FISCALITA FOCUS

AUTOTUTELA TRIBUTARIA

In un quadro generale di crescenti esigenze di acquisizione di risorse per il finanziamento del bilancio statale, appare comprensibile l’intensificarsi della pretesa tributaria, rafforzata da nuovi strumenti predisposti dal legislatore, ma deve al contempo essere registrato il dato del numero elevato di controversie tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti.

Su questo punto, negli ultimi anni, è stata data ancor più enfasi all’utilizzabilità degli strumenti normativi volti ad evitare contenziosi inutili e dispendiosi, senza dimenticare l’introduzione della norma in base alla quale, in sede di contenzioso tributario, tutte le spese del giudizio sono a carico della parte soccombente. E’ bene infatti puntualizzare che “il processo tributario è in linea generale ispirato, non diversamente da quello civile o amministrativo, al principio di responsabilità per le spese del giudizio, come dimostra l’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione della Commissione Tributaria a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile.

Meritevole di menzione è pure la tendenza ad un radicale rinnovamento, incentrato sulla crescita di collaborazione e buona fede nelle reazioni tra Amministrazione Finanziaria e soggetto passivo di imposta, con carattere di reciprocità, a partire dalla legge 27 luglio 2000 nr 212 (Statuto dei diritti del contribuente) fino alla legge 11 marzo 2014 nr 3 (di delega per la revisione del sistema fiscale)

Non può essere sottaciuto, nonostante i tentativi di semplificazione attuati nei decenni scorsi, che il diritto tributario è un insieme intricato di norme e di direttive, talvolta in apparente contrasto fra loro, le cui particolarità rispetto ai principi generali del diritto amministrativo afferiscono la disciplina legale della prestazione tributaria sul cui ammontare l’Amministrazione Fiscale non può esercitare valutazioni di opportunità e convenienza.

Nell’ambito dello stesso diritto tributario il termine autotutela non è impiegato per esprimere, in senso ampio, il potere dell’Amministrazione di realizzare i propri fini a prescindere da un eventuale intervento giudiziale, bensì, in un significato più ristretto, il “ritiro” di atti illegittimi. In particolare, l’istituto dell’autotutela consiste nel potere dell’Amministrazione Finanziaria di agire motu proprio o su istanza del contribuente laddove si accertasse di averlo danneggiato in modo illegittimo in ordine a qualsiasi atto, compresi quelli della riscossione. Più precisamente, l’autotutela può riguardare 1) avvisi di accertamento e/o di rettifica, di liquidazione, di contestazione e di irrogazione sanzioni; 2) atti di recupero crediti di imposta indebitamente fruiti anche in compensazione; 3) iscrizioni a ruolo e cartelle di pagamento; 4) atti di diniego di agevolazioni fiscali o di rimborso di imposte indebitamente richieste. Si può arrivare, non solo ad annullare, revocare o rinunciare all’imposizione, ma anche a sospendere gli effetti di un atto. In altri termini, l’istituto dell’autotutela si sostanzia nel potere di annullare o revocare propri precedenti atti sulla base di una valutazione di opportunità che deve fondarsi sui presupposti di una presunta illegittimità e/o infondatezza dell’atto da annullare nonché sull’esistenza di un interesse pubblico attuale alla eliminazione dell’atto.

E’ da sottolineare che, in ossequio al principio cardine del suo agire, quello di legalità, l’Amministrazione Finanziaria persegue solo ed esclusivamente fini collettivistici facendosi “giustizia da sé” nel momento i cui riscontrasse un suo errore. Questa è l’essenza dell’autotutela che vede sempre e comunque l’Amministrazione Finanziaria quale soggetto portatore del potere pubblicistico d’imposizione tributaria rispetto al quale il cittadino è titolare di un interesse legittimo, di una posizione giuridica, in altri termini, di rango inferiore rispetto ad un diritto soggettivo vero e proprio.

Il regolamento di attuazione del potere di autotutela è rinvenibile nel Decreto Ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, emanato ex articolo 2 quater della legge n. 656 del 30 novembre 1994, (anche se lo jus poenitendi fu introdotto per la prima volta nel diritto tributario dal DPR 27 marzo 1992 nr 287), mentre il potere discrezionale di cui trattasi è stato sancito dall’articolo 68 del D.P.R. n. 287 del 27 marzo 1992 concernente il regolamento del personale del Ministero delle finanze che sancisce come “salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria, possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato notificato al contribuente”. In quest’ultimo caso, in ossequio ai principi di cui all’art 1 della legge 241/1990 in materia di azione amministrativa, gli Uffici possono annullare i propri atti, dopo averli ritenuti infondati o illegittimi, al fine di evitare un contenzioso già avviato dal contribuente, destinato a terminare negativamente.

L’autotutela, senza richiesta da parte del contribuente, può essere esercitata nella seguente casistica, da ritenere non tassativa: a) errore di persona; b) manifesto errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell’imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione dei pagamenti di imposta, correttamente effettuati; f) mancanza di documentazione regolarizzata successivamente, entro i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni, o regimi agevolativi in precedenza negati; h) errore materiale del contribuente, agevolmente riscontrabile.

Non deve peraltro essere trascurato che l’autotutela può estrinsecarsi anche nella reiterazione dell’imposizione mediante emissione di altro provvedimento in sostituzione, depurato dei profili di illegittimità propri dell’atto precedente

Circa la natura discrezionale o vincolante dell’autotutela segnaliamo l’ intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n, 181 del 13 luglio 2017, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564/1994 (Disposizioni urgenti in materia fiscale) “nella parte in cui non prevede né l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull’istanza di autotutela proposta dal contribuente né l’impugnabilità – da parte di questi – del silenzio tacito su tale istanza”, e dell’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). “nella parte in cui non prevede l’impugnabilità, da parte del contribuente, del rifiuto tacito dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela proposta dal medesimo”.

In sintesi, la Consulta ha voluto privilegiare la natura discrezionale dell’autotutela, annoverando il soggetto destinatario dell’atto viziato quale portatore di un interesse legittimo al relativo annullamento. Su questo versante, l’istituto non costituisce uno strumento di protezione del contribuente, né avrebbe funzione giustiziale, non esistendo un dovere in capo all’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza ricevuta.

Segnaliamo però un non trascurabile indirizzo contrario della dottrina che rinviene il fondamento del dovere di autotutela (tanto d’ufficio che su istanza di parte) nell’obbligo di rispettare le norme e di rimuovere gli atti illegittimi, così ipotizzando in capo al contribuente una posizione di diritto soggettivo.

Pure di rilievo, nel rispetto del precetto costituzionale (art 97) del buon andamento ed imparzialità della P.A., appare la connessione con: 1) la sentenza della Corte di Cassazione nr 698 del 19 gennaio 2010 che ha configurato colpevole e risarcibile il ritardo con cui venga annullato, in autotutela, un atto impositivo illegittimo; 2) l’orientamento della stessa Cassazione, Sezioni Unite (sentenza n. 15 del 4 gennaio 2007) che ha chiarito come le controversie di risarcimento danni per comportamenti illeciti dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario. E’ stato precisato che tale controversia non può sussumersi in una delle fattispecie tipizzate di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 546 del 31dicembre 1992 attributive della giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie. Al giudice ordinario, quindi, spetta accertare se vi è stato da parte della P.A., anche in ambito tributario, un comportamento colposo che ha determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Una considerazione sull’aspetto di rilievo costituito dalla rinnovata centralità del contradditorio endoprocedimentale (cfr Corte di Cassazione, Sez Unite, sentenze dalla 26635 alla 26638 del 18 dicembre 2009), orientato specialmente a conferire carattere di gravità, precisione e concordanza alle ricostruzioni presuntive di tipo statistico-matematico, nonché consentire il passaggio da una fase statica delle risultanze standardizzate ad una fase dinamica di applicazione personalizzata al singolo contribuente.

Autorevole e da condividere dottrina (cfr A. De Vita, “la centralità del principio di autotutela in ambito tributario” e A. Tortora “l’autotutela tributaria nella Circolare 1/2018 in “Rivista della Guardia di Finanza, nr 5, settembre/ottobre 2017 p. 1475 e nr 2, marzo/aprile 2018, p. 487), puntualizza come il binomio autotutela-contraddittorio, specie quando non ne sia esplicitamente sancita la cogenza, costituisca comunque elemento essenziale del giusto procedimento, suscettibile di produrre effetti positivi anche sulla AF perché consente di anticipare la fase del confronto contenzioso, dando spazio alle ragioni della parte avversa e garantendo di conseguenza una adeguata ponderazione della fondatezza delle pretese erariali. Contestare rilievi puntuali, circostanziati in fatto ed in diritto, probatoriamente supportati anche dalla confutazione delle argomentazioni acquisite in contradditorio, favorisce il contenimento del contenzioso ed il ricorso ad istituti deflattivi delle liti.

Senza trascurare che ai sensi dell’art 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il diritto ad una buona Amministrazione comprende, tra l’altro, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio.

In tale ambito, il contradditorio endoprocedimentale assume il rango di vero e proprio obbligo, previsto a pena di invalidità dell’atto conclusivo del procedimento.

In questa direzione, la circolare 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali), ha introdotto importanti garanzie per il contribuente, in una cornice di contributo concreto alla rimodulazione del rapporto Fisco/Contribuente, orientato al dialogo e alla reciproca collaborazione. La direttiva indirizzata ai Reparti operativi del Corpo, in particolare, sancisce che in caso di sopravvenuta conoscenza di elementi che delineano una nuova rappresentazione della complessiva posizione fiscale in senso più favorevole al contribuente, questi devono essere considerati, adeguatamente approfonditi e tempestivamente comunicati alle competenti articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, affinché l’Ufficio impositore sia posto nella condizione di esercitare la propria funzione secondo legittimità, non arrecando ingiusti danni al contribuente.

 

 

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