CASSAZIONE

Accertamento induttivo: i costi presunti sono determinabili anche con la perizia stragiudiziale

Tributi – Redditi d’impresa – IVA e Irap – Dichiarazioni – Contenzioso – Accertamento induttivo puro – Art. 39, 2 c. DPR n. 600/1973 – Compravendita di beni immobili effettuata su beni propri – Maggior reddito d’impresa – Capacità contributiva – Perizia stragiudiziale – Libero apprezzamento del giudice – Obbligo di motivazione delle ragioni per le quali la si ritiene corretta e convincente

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5177 del 17 febbraio 2022 è nuovamente intervenuta sul tema dell’accertamento c.d. “puro” e della ricostruzione del reddito del contribuente, ritenendo che la perizia stragiudiziale di parte, con cui vengono delineati i costi dell’attività di impresa, va considerata dai giudici per la valutazione degli importi contestati, offrendo al contempo il principio di diritto secondo cui “… In tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto”.

Da segnalare che l’odierna ordinanza segue di pochissimo la pronunzia gemella, la n. 5018/2022, di pari argomento e con gli stessi attori, e a cui, per completezza d’informazione, rimandiamo la lettura sulle pagine della sezione News del corrente mese. Comunque, vogliamo anticipare che in questa pronunzia la Corte ha ritenuto che la CTR in buona sostanza avesse fornito la spiegazione debita, avendo chiarito che la perizia stragiudiziale conteneva una ricostruzione dei costi dell’operazione compiuta dal contribuente operata con l’analisi dettagliata dei costi delle operazioni compiute, valutando immotivati i tutti i rilievi delle parti aventi a oggetto proprio l’apprezzamento dell’allegata perizia.

Anche se è ormai pacifico che in tema di accertamento induttivo cd. puro l’Amministrazione finanziaria è tenuta a ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero, in difetto, si deve evitare di procedere, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, sottoponendo a tassazione il profitto lordo anziché quello netto.

Lo sguardo alla recente giurisprudenza ci offre un convincente orientamento, per cui appare opportuno far riferimento, fra le molte, all’ordinanza n. 31600/2019 che aveva offerto alcuni  chiarimenti sulla perizia stragiudiziale: pur riconoscendo che la perizia non ha valore di prova, nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma ricopre il valore di essere un indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo e, conseguentemente, la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che, ricordiamo, non è altresì obbligato a tenerne conto (v. ordinanza n. 33503/2018).

Nella stessa ordinanza gli Ermellini avevano tuttavia sottolineato che alle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di verifica fiscale, si debba attribuire il carattere di una confessione stragiudiziale. Ricordiamo che in proposito la confessione stragiudiziale ha la natura giuridica di prova testimoniale di una confessione stragiudiziale fatta a un terzo, se supportata dal relativo elemento soggettivo, in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 2735, comma 1, secondo periodo, c.c., nonché sufficiente a fondare, anche in via esclusiva, il convincimento del giudice e a suffragare altra testimonianza “de relato” (Cass. Sent. n. 1320/2017).

Nella fattispecie concreta l’Amministrazione finanziaria aveva quantificato le percentuali di incidenza dello sfrido, cioè del calo che subiscono prodotti, merci e materiali vari durante la lavorazione, il magazzinaggio, il carico e lo scarico, basandosi sulle dichiarazione rilasciate nel corso del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’ufficio (v. sentenze della Corte di Cassazione n. 5628/1990 e n. 1286/2004). Comunque resta fermo il punto, segnalato oggi dagli Ermellini, che una determinazione induttiva dei costi presunti può essere compiuta anche sulla base di una perizia stragiudiziale di parte a condizione che il giudice spieghi perché la ritenga o meno convincente.

Va peraltro considerato che nel processo tributario la perizia stragiudiziale, come in ugual modo le perizie estimative, prodotte singolarmente o nel contesto di scritti difensivi dal contribuente o da organi tecnici dell’Amministrazione, hanno contenuto di allegazione difensiva a contenuto tecnico, con la conseguenza che la loro producibilità nel contesto di memoria difensiva è nel rispetto del termine di dieci giorni prima dell’udienza pubblica di discussione della causa in appello, ex artt. 58, c. 2 e 32, c. 2, D.lgs. 546/1992.

È quindi un documento di parte, al pari degli altri, trattandosi di semplice allegato difensivo di carattere tecnico (Cass. n. 1049/1975): in proposito vale il riferimento alla sentenza della Cass. sez. trib. n. 33503/2018, dove si legge che “… La perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo. Con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto”.

La pronuncia  odierna offre peraltro interessanti spunti di riflessione anche sul tema sotteso della determinazione induttiva dei costi presunti, dove appare opportuno dare contezza anche degli altri arresti della recente giurisprudenza di legittimità, come per  l’Ordinanza n. 2581 del 4 febbraio 2021, quando la S.C. si è pronunciata in tema di costi deducibili statuendo che l’ufficio deve determinare la base imponibile considerando i costi, anche solo induttivamente, relativi ai maggiori costi accertati in conformità del dictum della Corte Costituzionale, statuendo che “…in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38 (accertamento sintetico) o nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39 (accertamento induttivo), bensì nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75 (ora articolo 109), in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass. V, n. 1506/2017, ma già anche Cass. V, n. 3995/09)”.

Quindi a parere del Collegio di legittimità, in riferimento all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il Fisco deve ricostruire il reddito tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo anziché quello netto (Cass. n. 26748/2018; Cass. n. 23314/2013; Cass., n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, par.2).

A questo punto giova rammentare che in tema di determinazione del reddito d’impresa l’articolo 109, comma 4, TUIR, stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza. Tuttavia, laddove in ipotesi di accertamento “induttivo” di maggiori ricavi non contabilizzati non venissero riconosciuti i costi correlati, tale disposizione confliggerebbe con il principio della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost. In riferimento a ciò, recentemente la Suprema Corte, con la sentenza n. 19191/2019 ha ribadito un suo consolidato principio, secondo cui “[…] nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’articolo 38, (accertamento sintetico) o nell’articolo 39, (accertamento induttivo), bensì nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41, (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, (ora 109), in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1506). Lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo “puro”, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d, (in termini Corte Cost. n. 225/2005; Cass., n. 26748/2018.; Cass. n. 3995/2009)”.

Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi in esame, l’Agenzia delle entrate notificava a un contribuente un avviso di accertamento con il quale, rilevato che aveva effettuato numerose compravendite e ristrutturazioni di fabbricati e definendo tale attività come esercizio d’impresa ne accertava il maggior reddito, oltre ai maggiori corrispettivi e al maggior valore della produzione netta, derivanti dalla vendita di cinque appartamenti con le conseguenti maggiori IRPEF, IVA e IRAP e le correlative sanzioni.

Il contribuente, nell’opporsi ai predetti avvisi, davanti alle Commissioni tributarie allegava una perizia di stima asseverata dalla quale erano risultati dei costi, ossia delle componenti negative di cui tenere conto ai fini della ricostruzione del reddito. Nello specifico la CTR, pur avendo preso in considerazione la relazione stragiudiziale prodotta dal contribuente, non aveva spiegato in nessun modo le ragioni per le quali non l’aveva ritenuta corretta: da qui il ricorso per Cassazione, nel quale il contribuente lamentava essenzialmente che i giudici regionali nella decisione erano venuti meno al proprio potere/dovere di determinare, nelle ipotesi di accertamento induttivo puro, anche i costi presunti. La Suprema Corte di legittimità accoglieva il motivo di lagnanza del contribuente che censurava la decisione della Commissione tributaria regionale, laddove nel confermare l’avviso di accertamento impugnato non aveva riconosciuto la deducibilità dei costi induttivamente ricostruiti sulla base della perizia tecnica prodotta, affermando quanto segue: “ … è pacifico tra le parti che l’avviso di accertamento per cui è causa è un avviso di accertamento induttivo cosiddetto ‘puro’, emesso ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973; ciò è, in effetti, espressamente affermato nello stesso avviso di accertamento, parzialmente riprodotto dalla controricorrente alle pagg. 2 e 3 del controricorso; a tale riguardo, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, «[Un tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto» (Cass., 23/10/2018, n. 26748; nello stesso senso, Cass., 19/02/2009, n. 3995); tale determinazione induttiva dei costi presunti può essere compiuta anche sulla base di una perizia stragiudiziale – ancorché, considerata anche l’assenza di un obbligo del giudice di tenerne conto (Cass., 27/12/2018, n. 33503), essa abbia il valore di mero argomento di prova (Cass., 09/04/2018, n. 8621), che dà luogo a semplici indizi (Cass., n. 8621 del 2018, n. 33503 del 2018) – liberamente apprezzabile dal giudice, a condizione che egli spieghi le ragioni per le quali la ritiene corretta e convincente; nella specie, la CTR, pur avendo preso in considerazione la perizia stragiudiziale prodotta dal contribuente, non spiega in nessun modo le ragioni per le quali non l’ha ritenuta corretta e convincente, essendosi limitata ad affermare, in modo del tutto anapodittico, che «nel caso in questione non vi sono elementi per attribuire alla perizia tale forza probatoria»; in tale modo, la stessa CTR è altresì venuta meno al proprio potere/dovere di determinare, nelle ipotesi di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, anche i costi presunti; da ciò la fondatezza del primo motivo;l’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo; pertanto, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accolto primo motivo, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perché provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 17 febbraio 2022, n. 5177

sul ricorso iscritto al n. 12754/2018 R.G. proposto da

M. D., rappresentato e difeso dall’Avv. Valentina Pistone, con domicilio eletto in Milano, via Larga, n. 6, presso lo studio della stessa;

– ricorrente –

contro Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4167/15/17 depositata il 18 ottobre 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2022 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

Rilevato che:

l’Agenzia delle entrate notificò a D. M. un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale, rilevato che, negli anni dal 2002 al 2009, il contribuente aveva effettuato numerose compravendite e ristrutturazioni di fabbricati e qualificata tale attività come esercizio di impresa, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertò il maggior reddito d’impresa, oltre ai maggiori corrispettivi e al maggior valore della produzione netta, derivanti dalla vendita, nell’anno 2007, di cinque appartamenti in Milano, via degli Umiliati, n. 37, con le conseguenti maggiori IRPEF, IVA e IRAP, e con le correlative sanzioni;

D. M. impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc anche: «CTP»), che rigettò il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, D. M. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: «CTR»), che rigettò l’impugnazione del contribuente con la motivazione che «[r]isulta dagli avvisi di accertamento impugnati in primo grado il compimento da parte del contribuente, negli anni dal 2002 al 2009, di una serie di compravendite di fabbricati, comprensive di interventi di ristrutturazione, demolizione, cambio d’uso, realizzo di plusvalenze. In particolare, per l’anno d’imposta 2007, l’Ufficio ha individuato l’esistenza di proventi pari ad euro 1.006.500,00.

A seguito di richiesta i dell’Agenzia, il contribuente ha dato riscontro al questionario, assumendo la mancata conservazione delle fatture per l’intervento di costruzione di via degli Umiliati, n. 37 e l’impossibilità, dato il tempo trascorso, di indicare i soggetti che avevano realizzato i lavori.

Il contribuente si è limitato a depositare una relazione tecnica di stima dei costi relativi ai suddetti interventi. Considerato che le operazioni sopra descritte sono imponibili IVA, l’Ufficio ha riaperto d’ufficio la partita IVA del contribuente in data 1.11.2010, attribuendogli il codice attività “compravendita di beni immobili effettuata su beni propri” e ha quindi accertato, a carico del signor M., per l’annualità 2007, l’omessa indicazione del reddito d’imposta, l’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA e IRAP, la mancata esibizione di dichiarazione richiesta con il questionario. In ipotesi quale quella di specie di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente medesimo, con facoltà di ricorso a presunzioni c. d. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (v. Cassazione civile, sez. trib., n. 1506/20.01.2017 Sez. 5, n. 3115 del 13/02/2006).

Sennonché anche in questo grado di giudizio il contribuente insiste nel richiamare, fondandovi i motivi di gravame, la Relazione Tecnica di Stima predisposta e sottoscritta da un professionista abilitato, che contiene “la puntuale e analitica ricostruzione tecnica ex post, dei costi dell’intervento effettuato in Milano, Via degli Umiliati, 37”.

Avrebbe così a suo dire assolto l’onere di dimostrare i costi sostenuti nel 2007 a fronte dei ricavi realizzati dalla vendita degli immobili.

Il contribuente non può però sostenere di avere documentato i costi mediante la perizia, poiché le perizie stragiudiziali e le consulenze di parte non hanno alcun valore probatorio pieno e sostanziale, ma meramente indiziario, cosicché non possono essere qualificate in senso proprio come mezzi di prova sia pure atipici (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 640/20.11.2014).

Del resto, le perizie giurate depositate da una parte processuale non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad esse potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del Giudice, che, da un lato, non è obbligato in alcun caso a tenerne conto e, dall’altro, ove ritenga di farvi riferimento, deve motivare adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare (così, condivisibile, T.A.R. Bologna, (Emilia- Romagna), sez. II, n. 929/16.11.2016).

E nel caso in questione non vi sono elementi per attribuire alla perizia tale forza probatoria.

È peraltro principio di carattere generale che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, mentre spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rilevatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, grava invece sul contribuente l’onere della prova sia in ordine all’esistenza dei fatti che danno luogo a specifici oneri e/o costi deducibili, sia in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale e d’impresa svolta (così Cassazione civile, sez. trib., n. 19852/14.11.2021).

Inoltre, ai sensi dell’art. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato nell’avviso impugnato), l’accertamento di maggiori ricavi non deve necessariamente fondarsi su dati “certi”, ma può anche ancorarsi ad elementi di carattere indiziario.

Il reperimento presso terzi di documentazione probatoria legittima, pertanto, l’accertamento presuntivo di maggiori ricavi. Né può essere riconosciuta la deducibilità forfetaria di maggiori costi, ove questi, come nel caso in questione, non siano documentati.

Solo in memoria integrativa, il contribuente ha poi eccepito una violazione del diritto al contraddittorio effettivo.

A prescindere dalla tempestività della censura, si rileva che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella procedura improntata al principio del contraddittorio, quale quella prefigurata con la richiesta di informazioni e documenti mediante questionari, una volta che il contribuente abbia ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati.

Solo dopo l’adempimento di tale onere di contestazione può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cfr. Cassazione civile, sez. trib., n. 263/12.01.2012 e anche Cass. Sentenze n. 9892 del 05/05/2011, n. 28049 del 2009), onere nel caso di specie assolto, come sopra evidenziato, solo dall’Agenzia e non dal contribuente»;

avverso tale sentenza – depositata in segreteria il 18 ottobre 2017 – ricorre per cassazione D. M., che affida il proprio ricorso a quattro motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

D. M. ha depositato una memoria.

Considerato che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 55 e 56 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e degli artt. 53 e 97 Cost., per non avere la CTR, «travisando ab origine la fattispecie posta alla sua attenzione» – erroneamente qualificata ora come accertamento d’ufficio, ora come accertamento parziale, anziché come accertamento induttivo cosiddetto “puro” (ex art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973) – «colto neppure il punto su cui è stata chiamata a decidere ovvero sulla necessità, nell’ipotesi di accertamento induttivo puro, di dovere, a fronte di accertati maggiori ricavi, ricostruire anche le componenti negative che li hanno generati, seppure non transitate in contabilità, procedendo alla loro individuazione induttiva ai fini della determinazione del maggior reddito» e per non avere, conseguentemente, riconosciuto la deducibilità dei costi per la ristrutturazione degli appartamenti venduti, come ricostruiti induttivamente sulla base della relazione tecnica prodotta sin dal giudizio di primo grado;

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 39, secondo comma, lett. c) e d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto, «per i medesimi errori giudiziari sopra evidenziati [con il primo motivo]», la CTR, avendo «confuso concettualmente i diversi accertamenti sbagliando ad individuare la natura di quello oggetto del contenzioso e, conseguentemente, la relativa disciplina da applicare all’accertamento impugnato», «non si è [..] occupata in alcun modo di utilizzare l’art. 39, c. 2, D.P.R. n. 600/1973 per determinare il reddito in contestazione e per verificare la correttezza del metodo proposto dal contribuente» per la ricostruzione dei costi, di «verificare se sia necessario, in sede di accertamento induttivo, lo scomputo dei costi», «di operare, se del caso, una diversa ricognizione dei costi per determinare induttivamente il reddito in contestazione»; con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., la «[n]ullità ed illegittimità della sentenza […] per omesso esame (circa) in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti oggetto di discussione tra le parti – Violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 112 c.p.c.», in quanto la CTR:

a) «non si esprime sulla correttezza del metodo induttivo seguito nell’avviso di accertamento così come non spiega perché non sia rispondente a tale criterio induttivo di accertamento del reddito quello enucleato dal ricorrente»;

b) «non affronta […1, nella sostanza, quale sia il criterio da utilizzare (ed utilizzato) per accertare i costi dell’attività»;

c) «non riconosce ai documenti offerti dal contribuente alcun valore probatorio», negando, in particolare, alla prodotta relazione tecnica sia il «valore di prova documentale quantomeno atipica» sia il «valore [..] di indizio»;

d) non «valuta se siano praticabili altri metodi» di ricostruzione induttiva dei costi; con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., la «nullità della sentenza […] per omessa, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti controversi e decisivi per il giudizio – Violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992», in quanto:

a) «[le] argomentazioni contenute nella sentenza impugnata partendo da un travisamento in fatto sul tipo di accertamento, risultano inutili ed apparenti in diritto, e non consentono, infatti, di capire perché non si debba tener conto delle componenti negative dell’attività nel caso del sig. M.»;

b) «la sentenza impugnata [..] non contiene una giustificazione del perché sia ritenuto corretto il metodo seguito da Agenzia per accertare il maggior reddito nello stesso importo dei ricavi»;

c) «[la] motivazione della sentenza […] non consente di capire se vi sia stata una valutazione in merito al tipo ed all’onerosità dell’attività imprenditoriale imputata al contribuente, fatto notorio con riferimento a lavori di ristrutturazioni edilizie»;

d) «[la] motivazione della sentenza risulta inoltre viziata anche nella parte in cui esamina il motivo di impugnazione attinente alla violazione del diritto a un contraddittorio effettivo con Agenzia», atteso che, «al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, è Agenzia che non ha assolto all’onere di contestazione delle circostanze rappresentate dal contribuente – l’aver sostenuto e ricostruito i costi dei lavori di ristrutturazione – e sussiste il vizio di violazione del contraddittorio, [..], avendo la stessa [Agenzia] chiuso l’accertamento con adesione in maniera negativamente erronea imputando al sig. M. una mancata collaborazione per non aver dallo stesso ottenuto i nomi dei fornitori utilizzati per le ristrutturazioni»;

il primo motivo è fondato, nei termini che seguono;

è pacifico tra le parti che l’avviso di accertamento per cui è causa è un avviso di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, emesso ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973; ciò è, in effetti, espressamente affermato nello stesso avviso di accertamento, parzialmente riprodotto dalla controricorrente alle pagg. 2 e 3 del controricorso;

a tale riguardo, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, «[Un tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto» (Cass., 23/10/2018, n. 26748; nello stesso senso, Cass., 19/02/2009, n. 3995);

tale determinazione induttiva dei costi presunti può essere compiuta anche sulla base di una perizia stragiudiziale – ancorché, considerata anche l’assenza di un obbligo del giudice di tenerne conto (Cass., 27/12/2018, n. 33503), essa abbia il valore di mero argomento di prova (Cass., 09/04/2018, n. 8621), che dà luogo a semplici indizi (Cass., n. 8621 del 2018, n. 33503 del 2018) – liberamente apprezzabile dal giudice, a condizione che egli spieghi le ragioni per le quali la ritiene corretta e convincente;

nella specie, la CTR, pur avendo preso in considerazione la perizia stragiudiziale prodotta dal contribuente, non spiega in nessun modo le ragioni per le quali non l’ha ritenuta corretta e convincente, essendosi limitata ad affermare, in modo del tutto anapodittico, che «nel caso in questione non vi sono elementi per attribuire alla perizia tale forza probatoria»; in tale modo, la stessa CTR è altresì venuta meno al proprio potere/dovere di determinare, nelle ipotesi di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, anche i costi presunti; da ciò la fondatezza del primo motivo;

l’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo;

pertanto, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accolto primo motivo, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perché provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto primo motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 10 gennaio 2022

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