CASSAZIONE FISCALITA

Contratto di locazione non registrato: nullità relativa e obblighi solo per il proprietario

Locazione – Uso abitativo – Omessa registrazione contratto – Nullità – Sanatoria per registrazione successiva

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32934 del 20 dicembre 2018, in tema di imposte relative alla registrazione del contratto di locazione abitativa, ha sentenziato che la sanatoria per intervenuta registrazione, seppure successiva, non può sanare la nullità del contratto per il periodo di durata dello stesso perché non indicato nel contratto successivamente registrato.

Una sostanziale equiparazione, quella fatta dagli Ermellini, con quanto precedentemente affermato dalla stessa Suprema Corte con la pronuncia n. 10498 del 28 aprile 2017, che si era espressa in tema di locazione immobiliare destinata a un uso non abitativo, affermando che la mancata registrazione del contratto, prevista dall’art. 1, comma 346, della legge 311/2004, determina un’ipotesi di nullità ex art. 1418 c.c., che, in ragione della sua atipicità, quale emergente dalle argomentazioni di cui al complessivo impianto normativo in materia e in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria, risulti sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto.

La sentenza appena ricordata della S.C. è stata particolarmente dirimente sull’argomento in quanto ha saputo, con una notevole chiarezza, effettuare una completa ricognizione sulle norme cogenti e attualizzare un percorso interpretativo degno di nota.

Il Supremo Collegio ha preso le mosse dalla corposa normativa di riferimento, come integrata e modificata nel corso del tempo. In particolare, la disamina iniziava con l’esaminare gli artt. 2, lett. a) e b) e art. 3, lett. a), DPR 131/1986, e relative disposizioni della Tariffa: tali norme prescrivono la registrazione delle locazione stipulate sia in forma scritta che in forma orale. Inoltre, si riportava che anche per l’art. 17, comma 1, DPR citato (come modificato dall’art. 68, legge 342/2000), l’adempimento deve avvenire entro 30 giorni dalla data dell’atto o dalla sua esecuzione (se contratto orale). Anche la registrazione, ex art. 18 DPR cit., attesta l’esistenza e la data certa dell’atto.

Parimenti l’art. 17, comma 5, DPR 131/1986, ammette la registrazione tardiva, mentre il successivo art. 20 è di introduzione del principio di autonomia dell’interpretazione fiscale del contratto rispetto a quella civilistica del medesimo; principio peraltro ribadito anche nell’art. 10, comma 3, legge 212.

Ancora, ricorda la sentenza n. 10498/2017, l’art. 13, comma 1, legge 431/1998, con il quale viene prescritta la sanzione della nullità per ogni pattuizione determinante un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, cui consegue la proponibilità da parte del conduttore dell’azione di ripetizione delle somme pagate in surplus.

A seguito della novella di cui alla legge 208/2015 si è previsto, a carico del locatore, l’obbligo di provvedere alla registrazione entro 30 giorni. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 242/2004, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione a tale disposizione poiché non era stata offerta dal rimettente una interpretazione adeguatrice del testo di legge, pur a fronte di plurime e antitetiche interpretazioni variamente offerte circa la natura e gli effetti della registrazione.

L’art. 41-ter, comma 2, DPR 600/1973, in tema di imposte sui redditi introduce la presunzione (iuris tantum) secondo cui, in caso di omessa registrazione, il rapporto si presume esistente anche per i quattro periodi di imposta antecedenti l’accertamento del medesimo, mentre l’art. 1, comma 346, legge 311/2004, prevede letteralmente che “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

Tale norma – ricordiamo solo di sfuggita – anche per la sua immediata ed evidente rilevanza, è stata oggetto di ben tre pronunciamenti da parte della Corte Costituzionale: la n. 420/2007, l’Ord. n. 389/2008 e l’Ord. n. 110/2009.

Innanzi a un tale quadro normativo, senza dubbio complesso per gli innumerevoli interventi legislativi non sempre coordinati, i giudici sono stati chiamati più volte a prendere posizione in ordine alle conseguenze civilistiche dell’adempimento apparentemente solo fiscale.

In principio si è sostenuto che le norme fiscali, benché inderogabili, non avessero carattere imperativo poiché non preposte alla tutela di interessi generali, bensì settoriali (cfr. Cass. 12327/1999). Nel tempo, tuttavia, anche a fronte di sempre maggiori casi di elusione e abuso del diritto per scopi unicamente fiscali, la posizione della giurisprudenza è via via mutata, facendosi latrice dell’esigenza variamente tutelata di evitare operazioni meramente fraudolente.

A ogni buon conto, al fine di dotare la sanzione della nullità di un necessario (e sufficiente) sostrato argomentativo, la giurisprudenza ha dovuto ed è ricorsa a vari istituti giuridici, tra cui la condicio iuris, il cui avveramento successivo alla conclusione del contratto avrebbe effetto retroattivo ai sensi dell’art. 1360, comma 1, c.c., come sostenuto dai giudici di merito nel caso de quo.

Orbene, i giudici di legittimità, dovendosi districare in tale coacervo di norme e interpretazioni, sono partiti con l’escludere che il Legislatore abbia “errato” nell’utilizzare il termine nullità e che dunque debba darsi a tale termine un differente significato rispetto a quello dogmaticamente individuato. Per trovare la soluzione, la Corte richiama la pronuncia della Consulta n. 420/2007 citata, e l’interpretazione da questa fornita alla norma in commento, che è norma sostanziale di natura imperativa, la cui violazione comporta (e non può non comportare) la nullità ex art. 1418 c.c.

Tanto premesso, e tornando al caso di specie, la pronuncia ha avuto origine dal fatto che nel 2012 la proprietaria di un immobile intimò all’inquilino sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida, per il mancato pagamento di alcuni canoni di locazione.

L’intimato si oppose allo sfratto deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva e, in subordine, la nullità. Il Tribunale adito convalidò però lo sfratto con emissione di decreto ingiuntivo per le somme dovute. Avverso tale decisione l’inquilino propose infine ricorso per la Cassazione deducendo in particolare che la registrazione del contratto di locazione costituisce condizione di efficacia del contratto stesso.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo fondato e, in relazione ad esso, ha accolto il ricorso, osservando che “… Con particolare riferimento alle conseguenze civilistiche derivanti dalle violazioni tributarie, la già richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 23601/17 è pervenuta alla conclusione che «il contratto di locazione ad uso non abitativo (non diversamente, peraltro, da quello abitativo), contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e dunque in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile, volta che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” appare coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” (entrambi i termini da intendersi, come ovvio, in senso diverso da quello tradizionalmente riservato al momento esecutivo del rapporto negoziale)». Osserva questo Collegio che è pur vero che le Sezioni Unite hanno, con la sentenza richiamata, riconosciuto effetto sanante alla registrazione tardiva ed hanno affermato che tale effetto sanante abbia efficacia retroattiva, il che consente di stabilizzare definitivamente gli effetti del contratto, assicurando piena tutela alla parte debole del rapporto, atteso che il conduttore non sarà esposto ad azioni di rilascio, godrà della durata come prevista ab origine dal contratto e non dalla sua registrazione, che, intervenendo a distanza di tempo dalla stipulazione, ne abbrevierebbe significativamente quanto arbitrariamente i termini di scadenza (v. pure, in tema di locazione abitativa, Cass., ord., 6/09/2017, n. 20858). Tuttavia, va rilevato che, nel caso ora all’esame, la sanatoria per intervenuta registrazione, sia pure successiva, non può all’evidenza sanare la nullità del contratto di locazione anche per il periodo di durata dello stesso non indicato nel contratto di locazione successivamente registrato e cioè dal 5 novembre 2011 al 31 agosto 2012. Si precisa al riguardo che in tale atto é stata indicata come data di inizio della locazione quella del 1° settembre 2012 mentre il contratto di locazione é stato concluso nel novembre 2011, come allegato concordemente dalle parti (v. sentenza impugnata p. 4). Ai principi sopra evidenziati non risulta essersi attenuta la Corte territoriale, precisandosi che resta assorbito da quanto precede l’esame delle censure motivazionali pure proposte con il mezzo in scrutinio e che sarà il Giudice del merito ad esaminare e valutare le ulteriori domande (di ripetizione di quanto si assume indebitamente versato) avanzate dal C.. 3. Con il secondo motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge 392/78 e dell’art. 100 c.p.c. nonché degli artt. 658, 663, 665, 666, 667 c.p.c.», il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del rapporto in locazione in capo al C. e, quindi, della sua legittimazione passiva con riferimento al procedimento di sfratto per morosità, in quanto, al momento della convalida. (6 maggio 2013), la casa coniugale (e con essa il rapporto di locazione) per cui è causa era già stata assegnata alla moglie (con provvedimento presidenziale del 13 aprile 2013) e, pertanto, il rapporto di locazione con il ricorrente era venuto meno e l’immobile doveva essere considerato come riconsegnato alla locatrice, conformemente alla dichiarazione del difensore della stessa all’udienza in cui lo sfratto era stato convalidato; mancando il rapporto di locazione, sia in diritto che in fatto, il Tribunale non avrebbe potuto convalidare lo sfratto per morosità teso alla formazione di un titolo esecutivo per il rilascio che non poteva più avvenire da parte del ricorrente”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32934

 

Sul ricorso 23287-2015 proposto da:

  1. A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CRISPINO IPPOLITO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro M. A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE EVOLA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 1966/2014 della CORTE DAPPELLO di PALERMO, depositata il 18/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

Nel mese di ottobre dell’anno 2012 A. M. intimò sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida., ad A. C. per il mancato pagamento, dal mese di agosto 2012, dei canoni di locazione relativi ad un immobile sito in Palermo.

L’intimato si oppose allo sfratto, deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva e, in subordine, la nullità e l’inefficacia del contratto per il periodo anteriore alla sua registrazione; sostenne, in particolare, il C. che, ai sensi dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, essendo il contratto nullo per difetto di registrazione nei termini di legge, il canone doveva essere determinato ex lege in misura pari al triplo della rendita catastale e si dichiarò pronto al pagamento dei canoni in tale misura chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione dei canoni pagati in eccedenza rispetto alla predetta entità legale.

Il Giudice adito rinviò la causa, con salvezza dei diritti di prima udienza, per la pendenza di trattative tra le parti; all’udienza successiva, su richiesta dell’intimato, applicò il termine di grazia per la sanatoria tardiva della morosità, rinviando all’udienza del 6 maggio 2013; in tale ultima udienza, stante la persistente morosità, dichiarata dal intimante, il Tribunale convalidò lo sfratto.

Venne poi emesso dal medesimo Tribunale d.i. per le somme dovute dal C. a titolo di canoni non corrisposti dall’Agosto 2012 al marzo 2014, decreto avverso il quale l’intimato propose opposizione.

Avverso l’ordinanza di convalida di sfratto per morosità il C. propose appello cui resistette la M..

La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 18 febbraio 2015, rigettò l’impugnazione e compensò interamente tra le parti le spese di quel giudizio.

Avverso la sentenza della Corte territoriale A. C. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso A. M.. Con 0.1. n. 22771/17 del 29 settembre 2017 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione di cui all’ordinanza interlocutoria n. 16604/16 del 5 agosto 2016, decisione poi pubblicata in data 9 ottobre 2017.

In prossimità dell’adunanza camerale del 17 luglio 2018 il C. ha depositato ulteriore memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
  2. Con il primo motivo, rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005), dell’art. 1421 c.c., dell’art. 1175 c.c. dell’art. 1322 c.c.; dell’art 1337 c.c.; dell’art 1366 c.c.; dell’art. 1375 c.c.; dell’art. 2033 c.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della Costituzione italiana. Omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo», il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha sposato la tesi secondo la quale la registrazione del contratto di locazione costituisce condizione di efficacia del contratto stesso; ad avviso del C., la registrazione va configurata come requisito di validità o al più va consentita la regolarizzazione del contratto solo nei limiti di ciò che è stato registrato, mentre dovrebbe ritenersi illegittimo «tutto ciò che è rimasto fuori dalla registrazione», sia in termini di canone sia in termini di periodo locativo.

In particolare, con il motivo in parola, sostiene il ricorrente che la locatrice, il 20 settembre 2012, ha registrato il contratto in questione indicando come data di inizio quella del 10 settembre 2012, non corrispondente a quella effettiva, avendo la locazione avuto inizio il 5 novembre 2011, come sarebbe incontestato tra le parti e come, oltretutto, dimostrato dalle ricevute sottoscritte dalla locatrice a partire da tale ultima data e prodotte dal conduttore; pertanto, ad avviso del C., non essendo stato il contratto registrato, non dovrebbero essere pagati del tutto i relativi canoni; in subordine, ove si volesse ritenere registrato il contratto, il locatore potrebbe pretendere di percepire solo i canoni risultanti dalla scrittura privata registrata e, quindi, la M. non avrebbe alcun titolo per percepire e trattenere i canoni di locazione a lei versati dal 5 novembre 2011 al 1° settembre 2012; pertanto non andrebbe pagato il canone del mese di agosto 2012, oggetto del decreto ingiuntivo opposto, e dovrebbero essere restituiti e quindi computati a favore dell’opponente quelli relativi al periodo non registrato dal mese di novembre 2011 al mese di luglio 2012.

Inoltre, secondo il C., la Corte di merito avrebbe omesso di motivare in concreto «sulla parziarietà della registrazione del contratto inter partes» e «sull’omissione di una parte del periodo locativo in sede di registrazione», limitandosi ad una motivazione generica e apparente, in relazione alla natura di requisito di efficacia della registrazione, «senza entrare nel merito con riferimento alla necessità della completezza della registrazione, sia come importo del canone sia come durata del periodo locativo».

2.1. Il motivo va accolto per quanto di ragione. Sulla dibattuta questione degli effetti di un tardivo adempimento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione si sono da ultimo espresse le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23601 del 9 ottobre 2017 che, pur se riferita in particolare ad una fattispecie inerente ad una locazione non abitativa, ha tuttavia esaminato la predetta questione, che rileva anche in questa sede, alla luce del complesso e talvolta disarmonico quadro normativo che si è, sul punto, andato delineando a partire dagli artt. 2, lett. a) e b), e 3, lett. a), del d.P.R. 26 aprile 1986, n.131 sino all’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che ha novellato l’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, nonché alla luce delle giurisprudenza costituzionale in materia.

Tra l’altro va evidenziato che il legislatore è intervenuto, per quanto rileva in questa sede, con la disciplina di cui all’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, secondo cui «i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati», norma, questa, applicabile a tutti i contratti di locazione, indipendentemente dall’uso abitativo o meno cui l’immobile sia destinato, e che ha superato indenne il controllo di costituzionalità. Sono state invece dichiarate incostituzionali (come pure evidenziato dalla Corte di merito a p. 4 della sentenza impugnata, dove, per un evidente lapsus, viene indicato come anno del d.lgs. in parola il 2001 invece del 2011, v. pure p, 1 della stessa sentenza), per eccesso di delega, le disposizioni, relative alle sole locazioni ad uso abitativo, di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 3 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 2 che prevedevano che dalla mancata registrazione «entro il termine di legge» (specificazione temporale, questa, che difetta nell’art. 1, comma 346 della legge n. 311/04) derivassero conseguenze invalidanti per effetto delle quali sorgeva un diverso rapporto locativo, legalmente determinato quanto a durata e misura del canone.

Con particolare riferimento alle conseguenze civilistiche derivanti dalle violazioni tributarie, la già richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 23601/17 è pervenuta alla conclusione che «il contratto di locazione ad uso non abitativo (non diversamente, peraltro, da quello abitativo), contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e dunque in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile, volta che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” appare coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” (entrambi i termini da intendersi, come ovvio, in senso diverso da quello tradizionalmente riservato al momento esecutivo del rapporto negoziale)».

Osserva questo Collegio che è pur vero che le Sezioni Unite hanno, con la sentenza richiamata, riconosciuto effetto sanante alla registrazione tardiva ed hanno affermato che tale effetto sanante abbia efficacia retroattiva, il che consente di stabilizzare definitivamente gli effetti del contratto, assicurando piena tutela alla parte debole del rapporto, atteso che il conduttore non sarà esposto ad azioni di rilascio, godrà della durata come prevista ab origine dal contratto e non dalla sua registrazione, che, intervenendo a distanza di tempo dalla stipulazione, ne abbrevierebbe significativamente quanto arbitrariamente i termini di scadenza (v. pure, in tema di locazione abitativa, Cass., ord., 6/09/2017, n. 20858).

Tuttavia, va rilevato che, nel caso ora all’esame, la sanatoria per intervenuta registrazione, sia pure successiva, non può all’evidenza sanare la nullità del contratto di locazione anche per il periodo di durata dello stesso non indicato nel contratto di locazione successivamente registrato e cioè dal 5 novembre 2011 al 31 agosto 2012.

Si precisa al riguardo che in tale atto é stata indicata come data di inizio della locazione quella del 1° settembre 2012 mentre il contratto di locazione é stato concluso nel novembre 2011, come allegato concordemente dalle parti (v. sentenza impugnata p. 4).

Ai principi sopra evidenziati non risulta essersi attenuta la Corte territoriale, precisandosi che resta assorbito da quanto precede l’esame delle censure motivazionali pure proposte con il mezzo in scrutinio e che sarà il Giudice del merito ad esaminare e valutare le ulteriori domande (di ripetizione di quanto si assume indebitamente versato) avanzate dal C.. 3. Con il secondo motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge 392/78 e dell’art. 100 c.p.c. nonché degli artt. 658, 663, 665, 666, 667 c.p.c.», il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del rapporto in locazione in capo al C. e, quindi, della sua legittimazione passiva con riferimento al procedimento di sfratto per morosità, in quanto, al momento della convalida. (6 maggio 2013), la casa coniugale (e con essa il rapporto di locazione) per cui è causa era già stata assegnata alla moglie (con provvedimento presidenziale del 13 aprile 2013) e, pertanto, il rapporto di locazione con il ricorrente era venuto meno e l’immobile doveva essere considerato come riconsegnato alla locatrice, conformemente alla dichiarazione del difensore della stessa all’udienza in cui lo sfratto era stato convalidato; mancando il rapporto di locazione, sia in diritto che in fatto, il Tribunale non avrebbe potuto convalidare lo sfratto per morosità teso alla formazione di un titolo esecutivo per il rilascio che non poteva più avvenire da parte del ricorrente.

3.1. Il motivo è inammissibile, riferendosi lo stesso espressamente (v. ricorso p. 14 e p.15) alla decisione del Tribunale e non a quella della Corte di merito impugnata in questa sede, Corte che, peraltro, si è pronunciata sulla convalida di sfratto emessa dal Tribunale, ritenendola «emessa in difetto di uno dei presupposti prescritti dalla legge» (v. sentenza impugnata p. 2).

Con il terzo motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. 14.3.2011 n. 23, i cui effetti sono stati salvati dall’art. 5 comma 1 ter dalla legge 23 maggio 2014, n. 80», il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe comunque violato le norme indicate in rubrica, atteso che gli effetti delle norme di cui all’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sarebbero stati salvati dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, sicché il ricorrente avrebbe diritto all’applicazione nella misura ridotta disposta da tali norme ed alla restituzione di quanto pagato in eccesso.

4.1. Il motivo è infondato alla luce dell’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità (Corte Cost. 14 marzo 2014, n. 50 e, con specifico riferimento all’art. 5 comma 1-ter del d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito in legge 23 maggio 2014, n. 80, v. Corte Cost. 16 luglio 2015, n. 169) delle norme su cui esso si fonda.

  1. In conclusione, va accolto, per quanto di ragione, il primo motivo; va dichiarato inammissibile il secondo motivo e va rigettato il terzo motivo; la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

6.Stante il parziale accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo motivo e rigetta il terzo motivo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese Ric. 2015 n. 23287 sez. 53 – ud. 17-07-2018 -8- del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 luglio 2018.

 

 

 

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