EUROPA

Corte Ue: per le banche aumento di capitale anche contro il no degli azionisti

Le banche con sede nell’Unione europea possono ratificare aumenti di capitale anche se non hanno ricevuto l’autorizzazione da parte dell’assemblea dei soci, se c’è il rischio di una grave perturbazione finanziario. Di recente (a novembre) la Corte di Giustizia dell’Unione europea, respingendo il ricorso presentato dagli azionisti della banca irlandese ILP sottoposta a una procedura di questo genere nel 2010, ha stabilito che nei casi di turbolenze economiche e finanziarie gli Stati sono legittimati a imporre aumenti di capitale alle banche, anche contro la volontà degli azionisti.

In quell’occasione il Ministro delle Finanze irlandese aveva presentato agli azionisti di una controllante di ILP una proposta finalizzata a facilitare la ricapitalizzazione della banca, proposta bocciata dall’assemblea della controllante ILPGH nel luglio 2011. Di fronte al respingimento della proposta, il Ministro aveva ottenuto dal giudice un’ordinanza ingiuntiva che imponeva a ILPGH di emettere, in cambio di 2,7 miliardi di euro, nuove azioni a favore del Ministero, che otteneva così il 99,2% del capitale della banca nonostante il voto contrario dell’assemblea degli azionisti.

Veniva quindi chiesto alla High Court irlandese, da parte di alcuni soci, l’annullamento dell’ordinanza perché incompatibile con il diritto comunitario, considerato che l’aumento di capitale era stato realizzato senza l’approvazione dell’assemblea.

La stabilità del sistema finanziario

Secondo i giudici della Corte di Giustizia Ue, che hanno ritenuto legittima la scelta del Ministero delle Finanze di imporre la ricapitalizzazione, gli interessi degli azionisti e dei creditori “non possono essere ritenuti prevalenti in ogni circostanza rispetto all’interesse pubblico alla stabilità del sistema finanziario”.

La giustizia irlandese aveva stabilito, sulla base di un bilanciamento delle probabilità, che “la ILP non avrebbe potuto aumentare il proprio capitale minimo regolamentare dell’importo richiesto, cosicché la mancata ricapitalizzazione nel termine previsto avrebbe portato a un’insolvenza che avrebbe avuto gravi conseguenze per l’Irlanda e che avrebbe probabilmente aggravato la minaccia incombente sulla stabilità finanziaria di altri Stati membri e dell’Unione”.

Una circostanza straordinaria che nella contingenza – secondo i giudici europei – ha imposto l’abbandono delle misure previste dalla Direttiva che tutela gli azionisti delle società per azioni, ponendo un argine per eliminare una grave minaccia per la stabilità finanziaria dell’Unione.

La vicenda

Dopo la crisi del 2008, nel dicembre 2010 l’Irlanda ha sottoscritto con la Commissione europea un piano di salvataggio delle sue banche volto a ricevere un appoggio finanziario in cambio dell’impegno a risanare e ricapitalizzare il sistema bancario entro il successivo mese di luglio.

La Corte di Giustizia ricorda che “Conformemente a tali impegni, l’Irlanda ha proceduto alla ricapitalizzazione delle banche nazionali, tra cui in particolare la ILP. Il Ministro irlandese delle Finanze ha presentato agli azionisti della ILPGH (società che detiene la totalità del capitale sociale della ILP) una proposta” per agevolare il rafforzamento patrimoniale. Ma in prossimità della scadenza dei termini concordati con l’Unione, la proposta è stata respinta dall’assemblea degli azionisti di ILPGH. Preso atto del no, al fine di rispettare gli impegni assunti, l’Irlanda ha ottenuto dal giudice un’ordinanza ingiuntiva che ha ordinato alla ILPGH di emettere nuove azioni in cambio di un apporto di 2,7 miliardi di euro da parte del Ministero, che in tal modo e senza l’appoggio dell’assemblea, ha fatto sì che lo Stato diventasse azionista al 99,2%.

I soci, però, sostenendo che la ricapitalizzazione forzata fosse illegittima, hanno fatto ricorso all’Alta Corte irlandese in virtù di una direttiva europea che secondo loro avrebbe dovuto tutelare i diritti degli azionisti, mentre invece “La High Court ha concluso, sulla base di un bilanciamento delle probabilità, che la ILP non avrebbe potuto aumentare il proprio capitale minimo regolamentare dell’importo richiesto, cosicché la mancata ricapitalizzazione nel termine previsto avrebbe portato a un’insolvenza della ILP”, causando di conseguenza un fallimento “che avrebbe avuto gravi conseguenze per l’Irlanda e che avrebbe probabilmente aggravato la minaccia incombente sulla stabilità finanziaria di altri Stati membri e dell’Unione”. I giudici irlandesi, in pratica, appurato che la banca non avrebbe potuto aumentare il suo capitale ai livelli minimi regolamentari con il rischio di provocare un’insolvenza destabilizzante per i mercati finanziari, hanno rimesso la questione alla Corte di Giustizia Ue.

La Corte Ue

La decisione dei giudici europei accoglie la tesi del Governo irlandese, considerando legittima la ricapitalizzazione forzata.

La Corte Ue ha posto l’accento, in particolare, sul fatto che “all’esito di un bilanciamento degli interessi in campo il giudice del rinvio è giunto alla conclusione che, a seguito della decisione dell’assemblea generale straordinaria della ILPGH di rigettare la proposta di ricapitalizzazione avanzata dal Ministro”, l’ordinanza ingiuntiva costituiva l’unico sistema per garantire, entro il 31 luglio 2011, la ricapitalizzazione della ILP indispensabile per scongiurare l’insolvenza dell’istituto finanziario e per eliminare sul nascere “una grave minaccia per la stabilità finanziaria dell’Unione”. La Corte ha inoltre osservato che, comunque, “l’ordinanza ingiuntiva costituisce una misura eccezionale che s’inserisce in una situazione di grave perturbamento dell’economia e del sistema finanziario di uno Stato membro e che mira a rimediare a una minaccia sistemica per la stabilità finanziaria dell’Unione”.

I giudici si Lussemburgo hanno quindi concluso – ritenendo l’interesse pubblico alla stabilità finanziaria prevalente su quello degli azionisti e dei creditori – che “la direttiva non osta a una misura a carattere eccezionale (come l’ordinanza ingiuntiva) che, in una situazione di grave perturbamento dell’economia e del sistema finanziario di uno Stato membro, viene adottata dalle autorità nazionali senza l’approvazione dell’assemblea generale di una società, allo scopo di evitare un rischio sistemico e di garantire la stabilità finanziaria dell’Unione. Sebbene vi sia un evidente interesse pubblico a garantire, in tutta l’Unione, una tutela forte e coerente degli azionisti e dei creditori, tale interesse non può essere ritenuto prevalente, in ogni circostanza, rispetto all’interesse pubblico consistente nel garantire la stabilità del sistema finanziario istituito dai Trattati dell’Unione”.

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