CASSAZIONE

Beneficio prima casa: la mancanza di abitabilità non è da considerare come forza maggiore

Tributi – IVA – Imposte di registro, Ipotecarie e Catastali – Agevolazioni fiscali prima casa – Mancato trasferimento della residenza nel termine prescritto – Causa di forza maggiore esimente – Esclusione – Revoca dei benefici

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34865 del 17 novembre 2021 ha ricordato che, in tema di benefici fiscali per la prima abitazione, il mancato completamento dei lavori di ristrutturazione e la conseguente carenza del rilascio del certificato di abitabilità non costituiscono cause di forza maggiore tali da giustificare il mancato trasferimento della residenza nei termini indicati dalla legge per poter beneficiare dell’agevolazione “prima casa”.

Gli Ermellini hanno quindi concluso che sono da ritenersi pienamente legittimi gli avvisi di liquidazione poi notificati al contribuente.

Come è noto, il legislatore ha previsto, ex art. 1, Parte Prima, Nota II bis, lett. a), tariffa allegata al DPR n. 131/1986, che l’agevolazione in parola è subordinata alla condizione che l’abitazione si trovi nel Comune di residenza, oppure che la residenza venga trasferita nel Comune in cui si trova l’abitazione entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto.

Nel caso specifico gli Ermellini hanno voluto insistere su un preciso particolare, quello evidenziato dalla tassatività della scadenza fissata nei 18 mesi per il trasferimento nel comune di ubicazione dell’immobile: in mancanza del certificato di abitabilità hanno ribadito che non è possibile, in questo caso, attribuire la causa alla forza maggiore come prescritto dall’art. 1349 del codice civile, che secondo la nuova formulazione dell’articolo in questione sancisce che un evento, per essere considerato causa di forza maggiore, deve determinare l’impossibilità totale di realizzare la prestazione contrattuale, essere imprevedibile al momento della redazione del contratto o avere effetti inevitabili.

Ricordiamo che comunque, al contribuente, non è negata l’agevolazione anche nel caso in cui la prima casa non possa essere ancora abitata, in quanto ai fini della conservazione del beneficio è sufficiente il trasferimento della residenza nel Comune ove la stessa è ubicata, che non è però un qualcosa di astratto, ma costituisce un vero e proprio impegno da ottemperare tassativamente entro il termine dei 18 mesi. Mentre il certificato di agibilità è quel documento essenziale per attestare la sussistenza di determinati standards igienici, sanitari e di sicurezza, garantendo che in fase di costruzione siano state osservate determinate prescrizioni igienico-sanitarie in base al DPR 380/2001, che costituisce ormai l’unico riferimento normativo in materia, avendo abrogato tutta la disciplina previgente.

Pertanto, seguendo il ragionamento degli Ermellini, anche in ambito tributario la forza maggiore può essere certamente invocata dal contribuente, ma solo quando si pone come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, configurandosi in tal modo come una esimente poiché il soggetto passivo è ritenuto in stato di costrizione.

Ciò significa che possono assumere rilevanza, al fine della configurabilità della forza maggiore, solo fatti che abbiano impedito il trasferimento della residenza nel comune da intendersi come eventi non prevedibili, che sopraggiungono inaspettati e sovrastanti la volontà del contribuente. Sul punto la giurisprudenza di legittimità è conforme nel ritenere che la ricorrenza di una situazione di forza maggiore sopravvenuta rispetto alla stipula è ravvisabile a fronte di impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità, anche a titolo di colpa, inevitabilità e imprevedibilità dell’evento.

Vale la pena soffermarsi sul percorso che ha portato le SS. UU. interrogate appunto sulla idoneità della forza maggiore, a escludere la decadenza dalle agevolazioni fiscali,a formulare alcune conclusioni, peraltro dirimenti, rintracciabili anche nella presente pronunzia.

Nella Sentenza n. 8094 del 23 aprile 2020 le Sezioni Unite hanno inteso mettere fine al contrasto giurisprudenziale, esistente sul tema all’interno alla propria sezione tributaria, con un  ragionamento volto, non solo a creare un principio di diritto per spiegare il conflitto giurisprudenziale esistente, ma soprattutto per  definire una regola generale applicabile a normative diverse da quella su cui si incentra il caso di specie e comportanti dei benefici fiscali con un decisivo principio di diritto: “In tema di agevolazioni tributarie, il beneficio di cui all’art. 33, comma 3, della L. n. 388 del 2000, nella formulazione applicabile ratione temporis al presente giudizio, si applica anche qualora l’edificazione non sia realizzata nel termine di legge, purchè tale esito derivi non da un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile all’acquirente, tempestivamente attivatosi, ma per una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile, ed inevitabile, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso, tale da configurare la forza maggiore, ovvero il factum prinicpis, ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma nel termine da essa previsto”.

Le Sezioni Unite hanno peraltro voluto preliminarmente ricordare i contrapposti orientamenti giurisprudenziali in materia di forza maggiore e decadenza dai benefici fiscali.

Si contrapponevano, di fatto, due orientamenti: l’uno, più recente e di stretta interpretazione, ancorato al rigoroso formalismo del comma 3 dell’art. 33 della L. 388/2000, per cui le agevolazioni fiscali non troverebbero causa ogni qualvolta, all’acquisto dell’area, non consegua l’effettiva utilizzazione edificatoria nel termine di legge; l’altro, tradizionale e favorevole al contribuente, di avviso diametralmente opposto, che ammette il rilievo della forza maggiore quale causa impeditiva dalla decadenza delle agevolazioni fiscali, pur in assenza di un espresso riferimento normativo in tal senso, in ragione del fatto che una diversa conclusione porterebbe a vanificare la regola generale secondo la quale non può pretendersi un comportamento quando lo stesso oramai sia divenuto impossibile senza colpa di chi vi è tenuto (sul punto, Cass. n. 2616/2016, in materia di agevolazioni prima casa).

La Suprema Corte ha aderito al secondo dei suesposti orientamenti e, sulla base delle argomentazioni addotte, la nozione di forza maggiore e i suoi requisiti (imprevedibilità, straordinarietà ed inevitabilità dell’evento) sono stati ritenuti univoci tanto nel diritto nazionale quanto nel diritto sovranazionale, che si applica anche in assenza di una specifica previsione di legge e ricomprende qualsiasi causa di impossibilità oggettiva non derivante da un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile al contribuente.

Anche la mancata edificazione nel termine stabilito dall’agevolazione tributaria, dovuta a una causa esterna sopravvenuta e non imputabile al contribuente, costituisce fattispecie rientrante pur sempre nel perimetro delimitato dalla norma agevolativa ed è integrata dalla regola generale della causa di forza maggiore. Le Sezioni Unite, nella citata pronunzia, evidenziano poi sia la ratio della norma, quanto la distinzione in ambito privatistico e pubblicistico dell’istituto della decadenza.

Quanto alla finalità della norma, questa è diretta a incentivare l’acquisto dei beni immobili attraverso la diminuzione dei costi finalizzati alla costruzione (quale è la riduzione del costo di acquisto dell’area). Ne deriva che i presupposti normativi per godere delle agevolazioni debbano sussistere al momento dell’acquisto e, quindi, il giudice tributario dovrà valutare la sussistenza della forza maggiore che sia eventualmente occorsa successivamente, ricordando anche che se nel diritto privato la decadenza è istituto diretto a regolare un conflitto di interessi tra le parti, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici nell’ambito del diritto tributario la decadenza arresta l’espansione della posizione del privato, facendola rifluire nella posizione iniziale.

Ecco la ragione per la quale la giurisprudenza amministrativa, nell’indagare il rapporto tra PA e cittadino in ossequio al principio di buona amministrazione (art. 97 Cost.), non ha mai dubitato che la decadenza possa essere impedita al verificarsi di cause di forza maggiore o factum principis. Da ultimo, l’edificazione non costituisce né un obbligo, né un onere per l’acquirente.

Le argomentazioni delle Sezioni Unite, al fine di ritenere sussistenti o meno i presupposti della forza maggiore, hanno avuto il compito di definire in maniera chiara quando non è possibile effettuare una prestazione richiesta dalla legge per poter beneficiare di agevolazioni fiscali o, in caso contrario, di decadere dai benefici fiscali ottenuti: il tutto, ovviamente, previo accertamento mirato del giudice tributario che dovrà effettuare caso per caso. Alla luce di tale principio risulta più chiaro che il mancato completamento in termini dei lavori di ristrutturazione non è evento definibile come inevitabile e imprevedibile e assolutamente non imputabile alla parte, neanche nell’ipotesi di non meglio precisate “gravi vicissitudini personali”, posta peraltro la possibilità offerta dalla legge di trasferire la residenza in altro immobile dello stesso comune.

Tanto premesso, e tornando al caso oggi in dibattimento, la controversia trae origine dal ricorso proposto da due contribuenti avverso un avviso di liquidazione col quale l’Agenzia recuperava a tassazione la maggiore imposta IVA e le imposte sostitutive sulle operazioni di credito a medio e lungo termine dovute a seguito di revoca delle agevolazioni prima casa. I contribuenti, nei giudizi tributari intervenuti, avevano invocato come causa di forza maggiore il mancato completamento dei lavori di ristrutturazione necessari e il conseguente mancato rilascio, da parte dell’ente locale, del certificato di abitabilità o agibilità.

I ricorsi del contribuente sono stati accolti in entrambi i gradi di giudizio.

Da qui il ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia presentato dalla difesa erariale con unico motivo, nel quale viene evidenziato come il mancato rilascio del certificato di abitabilità potesse costituire causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato trasferimento della residenza nei termini indicati dalla legge e dal contratto di compravendita. Il motivo è stato giudicato fondato e così la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e, decidendo nel merito, ha stabilito che “Quanto allegato dai contribuenti, come causa di forza maggiore impeditiva nel trasferimento della residenza nei termini previsti, non ha tale caratteristica alla luce del costante orientamento di questa Corte la quale ha invero affermato che l’art. 1, nota II bis, lett. a), parte prima della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 subordina il riconoscimento dell’agevolazione alla circostanza che la residenza sia trasferita, nel termine di diciotto mesi, nel comune in cui è ubicato l’immobile e non necessariamente nell’abitazione acquistata, sicché possono assumere rilevanza, al fine della configurabilità della forza maggiore, solo fatti che abbiano impedito il trasferimento della residenza nel comune» (Cass. n. 13346 del 2016). Inoltre questa Corte ha costantemente affermato che: «In tema di imposta di registro, la fruizione delle agevolazioni cd. “prima casa” postula, nel caso di acquisto di immobile ubicato in un comune diverso da quello di residenza dell’acquirente, il trasferimento della residenza entro il termine di diciotto mesi dall’atto di compravendita, salva la ricorrenza di una situazione di forza maggiore sopravvenuta rispetto alla stipula, ravvisabile a fronte di impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità, anche a titolo di colpa, inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento. (Nella specie, la S.C. ha escluso la ricorrenza dell’esimente nel fatto costituito dal rigetto, da parte degli uffici comunali, del cambio di residenza a seguito della constatata inabitabilità dell’immobile acquistato per suo mancato completamento)» (Cass. n. 28838 del 2019). Recentemente Cass. S.U. 8094/20 hanno affermato che la forza maggiore “è configurabile non per un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile all’acquirente, tempestivamente attivatosi, ma per una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso, tale da configurare la forza maggiore, ovvero il factum principis, ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma nel termine da essa previsto”. Nel caso di specie non può certo dirsi che il mancato completamento in termini dei lavori di ristrutturazione sia evento definibile come inevitabile e imprevedibile e assolutamente non imputabile alla parte.  La causa di forza maggiore non può, pertanto, ravvisarsi nella specie avendo la stessa CTR fatto riferimento a imprecisate “gravi vicissitudini personali” e ritenuto erroneamente che non poteva essere addebitato, ai fini di escludere la forza maggiore “il fatto che i contribuenti abbiano potuto richiedere il permesso di costruire per la prosecuzione dei lavori sull’immobile solo sette mesi dopo l’acquisto, non integrando di per sé tale termine, né in astratto, né in concreto, un lasso temporale qualificabile come colpevole inerzia”. Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata essere cassata.

Corte di Cassazione – Ordinanza 17 novembre 2021, n. 34865

sul ricorso iscritto al n. 455/2016 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

 – ricorrente –

Contro P. M. e T. H.

 – intimati-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n.883/19/15, depositata il 19.5.2015.

Udita la relazione svolta all’adunanza camerale del 28.9.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.

Osserva

La controversia concerne l’impugnazione degli avvisi di liquidazione con i quali l’Ufficio aveva recuperato le maggiori imposte Iva e le imposte sostitutive sulle operazioni di credito a medio e lungo termine ex artt. 15 e ss del DPR 601/1073 dovute a seguito di revoca delle agevolazioni “prima casa” per mancato trasferimento nel previsto termine di 18 mesi della residenza nel comune nel quale era sito l’immobile acquistato.

I contribuenti avevano allegato, come causa di forza maggiore, il mancato completamento nel predetto termine dei lavori di ristrutturazione necessari e il conseguente mancato rilascio, da parte dell’ente locale, del certificato di abitabilità o agibilità.

La CTP di Treviso riuniti i ricorsi li accoglieva.

L’Ufficio proponeva appello e la CTR del Veneto lo rigettava con la sentenza in epigrafe avverso la quale Ufficio propone ricorso per cassazione con unico motivo.

I contribuenti non hanno spiegato difese.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, l’Ufficio contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte I allegata al DPR 131/1986 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.

Lamenta che la CTR aveva riconosciuto una insussistente causa di forza maggiore che potesse giustificare il mancato trasferimento della residenza nei termini indicati dalla legge e dal contratto di compravendita. Il ricorso è fondato.

Quanto allegato dai contribuenti, come causa di forza maggiore impeditiva nel trasferimento della residenza nei termini previsti, non ha tale caratteristica alla luce del costante orientamento di questa Corte la quale ha invero affermato che l’art. 1, nota II bis, lett. a), parte prima della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 subordina il riconoscimento dell’agevolazione alla circostanza che la residenza sia trasferita, nel termine di diciotto mesi, nel comune in cui è ubicato l’immobile e non necessariamente nell’abitazione acquistata, sicché possono assumere rilevanza, al fine della configurabilità della forza maggiore, solo fatti che abbiano impedito il trasferimento della residenza nel comune» (Cass. n. 13346 del 2016).

Inoltre questa Corte ha costantemente affermato che: «In tema di imposta di registro, la fruizione delle agevolazioni cd. “prima casa” postula, nel caso di acquisto di immobile ubicato in un comune diverso da quello di residenza dell’acquirente, il trasferimento della residenza entro il termine di diciotto mesi dall’atto di compravendita, salva la ricorrenza di una situazione di forza maggiore sopravvenuta rispetto alla stipula, ravvisabile a fronte di impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità, anche a titolo di colpa, inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento. (Nella specie, la S.C. ha escluso la ricorrenza dell’esimente nel fatto costituito dal rigetto, da parte degli uffici comunali, del cambio di residenza a seguito della constatata inabitabilità dell’immobile acquistato per suo mancato completamento)» (Cass. n. 28838 del 2019).

Recentemente Cass. S.U. 8094/20 hanno affermato che la forza maggiore “è configurabile non per un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile all’acquirente, tempestivamente attivatosi, ma per una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso, tale da configurare la forza maggiore, ovvero il factum principis, ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma nel termine da essa previsto”.

Nel caso di specie non può certo dirsi che il mancato completamento in termini dei lavori di ristrutturazione sia evento definibile come inevitabile e imprevedibile e assolutamente non imputabile alla parte.

La causa di forza maggiore non può, pertanto, ravvisarsi nella specie avendo la stessa CTR fatto riferimento a imprecisate “gravi vicissitudini personali” e ritenuto erroneamente che non poteva essere addebitato, ai fini di escludere la forza maggiore “il fatto che i contribuenti abbiano potuto richiedere il permesso di costruire per la prosecuzione dei lavori sull’immobile solo sette mesi dopo l’acquisto, non integrando di per sé tale termine, né in astratto, né in concreto, un lasso temporale qualificabile come colpevole inerzia”.

Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario dei contribuenti. Le spese del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione dell’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso dei contribuenti che condanna in solido al pagamento delle spese della presente fase del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2.300,00 oltre alle spese prenotate a debito, compensate quelle della fase di merito.

Così deciso nella Camera di Consiglio del 28 settembre 2021

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