CASSAZIONE

Cartelle di pagamento: interessi in chiaro

Riscossione – computo interessi di mora- modalità di calcolo – Statuto del contribuente –Nullità della cartella di pagamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24933 del 6 dicembre 2016, ha voluto rimarcare ancora una volta come le cartelle di pagamento, non precedute da avviso di accertamento, debbano essere sufficientemente motivate e comprensibili per il destinatario. La materia della riscossione è regolata dal DPR n. 602/1973, recante “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito” e successive modificazioni.

La procedura per la riscossione dei crediti vantati è così riassumibile:

  1. le somme che risultano dovute a seguito dei controlli vengono iscritte a ruolo;
  2. il ruolo viene trasmesso al concessionario della riscossione, che predispone e notifica le cartelle.

La cartella di pagamento è l’atto che l’agente della riscossione invia ai contribuenti per l’incasso dei crediti vantati dagli enti creditori. La lettura della cartella di pagamento notificata (finora) da Equitalia Spa non consente di conoscere in modo chiaro come gli interessi di mora vengano calcolati, quale aliquota sia stata applicata e quale sia l’iter logico-giuridico alla base della pretesa. Questa modalità di operare di Equitalia è ormai messa in discussione da tempo, come testimoniano alcuni riferimenti giurisprudenziali al riguardo: Cassazione Civile Sez. Tributaria Sent. n. 4516 del 21/2/2012, Cassazione Civile Sent. n. 22500 del 10/12/2012, Cassazione Civile Ordinanza n. 15188 del 18/6.2013, Commissione Tributaria Prov. Lecce, Sez. II, Sent. n. 206 del 15/2/2010, Commissione Tributaria Provinciale Como, sez. III, sent. n. 409 del 4/9/2014, Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sent. n. 4513/30/15, Cass. sentenza n. 8934 del 17/4/2014.

Considerando che in ogni cartella non vi è traccia delle modalità di calcolo degli interessi, la stessa dovrebbe dirsi nulla per carenza di motivazione, opinione comune presente nelle numerose sentenze sopra citate. La decisione segue quindi una linea giurisprudenziale che appare ora particolarmente importante, dal momento che ancora oggi le cartelle di pagamento fanno spesso riferimento ai soli interessi maturati, riportando quindi solamente il totale dovuto, senza alcuna indicazione del tasso applicato. È il caso, ad esempio, delle somme sospese in pendenza di giudizio, che solo in esito a una decisione sfavorevole del giudice tributario devono essere versate. Su tali imposte sono dovuti gli interessi maturati anche nel periodo di sospensione e normalmente la richiesta avviene esclusivamente tramite cartella di pagamento, senza alcuna preventiva notifica. Peraltro la norma, nello specifico la legge 106/2011, art. 7 comma 2-sexies e 2-septies, prevede che le sanzioni e gli interessi di ritardata iscrizione a ruolo vengono esclusi dal calcolo degli interessi di mora se il ruolo è stato consegnato successivamente al 13 luglio 2011.

Ricordiamo, inoltre, che anche una recente pronunzia della CTP di Lecce (sent. n. 611/2016) aveva indicato che “l’intelligibilità della pretesa di pagamento va valutata in relazione alla capacità di comprensione dell’uomo medio: la conoscenza dei tassi di interesse e della percentuale relativa al compenso di riscossione(ex aggio) costituisce patrimonio di un tecnico in materia tributaria e non certamente del cittadino-uomo medio”.

mano-con-monete

Nello specifico, gli Ermellini hanno dato ragione ai contribuenti ritenendo illegittima la cartella di pagamento emessa per la riscossione degli interessi nel caso in cui non sia indicato il tasso applicato. Solo avendo a disposizione tutti i dati il contribuente può esaminare la correttezza dei calcoli eseguiti. La cartella di pagamento deve essere quindi totalmente esaustiva e specificare, in modo chiaro e comprensibile per chiunque – non solo per i tecnici – le ragioni del pagamento intimato: in caso contrario è da considerarsi nulla e può essere impugnata davanti al giudice competente. In ogni cartella di pagamento è infatti prevista obbligatoriamente una pagina in cui è riportato il dettaglio delle singole causali di pagamento avanzate da Equitalia. È in essa che si richiede la massima trasparenza nei confronti del contribuente: trasparenza che si concretizza non solo nell’esatta indicazione delle ragioni del pagamento richiesto, ma anche dei singoli importi, dell’ammontare degli interessi e dell’aliquota applicata per ogni singola annualità.

La vicenda in questione trae origine da una cartella di pagamento con la quale erano richiesti interessi e compensi di riscossione. Più precisamente l’Agenzia delle Entrate, dopo aver revocato la sospensione del pagamento di un’imposta di successione, ha iscritto a ruolo gli interessi dovuti sull’intero periodo di sospensione. Il provvedimento è stato impugnato lamentando un’omessa motivazione, atteso che non era indicato il tasso di riferimento utilizzato per il calcolo delle somme dovute. La CTP accoglieva il ricorso, ritenendo che il metodo di calcolo adottato dall’agente della riscossione non fosse facilmente comprensibile o decifrabile – peraltro la somma richiesta era di circa 46.000 euro per interessi e compensi di riscossione – da cui derivava una violazione del principio di trasparenza e dello Statuto del Contribuente (legge 212/2000).

La decisione è stata comprovata anche in grado di appello, sul presupposto logico che il contribuente non era stato posto in condizione di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’ufficio. Avverso la decisione in secondo grado l’Agenzia ha comunque presentato ricorso per cassazione, rilevando che la cartella in parola rappresentava correttamente il periodo in cui erano sorti gli interessi e gli estremi del provvedimento di revoca della sospensione cui si riferivano, permettendo al contribuente di comprendere la ratio alla base della pretesa.

Ma anche i giudici di legittimità sono stati dello stesso avviso, sul presupposto che il contribuente non era stato posto in condizione di ricostruire l’iter seguito da Equitalia nel calcolo degli interessi.

Per gli Ermellini, nonostante il destinatario dell’atto fosse a conoscenza dell’imposta sulla quale tali somme erano state calcolate e ben poteva verificare il periodo relativamente al quale erano maturati tali interessi, solo con l’indicazione del tasso d’interesse applicato avrebbe potuto ricostruire il metodo seguito dall’ufficio e riscontrare la correttezza dell’importo da cui erano scaturiti gli interessi moratori. Pertanto, quando la cartella esattoriale non è preceduta da un avviso di accertamento deve essere motivata sempre in modo un congruo, sufficiente e intellegibile, altrimenti è da considerarsi nulla. Proprio l’assenza del tasso e del metodo di calcolo degli interessi ha di fatto impedito qualunque forma di controllo sulla correttezza del totale dovuto. Secondo quanto affermato dalla Cassazione, quindi, “Nel caso che occupa, mancando l’indicazione del tasso e del metodo di calcolo di riferimento, i contribuenti non sono stati posti nella condizione di controllare la correttezza del calcolo degli interessi operato dall’Agenzia sulla base della somma dovuta a titolo di imposta di successione”.

interessi-cartelle-testo-sentenza-1

 

interessi-cartelle-testo-sentenza

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay