CASSAZIONE

È valido l’accertamento IRPEF anche se notificato prima dei sessanta giorni

Tributi – IRPEF – Avviso di accertamento – Procedimento tributario – Contraddittorio endoprocedimentale – Termine dilatatorio – Inosservanza – Art. 12 comma 7 legge n. 212/2000 – Verifica induttiva – Tributi non armonizzati

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9987 del 27 maggio 2020, intervenendo in merito alla validità di un accertamento IRPEF notificato prima dei sessanta giorni – e quindi senza contraddittorio preventivo – ha riconosciuto la validità dell’atto in considerazione del fatto che i verificatori avevano esaminato in ufficio la documentazione fiscale.

Il legislatore tributario, come è noto, ha individuato nell’accertamento analitico la regola per la determinazione del reddito imponibile. L’analiticità è stata intesa sia come strumento per adeguare il più esattamente possibile il reddito imponibile al reddito effettivo, sia come parametro di comportamento del contribuente e dell’Amministrazione finanziaria: il principio dell’analitica determinazione del reddito rappresenta uno dei cardini fondamentali del sistema tributario, non escludendo, comunque, ipotesi in cui il legislatore consenta la determinazione del reddito mediante l’ausilio di metodi diversi.

In verità la normativa prevede che per la determinazione del reddito delle persone fisiche è data priorità assoluta alla determinazione del reddito complessivo sulla base delle singole componenti e delle loro peculiari articolazioni. L’art. 38, comma 2, del DPR n. 600/1973, al riguardo, dispone che l’eventuale rettifica del reddito debba essere fatta con unico atto, ma con riferimento analitico ai redditi delle varie categorie. Per garantire il contribuente e per guidare l’Amministrazione finanziaria alla ricostruzione del reddito secondo principi di ordine costituzionale, quali buon andamento e imparzialità, il legislatore tributario ha determinato inoltre i casi tassativi in cui è possibile derogare all’accertamento analitico. Per di più, nell’ambito delle disposizioni riguardanti i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale analitica, cioè con qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, inclusi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, è riconosciuto a quest’ultimo un periodo di tempo di 60 giorni dalla chiusura del processo verbale di constatazione, entro il quale è possibile presentare al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate osservazioni e richieste giustificative dei rilievi eccepiti dai verificatori.

Tali osservazioni e richieste devono essere valutate dai funzionari ai fini dell’accertamento. Quindi, prima del decorso dei 60 giorni (cd. “termine dilatorio”) è impedita all’ufficio l’emissione dell’avviso di accertamento a pena di nullità dell’atto. In deroga a tale disposizione, l’ufficio può emettere l’avviso di accertamento in anticipo rispetto alla scadenza del termine dilatorio solo in presenza di particolare e motivata urgenza. L’accertamento analitico consente la determinazione del reddito prescindendo dalle scritture contabili, oppure è utilizzabile qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, quando si tratta, quindi, di una contabilità confliggente con le regole fondamentali di ragionevolezza.

Per quanto sopra esposto il reddito d’impresadelle persone fisiche e delle società commerciali, come per il reddito di lavoro autonomo degli artisti e dei professionisti, può essere determinato anche attraverso un accertamento induttivo. In questi casi si può parlare di accertamento a tavolino, cioè svolto dai funzionari del fisco nel loro ufficio anziché presso il contribuente. Questo tipo di accertamento è disciplinato dall’articolo 39, comma 1, lettera d) e comma 2 del DPR n 600/1973 e, come innanzi specificato, si tratta di una tipologia di accertamento fiscale alternativo rispetto a quello analitico. L’accertamento c.d. a tavolino, che, ripetiamo, non ha comportato l’accesso del personale accertatore presso la sede della società, prende le forme dell’accertamento induttivo. In caso contrario, cioè in presenza dell’accesso del personale presso la sede della società, si sarebbe configurato come un atto a valenza autoritativa e di una prolungata intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla ricerca di elementi a lui sfavorevoli. Ricordiamo in proposito che con la sentenza n. 22644/2019 la Suprema Corte, dando espressamente continuità a sue precedenti pronunce (Cass., 15 gennaio 2019, nn. 701 e 702), ribadisce importanti principi in tema di invalidità dell’accertamento emanato ante tempus (prima dei 60 giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni), in assenza di una situazione di urgenza legittimante ex art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212. Ci si riferisce, in particolare, alla violazione della norma, contenuta sempre nel corpo dell’art. 12, al comma 5, che dispone un termine di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente di 30 giorni (o 15, nel caso di verifica svolta presso imprese in contabilità semplificata o lavoratori autonomi), prorogabili di ulteriori 30 (o 15) giorni in caso di particolare complessità dell’indagine.

Anche tale disposizione, sempre contenuta nell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, come la precedente, non è espressamente sanzionata con la nullità dell’atto emesso in sua inosservanza, e su quest’ultima circostanza ha fatto leva quell’orientamento giurisprudenziale volto a mantenere “in piedi” l’atto impositivo nonostante l’anzidetta inosservanza (Cass. n. 10979/2019, sul termine di permanenza presso la sede del contribuente ex art. 12, comma 5, Statuto, 9 luglio 2019, cui si rinvia per maggiori approfondimenti). Infine, risulta evidente che una verifica fiscale di durata “eccessiva”, con permanenza sine die nella sede del contribuente, a discrezione degli organi verificatori, certamente si pone in contrasto anche con la regola generale fissata dal comma 1 dell’art. 12 in esame, secondo cui “tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio” dell’attività del contribuente “si svolgono con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile”, con palese violazione del principio costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.) della libertà di iniziativa economica dei privati.

Per quanto attiene all’assenza, nel caso di specie, si può affermare che in buona sostanza nell’accertamento a tavolino, considerato come verifica induttiva, l’Amministrazione può non rispettare il termine dilatorio dei 60 giorni, scaduto il quale può inviare il processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo. In realtà, la giurisprudenza della Cassazione ha nel tempo condiviso questa interpretazione e ha elaborato una linea interpretativa piuttosto rigorosa, soprattutto nel campo del contraddittorio endoprocedimentale e del rispetto delle garanzie procedimentali, come innanzi riportato, predisposte dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 nei confronti del contribuente.

In questo campo appare utile rammentare anche la sentenza n. 24823 del 2015, nella quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione enunciano il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi «non armonizzati», l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi «armonizzati», avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni casi, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Inoltre, tale orientamento è stato rinforzato dalla successiva giurisprudenza conforme (ex multis, cfr. Cass., Ord. n. 10903/2016; Ord. n. 11283/2016; Sent. n. 2875/2017; Ord., n. 3012/2017; Ord., n. 10030/2017; Ord. 34409/2019), secondo cui un obbligo generale di contraddittorio, la cui violazione comporti la nullità dell’atto, sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purché il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell’opposizione.

Da ultimo appare interessante ricordare, non solo quanto affermato dagli Ermellini con l’ordinanza n. 20799 del 5 settembre 2017, nella quale viene ribadita l’assenza dell’obbligatorietà generale del contraddittorio preventivo per i tributi non armonizzati, ma anche da altre due distinte ordinanze, la n.6219/18 e la n.16641/2018, nelle quali si confermava il suo più recente orientamento secondo il quale nella legge italiana l’onere del contraddittorio preventivo nel procedimento tributario non è generalizzato, ma esiste solo per i tributi c.d. armonizzati (IVA, accise, imposte sui conferimenti) e a condizione che il contribuente enunci le sue ragioni,  mentre per i tributi c.d. non armonizzati (IRPEF, IRES, IRAP) sussiste solo nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero prevalentemente per gli accertamenti conseguenti a verifiche effettuate presso la sede del contribuente, ex art. 12 L.212/2000.

L’onere del contraddittorio, pertanto, secondo il detto orientamento giurisprudenziale, non sussiste per i c.d. accertamenti a tavolino, quelli effettuati negli uffici dell’Amministrazione finanziaria, aventi a oggetto tributi non armonizzati, e decreta la legittimità di un accertamento a tavolino emesso senza il contraddittorio preventivo per maggiori IRPEF e IRAP.

Tanto premesso, e tornando alla  decisione odierna, l’Agenzia ricorreva in Cassazione contro la decisione dei giudici tributari regionali che avevano ritenuto l’avviso di accertamento nullo perché notificato prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni (ex articolo 12, comma 7, legge 212/2000), atteso che non poteva ritenersi che il Fisco avesse effettuato alcun accesso vero e proprio, né alcuna verifica o ispezione all’interno dei locali commerciali in quanto il presunto accesso era stato una semplice richiesta di documentazione consegnata per iscritto presso la sede della Snc, di cui il contribuente era socio: si trattava, pertanto, di una vera e propria verifica “a tavolino” senza alcun accesso nei locali della controparte.

I Supremi giudici hanno dato torto alla parte contribuente e riconoscendo, invece, la validità delle motivazioni addotte dall’Avvocatura erariale, hanno poi rilevato “… che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto l’avviso di accertamento nullo perché notificato prima dello scadere del termine dilatorio di 60 giorni, di cui all’art. 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, atteso che non poteva ritenersi avere l’Agenzia delle entrate effettuato alcun accesso vero e proprio, né alcuna verifica od ispezione all’interno dei locali commerciali, in quanto il c.d. “accesso” era stato una semplice richiesta di documentazione consegnata per iscritto presso la sede della snc, di cui il contribuente era socio; pertanto la verifica si era svolta a tavolino e senza alcun accesso nei locali della controparte, atteso che i funzionari si erano recati in loco unicamente per notificare la formale richiesta di esibizione documentale, senza muovere alcuna contestazione al contribuente; e, secondo la giurisprudenza di legittimità, non i sussisteva nell’ordinamento italiano un diritto immanente al contraddittorio per tutte le tipologie di accertamento, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto e che occorreva, inoltre, distinguere fra tributi armonizzati, quale l’IVA ed i tributi non armonizzati, quali l’IRPEF, l’IRES e l’IRAP; e, con riferimento ai primi, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto necessario che il contribuente dimostrasse in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato; e, nella specie, la stessa sentenza impugnata aveva escluso la sussistenza di concrete ragioni che il contribuente avrebbe potuto prospettare nel contraddittorio endoprocedimentale; che l’intimato si è costituito con controricorso ed ha altresì presentato memoria; che il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato; che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento agli accertamenti in materia di IRPEF, sussistendo detto obbligo solo per agli accertamenti in materia di tributi armonizzati, quali L’IVA, con onere a carico del contribuente, di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr., in termini; Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 20267 del 2017; Cass. n. 15837 del 2017); che, nella specie, l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente ha avuto ad oggetto esclusivamente l’IRPEF 2003;che non è contestato in fatto essersi l’accertamento anzidetto svolto in due fasi, di cui la prima consistita in un accesso del 13 novembre 2008, con il quale il personale dell’amministrazione finanziaria ha chiesto di acquisire alcuni documenti; la seconda consistita nell’esame della documentazione acquisita, fatta dall’amministrazione finanziaria presso i propri uffici, in esito al quale quest’ultima ha notificato al contribuente l’avviso di accertamento impugnato; che, pertanto, è da ritenere che, in detta seconda fase, l’unica ad essere stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata, abbia avuto luogo un accertamento induttivo, da qualificare come “accertamento a tavolino”, che non ha comportato l’accesso del personale accertatore presso la sede della società, di cui il contribuente era socio, inteso come autoritativa e prolungata intromissione dell’amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; invero l’accesso del 13 novembre 2008, finalizzato all’acquisizione di documenti, ha avuto luogo in una fase antecedente e separata rispetto alla successiva valutazione dei documenti acquisiti, fatta dall’Agenzia delle entrate presso i propri uffici (cfr. Cass. n. 19128 del 2018); che non sussisteva quindi, nella specie, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale; che da quanto sopra, consegue l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 27 maggio 2020, n. 9987

sul ricorso 24610-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro G. R., in proprio e nella qualità di successore della R. G. & C. N. SNC, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO ALBERTO COVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1009/8/2018 della COMMISSIONE TRIBTUARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. R. CAPOZZI.

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione nei confronti della sentenza della CTR della Lombardia, di accoglimento dell’appello proposto dal contribuente G. R. avverso la decisione della CTP di Varese, che aveva viceversa respinto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento per IRPEF 2003; la CTR ha invero ritenuto che l’ufficio avesse violato il comb. disp. artt. 24 della legge n. 4 del 1929 e 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, per avere omesso di attivare il contraddittorio endoprocedimentale;

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto l’avviso di accertamento nullo perché notificato prima dello scadere del termine dilatorio di 60 giorni, di cui all’art. 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, atteso che non poteva ritenersi avere l’Agenzia delle entrate effettuato alcun accesso vero e proprio, né alcuna verifica od ispezione all’interno dei locali commerciali, in quanto il c.d. “accesso” era stato una semplice richiesta di documentazione consegnata per iscritto presso la sede della snc, di cui il contribuente era socio; pertanto la verifica si era svolta a tavolino e senza alcun accesso nei locali della controparte, atteso che i funzionari si erano recati in loco unicamente per notificare la formale richiesta di esibizione documentale, senza muovere alcuna contestazione al contribuente; e, secondo la giurisprudenza di legittimità, non i sussisteva nell’ordinamento italiano un diritto immanente al contraddittorio per tutte le tipologie di accertamento, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto e che occorreva, inoltre, distinguere fra tributi armonizzati, quale l’IVA ed i tributi non armonizzati, quali l’IRPEF, l’IRES e l’IRAP; e, con riferimento ai primi, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto necessario che il contribuente dimostrasse in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato; e, nella specie, la stessa sentenza impugnata aveva escluso la sussistenza di concrete ragioni che il contribuente avrebbe potuto prospettare nel contraddittorio endoprocedimentale; che l’intimato si è costituito con controricorso ed ha altresì presentato memoria; che il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato; che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento agli accertamenti in materia di IRPEF, sussistendo detto obbligo solo per agli accertamenti in materia di tributi armonizzati, quali L’IVA, con onere a carico del contribuente, di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr., in termini; Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 20267 del 2017; Cass. n. 15837 del 2017); che, nella specie, l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente ha avuto ad oggetto esclusivamente l’IRPEF 2003;

che non è contestato in fatto essersi l’accertamento anzidetto svolto in due fasi, di cui la prima consistita in un accesso del 13 novembre 2008, con il quale il personale dell’amministrazione finanziaria ha chiesto di acquisire alcuni documenti; la seconda consistita nell’esame della documentazione acquisita, fatta dall’amministrazione finanziaria presso i propri uffici, in esito al quale quest’ultima ha notificato al contribuente l’avviso di accertamento impugnato; che, pertanto, è da ritenere che, in detta seconda fase, l’unica ad essere stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata, abbia avuto luogo un accertamento induttivo, da qualificare come “accertamento a tavolino”, che non ha comportato l’accesso del personale accertatore presso la sede della società, di cui il contribuente era socio, inteso come autoritativa e prolungata intromissione dell’amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; invero l’accesso del 13 novembre 2008, finalizzato all’acquisizione di documenti, ha avuto luogo in una fase antecedente e separata rispetto alla successiva valutazione dei documenti acquisiti, fatta dall’Agenzia delle entrate presso i propri uffici (cfr. Cass. n. 19128 del 2018); che non sussisteva quindi, nella specie, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale; che da quanto sopra, consegue l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla CTR della Lombardia in diversa composizione,

Così deciso in Roma il 30 gennaio 2020.

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