CASSAZIONE

Applicabilità dell’IRAP negli studi legali

Tributi – IRAP – Professionisti – Studio legale- Accertamento – Autonoma organizzazione – Presupposti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20455 del 30 luglio 2019 è tornata a occuparsi di IRAP e, in particolare, dei presupposti impositivi per quelle attività autonomamente organizzate tipiche nell’esercizio della professione legale, affermando che è tenuto a versare l’imposta l’avvocato che paga elevati compensi ai collaboratori, ha tanti clienti e sostiene ingenti spese per trasferte, indicazione che certifica che lo studio va avanti anche senza la presenza del titolare.

Del resto, è pacifico nella recente giurisprudenza della Corte ritenere che il ricorso a molte unità di personale non occasionale integra il presupposto di attività abituale autonomamente organizzata, contribuendo così ad accrescere il reddito del professionista.

In altre parole, l’IRAP colpisce la capacità produttiva del professionista solo quando è accresciuta e potenziata da un’attività autonomamente organizzata, nel cui ambito assume rilevanza anche la presenza di un solo dipendente, quale elemento potenziatore e aggiuntivo di reddito.

Per quanto riguarda il lavoro di terzi, è ormai altrettanto pacifico l’orientamento secondo cui anche il ricorso a personale per la fornitura di tutti i servizi necessari – dalla telefonia al segretariato – in forma rilevante e non occasionale integra il presupposto dell’esercizio abituale di attività autonomamente organizzata, consentendo al contribuente anche in questo caso di accrescere il proprio reddito tramite in prestazioni che non si esauriscano in attività meramente esecutive.

Del resto, nel caso esaminato l’esistenza di un adeguato e autonomo assetto organizzativo è provata proprio dalla documentata circostanza che il professionista era spesso assente dallo studio per numerosi giorni nel corso dell’anno, circostanza che ha infatti portato alla conclusione logica che la funzionalità quotidiana veniva garantita anche in assenza del titolare.

In questo caso gli Ermellini hanno valutato positivamente anche la correttezza dell’operato dell’ufficio fiscale, in quanto alla valutazione dei costi sostenuti per le trasferte gli agenti del fisco hanno abbinato altri elementi qualificanti, come l’elevato compenso corrisposto ai collaboratori, circostanza desunta da quanto riportato dallo stesso nel modello UNICO prodotto in atti, il cui contributo è apparso rilevante soprattutto nei casi di assenza del professionista, attraverso il management di numerosi clienti, con il conseguente incremento della capacità produttiva dello studio.

La questione degli studi legali assoggettati all’IRAP è  stata spesso dibattuta ma appare significativo    ricordare che in base a quanto stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera c) del D.lgs. 446/1997, gli avvocati/praticanti che svolgono attività professionale in forma autonoma o associata rientrano tra i soggetti passivi dell’Imposta regionale sulle attività produttive, istituita in quanto rientrano fra “le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto TUIR esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico”.

L’art. 3, rubricato “Soggetti passivi”, deve però essere letto in combinato con il precedente art. 2, comma 1 della norma, rubricato “Presupposto dell’imposta”, che recita: “Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta. Se dunque è vero che in linea generale l’avvocato/praticante rientra – quale persona fisica esercente in forma abituale una libera professione diretta alla produzione di servizi – fra i soggetti passivi dell’imposta, è pur vero che per l’effettivo assoggettamento all’imposta deve essere verificata, con riferimento al singolo caso, la sussistenza dell’autonoma organizzazione di tale attività, soprattutto quando la stessa è gestita, come spesso accade nei piccoli studi professionali, con un minimo apporto di beni strumentali, senza dipendenti e/o collaboratori o con un solo dipendente addetto alle attività di segreteria.

Proprio per questo, l’effettivo assoggettamento all’imposta del reddito di lavoro autonomo prodotto da un avvocato/praticante è stato oggetto di profondi dubbi, dal momento che l’attività professionale svolta in forma individuale non sembra sempre configurare “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”, presupposto impositivo dell’imposta. Dalla lettera della norma si deduce infatti che per l’applicazione dell’imposta debbono coesistere tre presupposti quali l’esercizio abituale di un’attività, la finalità dell’attività rappresentata dalla produzione di beni o prestazione di servizi e l’esistenza di un’organizzazione, per di più autonoma, che possa consentire lo svolgimento dell’attività e la produzione di ricavi, anche indipendentemente dalla presenza del titolare.

Anche la Corte Costituzionale è intervenuta in materia, per la prima volta con sentenza 21 maggio 2001, n. 156, dichiarando che l’imposta non è applicabile nei confronti dei professionisti che esercitino la propria attività in assenza di elementi di organizzazione. Successivamente, anche la Corte di Cassazione ha affermato che “l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale” (Cass., sez. trib., 8 febbraio 2007, n. 3672; Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3674).

Con numerosi interventi, (Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3678, Cass. 3672/2007, Cass. n. 5003/2007, Cass. n. 13570/2007, Cass. n. 8360/2008, Cass. n. 2715/2008) la Corte ha inoltre sostenuto che “il requisito organizzativo rilevante,il cui accertamento spetta al giudice di merito, sussiste quando il contribuente, che sia responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili alla responsabilità altrui, eserciti l’attività di lavoro autonomo con l’impiego di beni strumentali, eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività auto organizzata per il solo lavoro personale, oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui”.

Anche in questi casi dunque, la Corte ha decisamente escluso l’applicazione dell’imposta ai “piccoli professionisti” e ribadito l’assoggettamento esclusivamente per i professionisti con struttura più organizzata.

Tanto premesso, e tornando al caso di specie, un professionista impugnava una cartella di pagamento e la successiva intimazione con cui contestava, tra l’altro, la debenza dell’IRAP per mancanza di una struttura organizzativa autonoma. I giudici tributari provinciali respingevano il ricorso con pronuncia confermata anche in appello: da qui il ricorso in Cassazione.

Nel decidere la controversia con la reiezione del ricorso, i  Supremi Giudici di legittimità hanno ricordato che “ … Questa Corte (ex multis Cass. n. 3672 del 2007; Cass. n. 5003 del 2007; Cass. n. 13570 del 2007; Cass. n. 8360 del 2008; Cass. n. 2715 del 2008) ha stabilito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente è responsabile dell’organizzazione, non è inserito in strutture organizzative riferibili a responsabilità e interessi altrui, impiega beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui.

Il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla res controversa è stato recentemente composto dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 9451 del 2016, hanno statuito, con riguardo al presupposto dell’IRAP, il seguente principio di diritto: “Il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. n. 15 settembre 1997, n. 446, art. 7, il cui accertamento è rimesso al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Si è, quindi, chiarito che l’impiego non occasionale di lavoro altrui non può considerarsi di per sé integrativo del requisito dell’autonoma organizzazione, dovendosi indagare, nel singolo caso, se è presente quell’elemento in più che concretizza l’elemento organizzativo, consentendo al contribuente di accrescere il proprio reddito tramite un apporto di lavoro che non si esaurisca in attività meramente esecutive. 

Con riferimento alle denunciate violazioni degli artt. 3,23,53 Cost., si osserva quanto segue.

La Corte costituzionale ha già affermato che l’IRAP è un’imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate; ne consegue che sono infondate, con riferimento agli artt. 3,35,53 Cost., le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2,3,4,8 e 11, nella parte in cui equiparano, ai fini dell’applicazione dell’IRAP, i redditi di impresa e quelli di lavoro autonomo e nella parte in cui fissano i presupposti dell’imposta e determinano la base imponibile (C. Cost. n. 156 del 2001). La Consulta ha, inoltre, ritenuto non fondata, con riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 3 e 36, sollevata sul presupposto che tale norma parrebbe a carico solamente di alcune categorie di contribuenti il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (C. Cost. n. 156 del 2001). Anche con riferimento alla asserita violazione dell’art. 23 Cost., del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45, comma 3, la Consulta ha già chiarito l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale nella parte in cui demanda non alla legge, ma ad atti amministrativi, la misura e la determinazione dell’acconto di imposta dovuto (C. Cost. n. 156 del 2001).

L’accertamento effettuato del giudice del merito, nella specie non censurato sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente motivato. Invero, alla luce dei principi sopra espressi, la sentenza impugnata ha dato rilievo, al fine della sussistenza del presupposto impositivo alla presenza nel mod. Unico 2005 e, precisamente, nel Quadro E, di elementi che depongono per l’esistenza di un’autonoma ed adeguata organizzazione, dandosi rilievo agli importi relativi alle voci “compensi per lavoro dipendente” e “compensi a terzi”, dalla cui entità i giudici di appello hanno desunto “con certezza che il contribuente si è avvalso del lavoro altrui in modo non occasionale”.

La Corte territoriale, inoltre, ha desunto dall’importo della voce “spese per alberghi” (Euro 31.581,00) l’assenza del contribuente dalla località sede dello studio per numerosi giorni nel corso dell’anno, concludendo da tale elemento per l’esistenza di un “adeguato sistema organizzativo che abbia assicurato la funzionalità quotidiana dello studio pur in assenza del titolare”.

La Corte di merito ha, infine, evidenziato che proprio la stessa giustificazione difensiva in ordine all’elevati compensi professionali depone per l’esistenza di una autonoma organizzazione, atteso che ‘non sarebbe stato verosimilmente possibile gestire un contenzioso con un numero così elevato di persone coinvolte’. Da tali elementi, infatti, emerge chiaramente un potenziamento della capacità produttiva del contribuente (Cass. n. 9451 del 2016). Ne consegue che nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata, la quale è aderente ai principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 9451 del 2016, atteso che i giudici di appello hanno dato rilievo al fatto che il contribuente si è avvalso non occasionalmente di lavoro altrui, circostanza desunta da quanto riportato dallo stesso nel modello UNICO prodotto in atti. Per tale ragione, devono ritenersi infondate le censure espresse con riferimento al difetto di motivazione della cartella di pagamento, tenuto conto che la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente evidenziato come l’obbligo di motivazione deve considerarsi assolto con il semplice richiamo alla dichiarazione medesima, tenuto conto che il contribuente, trattandosi di procedura di controllo automatizzato e, quindi, di una mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, si è trovato già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale (Cass. n. 22402 del 2014; Cass. n. 26671 del 2009)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 30 luglio 2019, n. 20455

Sul ricorso 28899-2013 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PREFETTI 26, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE ORESTANO, rappresentato e difeso da sé medesimo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 174/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

Fatto

RITENUTO CHE:

O.S. impugnava con distinti ricorsi una cartella esattoriale e la successiva intimazione, per IRPEF, Add. Reg. IRPEF, Add. Com., IVA ed IRAP, riguardante l’anno di imposta 2004, sostenendo il vizio di motivazione degli atti impugnati, la mancata indicazione del responsabile del procedimento e, con riferimento all’IRAP, la non debenza, non essendo titolare di una struttura organizzativa autonoma.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, previa riunione, respingeva i ricorsi.

Il contribuente spiegava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con sentenza n. 174/10/2013, respingeva il gravame. O.S. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso. Il contribuente, in data 16.11.2017, ha depositato copia dell’ordinanza n. 25851 del 2016.

Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia Gerit s.p.a.) non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando violazione del diritto di difesa del contribuente, violazione dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 2 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe trattato la causa nel merito pur avendo ricevuto tempestivamente da parte del ricorrente una istanza di rinvio per gravi motivi di salute.

1.1. Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, e per difetto di specificità, atteso che il contribuente ha omesso di illustrare in ricorso sotto quale profilo l’omesso accoglimento dell’istanza di rinvio abbia arrecato pregiudizio al proprio diritto di difesa, posto che l’accoglimento della richiesta di rinvio della causa rientra nel potere discrezionale del giudicante, il quale, nel disattenderla, compie un giudizio di comparazione tra il diritto della parte ad essere difesa e l’interesse all’esercizio, celere e corretto, della funzione giurisdizionale quale servizio pubblico essenziale, ordinato a tutela del bene costituzionalmente garantito della tutela giurisdizionale dei diritti, e finalizzato alla ragionevole durata del processo.

La censura è, altresì, infondata, tenuto conto che questa Corte, con indirizzo condiviso ha chiarito che: “l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza” (Cass. n. 6723 del 2010), e non può trovare accoglimento in mancanza di questo presupposto (Cass. n. 4773 del 2012) che, nella fattispecie, non risulta essere stato neppure prospettato dal ricorrente.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, con riferimento alla pretesa impositiva avente ad oggetto l’Irap:

 a) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, nonché degli artt. 3,23,53 Cost.; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

b) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

c) violazione dei principi fondanti del “giusto processo”, in relazione all’art. 111 Cost., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il giudice di secondo grado, nell’avere ritenuto sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione con riferimento al contribuente, esercente la professione di avvocato, avrebbe palesemente violato la normativa vigente in materia e disatteso i principi affermati dal relativo orientamento giurisprudenziale sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando omessa pronuncia, e comunque, violazione e falsa applicazione, del D.M. n. 321 del 1999, art. 3, comma 2, lett. n), nonché della L. n. 241 del 1990, e S.M. I., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, nella parte in cui il giudice di secondo grado avrebbe affermato che gli atti impositivi troverebbero riscontro nella dichiarazione effettuata dal medesimo contribuente.

Il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che il procedimento sottoposto al proprio vaglio era un procedimento amministrativo e come tale doveva essere rispettoso delle prescrizioni imposte dalla L. n. 241 del 1990, nonché di quelle vigenti in materia tributaria, con conseguente sussistenza dell’obbligo di motivazione congrua e puntuale.

4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione logica, sono infondati, per le considerazioni che seguono.

Va preliminarmente precisato che l’ordinanza di questa Corte, n. 25851 del 2016, depositata dal contribuente in data 16.11.2017, non fa stato in questo giudizio che fa riferimento ad altra annualità di imposta.

4.1. Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, stabilisce che il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazioni di servizi.

Questa Corte (ex multis Cass. n. 3672 del 2007; Cass. n. 5003 del 2007; Cass. n. 13570 del 2007; Cass. n. 8360 del 2008; Cass. n. 2715 del 2008) ha stabilito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente è responsabile dell’organizzazione, non è inserito in strutture organizzative riferibili a responsabilità e interessi altrui, impiega beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui.

Il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla res controversa è stato recentemente composto dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 9451 del 2016, hanno statuito, con riguardo al presupposto dell’IRAP, il seguente principio di diritto: “Il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. n. 15 settembre 1997, n. 446, art. 7, il cui accertamento è rimesso al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Si è, quindi, chiarito che l’impiego non occasionale di lavoro altrui non può considerarsi di per sé integrativo del requisito dell’autonoma organizzazione, dovendosi indagare, nel singolo caso, se è presente quell’elemento in più che concretizza l’elemento organizzativo, consentendo al contribuente di accrescere il proprio reddito tramite un apporto di lavoro che non si esaurisca in attività meramente esecutive.

4.2. Con riferimento alle denunciate violazioni degli artt. 3,23,53 Cost., si osserva quanto segue.

La Corte costituzionale ha già affermato che l’IRAP è un’imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate; ne consegue che sono infondate, con riferimento agli artt. 3,35,53 Cost., le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2,3,4,8 e 11, nella parte in cui equiparano, ai fini dell’applicazione dell’IRAP, i redditi di impresa e quelli di lavoro autonomo e nella parte in cui fissano i presupposti dell’imposta e determinano la base imponibile (C. Cost. n. 156 del 2001). La Consulta ha, inoltre, ritenuto non fondata, con riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 3 e 36, sollevata sul presupposto che tale norma parrebbe a carico solamente di alcune categorie di contribuenti il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (C. Cost. n. 156 del 2001). Anche con riferimento alla asserita violazione dell’art. 23 Cost., del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45, comma 3, la Consulta ha già chiarito l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale nella parte in cui demanda non alla legge, ma ad atti amministrativi, la misura e la determinazione dell’acconto di imposta dovuto (C. Cost. n. 156 del 2001).

4.3. L’accertamento effettuato del giudice del merito, nella specie non censurato sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente motivato.

Invero, alla luce dei principi sopra espressi, la sentenza impugnata ha dato rilievo, al fine della sussistenza del presupposto impositivo alla presenza nel mod. Unico 2005 e, precisamente, nel Quadro E, di elementi che depongono per l’esistenza di un’autonoma ed adeguata organizzazione, dandosi rilievo agli importi relativi alle voci “compensi per lavoro dipendente” e “compensi a terzi”, dalla cui entità i giudici di appello hanno desunto “con certezza che il contribuente si è avvalso del lavoro altrui in modo non occasionale”. La Corte territoriale, inoltre, ha desunto dall’importo della voce “spese per alberghi” (Euro 31.581,00) l’assenza del contribuente dalla località sede dello studio per numerosi giorni nel corso dell’anno, concludendo da tale elemento per l’esistenza di un “adeguato sistema organizzativo che abbia assicurato la funzionalità quotidiana dello studio pur in assenza del titolare”.

La Corte di merito ha, infine, evidenziato che proprio la stessa giustificazione difensiva in ordine all’elevati compensi professionali depone per l’esistenza di una autonoma organizzazione, atteso che “non sarebbe stato verosimilmente possibile gestire un contenzioso con un numero così elevato di persone coinvolte”.

Da tali elementi, infatti, emerge chiaramente un potenziamento della capacità produttiva del contribuente (Cass. n. 9451 del 2016).

5. Ne consegue che nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata, la quale è aderente ai principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 9451 del 2016, atteso che i giudici di appello hanno dato rilievo al fatto che il contribuente si è avvalso non occasionalmente di lavoro altrui, circostanza desunta da quanto riportato dallo stesso nel modello UNICO prodotto in atti.

Per tale ragione, devono ritenersi infondate le censure espresse con riferimento al difetto di motivazione della cartella di pagamento, tenuto conto che la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente evidenziato come l’obbligo di motivazione deve considerarsi assolto con il semplice richiamo alla dichiarazione medesima, tenuto conto che il contribuente, trattandosi di procedura di controllo automatizzato e, quindi, di una mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, si è trovato già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale (Cass. n. 22402 del 2014; Cass. n. 26671 del 2009).

Va, infine, precisato che non è rilevante ai fini della presente decisione l’ordinanza di questa Corte n. 25851 del 2016, trattandosi di fattispecie differente, riferita ad altra annualità di imposta, atteso che la sentenza che risolva una situazione fattuale in uno specifico periodo di imposta non può estendere i suoi effetti automaticamente ad altro, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni (Cass. 22941 del 2013; Cass. n. 1837 del 2014).

6. In definitiva il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite a favore della parte costituita, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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