FISCALITA

Dal regime ordinario al forfetario? Rilevano comportamento concreto e scritture contabili

Il regime forfetario, destinato agli operatori economici di ridotte dimensioni, è stato introdotto dalla legge 190/2014 e ha subito una nutrita serie di modifiche nel corso degli anni, l’ultima delle quali è stata introdotta dalla legge 2 di bilancio 2020, n. 160/2019.

Costituisce il regime naturale delle persone fisiche titolari di attività d’impresa, arte o professione in forma individuale, in possesso dei requisiti previsti, e ai fini della sua applicazione da parte di un contribuente già in attività con il regime ordinario, non è prevista alcuna specifica opzione.

Ciò non toglie che anche al regime forfetario si rende applicabile quando disposto dal DPR 442/1997, che all’art. 1 recita: “L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La validità dell’opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività”.

L’interpello

Il quesito, riguardante la richiesta di passaggio in corso d’anno dal regime ordinario a quello forfetario, è posto dal rappresentante legale di una società che nella sua qualità di istante fa presente che nell’anno 2020 un’azienda, per la sua attività di collaborazione svolta nei confronti della società istante, ha emesso 12 fatture regolarmente saldate, per un certo importo mensile comprensivo di IVA e contributo alla cassa previdenziale, applicando il regime fiscale ordinario.

Nel marzo 2021 il collaboratore ha comunicato via mail di aver erroneamente e involontariamente applicato il regime di tassazione ordinario invece che quello forfetario, che costituiva il suo regime naturale per l’anno 2020.

Il parere del professionista è che questo errore materiale “non possa integrare un comportamento concludente ai fini dell’esercizio dell’opzione (tacita) per il regime ordinario e che, pertanto, una tale opzione non è stata mai esercitata”. Ne consegue l’intenzione dichiarata di rettificare l’errore mediante l’emissione di note di credito per lo storno dell’IVA indicata nelle fatture emesse nel corso del 2020 e la contestuale emissione di una fattura a titolo di ulteriore corrispettivo di importo pari all’IVA stornata.

Rispetto alla richiesta avanzata dal collaboratore, l’istante ritiene che il caso prospettato debba essere risolto accettando le note di credito e compensando le stesse con la fattura a titolo di ulteriore corrispettivo di importo pari all’IVA stornata.

Il parere delle Entrate

Nella risposta 378 del 31 maggio 2021 l’Agenzia prende atto del fatto che il collaboratore della società istante, pur in possesso dei requisiti per adottare nel periodo d’imposta 2020 il regime forfetario, presenta una situazione riassumibile nei seguenti punti:

a) negli anni pregressi non lo ha applicato, senza specificare se per una scelta o per l’assenza dei requisiti richiesti;

b) nel 2020, e anche nel 2021, ha tenuto un “comportamento concludente” coerente con quello adottato negli anni precedenti, come attestano l’emissione di fatture con IVA e l’applicazione del contributo previdenziale;

c) all’Agenzia stessa risulta la presentazione delle liquidazioni periodiche;

d) è ipotizzabile pensare che nelle fatture sia stata indicata anche la ritenuta a titolo di acconto;

e) non è noto se abbia comunicato alla Cassa forense, entro i termini fissati, l’opzione per il regime di favore ai fini contributivi. A seguito del contesto raffigurato, dunque, le Entrate non riconoscono la sussistenza delle condizioni che permettano al collaboratore dell’istante di poter modificare, nel corso del 2021, il regime ordinario di tassazione adottato con comportamento concreto nel periodo d’imposta 2020, per cui viene respinta la soluzione proposta di considerare corretta l’emissione delle note di variazione e di una fattura pari all’importo dell’IVA stornata.

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