CASSAZIONE

Accertamento fiscale su controlli bancari sempre motivati. Il contribuente deve fornire prova contraria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 711 del 13 gennaio 2017, intervenendo in tema di accertamenti fiscali basati su indagini finanziarie ai sensi dell’art, 32, DPR 600/1973, ha affermato che gli accertamenti bancari vanno sempre motivati dall’Amministrazione finanziaria con il disconoscimento delle prove addotte dal contribuente per giustificare i versamenti. Il Fisco può però fondarli limitandosi a esaminare i movimenti bancari, perché spetta al contribuente dimostrare per ogni movimento che si tratta di operazioni non imponibili e/o non rilevanti. Sulle operazioni in conto, e in particolare sui versamenti, il contribuente non può dare generiche giustificazioni ma deve fornire prove analitiche di ogni singola movimentazione. È un aspetto molto delicato, questo, che il contribuente non può sottovalutare, e ciò perché, stando a un orientamento ormai consolidato, il soggetto accertato non può limitarsi a fornire generiche motivazioni dell’affluire di somme sul proprio conto ma deve fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni evidenziate in dichiarazione o alla loro non tassabilità.

Se il Fisco svolge un’indagine bancaria nei confronti del contribuente, quest’ultimo sarà tenuto a dimostrare tutte le operazioni effettuate sul proprio conto in modo da giustificare la provenienza delle relative somme e, soprattutto, dare prova che le stesse siano state denunciate nella dichiarazione fiscale oppure che si tratti di redditi esenti. Al riguardo, seguendo l’iter procedimentale del Fisco, sarà bene ricordare che per l’Amministrazione finanziaria l’avvio delle indagini finanziarie ha inizio con la richiesta da parte della Direzione Provinciale territorialmente competente alla Direzione Regionale di una specifica autorizzazione.

La circolare ministeriale n. 32/2006 ha evidenziato che l’autorizzazione è atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assumendo rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua eventuale impugnazione, in quanto non immediatamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione del contribuente interessato che non ha ancora subito, e potrebbe non subire, alcun atto di accertamento. Si tratta, quindi, di atto non soggetto a legittimità giurisdizionale in quanto lo stesso potrebbe essere oggetto di contestazione in sede di contenzioso.

La predette limitazioni, stante la circolare n. 32/2006, non attenua la garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito delle indagini finanziarie in quanto, essendo un atto amministrativo preparatorio, consente al contribuente di valutare l’iter logico-giuridico, insieme alla documentazione, in sede di accesso esperibile presso l’ufficio che lo detiene, ai sensi della legge 241/1990, a conclusione del procedimento di formazione dell’atto di accertamento.

La Suprema Corte ha avuto modo di determinare sulle varie fattispecie, e fra le sentenze più interessanti ricordiamo la n. 14023 del 9 maggio 2007, con cui la Suprema Corte ha evidenziato che la norma subordina la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze all’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla relativa esibizione all’interessato.

In particolare la Cassazione osserva che né dalla previsione dell’art. 6, né da quella dell’art. 12 della legge n. 212/2000 si desume che le risultanze delle indagini bancarie vadano poste nel nulla in conseguenza della mancata esibizione della pur esistente autorizzazione. Inoltre, atteso che comunque non risulta prospettato dal contribuente quale concreto pregiudizio abbia subito dalla lamentata mancata esibizione, va poi considerato che eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano a inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (Cassazione, n. 18836/2006). Pertanto, la mancata esibizione dell’autorizzazione non costituisce di per sé stessa motivo di illegittimità dell’accertamento. Inoltre, nella sentenza n. 16874 del 21 luglio 2009, la Corte ha precisato che la mancanza dell’autorizzazione si riverbera sull’accertamento solo se questo crea un pregiudizio concreto al contribuente.

Per la Corte, a differenza di quanto previsto dall’art. 52, DPR 633/1972 che, per eseguire gli accessi, impone agli impiegati di essere muniti di apposita autorizzazione che indichi lo scopo, rilasciata dal Capo ufficio, nell’art. 51, comma 2, n. 2, del medesimo decreto non vi è traccia dell’eventuale obbligo di indicazione – che non implica affatto motivazione – né dello scopo né del motivo e, a fortiori, di un obbligo di motivazione ovvero indicazioni delle ragioni logiche e giuridiche che li sorreggono per i provvedimenti che prevedono l’acquisizione dei conti correnti bancari e/o postali.

Per cui, l’esercizio del potere di indagini finanziarie rientra nel più genus dei poteri di controllo, senza specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa; la previa autorizzazione non deve contenere nessuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore Regionale o il Comandante della G.d.F. ad autorizzare il proprio ufficio a effettuare la richiesta a detti enti perché non è stato disposto che la richiesta di questo provvedimento da parte degli uffici debba essere operata necessariamente per iscritto (o trasfusa in atto scritto); il rilievo impone di escludere la necessità di motivare la richiesta (vedasi anche la sentenza n. 5849 del 13 aprile 2012).

Anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 14026 del 3 agosto 2012 ha ritenuto che la mancanza di una autonoma motivazione della richiesta e dell’atto di autorizzazione all’espletamento delle indagini finanziarie non determinano l’invalidità derivata dall’avvio di accertamento opposto. Le autorizzazioni previste dall’art. 32, comma 1, DPR 600/1972, non necessitano di autonoma motivazione in considerazione dell’assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito all’atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nel DPR 633/1972, art. 52 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dal DPR 600/1973, art. 33, comma 1), che disciplinano le autorizzazioni agli accessi nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali è richiesta, peraltro, soltanto l’indicazione dello scopo-art. 52, comma 1) ovvero all’esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per i quali è richiesta anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che può essere rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, art. 52 comma 2).

Tanto premesso, nel breve quadro di riferimento e tornando al caso in esame, gli Ermellini hanno quindi avvalorato il principio di diritto secondo cui qualora l’accertamento “… si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (Cass. nn. 15857/2016, 4829/2015); ciò vale anche in tema di IVA, al fine di superare la presunzione di imponibilità delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie posta a carico del contribuente dall’art. 51, secondo comma, numero 2, del d.P.R. n. 633/1972 (Cass. sent. n.21303/2013)”.

La vicenda, infatti, ha riguardato una società a cui, in seguito a un’indagine finanziaria, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per maggiori ricavi. Il contribuente, avverso tale atto impositivo, depositava ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Regionale; i giudici di merito, dopo un parziale sgravio dell’Agenzia, rigettavano le doglianze del ricorrente.

Avverso la decisione della CTR il contribuente proponeva ricorso per cassazione, parzialmente accolto dai Supremi Giudici ritenendo che “Con il primo motivo si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.) per avere la CTR omesso di illustrare le ragioni in base alle quali la documentazione giustificativa fornita dal contribuente era stata ritenuta non sufficiente, precisando che la controversia non aveva riguardato voci per “spese”- come erroneamente denominate in sentenza- ma alcuni dei versamenti confluiti sul conto corrente bancario oggetto di accertamento. Il motivo, circoscritto con il quesito alle riprese per €.600,00 ed €.1.500,00, è fondato. Invero la statuizione sul punto è assertiva e non è svolto alcun argomento motivazionale a sostegno della ritenuta insufficienza probatoria degli affidavit prodotti dal contribuente”.

Inoltre la Corte, accogliendo anche il quarto motivo del ricorrente, ha ritenuto che “Il quarto motivo, con il quale è denunciata la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di gravame (art. 360, comma 1, n.4, c.p.c.) relativo alla richiesta del contribuente di accertare la mancata applicazione della deduzione forfettaria per l’IRAP prevista dall’art. 11, comma 4 bis, del DLGS n. 446/1997 vigente all’epoca dei fatti, a suo dire applicabile in ragione della base imponibile di €. 5.227,00, e di pronunciare, in conseguenza, la nullità dell’avviso per la parte relativa all’IRAP, è fondato, poiché sul punto, pur riprodotto nella parte narrativa della sentenza, non si rinviene alcuna pronuncia. In conclusione, fondati i motivi primo e quarto, assorbito il secondo motivo ed inammissibile il terzo, il ricorso va accolto, la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR della Lombardia in altra composizione per il riesame nei limiti dei motivi accolti ed in applicazione dei principi espressi e per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità”.

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