CASSAZIONE SENTENZE

Anche il nuovo liquidatore della società può essere condannato per bancarotta semplice documentale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39009 del 27 agosto 2018 in merito alle conseguenze penali dell’irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie, ha stabilito che anche l’amministratore appena eletto di una società poi fallita deve quantomeno tentare di ricostruire la documentazione contabile societaria non tenuta nei precedenti tre anni, altrimenti risponde del reato di bancarotta in merito alla mancata tenuta della contabilità (e del fallimento) precedente alla sua nomina. Sull’amministratore grava, infatti, un generale dovere di vigilanza.

Anche l’art. 217 della legge fallimentare è applicabile pure al liquidatore della società che abbia omesso la tenuta dei libri e delle scritture contabili obbligatorie, oppure abbia provveduto in maniera irregolare o incompleta alla tenuta delle stesse ed è passibile del reato di bancarotta semplice documentale se omette di depositare la contabilità relativa agli anni precedenti, anche se l’azienda fallita ne era sprovvista.

Anche sul liquidatore, infatti, grava il dovere di attivarsi per ricostruire i conti dell’azienda e ridurre le conseguenze pregiudizievoli per i creditori pur se in carica per un periodo breve.

Il caso di specie vedeva il liquidatore di una S.r.l. fallita che era stato condannato per il reato di bancarotta semplice documentale (ex art. 217, comma 2, L. fall.), per aver omesso la tenuta dei libri contabili obbligatori e dei bilanci, unitamente all’amministratore unico della società, nei tre anni antecedenti il fallimento.

Il liquidatore impugnava la sentenza e, dopo il rigetto in appello, proponeva ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di merito avrebbero errato nell’addebitargli la condotta colposa, trascurando di considerare che la sua nomina ad amministratore era avvenuta solo 27 giorni prima della data di fallimento: uno spazio di tempo molto limitato, a fronte di un’omissione della tenuta dei libri contabili protrattasi per tre anni.

I Giudici di legittimità hanno però rigettato il ricorso ricordando preliminarmente che sul liquidatore, come sull’amministratore, in posizione assolutamente parificata, gravano una posizione di garanzia e il dovere di vigilanza.

La responsabilità del liquidatore, infatti, discende non solo dall’art. 223 lL fall., ma anche dall’art. 2489 c.c. che, rinviando alle norme sulla responsabilità degli amministratori, fissa un principio di ordine generale in base al quale l’amministratore – e dunque anche il liquidatore – devono “vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose”.

In base a questi principi i Supremi Giudici di legittimità, rilevando che sul liquidatore, come sull’amministratore gravano una posizione di garanzia e il dovere di vigilanza e controllo, seppur in carica per poco tempo, lo stesso avrebbe dovuto ricevere le scritture contabili della società e, una volta constatata la loro inesistenza, avrebbe dovuto attivarsi per ridurre le conseguenze negative dell’omissione, concludono affermando che: “… Invero, più volte questa Corte ha affermato il principio per cui in tema di bancarotta semplice documentale, punibile anche a titolo di colpa, la responsabilità per la irregolare tenuta delle scritture sociali non può essere esclusa deducendo incompetenza tecnica, posto che coloro che svolgono professionalmente una determinata attività hanno l’obbligo di conoscenza delle norme che la disciplinano e rispondono dell’illecito anche in virtù della colpa lieve. In particolare, per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, quale il liquidatore di una società, l’obbligo di conoscenza delle norme che disciplinano quella specifica attività è particolarmente rigoroso, cosicché essi rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento della indagine giuridica (Sez. U, 10 giugno 1994, n. 8154, Rv. 197885). Coloro che svolgono un ruolo “rappresentativo” nell’attività di impresa devono poter vantare un minimo di professionalità che richiede la conoscenza delle norme che disciplinano l’attività delle società commerciali. Nel caso de qua A. svolgeva professionalmente l’attività di liquidatore e, quindi, aveva il dovere non solo di conoscere i compiti ed i doveri imposti a tale figura, ma di onorare tali doveri ed imporre il rispetto delle norme. A conferma di ciò, la citata giurisprudenza formatasi in relazione all’articolo 217 L.F. ha chiarito che ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta semplice la colpa vada ravvisata nella violazione del dovere di diligenza e, pertanto, non può trovare alcuna giustificazione la condotta omissiva posta in essere dall’A”.

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 27 agosto 2018, n. 39009

 Sul ricorso proposto da: A. C. nato a RIVOLTA D’ADDA il 25/01/1953 avverso la sentenza del 31/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Presidente ROSA PEZZULLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA FRANCESCA LOY che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità

udito il difensore che chiede l’accoglimento del ricorso

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 31 maggio 2017, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale del 5 aprile 2016, disponeva la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna per M.L., confermando nel resto la sentenza impugnata anche nei confronti di A.C..

1.2. I giudici di merito avevano condannato i predetti alla pena di mesi 8 di reclusione in ordine ai reati di bancarotta semplice documentale ex art. 217/2 L. Fall. (originariamente qualificato come bancarotta fraudolenta), per aver omesso la tenuta dei libri contabili obbligatori e dei bilanci sin dal 2008, ad eccezione di alcuni registri, consegnati al curatore – la prima, in qualità di amministratore unico fino al 4 novembre 2011, il secondo, in qualità di liquidatore, dalla medesima data, della società M. N. s.r.l., dichiarata fallita in data 1 dicembre 2011.

  1. Avverso la predetta sentenza, per tramite del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione A.C., affidato ad un unico motivo di ricorso, con il quale lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 43 c.p., in relazione all’art. 217 L. fall., nonché l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato ed il vizio di motivazione sul punto; invero, i giudici di merito non hanno identificato precipuamente la condotta colposa ascritta all’A., che risulta esser stato nominato amministratore solo 27 giorni prima della data di fallimento e che non avrebbe potuto ricostruire una contabilità non tenuta sin dal 2008, in liquidazione dal 2009; da tale data, infatti, sino al fallimento la società non risultava avere posizioni debitorie con dipendenti e banche, non aveva più redatto bilanci e non teneva la contabilità fiscale obbligatoria; in tale contesto non risulta, dunque, identificato il rimprovero contestato ad un liquidatore, nominato poco prima del fallimento, a fronte di un’omissione durata 3 anni, né risulta enunciato il profilo colposo della condotta; l’unica condotta imputabile all’A. sarebbe, al più, quella di non essersi attivato per la ricerca della documentazione contabile inesistente, ma un siffatto comportamento costituirebbe una colpa lieve/lievissima e, quindi, non rilevante ai fini della bancarotta semplice.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

Invero, la sentenza impugnata non incorre in alcuna violazione di legge, né in vizio di motivazione, in quanto i giudici di merito, con argomenti giuridicamente corretti e con motivazione immune da censure, hanno dato conto degli elementi di responsabilità a carico del liquidatore, della condotta colposa omissiva dello stesso, nonché della rilevanza di essa ai fini dell’integrazione del reato di bancarotta semplice di tale condotta.

  1. Va innanzitutto evidenziato che all’imputato, nella qualità di liquidatore della s.r.l. M.N., dichiarata fallita in data 1 dicembre 2011; risulta addebitata la condotta di cui all’art. 217/2 L. Fall. (a seguito della riqualificazione della fattispecie più grave originariamente a lui ascritta di cui all’art. 216 – 223 L. Fall.), per non avere tenuto, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge, ovvero per averli tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Al liquidatore della società che ha commesso uno dei fatti previsti dall’art. 217 L. Fall. si applicano- secondo il testuale disposto dell’art. 224 L. Fall.- le pene stabilite nel suddetto art. 217 L. fall., reato proprio, che, per quanto concerne le società di capitali regolarmente costituite (la fallita è una s.r.l.) può essere commesso solo da una delle categorie di soggetti indicati dalla norma, e segnatamente dagli amministratori (anche soltanto di fatto), dai direttori generali, dai sindaci e appunto dai liquidatori.

  1. Più volte questa Corte ha evidenziato come la posizione dell’amministratore sia assolutamente parificata dall’art. 224 L. fall. a quella del liquidatore che ne prosegue l’attività, sebbene ai limitati fini della liquidazione del patrimonio sociale, considerata, peraltro, la sovrapponibilità dei diritti e doveri gravanti su entrambi (arg. ex Cass. 5 dicembre 1996, n. 894, Rv. 206910; Sez. 5, n. 8260 del 08/11/2007, Rv. 241749; Sez. 5, 14 giugno 2011, n. 36435).
  2. Invero sul liquidatore, come sull’amministratore, gravano una posizione di garanzia ed il dovere di vigilanza.

Quest’ultimo discende dal corollario secondo il quale la responsabilità del liquidatore non è disciplinata unicamente dall’art. 223 L.F., ma anche dall’art. 2489 c.c., che rinvia appunto alle norme in tema di responsabilità degli amministratori e, quindi, anche all’art. 2932 c.c., che fissa un principio di ordine generale – per il quale l’amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose – di guisa che sussiste anche per i liquidatori una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato, con conseguente ineludibile responsabilità, ex art. 40 cpv. cod. pen., ove i detti obblighi siano disattesi (Sez. 5, n. 36435 del 14/06/2011, Rv. 250939).

In particolare, anche il liquidatore deve controllare tutta l’attività svolta entro l’impresa fallita e riveste una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato (l’impresa, i soci, i creditori e i terzi) (arg. ex Cass., 14 giugno 2011, n. 36435, Rv. 250939), sicché il liquidatore (come l’amministratore) è penalmente responsabile anche delle condotte di tutti coloro che abbiano agito – in via di diritto o di fatto – per conto di un ente successivamente fallito in tutti i casi nei quali, pur essendone inconsapevole, non abbia fatto tutto quanto in sua possibilità per attuare una efficace vigilanza ed un rigoroso controllo, ovvero non si sia dato un’organizzazione idonea non soltanto al raggiungimento degli scopi sociali, ma anche ad impedire che vengano posti in essere atti pregiudizievoli nei confronti dei soci, dei creditori e dei terzi (Sez. 5, n. 8260 dell’08/11/2007).

4.1. Stante l’assoluta omogeneità dei compiti, dei ruoli e delle responsabilità di amministratori e liquidatori, anche a questi ultimi si applica anche l’art. 2487 bis, comma terzo, c.c., attinente alle scritture contabili.

Tali soggetti hanno, quindi, l’obbligo di ricevere in consegna i libri sociali e, pertanto, risulta priva di fondamento la prospettazione difensiva di una assenza di responsabilità del liquidatore che non riceve i libri contabili e che omette ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta, come verificatosi nel caso de qua (Sez. 5, n. 36345 del 14/06/2011, Rv. 250939).

  1. Alla stregua degli enunciati principi l’A., dunque, aveva l’obbligo di ricevere le scritture contabili della società e, constatata la loro effettiva inesistenza o non recuperabilità, avrebbe dovuto efficacemente attivarsi per ridurre le conseguenze negative derivanti dall’accertata omissione. Difatti, a fronte della mancata tenuta della contabilità per 3 anni (ad eccezione di qualche registro consegnato al curatore), l’imputato non ha affatto provveduto alla sua ricostruzione, né ha tentato di minimizzarne gli effetti pregiudizievoli per i creditori sociali, consistenti nell’impossibilità di definire il volume di affari della società, nonché di redigere il bilancio.
  2. peraltro, il reato di bancarotta semplice documentale non richiede ai fini della sua sussistenza anche un effettivo danno ai creditori. Sul punto, è sufficiente richiamare i principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui il delitto di bancarotta semplice (art. 217 L. fall.) è reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare la sussistenza di ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. Pertanto, la fattispecie incriminatrice – consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 cod. civ.) – integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori.

L’obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l’azienda non abbia formalmente cessato l’attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011 Rv. 250407).

L’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale è rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell’art. 2214 cod. civ.

6.1. Alla stregua dei predetti principi deriva che l’omessa tenuta delle scritture contabili, una volta che sia intervenuta la sentenza dichiarativa del fallimento, è penalmente sanzionata per la mera possibilità di lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, sicché risulta, totalmente irrilevante che si sia verificato un effettivo pregiudizio economico per i creditori in conseguenza di tale omissione.

Invero, l’A., non avendo nemmeno tentato di ricostruire la documentazione contabile societaria, nel lasso temporale di riferimento – non brevissimo, trattandosi comunque di circa un mese – ha impedito ai soci e ai creditori sociali (oltre che al curatore fallimentare) di poter anche solo avere consapevolezza della consistenza patrimoniale sociale e del giro di affari, realizzando così, la condotta omissiva necessaria ai fini della configurazione della bancarotta semplice documentale.

  1. Da ultimo, in relazione all’elemento soggettivo, occorre premettere che la bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell’art. 42 cod. pen. che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di “previsione espressa” non equivale a quella di “previsione esplicita” e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009). Pertanto, l’elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011).

A tal ultimo proposito la colpa rilevante per integrare la fattispecie, può essere intesa come violazione del dovere di diligenza cui è tenuto, per gli aspetti organizzativi di natura sia tecnica che amministrativa, colui che pretende di esercitare professionalmente un’attività di impresa, o ad essa equiparabile come l’attività di liquidazione (Cass., 8 novembre 1985, n. 11784, Rv. 171297). La condotta omissiva dell’A. risulta, quindi, perfettamente inquadrabile in tale ricostruzione, posto che l’omesso deposito della contabilità sociale (pur se non tenuta nei precedenti tre anni dalla sua nomina)- e, comunque, la mancata attivazione per la sua ricostruzione- integra la violazione del dovere di diligenza su di lui incombente e, pertanto, l’elemento soggettivo della colpa, richiesto ai fini della configurabilità della bancarotta semplice.

7.1. La tesi della configurabilità nella fattispecie della colpa lieve/lievissima del liquidatore e della sua irrilevanza penale non può essere condivisa. Invero, più volte questa Corte ha affermato il principio per cui in tema di bancarotta semplice documentale, punibile anche a titolo di colpa, la responsabilità per la irregolare tenuta delle scritture sociali non può essere esclusa deducendo incompetenza tecnica, posto che coloro che svolgono professionalmente una determinata attività hanno l’obbligo di conoscenza delle norme che la disciplinano e rispondono dell’illecito anche in virtù della colpa lieve. In particolare, per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, quale il liquidatore di una società, l’obbligo di conoscenza delle norme che disciplinano quella specifica attività è particolarmente rigoroso, cosicché essi rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento della indagine giuridica (Sez. U, 10 giugno 1994, n. 8154, Rv. 197885). Coloro che svolgono un ruolo “rappresentativo” nell’attività di impresa devono poter vantare un minimo di professionalità che richiede la conoscenza delle norme che disciplinano l’attività delle società commerciali.

Nel caso de qua A. svolgeva professionalmente l’attività di liquidatore e, quindi, aveva il dovere non solo di conoscere i compiti ed i doveri imposti a tale figura, ma di onorare tali doveri ed imporre il rispetto delle norme. A conferma di ciò, la citata giurisprudenza formatasi in relazione all’articolo 217 L.F. ha chiarito che ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta semplice la colpa vada ravvisata nella violazione del dovere di diligenza e, pertanto, non può trovare alcuna giustificazione la condotta omissiva posta in essere dall’A.

  1. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e l’imputato va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente, al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

 

 

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