26 maggio 2003, n. 8286).

Il successivo art. 19, comma 5-bis, che le società invocano in memoria, non giova alle loro ragioni.

Il comma va applicato in combinazione con la lettera d) del precedente comma 3, che si riferisce a soggetti che producono oro da investimento, o che trasformano oro in oro da investimento, e pur sempre postula che l’esenzione non operi e che, dunque, sussista il diritto di detrazione: diritto, che si configura, in base all’art. 10, comma 1, n. 11, anche in capo ai soggetti che commerciano oro da investimento che abbiano optato per l’applicazione dell’imposta, nonché per le relative prestazioni d’intermediazione.

Nel caso in esame anzitutto la V. mai ha allegato di aver acquistato i gettoni d’oro da uno di questi soggetti.

Inoltre, essa stessa, che ha proceduto a cedere l’oro da investimento agli assegnatari dei premi, non rientra in quel novero soggettivo.

7.- E allora, non si configurano in radice i presupposti dell’esercizio del diritto di detrazione del quale si discute nel giudizio odierno. Vero è che il meccanismo di detrazione dell’IVA mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o  assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche; ma occorre pur sempre che esse siano soggette all’Iva (tra varie, Corte  giust. 8 maggio 2019, causa C-712/17, EN.SA . s.p.a., punto 30).

Nel sistema comune dell’IVA, soltanto le imposte che hanno gravato a monte sui beni o sui servizi utilizzati dai soggetti passivi ai fini delle loro operazioni soggette a imposta possono essere detratte.

E la detrazione delle imposte a monte è a sua volta collegata alla riscossione delle imposte a valle: occorre che le spese compiute per acquistare beni o servizi a monte facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione (tra varie, Corte giust. 14 settembre 2017, Iberdrola Immobiliaria Real Estate Investments, C-132/16, punto 28).

Ma quando beni acquistati – per di più in esenzione – da un soggetto passivo sono usati ai fini di operazioni a loro volta esenti, non può esservi né riscossione dell’imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte (Corte giust. 9 luglio 2020, causa C-374/19, Finanzamt Bad Neuenahr-Ahrweiler, punto 21; Corte giust. in causa C-734/19, cit., punto 42).

7.1.- La censura in questione, è allora, decettiva rispetto al cuore del problema e si rivela infondata.

Il che ne comporta il rigetto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

In tema di Iva, la società produttrice di programmi televisivi che acquisti gettoni d’oro che rappresentino oro da investimento da destinare in premio ai vincitori nel corso di uno di quei programmi non matura alcun diritto di detrazione dell’Iva“.

8.- Infondato è altresì il terzo motivo dei ricorsi delle due società, col quale si denuncia sia la motivazione insufficiente in ordine al fatto controverso della sussistenza di obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni implicate, sia la violazione e falsa applicazione della combinazione degli artt. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dell’art. 10, comma 3, della I. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, là dove il giudice d’appello ha trascurato la natura incolpevole dell’errore in cui sono incorse le contribuenti.

8.1.- Questa Corte ha avuto più occasioni per stabilire che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, quando è ravvisabile una condizione d’inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (tra varie, Cass., ord. 1 febbraio 2019, n. 3108).

8.2.- E si è altresì specificato (Cass., ord. 13 giugno 2018, n. 15542) che l’incertezza normativa oggettiva -che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997- è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio:

1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative;

2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;

5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari;

6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale;

8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente.

8.3.- In particolare, poi, il contribuente ha l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi che giustificano l’esenzione per incertezza normativa oggettiva, che ricorre nell’ipotesi di incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria, anche all’esito del procedimento di interpretazione della stessa da parte del giudice (Cass., ord. 13 luglio 2018, n. 18718).

8.4.- Nessun elemento è stato, invece, allegato dalle due società, che in definitiva si sono limitate a far leva sulla novità del regime introdotto dall’art. 19 della I. n. 449/97 e dal suo regolamento di delegificazione.

9.- I ricorsi delle due società vanno respinti.

Ne risulta assorbito il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia in via condizionata.

10.- In una delle memorie (la prima), tuttavia, le società sollecitano l’applicazione della disciplina più favorevole introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, con riguardo alla mitigazione della cornice edittale della sanzione per infedele dichiarazione e della rimodulazione della sanzione prevista per indebita detrazione dell’Iva, e lo ribadiscono con la seconda.

La disciplina si può applicare ai processi in corso, come già affermato da questa Corte (si veda, fra varie, Cass. 9 giugno 2017, n. 14406), poiché le parti hanno puntualmente allegato, riportando in allegato alla memoria lo stralcio rilevante dell’avviso di accertamento, gli elementi di fatto utili a sostenere le loro deduzioni.

Non si può, tuttavia, automaticamente applicare la riduzione del minimo edittale disposta dal d.lgs. n. 158/15, perché occorre che il giudice del merito rinnovi la propria valutazione, al fine di verificare se il nuovo valore del minimo previsto per la sanzione conseguente all’infedele dichiarazione dell’Iva sia adeguato alla specifica fattispecie, in considerazione degli elementi soggettivi ed oggettivi rilevanti e se risulti favorevolmente modificato il complessivo trattamento sanzionatorio.

10.1.- Per quest’aspetto va cassata la sentenza, con rinvio per tale profilo, nonché per la regolazione delle spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

P.Q.M.

rigetta i motivi dei ricorsi proposti dalle società contribuenti, assorbito il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia;

pronunciando sui ricorsi delle società, cassa la sentenza impugnata nei limiti in motivazione e rinvia per l’aspetto corrispondente, nonché per la regolazione delle spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione. Così deciso in Roma, in data 10 novembre 2020.

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