CASSAZIONE FISCALITA

Benefici prima casa: si estendono anche all’altro coniuge, se si compra in comunione legale

Tributi – Imposta di registro – Riscossione – Agevolazioni tributarie – Prima casa – Art. 2 della L. n. 118/1985

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11225 dell’11 giugno 2020 torna a pronunciarsi in tema di agevolazioni prima casa richieste da un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, per affermare che per la fruizione dei benefici il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va sempre riferito alla famiglia.

Insomma, in caso di comunione legale tra coniugi ciò che rileva è che il bene sia destinato a residenza familiare – e a tal fine è sufficiente la coabitazione, non la comune residenza anagrafica – mentre non ha rilievo la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza nel Comune, e ciò in ogni caso in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso.

Ciò che conta, in definitiva, non è la residenza dei coniugi singolarmente considerati, quanto quella della famiglia, così come evincibile dall’art. 144 c.c., secondo cui i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. In buona sostanza, a parere dei Giudici di legittimità i benefici prima casa si estendono anche all’altro coniuge, a prescindere dal Comune di residenza, se l’appartamento è stato comprato in comunione legale.

La ricorrente giurisprudenza sull’argomento (tra le altre, le pronunzie nn. 16604/2018; 16335/2013; 14327/2000; 13085/2003; 2109/2009 e 15426/2009) conferma che nel caso di acquisto di appartamento a uso abitativo da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale, le agevolazioni prima casa sono fruibili anche dall’altro coniuge “anche se sprovvisto dei requisiti di legge, sussistenti solo in capo al coniuge acquirente”.

Ciò nondimeno, il solco di tale insegnamento, rispettoso delle finalità proprie della comunione legale dei coniugi, che mira a essere un regime patrimoniale perequativo fra le posizioni dei coniugi e di tutela per la famiglia, definita dall’art. 29 della Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio”, il quale deve essere “ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, è stato abbandonato dalla Suprema Corte dapprima con la sentenza 1988 del 4 febbraio 2015 e, in seguito, con l’ordinanza 14326 del 5 giugno 2018.

Con tali provvedimenti gli Ermellini hanno dato inizio a una differente linea interpretativa statuendo che “nel caso d’acquisto di un fabbricato con richiesta delle agevolazioni prima casa, da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, le dichiarazioni prescritte dalla legge devono riguardare non solo il coniuge intervenuto nell’atto ma, anche, quello non intervenuto e devono essere necessariamente rese da quest’ultimo”.

I giudici della Corte Suprema hanno condiviso l’orientamento, già espresso dall’Amministrazione finanziaria con la circolare 38/2005, con la quale si era evidenziato che ai fini civilistici, in caso di acquisto compiuto da un solo coniuge in regime di comunione legale anche l’altro coniuge, non intervenuto in atto, acquista la comproprietà del bene, in quanto il coacquisto si produce, automaticamente, ex lege (art. 177, codice civile) e che ai fini fiscali, affinché l’agevolazione possa essere applicata in relazione all’intero immobile acquistato è necessario, invece, che entrambi i coniugi rendano le dichiarazioni previste dalla citata nota II-bis. Si tratta, in particolare, della dichiarazione relativa alla non titolarità, esclusiva o in comunione con il coniuge, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione su altre case situate nel territorio del Comune in cui si trova l’immobile da acquistare (lettera “b” della nota II-bis) e della dichiarazione relativa alla non titolarità, neppure per quote, sull’intero territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, nuda proprietà, su altre case di abitazioni acquistate con le agevolazioni prima casa (lettera “c” della nota II-bis).

In altre parole la Suprema Corte, seguendo l’orientamento del Fisco, ha ritenuto d’imporre, per accedere al beneficio in commento, sia la presenza fisica di ambedue i coniugi all’atto, sia la sussistenza dei requisiti in capo a entrambi.

Tuttavia, resta in memoria l’impaccio di una giurisprudenza di legittimità inaspettatamente imprecisa, che ha giudicato casi sostanzialmente analoghi in maniera totalmente difforme nel giro di uno strettissimo arco temporale, che parte dal 5 giugno 2018 e si conclude il 22 giugno 2018, considerando che con l’ordinanza 16604 del 22 giugno 2018 la Cassazione sembrerebbe tornare rapidamente sui suoi passi. 

Il Supremo Collegio, ritenendo ammissibili le agevolazioni anche se uno dei coniugi risulti carente di uno dei requisiti di legge, e ciò “sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene”, sembrerebbe già ritornato sui tradizionali e corretti binari interpretativi delle norme in questione, risultando quindi già superato lo “sviamento” di cui all’ordinanza 5 giugno 2018, n. 14326.

Passando infine alle norme sul regime patrimoniale dei coniugi (disciplinato dagli artt. 159 e ss. c.c.), ricordiamo che con il regime di comunione sono di entrambi anche i beni acquistati da uno solo dei due, salvo i beni detti personali (art. 177 c.c. e ss.) e che, a termine di legge, l’agevolazione legata all’acquisto della prima casa richiede la residenza nell’immobile in un periodo di 18 mesi dall’acquisto.

Dal punto di vista fiscale l’acquisto della prima casa è agevolato e permette di ridurre l’importo dell’imposta di registro o dell’IVA dovute. Per poter fruire dell’agevolazione è necessario che l’acquirente sposti la propria residenza nel territorio del Comune in cui è ubicato l’immobile: qualora l’acquirente abbia la residenza in un Comune diverso è chiamato a trasferirla entro 18 mesi dall’acquisto. Qualora nessuno dei coniugi dovesse trasferire la residenza entro il termine previsto, il Fisco accerterebbe la decadenza dall’agevolazione prima casa, chiedendo la differenza tra l’imposta ordinaria e quella già pagata nonché le sanzioni nella misura del 30% di tale differenza.

Così premesso, e tornando al caso in esame, l’Agenzia delle entrate chiedeva il pagamento per intero dell’imposta di registro in revoca dell’agevolazione prima casa chiesta dal contribuente ed esclusivamente riconosciuta alla di lui moglie nella misura del 50%, in quanto solo quest’ultima aveva ottemperato all’obbligo di trasferire nel previsto termine di 18 mesi la sua residenza nel Comune nel quale era sito l’immobile acquistato in regime di comunione legale e destinato a residenza familiare.

Impugnato l’avviso, la giustizia tributaria regionale adita avvalorava la tesi dell’Amministrazione confermando che la sussistenza dei requisiti per l’agevolazione in oggetto deve essere singolarmente riscontrata in capo ad entrambi i coniugi. La parte ricorrente si rivolgeva allora al giudizio in Cassazione lamentando essenzialmente l’esclusione della rilevanza della destinazione a residenza familiare dell’immobile acquistato in regime di comunione legale.

Ad accogliere tale tesi la Suprema Corte, che con una stringata ma efficace sentenza ha  anche messo in risalto che “… Costituisce infatti costante orientamento di questa Corte il principio secondo cui: in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 118 del 1985, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che il cespite acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in senso contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 cod. civ., quindi sia in caso di acquisto separato che congiunto dello stesso» (Cass. n. 16604 del 2018; Cass. n. 16335 del 2013)”; deve essere pertanto accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, e la sentenza impugnata deve essere cassata. La causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso originario del contribuente. La parte resistente deve essere condannata alle spese della presente fase del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 1.800,00, oltre spese forfettarie e oneri di legge, compensate quelle della fase di merito”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 11 giugno 2020, n. 11225

sul ricorso iscritto al n. 21533/2016 R.G. proposto da G. G., elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Cortese, con studio in Cosenza, via Mario Mari 1/C, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Liguria (Genova), Sez. 4, n. 244/04/16 dell’8 febbraio 2016, depositata il 15 febbraio 2016, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2020 dal Consigliere Raffaele Botta

1. La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio chiedeva il pagamento per intero dell’imposta di registro in revoca dell’agevolazione prima casa chiesta dal contribuente ed esclusivamente riconosciuta alla di lui moglie nella misura del 50% in quanto solo quest’ultima aveva ottemperato all’obbligo di trasferire nel previsto termine di 18 mesi la sua residenza nel comune nel quale era sito l’immobile acquistato in regime di comunione legale e destinato a residenza familiare;

2. Il ricorso era accolto in primo grado, ma la decisione era riformata in appello con la sentenza in epigrafe avverso la quale il contribuente propone ricorso per cassazione con due motivi. L’amministrazione resiste con controricorso;

3. Le parti non hanno depositato memorie. Il P.G. non ha depositato conclusioni scritte;

4. Dei due motivi di ricorso assume carattere decisivo ed assorbente il primo con il quale il contribuente contesta, sotto il profilo della violazione di legge, che sia stata legittimamente esclusa nel caso di specie la rilevanza della destinazione a residenza familiare dell’immobile acquistato in regime di comunione legale;

5. Il ricorso è fondato.

Costituisce infatti costante orientamento di questa Corte il principio secondo cui: ««In tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, ai sensi dell’art. 2 della I. n. 118 del 1985, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che il cespite acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in senso contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 cod. civ., quindi sia in caso di acquisto separato che congiunto dello stesso» (Cass. n. 16604 del 2018; Cass. n. 16335 del 2013)»;

6. Deve essere pertanto accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, e la sentenza impugnata deve essere cassata. La causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso originario del contribuente. La parte resistente deve essere condannata alle spese della presente fase del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 1.800,00, oltre spese forfettarie e oneri di legge, compensate quelle della fase di merito.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente. Condanna la parte resistente alle spese della presente fase del giudizio, liquidate in complessivi euro 1.800,00, oltre spese forfettarie e oneri di legge, compensate quelle della fase di merito.

Così deciso in Roma il 22 gennaio 2020.

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