CASSAZIONE SENTENZE

Confisca obbligatoria per chi concorda l’emissione di fatture false

Accertamento – Operazioni inesistenti – Fatture – Prova dell’Amministrazione finanziaria – Onere del contribuente di provare il contrario – Confisca ex art. 12-bis D.Lgs. n. 74/00

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.40323 dell’11/9/2018, ha sentenziato che in tema di fatture per operazioni inesistenti, ai fini della confisca sui beni dell’emittente, si deve fare riferimento al compenso ricevuto o ad altra utilità economicamente valutabile, derivante dalla sua commissione.

Può essere quindi disposta la confisca sui beni profitto del reato anche nei confronti del contribuente che emette fatture false per aiutare il destinatario a evadere il Fisco perché salvo prova contraria, egli ne ha ottenuto un compenso anche se inferiore al reale risparmio di imposta e può essere condannato e , conseguentemente, subire la confisca dei beni profitto del reato.

Pertanto i giudici della Cassazione ritengono, seguendo un orientamento costante nella giurisprudenza di legittimità, che nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.lgs. 74/2000), la falsità può anche essere riferita ai soggetti con i quali è intercorsa l’operazione, configurandosi l’inesistenza soggettiva allorquando venga ivi riportata l’indicazione di nominativi diversi rispetto agli effettivi partecipanti dell’operazione imponibile al fine di evadere l’IVA o le imposte dirette.

Il reato di cui al citato art. 2, D.lgs. 74/2000 – rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” – si configura dunque anche quando le imprese formalmente incaricate di rendere servizi per conto di un’altra impresa committente, pur essendo soggetti esistenti giuridicamente autonomi in ragione dell’assetto societario rivestito e dei documenti costitutivi, e pur risultando titolari di rapporti di lavoro con il personale dipendente, non sono le effettive erogatrici delle prestazioni indicate nelle fatture emesse nei confronti della società committente, non potendo perciò rivestire la posizione di soggetti destinatari del tributo relativo alle operazioni imponibili.

Il caso all’esame dei giudici della Cassazione proponeva come imputato il legale rappresentante di una società di capitali che aveva emesso un certo numero di fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e, per tale condotta, integrante il reato ex art. 8, D.lgs. 74/2000, aveva patteggiato la pena di otto mesi di reclusione.

Osservano i giudici di piazza Cavour che in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dal successivo art. 9 del medesimo decreto, escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale, impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo.

Ciò però non toglie che tale misura debba essere applicata sul “prezzo” o “profitto” del delitto, da identificarsi nell’utilità economica derivante dalla sua commissione (v. Cass. Pen. n. 43952/2016, che in motivazione ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui all’art. 8, D.lgs. 74, da individuare – in sede di sequestro – con riferimento a qualsiasi utilità economica valutabile e immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato).

Gli Ermellini, seguendo i numerosi riferimenti nella materia (v. sentenza n. 20875/2017) hanno accolto il ricorso del P.M. il quale ha lamentato la violazione di legge laddove il Giudice del merito non ha disposto la confisca, ex art. 12-bis, D.lgs. 74/2000.

La norma appena citata, infatti, dispone che “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.

In definitiva, il colpevole può essere condannato e i beni profitto del reato possono essere confiscati.

I Massimi giudici proseguono affermando infine che:” … Sebbene non possa essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente fatture per operazioni inesistenti per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dall’art. 9 D.Lgs. n. 74 del 2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo, ciò non toglie che la suddetta misura debba essere applicata sul prezzo o profitto del delitto, da identificarsi nell’utilità economica derivante dalla commissione del reato (Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016 – dep. 18/10/2016, P.M. in proc. Sanna e altro, Rv. 267925 dove la S.C. ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui all’art. 8 D.Lgs. n.74 del 2000).

E’ ben vero che solo l’utilizzatore delle fatture relative ad operazioni inesistenti ottiene automaticamente un profitto pari al risparmio di imposta che consegue con l’inserimento nella dichiarazione dei redditi o sul valore aggiunto delle fatture per operazioni inesistenti realizzando l’accrescimento, per l’appunto fittizio, dei costi, e che altrettanto non avviene per l’emittente che, realizzando invece una divergenza tra la realtà commerciale e l’espressione documentale della stessa, non acquisisce con l’emissione della falsa fattura alcun vantaggio fiscale: ma non per questo può omettersi di considerare che il reato di cui all’art. 8 d. Igs.74/2000, proprio perché finalizzato a consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, implica, di norma, l’incameramento da parte del suo autore di un compenso, quand’anche inferiore al profitto, ovverosia al risparmio di imposta, conseguito dall’utilizzatore delle fatture ideologicamente false, corrispondente al prezzo del reato medesimo. Poiché nella specie nulla è stato disposto né argomentato dal giudice di merito in ordine alla confisca obbligatoriamente prevista, né sono state evidenziate le ragioni che imponessero di escludere l’applicazione della misura ablatoria, deve disporsi l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente a tale punto, con conseguente rinvio al Tribunale di Macerata”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 11 settembre 2018, n. 40323

 

Sul ricorso proposto dal PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA

nei confronti di B.S., nato a Napoli 1’8.9.1950

avverso la sentenza in data 29.3.2017 del Tribunale di Macerata

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Francesco Salzano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente all’omessa confisca dei beni costituenti profitto del reato

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza ex art. 444 c.p.p. pronunciata in data 29.3.2017 il Tribunale di Macerata ha condannato, su concorde richiesta delle parti, S.B. imputato del reato di cui all’art. 8 d. lgs. 74/2000 per aver emesso e rilasciato, in qualità di I. r. della L. s.r.I., fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Avverso il suddetto provvedimento il Procuratore Generale Presso la Corte Di Appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con il quale lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art.1 comma 143 I. 244/2007 e 322-ter c.p., la mancata disposizione della confisca per i beni costituenti il profitto del reato, prevista dal rinvio effettuato dall’art. 1 comma 143 1.244/2007 “nei casi di cui agli articoli 2,3,4,5,8 e 10-bis, 10-ter, 10-quater ed 11 d.lgs 74/2000” alle disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p., il quale prevede la confisca obbligatoria dei beni che hanno costituito il profitto o il prezzo del reato, pacificamente applicabile /secondo la giurisprudenza di questa Corte) ai reati tributari in relazione ai beni che ne costituiscono il controvalore, inteso come utilità economica direttamente derivante dall’illecito.

Richiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, non avendo il giudice disposto la confisca, eventualmente nella forma per equivalente, dei beni costituenti il profitto del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve ritenersi fondato.

Nella sentenza impugnata il giudice di merito ha applicato, su concorde richiesta delle parti, la pena finale di otto mesi di reclusione dichiarando l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 8 decreto legislativo 74/2000 per avere emesso una pluralità di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire l’evasione dell’imposta sui redditi o sul valore aggiunto, ma nulla ha disposto in ordine alla confisca dell’eventuale prezzo o profitto del reato, sebbene l’applicazione della suddetta misura di sicurezza sia prevista come obbligatoria.

Invero, l’art. 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che ha sostituito la analoga disposizione di cui all’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244 dispone che nel caso di condanna per uno dei reati previsti dallo stesso decreto è sempre ordinata la confisca dei beni, salvo che appartengano a persona estranea al delitto, che ne costituiscono il profitto od il prezzo (confisca diretta) ovvero, quando essa non è possibile, dei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente (confisca per equivalente).

Misura questa che deve essere pertanto obbligatoriamente disposta, rispondendo alla ratio di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume “i tratti distintivi di una vera e propria sanzione” (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008 – dep. 02/07/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv. 239925), anche quando non sia stata preceduta in fase cautelare dal sequestro preventivo dei beni medesimi (Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014 – dep. 05/03/2015, Giallombardo, Rv. 26289301; Sez. 5, n. 31450 del 20/01/2017 – dep. 23/06/2017, Lanza, Rv. 272111).

Sebbene non possa essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente fatture per operazioni inesistenti per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dall’art. 9 D.Lgs. n. 74 del 2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo, ciò non toglie che la suddetta misura debba essere applicata sul prezzo o profitto del delitto, da identificarsi nell’utilità economica derivante dalla commissione del reato (Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016 – dep. 18/10/2016, P.M. in proc. Sanna e altro, Rv. 267925 dove la S.C. ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui all’art. 8 D.Lgs. n.74 del 2000).

E’ ben vero che solo l’utilizzatore delle fatture relative ad operazioni inesistenti ottiene automaticamente un profitto pari al risparmio di imposta che consegue con l’inserimento nella dichiarazione dei redditi o sul valore aggiunto delle fatture per operazioni inesistenti realizzando l’accrescimento, per l’appunto fittizio, dei costi, e che altrettanto non avviene per l’emittente che, realizzando invece una divergenza tra la realtà commerciale e l’espressione documentale della stessa, non acquisisce con l’emissione della falsa fattura alcun vantaggio fiscale: ma non per questo può omettersi di considerare che il reato di cui all’art. 8 d. Igs.74/2000, proprio perché finalizzato a consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, implica, di norma, l’incameramento da parte del suo autore di un compenso, quand’anche inferiore al profitto, ovverosia al risparmio di imposta, conseguito dall’utilizzatore delle fatture ideologicamente false, corrispondente al prezzo del reato medesimo.

Poiché nella specie nulla è stato disposto né argomentato dal giudice di merito in ordine alla confisca obbligatoriamente prevista, né sono state evidenziate le ragioni che imponessero di escludere l’applicazione della misura ablatoria, deve disporsi l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente a tale punto, con conseguente rinvio al Tribunale di Macerata

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni sulla confisca e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Macerata.

Così deciso il 15/12/2017

 

 

 

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay