FISCALITA

Chiarimenti in materia di dichiarazioni integrative e voluntary disclosure

La circolare n. 8/E dello scorso 7 aprile contiene una nutrita serie di chiarimenti interpretativi, relativi ai quesiti posti all’Agenzia delle Entrate in occasione di eventi in videoconferenza organizzati dalla stampa specializzata. Gli argomenti trattati sono molteplici, dalla rottamazione delle cartelle alla cedolare secca, dalle indagini finanziarie alle detrazioni per l’edilizia e altro ancora: in questa sede riassumiamo quelli riguardanti le dichiarazioni integrative e infedeli, la rottamazione delle cartelle e la voluntary disclosure.

 

Dichiarazioni integrative

Se ina dichiarazione, ai fini delle singole imposte, è indicato un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato – o comunque un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito ai fini delle imposte dirette, o un’eccedenza detraibile o rimborsabile ai fini IVA superiori a quelli spettanti – viene applicata la sanzione amministrativa dal 90 al 180% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. L’inserimento del termine “utilizzato” in riferimento al credito accertato superiore a quello spettante permette di comparare la sanzione per l’infedeltà solo all’indebito utilizzo del credito e non al credito indicato in dichiarazione ma non utilizzato. Per credito effettivamente utilizzato si intende quello utilizzato in compensazione in F24 o in dichiarazione in diminuzione dall’imposta dovuta o rimborsato: non si considera utilizzato il credito riportato nelle dichiarazioni successive. Gli organi accertatori, nel determinare la sanzione per infedele dichiarazione, considereranno solo quella parte di credito non spettante effettivamente utilizzata dal contribuente. Diversamente, infatti, il contribuente, non avendo utilizzato il credito, non ha avuto alcun vantaggio, né causato alcun danno all’Erario: quindi, qualora sia esposto in dichiarazione un credito superiore a quello spettante e lo stesso (o una parte) non sia stato utilizzato dal contribuente, la violazione commessa è punita con la sanzione da 250 a 2.000 euro (art. 8, comma 1, D.Lgs. 471/1997), senza recupero d’imposta. La sanzione per infedele dichiarazione nella misura dal 90 al 180% – art. 5, comma 4, D.Lgs. 471/1997 – e il recupero dell’imposta resta pertanto applicabile solo nell’ipotesi in cui il contribuente abbia utilizzato un credito maggiore rispetto a quello effettivamente spettante.

 

Sanzione per dichiarazione infedele e credito d’imposta

Ipotesi di dichiarazione infedele chiusa originariamente con un credito pari a 1.000 euro, ridotto dalle Entrate, per effetto dell’infedeltà, a 200 euro. Supponendo che il contribuente abbia utilizzato il credito per 300 euro, si chiede se la sanzione per infedele dichiarazione viene rapportata a 300 o a 100 euro. La norma stabilisce che nell’ipotesi formulata si applichi una sanzione compresa tra il 90 e il 180% della maggiore imposta dovuta o della “differenza del credito utilizzato”, cioè della differenza tra il credito fruito e quello spettante, che nel caso ipotizzato è pari a 100 euro.

Altra ipotesi. Dichiarazione IVA relativa all’anno solare 2014 che si chiude con un credito di 100 euro; la dichiarazione dell’anno successivo chiude con un credito di 120 euro, comprensivo anche del credito dell’anno precedente e quella del 2016 chiude con un credito di 180 euro (comprendente i 120 dell’anno precedente), che viene utilizzato nel 2017 per 90 euro a scomputo dell’IVA periodica. Nel 2018 l’Agenzia accerta l’infedeltà della dichiarazione IVA del 2014, riducendo il credito di 100 a 30 euro.

Nel caso in questione il credito utilizzato in compensazione nel 2017, pari a 90 euro, risulta essere:

  1. a) superiore alla somma da recuperare (70 euro); b) inferiore all’eccedenza a credito complessiva maturata prima del 2017 e compensabile, pari a 110 euro, 30 maturati nel 2014, più i 20 del 2015 e i 60 euro maturati nel 2016. Poiché il credito compensato trova capienza nel credito effettivamente disponibile nel 2017, non si applica la sanzione proporzionale dal 90 al 180% del credito indebitamente utilizzato, ma quella in misura fissa da 250 a 2.000 euro.

 

Correzione degli errori contabili e presentazione della dichiarazione integrativa a favore

La circolare n. 31 del 2013 ha fornito chiarimenti riguardo alla procedura applicabile per correggere errori contabili che, in caso di annualità d’imposta non più emendabili, avrebbero generato un fenomeno di doppia imposizione. Tale procedura si intende superata dalla nuova disciplina introdotta dall’art. 2, comma 8, del DPR 322/1998, che ha equiparato il termine entro cui il contribuente può presentare una dichiarazione integrativa a favore con quello già previsto per la dichiarazione integrativa a sfavore (art. 43, DPR 600/1973), che permette di “correggere errori o omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito”, ivi compresi gli errori contabili.

 

Definizione parziale

Nel caso che si definisca il carico affidato dei 2/3 e relative sanzioni amministrative dopo la soccombenza del ricorrente in primo grado, si chiede se la rinuncia al giudizio tributario riguarda l’intera pretesa in contestazione o la controversia sull’avviso di accertamento prosegue per la parte non definibile: e, se il contribuente intende aderire alla definizione, la rinuncia al giudizio deve riguardare l’intero atto (e quindi dovrà pagare l’intera imposta e 1/3 delle sanzioni ancora non affidate o potrà proseguire nel contenzioso per tali importi.

Nell’ipotesi esposta, premesso che la definizione agevolata è possibile solo in presenza di un carico affidato all’Agente della riscossione e non riguarda direttamente le liti pendenti, prosegue il giudizio avente a oggetto l’avviso di accertamento in esecuzione del quale è stata avviata (a titolo provvisorio) la riscossione frazionata in pendenza di impugnazione. L’interesse delle parti alla prosecuzione, e alla decisione nel merito della controversia, riguarda la frazione della pretesa che non è stata definita. Più precisamente, se l’esito definitivo del giudizio è favorevole al contribuente non cvi sarà alcuna ulteriore riscossione né alcuna restituzione di quanto versato in sede di definizione agevolata; se, invece, l’esito del giudizio èa sfavorevole al contribuente, ci sarà la riscossione del residuo terzo di tributi e relativi interessi e sanzioni amministrative, visto che il debito relativo alle sanzioni comprese nel carico dei 2/3 è stato estinto con la definizione agevolata.

 

Soccombenza parziale

Per rispondere al quesito se nella soccombenza parziale la definizione e, quindi, la rinuncia al giudizio, comporta che lo stesso prosegua solo per la parte non definita o invece si deve corrispondere anche tale parte, nella circolare 8/E l’Agenzia ritiene opportuno riferirla a un esempio, che è il seguente: una controversia pendente in Cassazione a seguito di impugnazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di parziale annullamento dell’avviso di accertamento (ad esempio, riduzione del 30% della maggiore imposta accertata e contestata dal contribuente), pronuncia impugnata sia dall’Agenzia delle Entrate sia dal contribuente. In questo caso la riscossione provvisoria dopo la pronuncia di secondo grado riguarda l’importo di tributi, sanzioni e interessi determinati nella sentenza, pari – per questo esempio – al 70% dei tributi e relativi accessori in contestazione (art. 68, lett. c, comma 2, D.Lgs. 546/1992 e art. 19, comma 1, D.Lgs. 472/1997). Per questa situazione, la risposta a questo quesito è analoga a quella del quesito precedente, nel senso che il perfezionamento della definizione agevolata produce l’effetto di estinguere integralmente il debito complessivo dei carichi affidati, senza possibilità di restituzione, mentre la controversia prosegue in quanto i carichi definiti sono inferiori alla pretesa in contestazione.

 

Rottamazione cartelle, la rinuncia al giudizio

Un quesito in materia di contenzioso: la rinuncia al giudizio ha effetti solo nei confronti dell’agente della riscossione o anche per le altre parti processuali? La normativa prevede in caso di definizione l’impegno a rinunciare ai giudizi relativi ai carichi cui si riferisce la dichiarazione del debitore. Al riguardo si chiede se l’atto di rinuncia debba essere presentato al giudice presso cui è pendente l’impugnazione una volta che la definizione sia stata accettata dall’agente della riscossione oppure solo dopo che la definizione si sia perfezionata (pagamento tempestivo da parte del debitore), e se nella controversia ci sono altre controparti processuali (ad esempio, impugnazione del ruolo contro l’agenzia delle entrate), l’impegno a rinunciare al giudizio è da intendersi riferito a tutte le controparti?

E’ previsto che il debitore presenti una dichiarazione di adesione alla definizione agevolata indicando, fra l’altro, la pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi. In proposito, in riferimento al processo tributario, l’Agenzia ritiene che l’impegno a rinunciare in commento non corrisponda strettamente alla rinuncia al ricorso (art. 44, D.Lgs. n. 546/1992). Ha rilevanza sostanziale e oggettiva il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo e integrale versamento dell’importo complessivo dovuto. La definizione rileva negli eventuali giudizi pendenti in cui sono parti l’agente della riscossione o l’ente creditore o entrambi facendo cessare integralmente la materia del contendere nel caso in cui il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia.

 

Contenzioso favorevole al contribuente

Se il debito risulta ancora iscritto a ruolo, è possibile eseguire la rottamazione anche se l’atto è stato annullato dal giudice? In questo caso, quale è il comportamento processuale della parte pubblica? Se il contribuente ha definito pagando il tutto, viene meno la materia del contendere?

L’art. 68, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 prevede che “Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza”. Tale disposizione si applica anche alle sanzioni amministrativo-tributarie per effetto dell’art. 19, comma 1, del D.Lgs. 472/1997. Alla luce dei tempi richiesti per l’esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva può accadere che l’agente della riscossione abbia un carico già oggetto di un provvedimento di annullamento: considerato che la definizione agevolata riguarda i crediti che l’agente della riscossione ha in carico, si ritiene ammessa l’adesione del debitore anche nell’ipotesi descritta nel quesito qualora ne abbia interesse, che può derivare dalla circostanza che si tratta di una sentenza non definitiva che potrebbe essere riformata a seguito di impugnazione. In proposito non va trascurato che la definizione agevolata presuppone la rinuncia del debitore ai giudizi e, quindi, anche agli effetti delle eventuali pronunce giurisdizionali emesse. Nell’ipotesi presentata nel quesito il perfezionamento della definizione agevolata riguardante l’intera pretesa oggetto di lite (ad esempio, ruolo effettuato a seguito di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973) fa venir meno l’interesse della parte pubblica a proseguire la controversia o costituisce una causa di cessazione della materia del contendere se la sentenza favorevole al debitore è stata impugnata. La cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 46, comma 3, D.Lgs. 546/1992, comporta che “Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”. Secondo l’Agenzia gli effetti della definizione agevolata, di norma, prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi.

 

Voluntary disclosure, riapertura dei termini

La riapertura dei termini per la voluntary disclosure (art. 7, DL 193/2016) è subordinata a che il soggetto istante non l’abbia già presentata prima. Si chiede conferma che il beneficiario economico di un rapporto bancario estero possa avvalersene anche se ha già presentato l’istanza nel 2015 esclusivamente in qualità di delegato a operare su un conto corrente estero intestato a un soggetto terzo.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 27 del 2015, ha chiarito che ai delegati che non risultino essere i titolari effettivi delle attività presenti sui rapporti non si può attribuire alcun reddito connesso con le stesse; questi soggetti sono invece obbligati a far emergere le eventuali ulteriori attività della specie che detengono o hanno detenuto all’estero in un qualsiasi periodo d’imposta ancora aperto. In relazione al caso prospettato risulta evidente che il contribuente che vuole accedere alla nuova edizione della procedura in relazione ai profili internazionali risulta essere stato non collaborativo rispetto alla procedura di voluntary disclosure internazionale già esperita, avendo regolarizzato la sola relazione bancaria di cui era titolare come soggetto delegato alla firma. L’Agenzia ritiene, quindi, che la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria non possa essere utilizzata per sanare l’incompletezza derivante dalla omissione a suo tempo delle ulteriori attività della specie.

 

Versamento spontaneo

Si chiede se con l’applicazione del cumulo giuridico le maggiorazioni previste dall’art. 12, commi da 1 a 5, del D.Lgs. 472/1997 sono applicate nella misura minima

In riferimento alla determinazione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il nuovo art. 5-octies del Dl 167/1990 – introdotto dall’art. 7, Dl 19/2016 – al comma 1, lett. e), prevede l’applicazione dei commi 1 e 5 dell’art. 12, D.Lgs. 472/1997. Ai fini dell’applicazione di un’unica sanzione (il cosiddetto “cumulo giuridico”), il citato comma 1 dell’art. 12, D.Lgs. 472/1997 dispone che in caso di concorso formale o materiale di violazioni, la sanzione connessa alla violazione più grave deve essere aumentata da un quarto al doppio. Il comma 5 del suddetto articolo prevede l’aumento della sanzione base dalla metà al triplo quando le violazioni si riferiscono a più periodi di imposta. Mentre gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, ai fini del calcolo del cumulo giuridico della sanzione da irrogare possono valutare – nell’ambito della loro discrezionalità – le percentuali di aumento della sanzione previste dall’art. 12 del suddetto decreto, tenendo anche conto della condotta del contribuente, della gravità delle violazioni e della frequenza con cui queste sono state commesse, il contribuente che ai fini della procedura di collaborazione volontaria intende provvedere spontaneamente al versamento delle sanzioni dovute per le violazioni di cui all’art. 4, comma 1, Dl 167/1990 dovrà applicare gli aumenti nelle misure minime stabilite dai commi 1 e 5 del citato art. 12, pari rispettivamente a un quarto e alla metà.

 

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay