CASSAZIONE

E’ salva l’agevolazione prima casa acquistata in comunione, anche senza cambio di residenza

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 22023 depositata in data 21 settembre 2017, pronunciandosi ancora su una questione relativa alle agevolazioni “prima casa”, ha affermato che il beneficio prima casa spetta ugualmente, anche in assenza di cambio di residenza del marito, nel caso in cui l’immobile in comproprietà con il coniuge sia stato donato alla moglie in sede di separazione.

I fatti riguardavano l’agevolazione prima casa su un immobile acquistato da un coniuge in regime comunione legale con la moglie, usufruendo delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente.

Nello specifico il contribuente aveva ceduto la propria quota dell’immobile, pari al 50%, alla moglie – che, tra l’altro, aveva già la residenza nel Comune nel quale era ubicata la casa – e questa cessione era stata effettuata in luogo del versamento del mantenimento, in virtù di un accordo inserito nella separazione consensuale intervenuta tra i coniugi: ma al contribuente veniva notificato un avviso di liquidazione con cui venivano revocate le agevolazioni in questione.

Secondo l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, infatti, egli non aveva trasferito la propria residenza nel Comune in cui si trovava l’immobile entro il termine decadenziale di 18 mesi dalla data del rogito. Anche il giudizio d’appello confermava la soccombenza del contribuente, riconoscendo valide le ragioni del Fisco ritenendo irrilevante, in quanto riconducibile alla volontà dello stesso contribuente, la sopravvenuta cessione della propria quota alla consorte in luogo dell’indennità di mantenimento e in adempimento di una condizione della separazione consensuale omologata dal Tribunale competente.

La sentenza di secondo grado veniva impugnata dallo stesso contribuente, poiché il trasferimento della quota di proprietà, da considerarsi come fatto imprevedibile sopravvenuto, era accaduto entro il termine di decadenza di 18 mesi, con conseguente impossibilità di trasferimento della residenza.

I Supremi Giudici hanno accolto il ricorso del contribuente precisando che il giudice non può negare il bonus se la casa è stata ceduta per metà al coniuge in fase di separazione. Inoltre, hanno richiamato la propria giurisprudenza secondo la quale, in tema di imposta di registro e di relativi benefici per l’acquisto della prima casa, il requisito della residenza deve essere riferito alla famiglia.

Quindi, qualora l’immobile acquistato sia adibito alla residenza familiare, non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato l’immobile in regime di comunione.

La Corte di Cassazione ha inoltre richiamato le proprie pronunce nelle quali era stato riconosciuto che in un quadro normativo e giurisprudenziale volto alla sempre più marcata valorizzazione dell’autonomia privata nella disciplina dei rapporti familiari, l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto della separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dei benefici fiscali, ma una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti tra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza.

Pertanto, in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui ove l’immobile acquistato sia adibito a tale destinazione non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione e inoltre, in un quadro normativo e giurisprudenziale volto alla sempre più marcata valorizzazione dell’autonomia privata nell’ambito della disciplina dei rapporti familiari, l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici cosiddetti “prima casa”, bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza.

Tali accordi svolgono una peculiare funzione economico – sociale.

Nella Sentenza trattata si legge, infine, che la S.C. ritiene che “… tali principi non possono che valere anche rispetto all’impegno al trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, previsto dal comma 2 bis, della nota all’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, trattandosi di fattispecie che condivide la stessa “peculiare funzione economico-sociale – e la meritevolezza di tutela – di atti e convenzioni che i coniugi, nel momento della crisi matrimoniale, pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni immobili all’uno o all’altro coniuge” (Cass. sez. V, n. 5156/16 cit.; cfr. Cass. nn. 860/14, 5473/06, 5741/04, 16171/03, 793/02), e tenuto conto anche della ratio di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale su cui si fonda “l’esenzione fiscale dell’art. 19, con riguardo agli atti dei giudici di separazione e divorzio in considerazione dell’esigenza di favorire e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sui coniugi” (Cass. sez. V, n. 5156/16 cit. e C. cost. n. 202/03). La sentenza impugnata, non risultando in linea con gli esposti principi, va quindi cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 22023 del 21 settembre 2017

Rilevato che

  1. in fattispecie relativa ad avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni con cui sono state revocate le agevolazioni cd. “prima casa” su immobile acquistato dal contribuente in comunione legale con la moglie, per non avere egli trasferito la propria residenza nel Comune di Andria entro il termine decadenziale di 18 mesi dalla data del rogito (22/01/2010), il giudice d’appello ha ritenuto irrilevante – perché riconducibile alla volontà dello stesso contribuente – la sopravvenuta cessione (in data 04/03/2011) della propria quota del 50% alla moglie (già residente in detto Comune), in luogo dell’indennità di mantenimento ed in adempimento di una condizione della separazione consensuale omologata dal Tribunale di Roma in data 29/11/2010;
  2. il contribuente impugna la sentenza d’appello per “violazione e/o falsa applicazione”: 1) “degli artt. 1, nota II bis, co 4, della tariffa allegata al DPR n. 131 del 1986”, in quanto il trasferimento della quota di proprietà, per fatto imprevedibile sopravvenuto, era intervenuto entro il termine decadenziale di 18 mesi ed aveva posto il contribuente nell’impossibilità di trasferirvi la residenza; 2) “dell’art. 15 del D.Lgs n. 546/92 e degli artt. 91 e 92 c.p.c.”, per essere stata la condanna alle spese del doppio grado di giudizio di merito quantificata “in misura superiore ai massimi tariffari in vigore all’epoca”;
  3. all’esito della camera di consiglio, il Collegio ha disposto la motivazione in forma semplificata.

Considerato che

  1. il primo motivo di ricorso merita accoglimento, alla luce dell’orientamento di questa Corte – espressione di un favor fiscale per i negozi regolatori della vita familiare, anche nella fase patologica della crisi coniugale – in base al quale, per un verso, “in tema di imposta di registro e di relativi benefici per l’acquisto della prima casa, il requisito della residente va riferito alla famiglia, per cui ove l’immobile acquistato sia adibito a tale destinatone non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione” (Cass. sez. V, n. 13335/16; conf. Cass. nn. 25889/15, 23225/15, 16355/13) e, per altro verso, “in un quadro normativo e giurisprudenziale volto alla sempre più marcata valorizzazione dell’autonomia privata nell’ambito della disciplina dei rapporti familiari … l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici cosiddetta “prima casa”, bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza” (Cass. sez. V nn. 5156/16, 3753/14, sia pure in relazione alla diversa fattispecie di decadenza per le vendite infraquinquennali non seguite dal riacquisto di altro immobile, ai sensi dell’art. 1, nota 2-bis, Tariffa, Parte 1, n. 4, T.U.R.; cfr. Circ. n. 27 del 21 giugno 2012, p.to 2.2, e n. 2 del 21 febbraio 2014, p.to 9.2);
  2. tali principi non possono che valere anche rispetto all’impegno al trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, previsto dal comma 2 bis, della nota all’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, trattandosi di fattispecie che condivide la stessa “peculiare funzione economico-sociale – e la meritevolezza di tutela – di atti e convenzioni che i coniugi, nel momento della crisi matrimoniale, pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni immobili all’uno o all’altro coniuge” (Cass. sez. V, n. 5156/16 cit.; cfr. Cass. nn. 860/14, 5473/06, 5741/04, 16171/03, 793/02), e tenuto conto anche della ratio di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale su cui si fonda “l’esenzione fiscale dell’art. 19, con riguardo agli atti dei giudici di separazione e divorzio in considerazione dell’esigenza di favorire e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sui coniugi” (Cass. sez. V, n. 5156/16 cit. e C. Cost. n. 202/03).
  3. la sentenza impugnata, non risultando in linea con gli esposti principi, va quindi cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente;
  4. trattandosi di orientamento venutosi progressivamente a consolidare solo di recente, sussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di lite, con conseguente assorbimento del secondo motivo di ricorso.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente.

Compensa integralmente le spese del giudizio.

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