CASSAZIONE FISCALITA

Cessioni di unità immobiliari: quando le Entrate possono rettificare i corrispettivi dichiarati

Tributi – IRAP – IRPEF – IVA – Società immobiliare – Accertamento maggior reddito d’impresa – Vendita unità immobiliari – Sottofatturazione – Riferimento ai valori OMI – Base presuntiva – Condizioni – Modalità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7690 del 6 aprile 2020, intervenendo sui diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali ha sentenziato che non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti, inerenti tributi non armonizzati, come per l’IRAP, fondati solo su indagini c.d. “a tavolino”, cioè non caratterizzate da accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività.

E’ noto, del resto, che nel campo delle compravendite immobiliari l’accertamento scatta quando ilprezzo dichiaratoin sede dicompravendita risulta troppo basso rispetto ai valori calcolati dall’Agenzia delle Entrate e considerato non veritiero, inferiore a quello pagato realmente. Pertanto, a parere dei Giudici di legittimità, tale accertamento non può essere fondato soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita e il valore normale del bene calcolato con le quotazioni OMI (acronimo di Osservatorio del Mercato Immobiliare), ma deve basarsi sugli indizi idonei alla costituzione della prova presuntiva richiesta dall’art. 39, comma 1, lett. d), del DPR n. 600/73 e confermato della presenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, quali, come nel caso prospettato, dall’incongruenza della perizia valutativa depositata dei contribuenti e dalla esistenza, per alcuni immobili, di mutui ipotecari erogati per importi superiori al prezzo di compravendita.

In ogni caso appare utile rammentare ora che per rettificare il valore dichiarato negli atti di trasferimento immobiliari, gli uffici delle Entrate dovranno comunque partire dalle quotazioni OMI per considerare l’eventuale scostamento del valore dell’immobile dichiarato dal contribuente. L’OMI dell’Agenzia delle Entrate è una banca dati che consente di consultare dati sulle quotazioni dei valori immobiliare e delle locazioni sull’intero territorio nazionale, creato dall’Agenzia stessa

con lo scopo di dare maggiore trasparenza al mercato immobiliare ma anche per supportare le attività dell’Agenzia del Territorio sotto diversi punti di vista.
Le quotazioni immobiliari presenti sull’OMI vengono pubblicate con cadenza semestrale e si occupano di individuare, per ogni ambito territoriale omogeneo (ossia una zona OMI) e per ogni tipologia di immobile, un intervallo di valori di mercato minimo o massimo per unità di superficie in riferimento a unità immobiliari in condizioni ordinarie che sono ubicate nella stessa zona. Secondo l’interpretazione degli Ermellini le quotazioni OMI sono quindi da considerarsi come un dato iniziale e, pur costituendo un punto di riferimento importante perché derivanti da puntuali analisi del mercato immobiliare, dovranno comunque essere poi integrate da ulteriori elementi acquisiti dall’ufficio tramite l’attività istruttoria.

Al riguardo giova rammentare che la Suprema Corte, sulla scia della numerosa produzione giurisprudenziale sull’argomento di specie, con la recente ordinanza n. 11799/2019 aveva già acclarato che: “… nell’ambito dell’accertamento induttivo dei redditi di impresa – disciplinato dall’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973 e fondato sulla base della verifica delle scritture e delle registrazioni contabili – l’atto di rettifica, qualora risulti sufficientemente motivato dall’Ufficio mediante la specificazione degli indicatori di inattendibilità dei dati correlati ad alcune poste di bilancio e dimostrata la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori nel senso che, l’Ufficio, null’altro è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di comprovare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, non essendo sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili. In ogni caso, in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa”.

La Corte di Cassazione, del resto, si è più volte pronunciata in merito alla legittimità degli accertamenti con cui sono stati rettificati i corrispettivi delle transazioni immobiliari. Dall’esame di tali pronunce è possibile individuare alcuni elementi obiettivi e concordanti ulteriori rispetto al semplice scostamento rispetto al valore di mercato, ritenuti idonei a corroborare le valutazioni OMI, come, ex multis, con la sentenza numero 25510 del 10/10/2019, con la quale gli Ermellini hanno legittimato la rettifica dei corrispettivi dichiarati qualora si registri uno scostamento tra l’importo dei mutui e i minori prezzi indicati dal venditore (cfr. anche Cass. n. 26485/2016).

Tanto premesso e tornando al caso in discussione, a seguito di un accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria un contribuente, che svolge l’attività di impresa edile di costruzioni si è visto riprendere a tassazione maggiore imponibile IRAP e IVA derivante dalla cessione di unità immobiliari: l’operato dell’Agenzia si fonda sulla discordanza fra i corrispettivi dichiarati e i valori desumibili dalle stime OMI. Inoltre, l’attività del Fisco si è basata, come precedentemente riportato, anche sull’ulteriore attività istruttoria in cui risultavano l’esistenza di mutui ipotecari per importi superiori al prezzo di compravendita.

La controversia, dopo alterne vicende, vedeva la CTR accogliere l’appello principale dell’Amministrazione, riformando la sentenza di primo grado ritenendo provato il maggior importo di cui alla rettifica, e rigettava l’impugnazione incidentale dei contribuenti ritenendo in particolare gli avvisi congruamente motivati nonché tali da garantire l’esercizio del diritto di difesa.

Da qui il ricorso è arrivato fino all’ultimo grado di giudizio, in cui il contribuente motivava le doglianze suddivise in sette punti, in cui emergeva la censura della sentenza impugnata per non aver ritenuto violato il citato art. 7 nonostante la mancata allegazione agli avvisi di accertamento della documentazione utilizzata nella relazione di stima dell’Amministrazione fondante gli atti impositivi (il riferimento è alle rilevazioni OMI).

La tesi proposta però non ha convinto i Supremi Giudici, che al riguardo hanno stabilito che: “ … In tema di accertamento induttivo, gli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e 54,

comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dall’art. 24 della I. n. 88 del 2009, hanno effetto retroattivo, in considerazione della finalità della citata L. n. 88 di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario, sicché, venuta meno ex tunc la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, introdotta nei menzionati artt. 39 e 54 dal d.l. n. 223 del 2006 (conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2006) la prova dell’esistenza di attività non dichiarate può E.re desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (ex plurimis: Cass. sez. 5, 18/11/2016, n. 23485, Rv. 641876-01; Css. sez. 5, 15/03/2017, n. 6736, Rv. 643594-01; Sez. 6, n. 21/03/2018, n. 7025, Rv. 647552-01, per la quale l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo «puro» che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), cit., non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza). In detta materia, peraltro, l’atto di rettifica, qualora l’Ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’Ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte. Nelle condizioni di cui innanzi, grava quindi sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stE., senza che sia peraltro sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 5, 31/10/2018, n. 27804, Rv. 651084-01; si veda, altresì Cass. sez. 5, 22/12/2017, n. 30803, Rv. 646681-01, la quale chiarisce che il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa). Con particolare riferimento poi ai c.d. valori OMI, nella specie valutati dalla CTR in uno con gli innanzi evidenziati elementi posti a fondamento del procedimento inferenziale da essa motivato, questa Corte ha costantemente precisato che nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006 (conv. in I. n. 248 del 2006), non impedisce al Giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità. Tale elemento, tuttavia, come nella specie ritenuto dalla CTR, non può, E.re costituito dai soli valori OMI, che devono E.re corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (si veda, ex plurimis, Cass. sez. 5, 25/01/2019, n. 2155, Rv. 652213-01; in senso sostanzialmente conforme anche, ex plurimis: Cass. sez. 5, 07/09/2018, n. 21813, Rv. 650330-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9474, Rv. 643928-01). In conclusione, in ricorso non merita accoglimento, nulla sulle spese non essendosi difesa l’Amministrazione intimata”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690

sul ricorso iscritto al n. 11371/2013 R.G. proposto da
IMMOBILIARE E.TI. s.r.l. (C.F.: 01438540229), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enzo Barazza e (Prof.) Giuseppe Niccolini, con domicilio eletto presso l’Avv. (Prof.) Giuseppe Niccolini, con studio in Roma, via Teodosio Macrobio n. 3;
– ricorrente –

nonché da S. M. nato a Ala (TN) il 26 giugno 1949, in proprio, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Enzo Barazza e (Prof.) Giuseppe Niccolini, con domicilio eletto presso l’Avv. (Prof.) Giuseppe Niccolini, con studio in Roma, via Teodosio Macrobio n. 3;

– ricorrente –
da S. F., nato a Rovereto (TN) il 27 gennaio 1979, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Enzo Barazza e (Prof.) Giuseppe Niccolini, con domicilio eletto presso l’Avv. (Prof.) Giuseppe Niccolini, con studio in Roma, via Teodosio Macrobio n. 3;

– ricorrente –
da S. R., nata a Rovereto (TN) il 27 febbraio 1975, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enzo Barazza e (Prof.) Giuseppe Niccolini, con domicilio eletto presso l’Avv. (Prof.) Giuseppe Niccolini, con studio in Roma, via Teodosio Macrobio n. 3;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Trento n. 79/01/2012, pronunciata il 17 settembre 2012 e depositata il 5 novembre 2012;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 dicembre 2019 dal Consigliere Fabio Antezza.
Fatti di causa
1. IMMOBILIARE E.TI. s.r.l. nonché M.S. (in proprio), F.S. e R.S. ricorrono con sette motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello incidentale dagli stessi proposto avverso la sentenza n. 92/02/2010 dalla Commissione tributaria di I grado di Trento (di accoglimento dell’appello principale dell’Agenzia delle Entrate – «A. E.» -).
2. Per quanto ancora rileva nel presente giudizio, il Giudice di primo grado accolse parzialmente l’impugnazione proposta avverso avviso di accertamento IRAP e IVA 2005, emesso nei confronti della società, ed avviso di accertamento IRPEF 2005, emesso nei confronti dei tre citati soci (notificati nel 2009) conseguenti all’accertamento, ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di un maggiore reddito d’impresa con riferimento alla vendita di unità immobiliari. In particolare, la Commissione di I grado aveva ridotto la ripresa a tassazione, limitandola alle ipotesi provate anche da dichiarazioni rese dagli acquirenti, rigettando invece l’impugnazione con riferimento alle prospettate violazioni degli artt. 7 e 12 della I. 27 luglio 2000, n. 212.
3. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, in accoglimento dell’appello principale dell’Amministrazione, riformò la sentenza di primo grado, ritenendo provato il maggior importo di cui alla rettifica, e rigettò l’impugnazione incidentale dei contribuenti ritenendo in particolare gli avvisi

congruamente motivati nonché tali da garantire l’esercizio del diritto di difesa (come effettivamente avvenuto).
Nel dettaglio, in merito alla rettifica con metodo analitico induttivo, la Commissione regionale ritenne la sussistenza delle attività non dichiarate (derivanti dai maggiori importi delle relative alienazioni) ed il loro accertato ammontare sulla base non dei meri valori O.M.I. (pur considerati) ma in considerazione della relazione di stima dell’Agenzia effettuata con specifico riferimento agli immobili in oggetto ed all’esito di una comparazione delle loro caratteristiche «ubicazionali, architettoniche e strutturali».

La detta relazione fu altresì comparata con la perizia valutativa prodotta dai contribuenti (di segno contrario) ma ritenuta non tale da vincere le risultanze della prima in quanto inerente immobili da realizzare in altri anni, per conto dell’IPAB e da destinare ad alloggi universitari situati in zona non centrale e non di pregio. Oltre a quanto innanzi comunque la CTR argomentò anche in ragione di un procedimento logico-inferenziale fondante su presunzioni semplici di riscontrata gravità, precisione e concordanza.

In particolare il Giudice d’appello, prendendo atto del venir meno (in forza delle I. n. 88 del 2009) della presunzione legale fondata sul semplice scostamento tra il corrispettivo della cessione del bene e il suo valore normale di mercato, motivò, oltre che in ragione della detta relazione di stima e dall’incongruenza della perizia valutativa depositata dei contribuenti, anche in forza della sussistenza (per taluni immobili) di mutui ipotecari per importi superiori al prezzo di compravendita.

La CTR evidenziò, in aggiunta a quanto detto, la circostanza per la quale altri acquirenti avessero dichiarato di aver corrisposto importi maggiori di quelli risultanti dagli atti di compravendita conclusi con la stessa società, tanto da far argomentare nel senso di una pratica «ordinaria», quella della contribuente, volta alla vendita degli appartamenti con parziali «pagamenti in nero».

A fronte di quanto innanzi, la Commissione regionale, per converso, ritenne non assolto l’onere gravante in capo ai contribuenti di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, confutando (nei termini di cui innanzi) anche la loro perizia di stima.
4. Contro la sentenza d’appello IMMOBILIARE E.TI. s.r.l. nonché, in proprio, M.S., F.S. e R.S. ricorrono con sette motivi, affidati ad atto unico, mentre l’A.E., correttamente intimata, non si difende.

Ragioni della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Priorità logica ha la trattazione dei motivi primo e settimo del ricorso.
3. Con il I motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce «violazione dei disposti di cui all’art. 7 comma 1 I. 27/7/2000 n. 212 e agli artt. 42, commi 1 e 3, d.P.R. 600/73 e 56 comma 5 d.P.R. 633/72 … ». In sostanza si censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto violato il citato art. 7 nonostante la mancata allegazione agli avvisi di accertamento della documentazione utilizzata nella relazione di stima dell’Amministrazione fondante gli atti impositivi (il riferimento è alle rilevazioni OMI).
3.1. Il motivo in esame è infondato, oltre che per taluni profili inammissibile.
La censura, difatti, pecca di specificità (in termini di autosufficienza) non riportando (neanche indirettamente) gli atti impositivi nel loro contenuto E.nziale perlomeno al fine di far comprendere la censura ed in particolare quali sarebbero gli atti che l’Amministrazione avrebbe dovuto allegare, indicando esclusivamente le valutazioni OMI (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, si vedano, ex plurimis, e limitando i riferimenti solo alle decisioni più recenti: Cass. sez. 3, 27/05/2019, n. 14357, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 24/05/2019, n. 14161, in motivazione; Cass. sez. 5, 13/11/2018, n. 29092, Rv. 651277-01; Cass. sez. 6-1,, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).
Nel merito (cassatorio), poi, la censura è infondata in quanto, come chiarito dagli stessi ricorrenti, gli atti impositivi si sarebbero fondati (perlomeno anche) sulla relazione di stima che e non su altri (e non specificati) atti dell’Amministrazione.
4. Con il VII motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce, sostanzialmente, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale avendo l’Amministrazione notificato l’avviso di accertamento, concernente il «recupero esclusivo IRAP», antecedentemente al decorso del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della I. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto dei diritti del contribuente). La CTR avrebbe in particolare errato nel ritenere non applicabile il contraddittorio endoprocedimentale con riferimento ad accertamenti c.d. «a tavolino» oltre che nell’escludere, comunque, una sanzione per la violazione del detto termine dilatorio.

4.1. Il motivo in esame è infondato, oltre che, per taluni profili, inammissibile, in applicazione di principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, elaborati anche in considerazione delle statuizioni della Corte di giustizia.
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, difatti, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti, inerenti tributi «non armonizzati» (come, nell’attuale fattispecie, per l’IRAP) fondati solo su indagini c.d. «a tavolino», cioè non caratterizzate (come nella specie) da accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, per quanto emerge, peraltro, anche dallo stesso art. 12 invocato dal ricorrente (si vadano, ex purimis: Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823, Rv. 637605-01, che ha in particolare escluso il detto obbligo di contraddittorio endoprocedimentale proprio con riferimento all’IRAP oltre che in merito all’IRPEG, e successive conformi).

Il detto articolo 12, solo nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus, anche nell’ipotesi di tributi «armonizzati», come VIVA (di cui all’attuale fattispecie), senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la c.d. «prova di resistenza», dovendo il contribuente assolvere all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere onde evitare la proposizione di un’opposizione meramente pretestuosa.

La detta prova è invece necessaria, per i soli tributi «armonizzati», ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., come nella specie, nel caso di accertamenti cd. «a tavolino»), ipotesi nelle quali il Giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione ex post sul rispetto del contraddittorio (in tal senso si vedano, in particolare, Cass. sez. 5, 11/09/2019, n. 22644, Rv. 655048-01, e Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 701, Rv. 652456-01, che muovono ed argomentano dalla citata Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823, Rv. 637605-01 e 637604-01, oltre che da diverse statuizioni della Corte di Giustizia).

4.1.2. Ne consegue, dunque, che il motivo in esame è infondato con riferimento al profilo di critica inerente l’IRAP (tributo non armonizzato ed oggetto di indagini a tavolino). In merito all’accertamento a fini IVA, i ricorrenti in questa sede nulla deduce, con conseguente passaggio in giudicato della relativa statuizione di secondo grado. Qualora fosse stato dedotto il difetto di contraddittorio anche in merito ai profili inerenti l’accertamento IVA, la doglianza sarebbe tata comunque inammissibile per difetto di specificità oltre che per carenza di interE., perché, trattandosi, nella specie, di indagini a tavolino (come argomentabile dallo stesso ricorso) con riferimento a tributo armonizzato, la censura non si evidenzia di aver prospettato al Giudice di merito circostanze inerenti la c.d. prova di resistenza (cosa, peraltro non fatta neanche in questa sede).

5. I restanti motivi di ricorso (II, III, IV, V e VI) sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.
5.1. Con il II motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e falsa applicazione dei disposti di cui agli artt. 39, comma 1 lett. d) d.P.R. 600/73 e 54 comma 2 d.P.R. 633/72, nonché degli artt. 2697 comma 1 c.c. in rapporto anche all’art. 35 d.l. 223/06 conv. in I. 248/06 e all’art. 24 della I. 7/7/2009 n. 88 – Violazione dell’art. 115 comma 1 c.p.».

Con il III motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce la «nullità della sentenza per violazione dei principi di cui all’art. 112 c.p.c…vizio di “extrapetizione”».
Con il IV motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione, falsa applicazione dei disposti di cui all’art. 85 commi 1 lett. a) “nuovo” TUIR e all’art. :13 comma 1 d.P.R. 633/72 in rapporto anche all’art. 2697 c.c. e gli artt. 39 comma 1 lett. d) d.P.R. 600/73 e 54 comma 2 d.P.r. 633/72».

Con il V motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deduce «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le partivi», per non aver la CTR considerato ai fini della decisione le dichiarazioni rese da altri acquirenti che, a dire del ricorrente, avrebbero negato di aver corrisposto alla società contribuente somme ulteriori per l’acquisto delle unità immobiliari.

Con il VI motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce la «nullità del procedimento e della sentenza per violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 115 comma 1 e 116 comma 1 c.p.c.». Nonostante la tecnica redazionale utilizzata tanto per la formulazione delle rubrica quanto per l’articolazione delle doglianze, con i motivi in esame, in sintesi, tralasciando valutazioni di merito che i ricorrenti vorrebbero inammissibilmente sostituire a quelle del Giudice, ci si duole della circostanza per la quale la CTR, con il procedimento inferenziale innanzi sintetizzato: avrebbe finito per integrare la motivazione degli avvisi di accertamento, culminando, ciò, anche in «vizio di extrapetizione»; avrebbe fatto sostanzialmente riferimento, per la propria statuizione, alla relazione di stima, senza peraltro accertare l’importo delle

effettive vendite; avrebbe, di conseguenza, anche violato il criterio di riparto dell’onere probatorio in materia di accertamento analitico-induttivo, oltre gli artt. 115 e 116 c.p.c. ed omesso l’esame, quale fatto decisivo e controverso, di elementi di prova (quali le dichiarazioni di taluni acquirenti).
5.2. I motivi dal secondo al sesto non sono fondati, oltre a presentare taluni profili di inammissibilità laddove tendono a sostituire a quelle del Giudice di merito proprie valutazioni di fatto (anche di ordine probatorio) oltre che per la prospettazione, con la quinta censura, non di un omesso esame di un fatto storico bensì di una diversa valutazione conclusiva degli elementi probatori rispetto a quella di cui al Giudice di merito (in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella sua formulazione, ratioine temporis applicabile, successiva della sostituzione operata dal d.l. n. 83 del 2012).

Nel merito (cassatorio) la CTR, in particolare, non integra la motivazione degli atti impositivi ma si pronuncia in merito alla prova degli importi reali delle vendite degli immobili, non incorrendo, quindi, neanche nel dedotto vizio di ultrapetizione oltre che correttamente applicando le regole governanti il riparto dell’onere probatorio in materia.

Nel dettaglio, come già sintetizzato in sede di ricostruzione dei fatti di causa, in merito alla rettifica con metodo analitico-induttívo, la Commissione regionale ritiene la sussistenza delle attività non dichiarate (derivanti proprio dai maggiori importi delle relative alienazioni) ed il loro accertato ammontare sulla base non dei meri valori O.M.I. (pur considerati) ma in considerazione della relazione di stima dell’Agenzia effettuata con specifico riferimento agli immobili in oggetto ed all’esito di una comparazione delle loro caratteristiche «ubicazionali, architettoniche e strutturali». La detta relazione è altresì dalla CTR comparata con la perizia valutativa prodotta dal contribuente (di segno contrario) ma ritenuta non tale da vincere le risultanze della prima in quanto inerente immobili da realizzare in altri anni, per conto dell’IPAB e da destinare ad alloggi universitari situati in zona non centrale e non di pregio.

La CTR argomenta anche in ragione di un procedimento logicoinferenziale fondante su presunzioni semplici di riscontrata gravità, precisione e concordanza. Essa, dopo aver preso atto del venir meno (in forza delle I. n. 88 del 2009) della presunzione legale fondata sul semplice scostamento tra il corrispettivo della cessione del bene e il suo valore normale di mercato, motiva, oltre che in ragione della detta relazione di stima e dall’incongruenza della perizia valutativa depositata dei contribuenti, anche in forza della sussistenza (per taluni immobili) di mutui ipotecari per importi superiori al prezzo di compravendita. La Commissione evidenzia, in aggiunta a quanto innanzi, proprio le dichiarazioni di altri acquirenti circa l’insussistenza di importi maggiori di quelli risultanti dagli atti di compravendita conclusi con la stessa società, tanto da far argomentare (con valutazione di merito) nel senso di una pratica «ordinaria», quella della contribuente, volta alla vendita degli appartamenti con parziali «pagamenti in nero».

A fronte di quanto innanzi, il Giudice di secondo grado, per converso, ritiene non assolto l’onere gravante in capo ai contribuenti di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, confutando (nei termini di cui innanzi) anche la loro perizia di stima.
5.3. Sicché, la sentenza impugnata, oltre ad essere sul punto congruamente motivata, applica correttamente i principi governati la materia inerente l’accertamento analitico-induttivo (accertamento cd. misto), come sanciti da questa Corte.

In tema di accertamento induttivo, gli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dall’art. 24 della I. n. 88 del 2009, hanno effetto retroattivo, in considerazione della finalità della citata L. n. 88 di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario, sicché, venuta meno ex tunc la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, introdotta nei menzionati artt. 39 e 54 dal d.l. n. 223 del 2006 (conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2006) la prova dell’esistenza di attività non dichiarate può E.re desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (ex plurimis: Cass. sez. 5, 18/11/2016, n. 23485, Rv. 641876-01; Css. sez. 5, 15/03/2017, n. 6736, Rv. 643594-01; Sez. 6, n. 21/03/2018, n. 7025, Rv. 647552-01, per la quale l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo «puro» che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), cit., non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza).

In detta materia, peraltro, l’atto di rettifica, qualora l’Ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’Ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte. Nelle condizioni di cui innanzi, grava quindi sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata

antieconomicità delle stE., senza che sia peraltro sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 5, 31/10/2018, n. 27804, Rv. 651084-01; si veda, altresì Cass. sez. 5, 22/12/2017, n. 30803, Rv. 646681-01, la quale chiarisce che il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa). Con particolare riferimento poi ai c.d. valori OMI, nella specie valutati dalla CTR in uno con gli innanzi evidenziati elementi posti a fondamento del procedimento inferenziale da essa motivato, questa Corte ha costantemente precisato che nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006 (conv. in I. n. 248 del 2006), non impedisce al Giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità. Tale elemento, tuttavia, come nella specie ritenuto dalla CTR, non può, E.re costituito dai soli valori OMI, che devono E.re corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (si veda, ex plurimis, Cass. sez. 5, 25/01/2019, n. 2155, Rv. 652213-01; in senso sostanzialmente conforme anche, ex plurimis: Cass. sez. 5, 07/09/2018, n. 21813, Rv. 650330-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9474, Rv. 643928-01).

6. In conclusione, in ricorso non merita accoglimento, nulla sulle spese non essendosi difesa l’Amministrazione intimata.
Ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (aggiunto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228), deve darsi atto dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (ex art. 18 della medesima I. n. 228 in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata I. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013), restando salve future modifiche per il caso di ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato (attualmente all’esame delle Sezioni Unite Civili).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, dando atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto, restando salve eventuali future modifiche per il caso di ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, attualmente all’esame delle Sezioni Unite Civili.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019

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