CASSAZIONE SENTENZE

Condono a prova di rata

Tributi – Condoni – Definizione di omessi versamenti ex art. 9-bis della Legge n. 289 del 2002 – Ritardo nel versamento di alcune rate – Decadenza dal condono

I Giudici della Cassazione, nella sentenza dell’11 marzo 2016, n. 4779, accogliendo il ricorso presentato dalle Entrate avverso la decisione della CTR, hanno sentenziato che è sufficiente un solo giorno di ritardo nel versamento delle rate per perdere il diritto al condono, seguendo una consolidata linea giurisprudenziale. Anche in un recente provvedimento, l’Ordinanza del 19 ottobre 2015 n. 21145, la Cassazione si era espressa in tal senso, puntualizzando proprio che il carattere clemenziale e le finalità di tale forma di condono subordinano il perfezionamento all’integrale versamento di quanto dovuto, senza ulteriori indulgenze.

Peraltro il condono, di cui agli articoli 7, 8, 9, 15 e 16 della legge 289/2002 (“condoni premiali”),  è stato più volte trattato dalla Corte Suprema (cfr Cassazione, l’ordinanza n. 6370 del 2006 e sentenza n. 18353 del 31 agosto 2007 e 20966/2010), chiarendo che la sua peculiare struttura e funzione, lo diversificano dalle altre forme di sanatoria previste dalla stessa legge, stabilendo che solo i “condoni premiali” attribuiscono al contribuente il diritto potestativo a chiedere un accertamento straordinario da effettuarsi secondo regole peculiari e diverse da quelle ordinarie del proprio rapporto tributario.

In particolare la definizione degli omessi versamenti ex art.9-bis della l.289/2002, è stata oggetto anche di una chiara circolare, la n. 23/E del 19.03.2008, dell’Agenzia delle Entrate che rammentava: “… In proposito si ricorda che al punto 2 della circolare n. 36/E del 9 agosto 2005 – concernente “chiarimenti in merito al trattamento delle istanze di definizione di cui all’articolo 9-bis, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, … ed agli effetti conseguenti sul controllo delle dichiarazioni effettuato ai sensi degli artt. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972” – è stato, tra l’altro, affermato che la verifica della validità dell’istanza di definizione è stata effettuata “controllando la congruità e la tempestività del versamento complessivamente dovuto (e delle eventuali rate successive) in base all’istanza stessa”. Inoltre, è stato precisato che “ai versamenti dovuti a seguito dell’istanza di definizione ex art. 9-bis non è applicabile l’istituto del ravvedimento di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997”.

Nel caso in esame, una contribuente aveva presentato un’istanza di definizione di omessi versamenti di IVA ed IRAP, fruendo del beneficio della rateizzazione; tuttavia, versò la seconda e la terza rata in ritardo, rispettivamente di un giorno e di tre giorni, con il conseguente diniego di accesso al condono.

La CTP accolse il ricorso della contribuente, e la CTR respinse il conseguente appello dell’Agenzia, sostenendo che i ritardi delle rate non fossero sufficienti per determinare la decadenza dal condono.

Né per l’IVA né per l’IRAP la Corte di Cassazione ha potuto sostenere la posizione della CTR, in quanto ciò che concerne l’imposta si riferisce anche alle sanzioni, delle quali non può escludersi l’integrale esazione.

I supremi giudici hanno pertanto voluto ricordare che: “… Questa Corte, al riguardo, ha anche evidenziato che «quanto concerne l’imposta in sé si riferisce ovviamente anche alle sanzioni, delle quali non può essere esclusa l’integrale esazione, come peraltro previsto al punto 42 della sentenza di infrazione (v. sul punto Cass. n. 25701 del 2009 e n. 20068 del 2009 citata), posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’IVA, devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche in relazione alle sanzioni di natura tributaria previste dall’ordinamento nazionale per le violazioni di norme che regolano gli obblighi di dichiarazione e pagamento dell’imposta, pur non essendo la materia delle sanzioni regolata dalla sesta direttiva» (ancora Cass. 19546/2011; in termini, anche Cass. 27 luglio 2012, n. 13505). Né la mancanza di deduzioni di parte osta a tali conclusioni: il principio di effettività comporta l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possa ostarvi il carattere chiuso del giudizio di cassazione (v. in proposito, tra molte, le sentenze della Corte di Giustizia in cause C-312/93, Peterbroeck; C-430-431/93, Van Schijndel; C-327/00, Santex, alle quali si è adeguata la giurisprudenza di questa Corte, espressa, fra le altre, da Cass., sez.un., 18 dicembre 2006, n. 26948).

Con riguardo alle imposte dirette ed all’IRAP, giova rimarcare che, in generale, le norme che disciplinano i condoni tributari, essendo derogatorie rispetto a quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale (v. Cass. 18 gennaio 2002, n. 514), di guisa che ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla l. n. 289 del 2002 è disposizione di carattere eccezionale, assistita da una propria specifica disciplina, che è di stretta interpretazione e non può essere integrata in via ermeneutica dalle norme generali dell’ordinamento tributario e neppure da quelle dettate per altre forme di definizione, ancorché contemplate dalla medesima legge. Ciò posto, l’articolo 9 bis dispone, per quanto interessa, al comma 1, che «le sanzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che … provvedono ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2003, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data. Se gli importi da versare per ciascun periodo di imposta eccedono … per gli altri soggetti, la somma di 6.000 euro, gli importi eccedenti, maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17 aprile 2003, possono essere versati in tre rate, di pari importo……

La norma prevede dunque semplicemente che le sanzioni non si applicano se entro un certo termine si provvede al pagamento delle imposte, pagamento che può, in alcuni casi, essere rateale. Pertanto, in assenza di disposizioni come quelle previste dagli art. 8, 9 e 15 della l. 289/02 (a norma delle quali «l’omesso versamento delle eccedenze entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione»), nonché dall’art. 16, comma 2, della medesima legge (secondo cui «l’omesso versamento delle rate successive alla prima entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione»), è possibile non applicare le sanzioni soltanto se si provvede al pagamento (in unica soluzione o rateale che sia) delle imposte nei termini e nei modi stabiliti dalla norma, con la conseguenza che tale effetto non si verifica (neppure parzialmente), se il pagamento non interviene nei suddetti termini e modi (in termini, Cass. 21 giugno 2013, n. 15638 e n. 15639; Cass. 30 novembre 2012, n. 21364; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20745).

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Corte di Cassazione

Sentenza 11 marzo 2016, n. 4779

 Fatto

La contribuente presentò in data 20 maggio 2004 un’istanza di definizione di omessi versamenti di IVA, imposte dirette e IRAP, concernente gli anni 2001 e 2003, fruendo altresì del beneficio della rateizzazione, ma versò la seconda rata con un giorno e la terza con tre giorni di ritardo.

Ne seguì il diniego di accesso al condono, che L.C. ha impugnato, ottenendone l’annullamento da parte della Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, reputando che i ritardi nel pagamento delle rate dinanzi indicate non fossero idonei a determinare la decadenza dal condono, con la conseguente applicabilità delle sanzioni stabilite dall’art. 13 del d.lgs. 471/97.

Ricorre l’Agenzia delle Entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo, cui la contribuente replica con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

  1. – Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 bis, 7, 8, 9, 15 e 16 della l. n. 289 del 2002, sostenendo che il ritardo nel versamento di alcune rate determini la decadenza dai benefici previsti dalla disciplina del condono invocata.

Il ricorso indica in narrativa tutti gli elementi di fatto rilevanti ed è corredato di adeguato quesito di diritto: ne consegue l’infondatezza delle eccezioni d’inammissibilità proposte in controricorso.

Parimenti infondata è l’ulteriore eccezione basata sulla pretesa violazione dell’art. 366, n. 2, c.p.c., giacché l’indicazione del numero della sentenza, della data e del luogo di decisione riescono pienamente ad identificare l’organo giudicante.

  1. – Nel merito, il ricorso è fondato.

Quanto all’iva, la Corte ha già avuto occasione di rimarcare che la sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06, secondo la quale la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli articoli 2 e 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’I.V.A., per avere previsto, con gli articoli 7 e 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili compiute nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, ha una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato al pagamento di quanto dovuto per Iva (fra tante, vedi, in particolare Cass. 23 settembre 2011, n. 19546).

2.1. – Tale incompatibilità riguarda, quindi, anche la definizione prevista dall’articolo 9bis della legge numero 289 del 2002, il quale, pertanto, nella parte in cui consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’Iva, deve essere disapplicato per contrasto con la sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice imposta dalla citata sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06.

Questa Corte, al riguardo, ha anche evidenziato che «quanto concerne l’imposta in sé si riferisce ovviamente anche alle sanzioni, delle quali non può essere esclusa l’integrale esazione, come peraltro previsto al punto 42 della sentenza di infrazione (v. sul punto Cass. n. 25701 del 2009 e n. 20068 del 2009 citata), posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’IVA, devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche in relazione alle sanzioni di natura tributaria previste dall’ordinamento nazionale per le violazioni di norme che regolano gli obblighi di dichiarazione e pagamento dell’imposta, pur non essendo la materia delle sanzioni regolata dalla sesta direttiva» (ancora Cass. 19546/2011; in termini, anche Cass. 27 luglio 2012, n. 13505).

  1. – Né la mancanza di deduzioni di parte osta a tali conclusioni: il principio di effettività comporta l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possa ostarvi il carattere chiuso del giudizio di cassazione (v. in proposito, tra molte, le sentenze della Corte di Giustizia in cause C-312/93, Peterbroeck; C-430-431/93, Van Schijndel; C-327/00, Santex, alle quali si è adeguata la giurisprudenza di questa Corte, espressa, fra le altre, da Cass., sez.un., 18 dicembre 2006, n. 26948).
  2. – Con riguardo alle imposte dirette ed all’IRAP, giova rimarcare che, in generale, le norme che disciplinano i condoni tributari, essendo derogatorie rispetto a quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale (v. Cass. 18 gennaio 2002, n. 514), di guisa che ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla l. n. 289 del 2002 è disposizione di carattere eccezionale, assistita da una propria specifica disciplina, che è di stretta interpretazione e non può essere integrata in via ermeneutica dalle norme generali dell’ordinamento tributario e neppure da quelle dettate per altre forme di definizione, ancorché contemplate dalla medesima legge.

4.1. – Ciò posto, l’articolo 9 bis dispone, per quanto interessa, al comma 1, che «le sanzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che … provvedono ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2003, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data. Se gli importi da versare per ciascun periodo di imposta eccedono … per gli altri soggetti, la somma di 6.000 euro, gli importi eccedenti, maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17 aprile 2003, possono essere versati in tre rate, di pari importo……

La norma prevede dunque semplicemente che le sanzioni non si applicano se entro un certo termine si provvede al pagamento delle imposte, pagamento che può, in alcuni casi, essere rateale.

4.2. – Pertanto, in assenza di disposizioni come quelle previste dagli art. 8, 9 e 15 della l. 289/02 (a norma delle quali «l’omesso versamento delle eccedenze entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione»), nonché dall’art. 16, comma 2, della medesima legge (secondo cui «l’omesso versamento delle rate successive alla prima entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione»), è possibile non applicare le sanzioni soltanto se si provvede al pagamento (in unica soluzione o rateale che sia) delle imposte nei termini e nei modi stabiliti dalla norma, con la conseguenza che tale effetto non si verifica (neppure parzialmente), se il pagamento non interviene nei suddetti termini e modi (in termini, Cass. 21 giugno 2013, n. 15638 e n. 15639; Cass. 30 novembre 2012, n. 21364; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20745).

  1. – Sul punto, pervero, le parti concordano sul fatto che, oltre al ritardo del secondo pagamento, l’ultima rata, anziché in data 27 dicembre 2004, è stata versata il successivo 30 dicembre.

Il ritardo è dunque da ritenere pacifico, in fatto, anche alla luce delle disposizioni che hanno prorogato il termine di pagamento, ossia del d.l. 24 giugno 2003 n. 143, così come integrato dal comma 2, lettere e) ed f), dell’art. 1 del D.M. 8 aprile 2004, emanato appunto in attuazione dell’art. 1, comma 2, del d.l. 143/2013, così come modificato dall’art. 23-decies del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355.

Il comma 2 dell’art. 12 della legge n. 289/02 – come sostituito dall’articolo 5-bis del d.l. n. 282/02, introdotto dalla legge di conversione n. 27/03 – fissava per il versamento delle rate i termini del 30 novembre 2003, del 30 giugno 2004 e del 30 novembre 2004. Il predetto d.l. n. 335/03, convertito con la legge 47/04, ha rimesso al Ministro dell’Economia e delle Finanze la rideterminazione, tra gli altri, dei predetti termini. In particolare, l’art. 1 del d.l. 143/03 stabilisce che «i contribuenti che non hanno effettuato, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari di cui agli articoli 7, 8, 9, 9-bis, 11, comma 4, 12, 14, 15 e 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come modificata dall’articolo 5-bis del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, nonché di cui agli articoli 5 e 5-quinquies del medesimo decreto-legge n. 282 del 2002, possono provvedervi entra il 16 aprile 2004. Gli ulteriori termini connessi, contenuti nelle predette disposizioni, nonché quelli per la mera trasmissione in via telematica delle dichiarazioni relative alle suddette definizioni, sono rideterminati con decreti, rispettivamente, del Ministero dell’economia e delle finanze e del direttore dell’Agenzia delle entrate, anche con riferimento alle date di versamento degli eventuali pagamenti rateali, ferma restando la decorrenza degli interessi dal 17 ottobre 2003». Alla suddetta rideterminazione il Ministro dell’Economia e delle Finanze provvide appunto con il D.M. 8 aprile 2004, il cui art. 1, comma 2, alle lettere e) ed t) (ndr art. 1, comma 2, alle lettere e) ed f), ha fissato la scadenza dei termini rispettivamente al 27 aprile 2004, al 18 ottobre 2004 ed al 27 dicembre 2004.

  1. – La sentenza impugnata va in conseguenza cassata e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta.

6.1. – La circostanza, tuttavia, che l’orientamento della Corte si sia consolidato successivamente alla presentazione del ricorso, unitamente alla valutazione della modestia del ritardo comporta la compensazione di tutte le voci di spesa.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione originariamente proposta.

Compensa tutte le voci di spesa.

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