CASSAZIONE FISCALITA SANZIONI

Agevolazioni prima casa ed immobili di lusso: quando scatta la revoca

Tributi – Agevolazioni prima casa – Revoca – Immobile di lusso – Calcolo della superficie rilevante – Accertamento – Caratteristiche

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7769 del 9 aprile 2020, intervenendo sulla disciplina del beneficio fiscale sull’acquisto della prima casa, ha stabilito che ai fini fiscali devono essere considerate abitazioni di lusso, ai sensi dell’art. 6 del DM 2 agosto 1969, tutti gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a nulla rilevando che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o di singole unità abitative.

In buona sostanza la norma, vista la sua natura agevolativa, non è suscettibile di interpretazioni che ne possano ampliare la sfera applicativa; ne consegue che la stessa va limitata a quanto rappresentato dal DPR n. 131 del 1986, tariffa I, art. 1, nota II bis, ove l’invocato beneficio fiscale è connesso all’acquisto di case di abitazione prive delle caratteristiche di lusso, indicate dal DM 2 agosto 1969.

Rammentiamo che secondo l’art. 6 del citato DM costituiscono abitazioni di lusso, tra altre tipologie, quelle unità immobiliari “aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”. Inoltre ricordiamo, come ha chiarito la circolare 12 agosto 2005, n. 38 dell’Agenzia delle Entrate, che gli articoli da 1 a 7 del DM 2 agosto 1969 individuano le singole caratteristiche in presenza di ciascuna delle quali l’abitazione è considerata di lusso.

Pertanto, la condizione necessaria ai fini della fruizione dell’agevolazione è che la casa d’abitazione non sia di lusso. Ebbene, le caratteristiche che consentono la qualificazione “di lusso” sono:

  1. le abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a ville, parco privato ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come “di lusso” (art. 1);
  2. le abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati o approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3.000 metri quadri, escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali (art. 2);
  1. le abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2.000 metri cubi e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 mc. v.p.p. per ogni 100 metri quadri di superficie asservita ai fabbricati (art. 3);
  2. le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq (art. 4);
  3. le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta (art. 5);
  4. le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) (art. 6);
  5. le abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all’edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione (art. 7);
  6. anche se un’abitazione non ha almeno una delle caratteristiche di cui agli articoli da 1 a 7 del DM 2 agosto 1969 appena esposti, è considerata di lusso se presenta oltre 4 caratteristiche tra quelle riportate nella tabella allegata allo stesso decreto (art. 8).

E’ sufficiente, dunque, il possesso di almeno una delle caratteristiche descritte perché un immobile possa essere considerato di lusso.
La Circolare di cui sopra, inoltre, chiarisce che “l’articolo 8 è residuale, cioè se il fabbricato non ricade in alcune delle previsioni dei primi sette articoli, può ugualmente essere considerato di lusso qualora concorrano più di quattro delle caratteristiche elencate nella tabella allegata”.

Per quanto concerne la superficie, l’art. 6 del DM 2 agosto 1969 stabilisce che le abitazioni di lusso, ovvero le “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)” sono escluse dal beneficio fiscale di cui all’articolo 1 della Tariffa, Parte I del DPR n. 131/1986.

Le interferenze della disciplina urbanistica sulla circolazione giuridica dei beni immobili rappresentano un tema ampiamente visitato dalla dottrina e sono oggetto di una cospicua produzione giurisprudenziale, anche di legittimità.
Soffermandoci brevemente su quest’ultima è possibile notare quali siano i punti salienti che hanno determinato l’interpretazione maggioritaria della S.C. sull’argomento, ricordando per esempio che nella sentenza del 18 settembre 2013, n. 21287, gli Ermellini affermano che nel calcolare la superficie di un immobile che supera i 240 mq si conta anche la superficie non calpestabile: “… L’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 qualifica, per contro, abitazioni di lusso – escluse dal beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis-, le unità immobiliari “aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”, e tale norma va interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i predetti ambienti e non l’intera superficie non calpestabile, come postula la ricorrente”.

Al riguardo si evidenzia che anche nella sentenza n. 17439 del 17 luglio 2013 la Corte di Cassazione aveva affermato i seguenti due principi in materia: “La disposizione riconnette, dunque, al dato quantitativo della superficie dell’immobile la caratteristica di immobile di lusso, escludendo dal computo, solo, i predetti ambienti: questa Corte ha, condivisibilmente, affermato (cfr. Cass. n. 10807 del 2012, n. 22279 del 2011) che: a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal D.M. 2 agosto 1969; b) non è possibile alcuna interpretazione che ne amplii la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (cfr. Cass. n. 10807 del 2012)”.

Sulla irrilevanza della inabitabilità dei locali di un immobile si è pronunciata anche la Cassazione 24 maggio 2013, n. 12942, secondo cui “Nel computo della superficie utile deve essere considerato anche il piano seminterrato che sia qualificato inabitabile dalla normativa di settore”.
Del pari, secondo la Cassazione n. 23591 del 20 dicembre 2012, il requisito dell’abitabilità resta estraneo al rapporto tributario mentre rileva, ai fini dei requisiti delle abitazioni di lusso, la superficie utile richiamata dalla norma, che è quella dell’intero complesso costruttivo con esclusione solo di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti auto.

Di uguale tenore è, infine, la Cassazione 28 giugno 2012, n. 10807, secondo cui deve computarsi nella superficie utile “il ‘piano terra’ costituito da ‘più vani’ adibiti a ‘sale hobby’, quindi funzionalmente dichiarate come destinate all’espletamento di attività significative di funzionalità proprie degli esseri umani che ivi trovano ‘alloggio’, anche se la loro altezza sia inferiore a quella prevista dal regolamento comunale per i piani destinati ad uso abitazione”.

Con la sentenza n. 22945 del 9 ottobre 2013, la Cassazione chiarisce che la norma non lascia spazio a dubbi: “la superficie utile dell’immobile va computata sottraendo dall’estensione globale indicata nell’atto di acquisto, sottoposto all’imposta, gli ambienti espressamente esclusi (balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine)”.

Pertanto, ciò che non fa parte dall’elenco ex art 6 del DM 2 agosto 1969 non può essere escluso dal conteggio della superficie dell’immobile.
Viene evidenziato anche che l’ufficio delle Entrate competente per territorio può esercitare l’azione di controllo e verifica sulla sussistenza dei requisiti prima casa entro il termine massimo di tre anni dalla data dell’atto di acquisto, per le false dichiarazioni rilasciate sul possesso dei requisiti.

Inoltre, secondo la Cassazione (ordinanza n. 17470 del 28 giugno 2019), l’art. 6, DM 2 agosto 1969 include, tra altri tipi di abitazioni di lusso, “le unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine), riconnettendo la caratteristica di immobile di lusso al dato quantitativo della superficie dell’immobile con esclusione solo dei predetti ambienti. Pertanto, nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso, si deve computare quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità, da intendersi come conformità alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità – oggi agibilità – ai sensi dell’art. 24, DPR 6 giugno 2001, n. 380” (cfr. Cass. n. 22279 del 2011 e n.26801/2017).

Da ultimo, per completezza, si ricorda che l’ordinanza n. 2633, depositata il 5 febbraio 2020, ha precisato che nella vendita dell’immobile la responsabilità solidale tra tutte le parti contrattuali per l’imposta di registro, in caso di revoca dei benefici prima casa, venga meno esclusivamente se la revoca dipende da un comportamento del solo acquirente.: al contrario, se la stessa deriva da elementi oggettivi come la sussistenza delle caratteristiche di immobile di lusso, anche la parte venditrice risponde dell’imposta.

Tanto premesso, e tornando al caso in dibattimento, l’ufficio revocava ai contribuenti le agevolazioni fiscali prima casa in ragione della natura di lusso del bene, avendo riscontrato che per la compravendita non erano sussistenti i requisiti per beneficiare delle agevolazioni prima casa: nello specifico trattavasi di immobile di lusso, avendo una superficie superiore ai 240 mq.

I contribuenti proponevano ricorso, però respinto dalla CTP con decisione confermata anche in appello. Di qui adivano in Cassazione indicando quale motivo di doglianza essenzialmente che la CTR aveva “… obliterato il mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario”.

Ciò non ha convinto la Suprema Corte, che al riguardo ha ricordato che “… Nel merito, in via preliminare, deve osservarsi che, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, la CTR ha correttamente fatto applicazione dei criteri di cui al d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, al fine di stabilire se l’abitazione oggetto di compravendita era di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo all’uopo rilievo il fatto che la compravendita oggetto di accertamento era avvenuta il 29 maggio 2006. In particolare, l’art. 6 del d. m. 2 agosto 1969 indica quale abitazione

di lusso «le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)». L’art. 40 del d.p.r. n. 1142 del 1949 rubricato (Unità immobiliare urbana) prevede, poi, che «si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente». Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate si evince che ai fini tributari rileva l’unità immobiliare, avendo questa Corte, secondo un principio pienamente condiviso dal Collegio, affermato che «Ai fini fiscali devono essere considerate abitazioni di lusso, ai sensi dell’art.6 del d.m. 2 agosto 1969, tutti gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a nulla rilevando che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o di singole unità abitative» (Cass. n. 23591 del 2012). Alla luce di quanto sopra è evidente l’errore interpretativo da cui muove la censura proposta dai contribuenti, parte venditrice, ciascuno per i propri diritti, dell’unico immobile oggetto dell’avviso di accertamento, laddove essi, confondono il concetto di unità immobiliare, rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione richiesta, e quello di unità abitativa. Nel caso di specie, infatti, non vi è dubbio che si è in presenza di un’unica unità immobiliare che per come indicato dallo stesso atto di compravendita oggetto di accertamento, riportato nel ricorso, che risulta contraddistinta da «una porzione immobiliare (…) costituita da un fabbricato per due unità abitative sviluppatesi ai piani terra e primo per complessivi vani 14,5 catastali (…)» rispetto alla quale è irrilevante, ai fini del giudizio, la circostanza che essa sia costituita da due unità abitative. Sul punto la CTR ha, poi, evidenziato che «l’immobile ha una superficie superiore a 240 mq, come risulta dai dati catastali; è ubicato in zona caratterizzata da abitazione in ville; consta di 19,5 vani». Va, infine, osservato che del tutto infondata è la censura relativa ad un presunto vizio motivazionale dell’avviso impugnato. Nello stesso ricorso, infatti, si dà conto che l’avviso indicava che la pretesa era dovuta al fatto che l’immobile «è da considerarsi di lusso, (…) ai sensi della normativa prevista dal d.m. 2.8.69 per effetto di quanto disposto dall’art. 6, che comprende le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale ed il posto auto», per come indicato dalla nota dell’Agenzia del Territorio del 28/11/2008 allegata. Tale indicazione soddisfa pienamente l’obbligo motivazionale invocato dai contribuenti”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 9 aprile 2020, n. 7769

sul ricorso iscritto al n. 19620/2015 proposto da:
N. R., A. T. e M. T., rappresentati e difesi dall’avv. Armando Fergola ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, Via G. Nicotera n. 29;
– ricorrente –
Contro AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliata;
– resistente-
avverso la sentenza n. 574/22/2015 della Commissione tributaria Regionale del Lazio, sezione di Roma, depositata il 3/2/2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2020 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe; Ritenuto che
1. Con avviso di rettifica e liquidazione di imposta l’Agenzia dell’entrate revocava ai contribuenti, parte venditrice di una porzione immobiliare sita nel Comune di Grottaferrata, le agevolazioni fiscali prima casa in ragione della natura di lusso del bene e, in particolare, del fatto che sulla base di una relazione dell’Agenzia del Territorio si era accertato che esso aveva una superficie superiore ai 240 mq., indicata dall’art. 6 del dm. 2.6.1969 quale limite per godere delle agevolazioni richieste.
2. Avverso tale avviso i contribuenti proponevano ricorso deducendo la carenza di motivazione dell’avviso e la insussistenza del superamento dei limiti di superficie sopra indicati.
3. La CTR, con sentenza n. 574/22/15 depositata il 3/2/2015, confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, rigettava il ricorso introduttivo dei contribuenti
4. Avverso tale sentenza N.R., A.T. e M.T. propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. 5. L’Agenzia dell’entrate non si è costituita nei termini di legge.
Considerato che
1. I ricorrenti con un unico articolato motivo censurano la sentenza emessa dalla CTR per violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.p.r. n. 131 del 1986, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 6 del d.m. 2 agosto del 1969, e delle norme poste a presidio dell’onere di motivazione degli atti amministrativi e, in particolare, con riferimento alla eccepita cessione di due distinte unità abitative.
I ricorrenti, quanto alla prima parte della censura, lamentano che la CTR ha «obliterato il mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario» non potendosi esso ritenersi assolto con il mero richiamo contenuto nell’avviso impugnato del parere dell’Agenzia del territorio il quale non assurge ad elemento di prova idoneo a fondare la valutazione di lusso dell’immobile oggetto di compravendita.
II richiamo al suindicato parere oltre a comportare l’omessa prova da parte dell’Ufficio in ordine alla pretesa avanzata costituisce, a parere dei ricorrenti, anche un vizio di motivazione dell’atto impugnato, con conseguente violazione del loro diritto di difesa.

Quanto alla seconda parte della censura, viene eccepita l’omessa pronuncia afferente alla contestata natura unitaria dell’immobile oggetto di cessione dovendosi, al contrario, questo considerare composto da due unità abitative e, quindi, aventi i requisiti per godere delle agevolazioni richieste.
A sostegno di tale assunto i contribuenti rilevavano che dal certificato catastale e dall’attivazione di due diverse utenze domestiche di luce e gas risultava evidente la suindicata autonomia.

2. La censura è in parte inammissibile e in parte infondata
Deve dichiararsi l’inammissibilità della censura proposta, ex art 360, comma 1, n. 5 c.p.c., relativamente «all’errore di motivazione della sentenza impugnata la quale ha del tutto obliterato il mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario», avendo la CTR sul punto ritenuto l’avviso legittimo in quanto basato «sulla perizia di stima redatta dal Settore Servizi Tecnici».
Con tale censura, infatti, i contribuenti sostanzialmente richiedono al Collegio una nuova valutazione del compendio probatorio posto a fondamento della decisione impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto assolto l’onere probatorio in esame con il parere espresso dall’Agenzia del territorio.
Tale censura è inammissibile in quanto per effetto del novellato art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. l’impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione è ora limitata alla sola ipotesi di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
Pertanto laddove, come nel caso di specie, non è oggetto di contestazione la inesistenza del requisito motivazionale della sentenza impugnata, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un «fatto storico» controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia «decisivo» ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (SSUU 8053/14).
Nel merito, in via preliminare, deve osservarsi che, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, la CTR ha correttamente fatto applicazione dei criteri di cui al d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, al fine di stabilire se l’abitazione oggetto di compravendita era di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo all’uopo rilievo il fatto che la compravendita oggetto di accertamento era avvenuta il 29 maggio 2006.
In particolare, l’art. 6 del d. m. 2 agosto 1969 indica quale abitazione di lusso «le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)». L’art. 40 del d.p.r. n. 1142 del 1949 rubricato (Unità immobiliare urbana) prevede, poi, che «si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente».
Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate si evince che ai fini tributari rileva l’unità immobiliare, avendo questa Corte, secondo un principio pienamente condiviso dal Collegio, affermato che «Ai fini fiscali devono essere considerate abitazioni di lusso, ai sensi dell’art.6 del d.m. 2 agosto 1969, tutti gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a nulla rilevando che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o di singole unità abitative» (Cass. n. 23591 del 2012). Alla luce di quanto sopra è evidente l’errore interpretativo da cui muove la censura proposta dai contribuenti, parte venditrice, ciascuno per i propri diritti, dell’unico immobile oggetto dell’avviso di accertamento, laddove essi, confondono il concetto di unità immobiliare, rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione richiesta, e quello di unità abitativa.
Nel caso di specie, infatti, non vi è dubbio che si è in presenza di un’unica unità immobiliare che per come indicato dallo stesso atto di compravendita oggetto di accertamento, riportato nel ricorso, che risulta contraddistinta da «una porzione immobiliare (…) costituita da un fabbricato per due unità abitative sviluppatesi ai piani terra e primo per complessivi vani 14,5 catastali (…)» rispetto alla quale è irrilevante, ai fini del giudizio, la circostanza che essa sia costituita da due unità abitative.
Sul punto la CTR ha, poi, evidenziato che «l’immobile ha una superficie superiore a 240 mq, come risulta dai dati catastali; è ubicato in zona caratterizzata da abitazione in ville; consta di 19,5 vani».
Va, infine, osservato che del tutto infondata è la censura relativa ad un presunto vizio motivazionale dell’avviso impugnato. Nello stesso ricorso, infatti, si dà conto che l’avviso indicava che la pretesa era dovuta al fatto che l’immobile «è da considerarsi di lusso, (…) ai sensi della normativa prevista dal d.m.

2.8.69 per effetto di quanto disposto dall’art. 6, che comprende le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale ed il posto auto», per come indicato dalla nota dell’Agenzia del Territorio del 28/11/2008 allegata.
Tale indicazione soddisfa pienamente l’obbligo motivazionale invocato dai contribuenti.

5. Nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 22.01.2020

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