CASSAZIONE

Accertamenti IVA “a tavolino”: la prova di resistenza si può desumere anche dal comportamento del Fisco dopo la notifica dell’atto impositivo

Tributi – IVA, II.DD. e IRAP – Verifiche fiscali – Accertamenti a tavolino – Contraddittorio endoprocedimentale – Obbligo – Art. 12, c. 7, L. n. 212/ 2000 – Atto emesso prima di sessanta giorni dall’ispezione – Motivi di urgenza – Assenza – Invalidità dell’atto

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 37234 del 20 dicembre 2022 è intervenuta per stabilire che in tema di diritti e garanzie per i contribuenti sottoposti ad accertamenti IVA a tavolino, la prova di resistenza si può dedurre anche dal comportamento dell’Amministrazione finanziaria, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali c.d a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale con riferimento alle imposte armonizzate, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, contenuto che può essere desunto in positivo anche dal comportamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria nel caso concreto successivamente alla notifica dell’atto impositivo”.

La questione presentata agli Ermellini riguarda l’interpretazione dell’art. 12, comma 7, della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e, in particolare, se necessiti la c.d. “prova di resistenza”, cioè quella prova che, in relazione alle specifiche censure dedotte, nell’accoglimento del ricorso arrecherebbe una qualche utilità giuridicamente apprezzabile nella sfera del ricorrente,  al fine di ritenere illegittimo il provvedimento impositivo, in materia di tributi armonizzati (nei quali rientra l’IVA), emesso all’esito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività.

In riferimento al contraddittorio endoprocedimentale, i Supremi giudici hanno fatto innanzitutto riferimento a due decisioni, entrambe delle Sezioni Unite, che costituiscono il punto di riferimento in materia. Con il primo provvedimento, è stato statuito che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (cfr. Cass. n. 18184/2013).

Del resto, è noto che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento alle imposte armonizzate, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Quindi, non sussiste alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini IRPEG e IRAP, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini a tavolino.

La seconda decisione, la sentenza n. 24823/2015, affermava viepiù che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”, specificando tuttavia che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” .

In sostanza la Corte di Cassazione ha ritenuto di dare continuità anche ai principi giurisprudenziali sanciti dalla Sezione 5 (Cass. sez. 5, sentenze del 15/1/2019, nn. 701 e 702), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale.

Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, e il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione: ne deriva che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (v.CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Sopropé – Organizagòes de Calçado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financién, § 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 § 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 §§ 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, § 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).

Dunque, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione del citato art. 12, comma 7, la Corte di Cassazione ha osservato  che tale contenuto può essere desunto in positivo anche dal comportamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria  successivamente alla notifica dell’atto impositivo, in quanto la prova di resistenza è stata data in termini sufficientemente specifici, visto che lo stesso comportamento dell’Agenzia delle Entrate risulta idoneo a confermare che sarebbe stato rilevante l’apporto conoscitivo che la società avrebbe potuto dare in sede di procedimento amministrativo, in particolare circa i pernottamenti, dal momento che successivamente alla notifica degli atti impositivi a seguito dell’acquisizione di tali dati ha provveduto in autotutela e sulla base di essi ha anche operato una rideterminazione delle imposte dovute, in particolare ricalcolando per il secondo anno il quantum sulla base dei dati ottenuti per il primo, mancando però di rinnovare il procedimento amministrativo e, se del caso, l’eventuale atto impositivo finale.

Tanto in premessa e tornando alla vicenda in esame, la controversia sorgeva a seguito di una verifica fiscale a tavolino. La società, svolgente attività di ricezione alberghiera, veniva raggiunta dai due avvisi in cui, per il primo periodo di imposta, venivano prese in esame le schede di P.s. e confrontate con le fatture emesse dalla società, con ricalcolo in via presuntiva dei maggiori ricavi non dichiarati. Per il secondo periodo, i maggiori ricavi venivano determinati sulla base della percentuale calcolata per il precedente periodo d’imposta. La parte contribuente, rivolgendosi alla giustizia tributaria otteneva la riduzione della pretesa contenuta negli avvisi e la CTP riduceva del 50% i maggiori ricavi accertati. Il giudice d’appello, disattese le questioni preliminari, annullava gli avvisi impugnati nella parte in cui ricostruivano i ricavi sulla base delle presunte maggiori presenze, confermando nel resto le maggiori imposte.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a tre motivi. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo del ricorso incidentale proposto dalla società e ha confermato che “… La Corte osserva che gli avvisi di accertamento sono stati emanati a seguito di una verifica effettuata dall’Ufficio a “tavolino”, avendo la CTR escluso che l’accesso effettuato a dicembre 2011 fosse posto alla base delle riprese (cfr. p.2 sentenza, primo periodo), e il punto non è controverso. Ciò premesso, va ribadito che: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.» (Cass. Sez. Un., Sentenza 29 luglio 2013 n.18184). 11. Inoltre, le Sezioni unite della Corte hanno anche precisato che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.» (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823). Non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie da tale autorevole insegnamento, mai superato (Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 – 01; conforme, ad es. Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 22644 del 11/09/2019, Rv. 655048 – 01).  12. Nel caso di specie, come sopra visto le riprese non conseguono ad accesso, ispezione o verifica, trattandosi di controlli meramente documentali, ossia condotti sulla base delle dichiarazioni e della documentazione già in possesso dell’Amministrazione, integrata con quella fornita dalla contribuente a seguito di ricezione di questionario (controlli c.d. a tavolino). Pertanto, l’art.12 comma 7 Statuto non trova applicazione alla fattispecie, ma, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, per il tributo armonizzato il giudice d’appello doveva porsi il tema, e valutare la prova di resistenza, non essendo idonea la formula di stile a p.5 della sentenza, che recita: «né si può pensare che un contraddittorio preventivo avrebbe portato ad esiti diversi». La suddetta non può essere considerato un accertamento fattuale, trattandosi di un periodo ipotetico, ed è una formula di stile senza ancoraggi alla fattispecie concreta né sotto il profilo fattuale né sotto quello probatorio. 13. Al contrario, la contribuente ha sostanziato la propria prospettazione, assolvendo all’onere individuato dalla giurisprudenza sopra riportata circa la prova di resistenza, dando evidenza degli argomenti che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo, se le fosse stato concesso in sede di procedimento amministrativo uno spatium deliberandi e un’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria anteriormente alla notifica degli avvisi di accertamento. E’ lo stesso ricorso dell’Agenzia alle pp.7-8 – riscontrato da p.2 del controricorso – a rendere noto che solo in seguito alla notifica dei due avvisi di accertamento avvenuta nel novembre 2012, in data 15.1.2013 la società ha presentato spontaneamente domanda di accertamento con adesione, presentando anche memoria scritta. Successivamente al tentativo di adesione, non andato a buon fine, l’Amministrazione finanziaria ha adottato un provvedimento di autotutela per l’anno 2008 rideterminando il numero di pernottamenti non fatturati. Quindi, sulla base di tale rideterminazione con ricalcolo del prezzo medio unitario, è stato applicato il prezzo medio ponderato così ottenuto anche all’annualità 2009, derivandone infine una sostanziale diminuzione dei ricavi inizialmente induttivamente calcolati negli atti impositivi, ai fini delle imposte contestate, IVA inclusa. Il Collegio osserva che, con riferimento all’imposta armonizzata,dunque la prova di resistenza è stata data in termini sufficientemente specifici, essendo lo stesso comportamento dell’Amministrazione finanziaria idoneo a confermare che sarebbe stato rilevante l’apporto conoscitivo che società avrebbe potuto dare in sede di procedimento amministrativo, in particolare circa i pernottamenti, dal momento che successivamente alla notifica degli atti impositivi a seguito dell’acquisizione di tali dati ha provveduto in autotutela e sulla base di essi ha anche operato una rideterminazione delle imposte dovute dalla contribuente, in particolare ricalcolando per il secondo anno il quantum sulla base dei dati ottenuti per il primo, mancando però di rinnovare il procedimento amministrativo e, se del caso, l’eventuale atto impositivo finale. 14. Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali c.d a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale con riferimento alle imposte armonizzate, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, contenuto che può essere desunto in positivo anche dal comportamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria nel caso concreto successivamente alla notifica dell’atto impositivo.». Nella specie, la contribuente ha dato evidenza che, successivamente alla notifica degli avvisi di accertamento e all’instaurazione su iniziativa del contribuente di un tentativo di adesione non andato a buon fine, a seguito dei documenti prodotti dalla società l’Agenzia ha parzialmente annullato in autotutela le originarie riprese nei suoi confronti e ha rideterminato la misura delle imposte sulla base dei dati forniti dal contribuente senza rinnovare il procedimento amministrativo e, se del caso, adottare un nuovo atto impositivo finale.

Corte di Cassazione – Ordinanza 20 dicembre 2022, n. 37234

sul ricorso iscritto al n. 27562/2015 R.G. proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro H.V. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Dario Stevanato e dall’Avv. Claudio Lucisano, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Crescenzio n.91;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Ve- neto, n.726/26/2015 depositata il 20 aprile 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 14 ottobre 2022 dal consigliere Pierpaolo Gori.

Rilevato che

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, veniva parzialmente accolto l’appello proposto dalla società H. V. S.r.l. avverso la sentenza n.115/1/13 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Belluno che, a sua volta accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti proposti dalla contribuente aventi ad oggetto due avvisi di accertamento per IVA, II.DD. e IRAP relativi agli anni 2008 e al 2009.

2. A seguito di verifica fiscale a tavolino la società, svolgente attività di ricezione alberghiera in Cortina, veniva raggiunta dai due avvisi in cui, per il primo periodo di imposta, venivano prese in esame le schede di p.s. e confrontate con le fatture emesse dalla società, con ricalcolo in via presuntiva dei maggiori ricavi non dichiarati. Per il secondo periodo, i maggiori ricavi venivano determinati sulla base della percentuale di maggiori ricavi calcolata per il precedente periodo di imposta.

3. A seguito di tentativo di accertamento con adesione veniva ridotta l’originaria pretesa contenuta negli avvisi e, con riferimento al resto delle riprese, in primo grado la CTP accoglieva parzialmente la prospettazione della società, riducendo del 50% i maggiori ricavi accertati. Il giudice d’appello, disattese le questioni preliminari, annullava gli avvisi impugnati nella parte in cui ricostruivano i ricavi sulla base delle presunte maggiori presenze, confermando nel resto le maggiori imposte.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi, cui replica la contribuente con controricorso e ricorso incidentale per un motivo.

Considerato che

4. Con il primo motivo del ricorso principale – in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – l’Agenzia denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt.112 cod. proc. civ., del d.lgs. n.546/92 per erronea identificazione da parte della CTR delle censure dedotte dalla contribuente nell’atto di appello: “laddove riconnette alla congruità della controparte agli studi di settore la impossibilità (preclusione) per l’Ufficio di procedere ad accertamento di tipo presuntivo (di tipo analitico-induttivo – eppertanto annulla i rilievi va in ultra-extrapetizione” (cfr. p.36 ricorso).

5. Il motivo è inammissibile in quanto, in disparte dalla sua contraddittoria formulazione, va comunque rammentato “il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (tra varie, Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205)” (Cass. Sez. Un, Sentenza n. 27435 del 2017).

Con la doglianza in disamina l’Agenzia ha censurato la ricognizione della materia giustiziabile operata dalla CTR e avrebbe dovuto contrastarla deducendo il vizio motivazionale e unicamente sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, derivandone in difetto l’inammissibilità della censura.

6. Il secondo motivo del ricorso principale – ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt.10 della L. n.146/98, 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. per aver la CTR affermato che «ove un contribuente risulti congruo agli studi di settore l’ufficio non può procedere nei suoi confronti ad accertamento di tipo analitico induttivo» (cfr. p.37 ricorso).

7. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice d’appello, la quale non ha ritenuto radicalmente illegittimi gli accertamenti alla base delle riprese, ma li ha annullati solo nella parte in cui ricostruivano i ricavi sulla base delle presunte maggiori presenze. Infatti, si legge a pag.6 della sentenza che le riprese sono state parzialmente confermate: “devono essere confermate le riprese di Euro 75.195,00 ed Euro 16.360,00 per l’anno 2008 ed Euro 15.770 per l’anno 2009”. In particolare, il dispositivo esplicita che la statuizione riguarda i ricavi non dichiarati per il periodo 1.6.2008- 30.5.2009 e agli ammortamenti indeducibili (periodi 1.6.2008- 30.5.2009 e 1.6.2009-30.5.2010).

Come si evince dagli avvisi stessi riprodotti in ricorso, tali riprese sono state contestate dall’Amministrazione finanziaria sulla base dell’analisi della contabilità aziendale e, dunque, nel quadro dell’accertamento analitico-induttivo, il quale non è stato evidentemente travolto dalla sentenza d’appello.

8. Non può essere accolto neppure il terzo motivo, con cui viene censurata la sentenza d’appello – ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – anche per motivazione apparente, nella parte in cui la sentenza afferma che ai fini dello studio di settore, sia pure nella fascia più bassa, la contribuente si colloca nella zona di congruità sulla base del compendio istruttorio. Trattasi non di una statuizione apodittica, ma della conclusione di un più ampio accertamento fattuale condotto dal giudice del merito circa la congruità di quanto dichiarato dalla società per i due anni di imposta oggetto di ripresa, che rispetta il minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01). Infatti, la motivazione che sorregge la sentenza va complessivamente letta e si compone della sintesi del fatto e della puntuale esposizione delle difese delle parti, ed è sorretta da una sicura valutazione del fatto sulla base delle risultanze istruttorie raccolte nel processo, come confermato anche dai precisi dati numerici riportati che non possono che riferirsi alla valutazione del caso concreto da parte del giudice (“Euro 129.750,00 per l’anno 2008 ed Euro 171.802,56 per l’anno 2009”, cfr. p. 5 sentenza). Il compendio di tali elementi fa ritenere che la motivazione non possa considerarsi di stile e riferirsi ad una serie indistinta di fattispecie, e che il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione e valutato, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti.

 9. Con un unico motivo di ricorso incidentale – ex art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – la società contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.12 della L. n.212 del 2000, nonché 24 della L. n.4/1929 e del diritto al contraddittorio endoprocedimentale in materia IVA.

10. Il motivo è fondato.

La Corte osserva che gli avvisi di accertamento sono stati emanati a seguito di una verifica effettuata dall’Ufficio a “tavolino”, avendo la CTR escluso che l’accesso effettuato a dicembre 2011 fosse posto alla base delle riprese (cfr. p.2 sentenza, primo periodo), e il punto non è controverso. Ciò premesso, va ribadito che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. Sez. Un., Sentenza 29 luglio 2013 n.18184).

11. Inoltre, le Sezioni unite della Corte hanno anche precisato che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823). Non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie da tale autorevole insegnamento, mai superato (Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 – 01; conforme, ad es. Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 22644 del 11/09/2019, Rv. 655048 – 01).

 12. Nel caso di specie, come sopra visto le riprese non conseguono ad accesso, ispezione o verifica, trattandosi di controlli meramente documentali, ossia condotti sulla base delle dichiarazioni e della documentazione già in possesso dell’Amministrazione, integrata con quella fornita dalla contribuente a seguito di ricezione di questionario (controlli c.d. a tavolino). Pertanto, l’art.12 comma 7 Statuto non trova applicazione alla fattispecie, ma, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, per il tributo armonizzato il giudice d’appello doveva porsi il tema, e valutare la prova di resistenza, non essendo idonea la formula di stile a p.5 della sentenza, che recita: «né si può pensare che un contraddittorio preventivo avrebbe portato ad esiti diversi». La suddetta non può essere considerato un accertamento fattuale, trattandosi di un periodo ipotetico, ed è una formula di stile senza ancoraggi alla fattispecie concreta né sotto il profilo fattuale né sotto quello probatorio.

13. Al contrario, la contribuente ha sostanziato la propria prospettazione, assolvendo all’onere individuato dalla giurisprudenza sopra riportata circa la prova di resistenza, dando evidenza degli argomenti che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo, se le fosse stato concesso in sede di procedimento amministrativo uno spatium deliberandi e un’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria anteriormente alla notifica degli avvisi di accertamento. E’ lo stesso ricorso dell’Agenzia alle pp.7-8 – riscontrato da p.2 del controricorso – a rendere noto che solo in seguito alla notifica dei due avvisi di accertamento avvenuta nel novembre 2012, in data 15.1.2013 la società ha presentato spontaneamente domanda di accertamento con adesione, presentando anche memoria scritta. Successivamente al tentativo di adesione, non andato a buon fine, l’Amministrazione finanziaria ha adottato un provvedimento di autotutela per l’anno 2008 rideterminando il numero di pernottamenti non fatturati. Quindi, sulla base di tale rideterminazione con ricalcolo del prezzo medio unitario, è stato applicato il prezzo medio ponderato così ottenuto anche all’annualità 2009, derivandone infine una sostanziale diminuzione dei ricavi inizialmente induttivamente calcolati negli atti impositivi, ai fini delle imposte contestate, IVA inclusa. Il Collegio osserva che, con riferimento all’imposta armonizzata,dunque la prova di resistenza è stata data in termini sufficientemente specifici, essendo lo stesso comportamento dell’Amministrazione finanziaria idoneo a confermare che sarebbe stato rilevante l’apporto conoscitivo che società avrebbe potuto dare in sede di procedimento amministrativo, in particolare circa i pernottamenti, dal momento che successivamente alla notifica degli atti impositivi a seguito dell’acquisizione di tali dati ha provveduto in autotutela e sulla base di essi ha anche operato una rideterminazione delle imposte dovute dalla contribuente, in particolare ricalcolando per il secondo anno il quantum sulla base dei dati ottenuti per il primo, mancando però di rinnovare il procedimento amministrativo e, se del caso, l’eventuale atto impositivo finale.

14. Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali c.d a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale con riferimento alle imposte armonizzate, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, contenuto che può essere desunto in positivo anche dal comportamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria nel caso concreto successivamente alla notifica dell’atto impositivo”. Nella specie, la contribuente ha dato evidenza che, successivamente alla notifica degli avvisi di accertamento e all’instaurazione su iniziativa del contribuente di un tentativo di adesione non andato a buon fine, a seguito dei documenti prodotti dalla società l’Agenzia ha parzialmente annullato in autotutela le originarie riprese nei suoi confronti e ha rideterminato la misura delle imposte sulla base dei dati forniti dal contribuente senza rinnovare il procedimento amministrativo e, se del caso, adottare un nuovo atto impositivo finale.

15. Per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata limitatamente al rilievo IVA e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art.384 comma secondo cod. proc. civ., la causa va decisa nel merito con accoglimento del ricorso introduttivo quanto all’IVA, con conferma della sentenza impugnata nel resto.

16. Le spese di lite di tutti i gradi di giudizio sono interamente compensate in ragione della reciproca parziale soccombenza delle parti.

P.Q.M.

accoglie il ricorso incidentale, rigettato il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata limitatamente al rilievo IVA e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo quanto all’IVA. Compensa interamente le spese di lite. Così deciso in Roma in data 14 ottobre 2022

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