CASSAZIONE

Assoluzione per evasione IVA a chi salda prima della sentenza

Accertamento – Evasione IVA- D.Lgs. 158/2015 – Art. 27 Cost., comma 3

La Corte di Cassazione ha statuito, con la sentenza n. 40314 del 28 settembre 2016, che in caso di evasione IVA il successivo pagamento per intero della somma a debito determina l’estinzione del reato. Pertanto, si deve ritenere assolto dall’evasione IVA anche l’imprenditore contro il quale, alla data di entrata in vigore della riforma fiscale (D.Lgs. 158/2015), già pendeva il procedimento penale.

L’argomento si articola in tre fatti.

Il primo attiene a una visione d’insieme del fenomeno dell’evasione IVA che in Italia, stando alle stime dell’Unione Europea, fa registrare il numero in assoluto più alto di evasori IVA in Europa, per un importo di circa 36,9 miliardi di euro. Il secondo fatto riguarda il ripetersi di sentenze di vario grado – che sono in aumento – inerenti allo stato diffuso di crisi economica e al conseguente “riconoscimento giuridico dell‘evasione da sopravvivenza”, che assolvono gli imprenditori per questo genere di reato. La spinosa vicenda legata alla cosiddetta evasione di sopravvivenza è strettamente legata alle potenzialità future del nostro apparato produttivo, alla sua capacità di rigenerarsi e durare o alla necessità di subire un sicuro ridimensionamento (si veda, al riguardo, l’articolo “L’evasione di sopravvivenza non è reato se sei in credito con lo Stato”, già pubblicato nel numero di Febbraio della nostra rivista).

Non pagare l’IVA perché stretti dalla crisi economica non costituisce un illecito penale, sempre se si è in grado di dimostrare al Giudice che non mancò la volontà di adempiere ai doveri con il Fisco, ma soltanto la possibilità materiale di farlo. Anche la Cassazione (con le sentenze n. 9264 del 26/2/2014, n. 5467 del 4/2/2014, n. 40394 del 30/9/2014 e n. 49666 del 17/12/2015) riconobbe in una certa misura la necessità di un robusto intervento per nuovo indirizzo legislativo che tenesse conto della realtà del momento economico. Far fallire un contribuente-imprenditore e licenziare i suoi dipendenti, rispetto all’evasione delle imposte e in un contesto congiunturale negativo quale quello in cui si stava vivendo, forse non era preferibile o quantomeno non avrebbe potuto costituire reato, in definitiva perché lo Stato e i cittadini di quel fallimento non ne trarrebbero alcun beneficio. La Cassazione sottolineava al riguardo, con sentenza n. 40394 del 30/9/2014, che “… non è possibile in linea di principio addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato quando, in presenza di una situazione economica difficile, si decida di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pre-permettere il versamento delle ritenute all’Erario”.

Il terzo fatto è attinente alle intervenute misure di contrasto intraprese dal Governo con le nuove norme sull’IVA introdotte nel 2015, in particolare sulle conseguenze che determina l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, come modificato dal D.Lgs. n. 158/2015, che prevede “la reclusione da sei mesi a due anni” per chiunque non versi l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale “per un ammontare superiore a euro 250mila”. L’art. 13 del D.Lgs., tuttavia, come modificato nel 2015, nel pieno della crisi finanziaria, statuisce che il reato non è punibile se i debiti tributari, compresi interessi e sanzioni amministrative, sono pagati dal contribuente “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”.

Dal 2015, dunque, non è più punibile chi salda l’intero debito prima del dibattimento.

Le modifiche normative apportate e l’interpretazione estensiva della Cassazione, che con la sentenza in oggetto ha messo quindi in risalto il principio del favor rei, si inseriscono in un quadro di collaborazione con gli imprenditori in crisi e di recupero delle somme altrimenti perdute.

Inoltre, gli Ermellini stabiliscono che il processo per mancato versamento dell’IVA, anche per somme importanti, si blocca se il contribuente risolve le pendenze verso il Fisco pagando, prima della sentenza definitiva, l’intera somma dovuta con i relativi interessi e oneri accessori.

Chi, in altre parole, provvede a riparare le conseguenze del reato di evasione viene “premiato” con l’estinzione del reato.

La sentenza n. 40314/2016 è particolarmente importante anche perché estende l’efficacia della nuova interpretazione a tutti i processi già pendenti al 22 ottobre 2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 158/2015). Per gli Ermellini tutti i contribuenti possono fruire della norma più favorevole, introdotta a ottobre dello scorso anno, e chiedere l’assoluzione non appena versato l’intero debito IVA. Quindi, d’ora in avanti il saldo con l’Erario non sarà più solo una semplice attenuante ma offrirà una significativa ciambella di salvataggio a tutti quei manager alle prese con responsabilità penali.

Sul punto, la Terza Sezione penale ha spiegato che “Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, nondimeno va rilevato che la diversa natura giuridica e la più ampia efficacia attribuite alla fattispecie implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale. Invero, la trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto, secondo la ratio sottesa alla stessa morfologia delle circostanze del reato; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica premiale; in tal senso, dunque, la causa estintiva integra un’ipotesi di asimmetria tra la c.d. “meritevolezza di pena” (Strafwurdigkeit, nella terminologia della dottrina d’oltralpe che ha elaborato il concetto), fondante la criminalizzazione del fatto, ed il c.d. “bisogno di pena” (Strafbedurfnis), che viene meno in ragione della condotta di integrale pagamento del debito tributario, così privando di ragione l’applicazione della pena; in una declinazione costituzionale, la condotta restitutoria, dunque, assume rilievo nell’elisione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata, quanto meno sotto il profilo assiologico, alla sanzione penale dalla stessa Costituzione (art. 27 Cost., comma 3); in altri termini, la pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi, sotto il profilo teleologico, il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata.

Ebbene, la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale fatto che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato”.

Nell’affermare questo nuovo principio il Collegio di legittimità ha anche ribadito però che “ … E’ pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel reato di omesso versamento di Iva (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter) ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo. (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv. 258595; ex multis, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128)”.

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Corte di Cassazione Sentenza n. 40314 del 30/03/2016

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 24 giugno 2014 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, sostituita con la multa di Euro 4.560,00, emessa dal Gip presso il Tribunale di Milano in data 28/05/2013, in ordine al reato di omesso versamento di IVA, di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, per aver omesso, in qualità di legale rappresentante della Sofir Consortile s.r.l., di versare nel termine l’IVA dovuta per l’anno di imposta 2007, per un ammontare di Euro 394.956,00.

La sentenza di appello oggetto di impugnazione ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato, ritenendo irrilevante lo stato di illiquidità dell’imputato, ai fini dell’integrazione della dedotta scriminante, e dell’assenza di dolo; anche il piano di pagamento rateizzato non è stato ritenuto rilevante ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, bensì, trattandosi di adempimento ancora parziale, rilevante solo ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.

  1. Avverso tale provvedimento il difensore dell’imputato, Avv. Gaetano Berni, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

Deduce, invero, il vizio di violazione di legge e di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e)): lamenta che la sentenza impugnata non ha considerato l’assenza del dolo desumibile dalla circostanza che l’omesso versamento è stato determinato da una situazione di profonda crisi economica, e che, non appena rientrata un pò di liquidità, ha richiesto l’ammissione ad un piano di pagamento rateizzato; del resto, l’omissione non sarebbe dovuta ad una errata utilizzazione delle somme versate, a titolo di IVA, dal cessionario o dal committente del servizio, bensì dal ritardo dei pagamenti rispetto all’emissione delle fatture.

Con un secondo ordine di motivi, deduce il vizio di violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6: illogico sarebbe il mancato riconoscimento, in quanto l’imputato ha richiesto ed ottenuto un piano di rateizzazione per il pagamento del debito tributario, che sta onorando, in tal modo integrando una riparazione del danno.

Con memoria pervenuta il 18/01/2016 il difensore ha richiesto un rinvio dell’udienza, allegando un’attestazione di Equitalia Nord s.p.a. dalla quale si evince che il ricorrente ha versato, in ottemperanza al piano di pagamento rateale, la somma di Euro 329.463,86, a fronte di un debito complessivo di Euro 394.956,00; l’attuale formulazione dell’art. 13 (come novellato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), infatti, oltre a delineare una causa di non punibilità, e non più una mera circostanza attenuante, prevede la concessione di un termine di tre mesi, prorogabile, per l’estinzione del debito tributario.

In seguito al rinvio all’odierna udienza, con memoria pervenuta il 12/03/2016 il difensore ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, allegando un’attestazione di Equitalia Nord s.p.a. dalla quale si evince che il ricorrente ha versato, in ottemperanza al piano di pagamento rateale, la somma di Euro 394.956,00, in tal modo saldando l’intero debito fiscale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito illustrati.
  2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

E’ pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel reato di omesso versamento di Iva (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter) ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo. (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv. 258595; ex multis, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).

  1. Il secondo motivo, in ordine all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, è manifestamente infondato.

Premesso che ai reati tributari non è applicabile l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 (risarcimento del danno), trattandosi di reati che non incidono, se non indirettamente, sul patrimonio dello Stato, ma ledono il suo diritto costituzionalmente sancito alla imposizione dei tributi, alla loro riscossione e alla loro successiva distribuzione per le esigenze della collettività (Sez. 3, n. 3513 del 18/01/1994, Bignami, Rv. 197104), l’integrale pagamento dei debiti tributari rilevava, nella disciplina precedente al D.Lgs. n. 158 del 2015, quale circostanza attenuante speciale (non ad effetto speciale); in tal senso, dunque, la fattispecie attenuante prevista dal previgente D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 era speciale rispetto alla circostanza comune prevista dalla fattispecie generale di cui all’art. 62 c.p., n. 6, e, ricorrendo un’ipotesi di concorso apparente di norme, da risolvere alla stregua del consueto criterio di specialità (art. 15 cod. pen.), non era possibile l’applicazione di due circostanze attenuanti con riferimento al medesimo fatto.

Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata non ha riconosciuto entrambe le attenuanti, in considerazione del fatto che non vi era ancora stato l’integrale pagamento del debito, valorizzato, tuttavia, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.

  1. Il profilo in esame, tuttavia, risulta assorbito dalla questione proposta con i motivi aggiunti, in ragione del novum normativo.

Invero, il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 11, sostituendo il previgente D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 bis e 10 ter e art. 10 quater, comma 1, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante.

Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, nondimeno va rilevato che la diversa natura giuridica e la più ampia efficacia attribuite alla fattispecie implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale.

Invero, la trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto, secondo la ratio sottesa alla stessa morfologia delle circostanze del reato; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica premiale; in tal senso, dunque, la causa estintiva integra un’ipotesi di asimmetria tra la c.d. “meritevolezza di pena” (Strafwurdigkeit, nella terminologia della dottrina d’oltralpe che ha elaborato il concetto), fondante la criminalizzazione del fatto, ed il c.d. “bisogno di pena” (Strafbedurfnis), che viene meno in ragione della condotta di integrale pagamento del debito tributario, così privando di ragione l’applicazione della pena; in una declinazione costituzionale, la condotta restitutoria, dunque, assume rilievo nell’elisione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata, quanto meno sotto il profilo assiologico, alla sanzione penale dalla stessa Costituzione (art. 27 Cost., comma 3); in altri termini, la pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi, sotto il profilo teleologico, il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata.

Ebbene, la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale fatto che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purchè prima del giudicato.

La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario.

Nè potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo l’an, e non soltanto il quantum, della punibilità; a prescindere dall’irrilevanza della dimensione soggettiva della spontaneità, l’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una efficacia estintiva del reato, anzichè ad una efficacia soltanto attenuante; quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale.

  1. Implicando una questione di fatto, la sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, affinchè valuti se l’integrale pagamento dei debiti tributari sia stato comprensivo altresì delle sanzioni amministrative e degli interessi.

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2016

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