CASSAZIONE

Condanna per omesso versamento IVA: è revocabile per importi sotto la nuova soglia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19699 del 7 maggio 2018, ha ritenuto fondate le doglianze sollevate dall’imputato e affermato che la modifica delle soglie di punibilità della norma incriminatrice comporta un’ipotesi di abolitio criminis e non una semplice successione di leggi penali nel tempo.

Ne consegue che nel caso di reati contestati per importi non superiori alla nuova soglia di punibilità, la sentenza di condanna definitiva, ove la condotta contestata non integri più i requisiti previsti dalla nuova fattispecie emessa prima della riforma del 2015, deve essere revocata.

La Cassazione ha quindi accolto il ricorso di un imprenditore che chiedeva la revoca della condanna patita per evasione IVA perché il fatto non è più inquadrato dalla legge come reato.

I fatti riguardano un contribuente condannato con due distinte sentenze, nell’aprile 2013 e nel gennaio 2015, per il reato di omesso versamento IVA per due differenti periodi d’imposta.

Tali pronunce divenivano definitive.

Nella specie, gli importi dovuti e non versati non risultavano superiori a quelli previsti dal novellato art. 10-ter, non superando i 250mila euro. Conseguentemente, veniva proposto ricorso al Tribunale (ex art. 673 c.p.p.), in funzione di giudice dell’esecuzione, per la revoca delle sentenze di condanna, al fine di ottenere la dichiarazione che i fatti contestati non fossero previsti dalla legge come reato.

Il giudice adito, considerata l’irrevocabilità delle pronunce in questione, rigettava la richiesta ritenendo configurata una semplice successione di leggi penali nel tempo (art. 2, comma 4 c.p.). Contro questa ordinanza la difesa dell’imputato aveva proposto ricorso in sede di legittimità lamentando un’erronea interpretazione dell’articolo 673 del Codice di procedura penale e dell’articolo 2, secondo e quarto comma, del Codice penale.

Nell’opposizione veniva sottolineato come la modifica legislativa intervenuta nel 2015 – che aveva elevato a 250mila euro la soglia oltre la quale l’omesso versamento dell’imposta assume rilievo penale – avrebbe reso non punibili le condotte dell’imputato oggetto delle due sentenze.

Ora, la Suprema Corte ha accolto la tesi della difesa ribaltando completamente, di fatto, l’esito di questa intricata vicenda.

I giudici della Cassazione hanno annullato la decisione con cui il Tribunale aveva rigettato un’istanza di revoca, per abolizione del reato, di due sentenze di condanna per omesso versamento IVA, per importi non superiori a quello della nuova soglia di punibilità prevista a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 158/2015.

L’ordinanza andava quindi annullata, senza rinvio, posto che lo stesso giudice aveva riconosciuto la circostanza che i versamenti omessi dall’imputato non superavano la soglia di punibilità introdotta con la modifica del 2015.

In buona sostanza i fatti contestati, in definitiva, non erano più considerati dalla legge come reati.

Gli Ermellini hanno quindi ribadito che: “ … Il ricorso è fondato.

Infatti, il giudice dell’esecuzione ha erroneamente rigettato l’istanza presentata dall’imputato, ritenendo che le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, pur incidendo su un elemento costitutivo del reato e pur rendendo le condotte contestate penalmente irrilevanti, non avrebbero comportato alcuna abolitio criminis, ma soltanto «un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, rispetto al quale trova applicazione la disciplina dell’art. 2, comma 4, cod. pen.».

La retroattività della norma favorevole sarebbe, dunque, preclusa dall’intervenuta irrevocabilità delle sentenze di condanna. Tuttavia, questa Corte ha già avuto occasione di ribadire che, quando l’abolitio criminis viene dedotta in sede esecutiva, al giudice è richiesta la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale; ciò anche se la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività, come nel caso di specie. In tale ipotesi, il giudice dell’esecuzione, qualora non ritenga sufficiente l’analisi del capo di imputazione, può anche scendere nell’esame degli atti processuali per verificare ed accertare, attraverso di essi, la consistenza ed i contorni della condotta, senza però valutare di nuovo il fatto, mediante un giudizio di merito non consentito (ex multis, Sez. 3, 25 ottobre 2016, n. 5248; Sez. 6, 10 marzo 2003, n. 22539). Nel caso in esame, lo stesso giudice dell’esecuzione ha riconosciuto la circostanza che i versamenti omessi dall’imputato non superano la soglia di punibilità introdotta dalla modifica legislativa del 2015”.

Corte di Cassazione Sentenza 7 maggio 2018, n. 19699

Sul ricorso proposto da:

  1. C. nato il 24/06/1961 a BARI avverso l’ordinanza del 17/05/2017 del TRIBUNALE di BARI;

sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;

lette le conclusioni del PG SIMONE PERELLI nel senso dell’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

RITENUTO IN FATTO

  1. – Con ordinanza del 17 maggio 2017, il Tribunale di Bari ha rigettato l’istanza, presentata dall’imputato, diretta ad ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., delle sentenze del 12 aprile 2013 e del 14 gennaio 2015, relative ai reati di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, aventi per oggetto l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto entro il termine, per importi non superiori a quello della nuova soglia di punibilità prevista a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015.
  2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha presentato, tramite il difensore, ricorso per cassazione. Con un unico motivo di doglianza, si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 673 cod. proc. pen. e dell’art. 2, secondo e quarto comma, cod. pen. Secondo l’argomentazione difensiva, la modifica legislativa intervenuta con il d.lgs. n. 158 del 2015, che ha elevato alla somma di € 250.000,00 la soglia oltre cui l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto assume rilevanza penale, avrebbe reso non punibili le condotte dell’imputato, oggetto delle due sentenze di condanna in relazione alle quali il ricorrente ha invocato la disciplina dell’art. 673 cod. proc. pen.

Il Tribunale, invece, considerata l’intervenuta irrevocabilità delle sentenze di condanna, ha rigettato la richiesta, ritenendo applicabile l’art. 2, quarto comma, cod. pen. Si rileva, infine, la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la pronuncia impugnata determinerebbe un’ingiusta disparità di trattamento tra i soggetti imputati del medesimo reato, ma giudicati in tempi diversi, tenendo conto che, nell’ipotesi in esame, le modifiche legislative avrebbero comportato la parziale abrogazione di una norma penale incriminatrice e non una semplice successione di leggi penali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. – Il ricorso è fondato.

Infatti, il giudice dell’esecuzione ha erroneamente rigettato l’istanza presentata dall’imputato, ritenendo che le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, pur incidendo su un elemento costitutivo del reato e pur rendendo le condotte contestate penalmente irrilevanti, non avrebbero comportato alcuna abolitio criminis, ma soltanto «un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, rispetto al quale trova applicazione la disciplina dell’art. 2, comma 4, cod. pen.».

La retroattività della norma favorevole sarebbe, dunque, preclusa dall’intervenuta irrevocabilità delle sentenze di condanna.

Tuttavia, questa Corte ha già avuto occasione di ribadire che, quando l’abolitio criminis viene dedotta in sede esecutiva, al giudice è richiesta la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale; ciò anche se la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività, come nel caso di specie.

In tale ipotesi, il giudice dell’esecuzione, qualora non ritenga sufficiente l’analisi del capo di imputazione, può anche scendere nell’esame degli atti processuali per verificare ed accertare, attraverso di essi, la consistenza ed i contorni della condotta, senza però valutare di nuovo il fatto, mediante un giudizio di merito non consentito (ex multis, Sez. 3, 25 ottobre 2016, n. 5248; Sez. 6, 10 marzo 2003, n. 22539).

Nel caso in esame, lo stesso giudice dell’esecuzione ha riconosciuto la circostanza che i versamenti omessi dall’imputato non superano la soglia di punibilità introdotta dalla modifica legislativa del 2015.

L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, perché, essendo pacifico che i fatti non sono più previsti dalla legge come reati, questa Corte può direttamente procedere alla revoca delle relative sentenze di condanna, nei confronti del ricorrente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e revoca le sentenze del tribunale di Bari del 12 aprile 2013 e del 14 gennaio 2015, nei confronti di R. C..

Così deciso in Roma

 

 

 

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