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Accertamento induttivo “puro”: l’onere della prova grava sul contribuente se non risponde all’invito dell’ufficio

Tributi – Imposte dirette – Dichiarazione dei redditi – Accertamento induttivo puro –  Indagini bancarie ex art. 32, DPR 600/1973 –  Invito dell’ufficio fiscale – Prove – Connessione e inerenza dei conti correnti di terzi al reddito del contribuente – Onere –Responsabilità 

La Corte di Cassazione, cn l’ordinanza 7360 del 19 marzo 2024 si è di recente espressa su una delle questioni  legate all’applicazione dell’accertamento induttivo puro, quando il contribuente non risponde all’invito dell’ufficio, confermando che in questo caso l’onere della prova ricade sempre sul contribuente, enunciando anche il seguente principio di diritto: “…  In caso di accertamento fiscale scaturente (anche) da indagini bancarie ex art. 32 DPR n. 600 del 1973, in relazione ad operazioni effettuate dal contribuente su conti correnti intestati a terzi, qualora questi sia stato vanamente invitato a rendere giustificazioni sugli esiti di siffatte indagini, legittimamente essi confluiscono (insieme agli altri elementi raccolti) nella metodologia dell’accertamento induttivo puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, del citato DPR, con la conseguenza che l’Amministrazione non è gravata di alcun ulteriore onere probatorio in punto di riferibilità al contribuente dei conti e per l’effetto altresì delle somme di cui alle suddette operazioni, spettando invece a questi di offrire rigorosa prova contraria”.

In pratica, gli Ermellini hanno stabilito che quando l’Amministrazione finanziaria chiede giustificazioni riguardo a operazioni effettuate su conti correnti intestati a terzi, e il contribuente non fornisce alcun riscontro, non spetta più all’Amministrazione dimostrare che tali provviste siano riferibili alo stesso personalmente: a lui compete, infatti, giustificare i movimenti sospetti su conti correnti intestati a terzi, rendendo legittimo l’accertamento induttivo da cui emergono movimenti di somme su conti intestati a società riferibili al contribuente. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria non è gravata da alcun ulteriore onere probatorio sulla riferibilità al contribuente dei conti e delle somme in questione, spettando invece a questi offrire una rigorosa prova contraria.

Ancor oggi il tema della legittimità dell’accertamento induttivo risulta di concreta attualità, tenuto conto del sempre più frequente ricorso da parte del Fisco ad accertamenti basati su presunzioni.

Non a caso, infatti, quando si tratta di pretese erariali fondate su dati probatori logici e non certi, il legislatore fiscale ha limitato l’uso di questi istituti accertativi fissando rigorosi presupposti di legittimità, come l’art. 39, DPR 600/1973, che si occupa dell’accertamento dei redditi determinati in base alle scritture contabili.

Da subito va detto che l’incipit di detta norma (“Per i redditi di impresa delle persone fisiche ….”) appare applicabile a un ambito ben superiore. Infatti, il comma 3 dell’art. 39 stabilisce che “… Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni”, mentre l’art. 40 sancisce che “alla rettifica delle dichiarazioni presentate dai soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche si procede con unico atto agli effetti di tale imposta e dell’imposta locale sui redditi, con riferimento unitario al reddito complessivo imponibile ma tenendo distinti i redditi fondiari. Per quanto concerne il reddito complessivo imponibile si applicano le disposizioni dell’ art.39 relative al reddito d’impresa”.

L’accertamento analitico, anche nella forma più estrema e vicina a quello in commento (analitico-induttivo – art.39, comma 1, lett. d, DPR 600), richiede e presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità, diversamente dall’ipotesi contenuta nel secondo comma del citato art. 39, che riguarda l’accertamento induttivo extracontabile la cui adozione è consentita ogniqualvolta la contabilità risulti dubbia. In questi casi la ricerca si basa sui comportamenti del contribuente sintomatici di una condotta particolarmente grave nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, dolosa o colposa che sia. L’ufficio può quindi servirsi, ai fini probatori e di accertamento tributario, delle presunzioni semplicissime, quelle prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che invece il legislatore richiede per l’accertamento analitico.

In buona sostanza, l’ufficio può ricostruire il reddito imponibile sulla base di semplici – purché ragionevoli – argomentazioni logiche.

Le questioni oggi affrontate dalla Suprema Corte sono essenzialmente due.:La prima riguarda la valenza della presunzione, prevista in caso di indagini bancarie di cui all’art. 32, DPR 600/1973; l’altra, invece, riguarda le sorti dell’onere probatorio in caso di accertamento induttivo puro, quando preceduto da un invito a cui il contribuente non da’ seguito.

Le indagini bancarie di per se stesse determinano una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili. Tale presunzione consente all’Amministrazione di riferire a operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente.

In riferimento, però, ai conti correnti bancari non del contribuente vige il principio per cui è autorizzata a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi e inerenti al reddito del contribuente.

Se ci limitiamo ad analizzare lo specifico riferimento all’onere probatorio, è da ricordare che la Cassazione aveva già affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili a operazioni imponibili e, a tal fine, deve fornire non una prova generica ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.

Riguardo, invece, alla connessione e inerenza dei conti correnti di terzi al reddito del contribuente la Suprema Corte aveva peraltro chiarito che se il contribuente avesse correttamente ottemperato all’onere di fornire informazioni a fronte del questionario inviato, l’ufficio avrebbe potuto fornire giustificazioni non solo sul merito delle operazioni, ma prioritariamente sull’effettiva intestazione e imputabilità a terzi dei conti correnti recanti le annotazioni di dette operazioni.

Il mutismo serbato dal contribuente ha comportato l’effetto di assolvere l’Amministrazione dall’onere di ogni ulteriore allegazione e dimostrazione riguardo alla riferibilità allo stesso dei conti e, di riflesso, delle somme dal medesimo movimentatevi, spostando su di lui l’onere di fornire in contrario la prova rigorosa dell’esclusiva ascrivibilità delle somme a chi appare titolare dei conti. Precisiamo anche che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che il discrimine tra un accertamento condotto con metodo analitico-presuntivo e uno condotto con metodo induttivo puro è legato alla parziale o totale inattendibilità dei dati contabili.

In particolare, si ha un accertamento analitico-induttivo quando “l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi dichiarati non è tale da dover prescindere dagli stessi”; si ha, invece, accertamento induttivo puro quando le omesse, false o inesatte indicazioni sono tali da mettere in dubbio l’attendibilità anche di quei dati contabili che appaiono regolari.

Va tuttavia sottolineato che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo puro non costituisce un obbligo per l’AF di ricorrere necessariamente a tale metodo, ma solo una facoltà. In entrambe le metodologie, all’ufficio viene consentito di avvalersi della prova per presunzioni, ricostruendo il reddito imponibile facendo ricorso a presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti). In tali circostanze, l’AF può quindi ricostruire i fatti a lei ignoti (quali sono quelli non riportati nella contabilità) attraverso un procedimento logico di deduzione che abbia il suo punto di partenza da un fatto noto.

A tal proposito si deve puntualizzare che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la relazione tra fatto noto e fatto ignoto deve avere solo carattere di ragionevole certezza; in altri termini, il fatto ignoto non deve necessariamente essere l’unica conseguenza possibile dei fatti noti riscontrati, ma è sufficiente che il fatto ignoto possa derivare come conseguenza da un fatto noto secondo canoni di ragionevole probabilità. Non a caso l’art. 2697, primo comma, del codice civile stabilisce che “… chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscano il fondamento, mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

In sostanza, nel processo tributario l’onere della prova viene quindi declinato in due modi: quando l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa tributaria spetta all’AF, oppure quando l’onere di provare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa spetta invece al contribuente.

Anche le presunzioni legali ex art. 2727 cod. civ. possono trovare applicazione se viene stabilita una presunzione legale a favore di una delle parti in giudizio, nel qual caso questa viene dispensata da qualunque prova determinando, quindi, un’inversione dell’onere della prova, dal momento che sarà ora l’altra parte a dover dimostrare l’inesistenza o l’inesattezza del fatto presunto.

Su tale punto va evidenziato che il nostro ordinamento ammette tale prova contraria solo per le presunzioni legali relative; al contrario, qualora venga stabilita una presunzione legale assoluta, per la quale fatto noto e fatto ignoto vengono equiparati, non è ammessa alcuna prova contraria (Cass. Sent. n. 15857/2016).

Tale giustificazione non può essere generica, bensì analitica con specifica dimostrazione per ogni operazione (Cass. Sent. n. 31117/2018): in questo caso l’inversione dell’onere della prova (a carico del contribuente) non è in dubbio.

Tanto premesso e tornando alla vicenda processuale oggi in discussione, essa ha inizio quando un  professionista proponeva ricorso alla giustizia tributaria avverso un avviso di accertamento recante il maggior reddito da lavoro autonomo determinato anche sulla base di indagini finanziarie condotte su conti correnti che, seppur formalmente intestati a soggetti terzi (società di cui il contribuente era rappresentante legale e delegato), l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto a lui riconducibili. In particolare, l’ufficio aveva invitato il contribuente per l’instaurazione del contraddittorio, teso a ricevere informazioni sull’esistenza di numerose pratiche risultanti all’Agenzia del territorio attestanti un maggior reddito di lavoro autonomo e l’esiguità dei redditi dichiarati, ma il professionista non aveva dato alcun seguito all’invito. Il contribuente riceveva un parziale esito positivo dalla CTP, che tuttavia annullava i rilievi relativi al maggior reddito da lavoro autonomo accertato sulla base delle indagini finanziarie condotte sulle società terze, in quanto l’Agenzia delle entrate non era stata in grado di dimostrare che tali conti fossero riferibili al contribuente accertato, ciò anche in difetto di appropriate indagini nei confronti delle società.

La CTR dichiarava inammissibile l’appello del contribuente ed infondato l’appello dell’ufficio. Il professionista proponeva allora ricorso principale con un motivo, resistito dall’Agenzia con controricorso e, successivamente, con ricorso in cui essenzialmente denunciava violazione dell’art. 32, comma 1, n. 7, DPR 600/1973 e dell’art. 51, DPR 633/1972. La Suprema Corte sentenziava che “… Risulta pacifico, anche perché è confermato dallo stesso contribuente a pag. 7, paragrafo 3)[,] del ricorso introduttivo del giudizio […], che i versamenti bancari in contestazione erano stati dallo stesso effettuati su conti correnti intestati a società delle quali egli stesso era legale rappresentante e delegato. Ebbene, il giudice di appello ha ritenuto acquisito al processo il fatto che i versamenti in contestazione siano stati effettuati dalla controparte su conti di società cui il soggetto era legato. Secondo i giudici, anzi, in tale fattispecie, l’Ufficio sarebbe stato onerato dell’ulteriore prova relativa alla circostanza che si sarebbe trattato di operazioni effettuate dal contribuente in proprio e non riferibili alle società […]. Il quadro portato alla valutazione del collegio di appello riguardava […] un soggetto che dichiarava un reddito per euro 641,00 ma che aveva effettuato numerose prestazioni professionali, risultanti dai documenti DOCFA presentati all’Agenzia del territorio[,] [e] versamenti per euro 394.362,00 su conti correnti comunque a lui riferibili, per circostanza non contestata. Pur essendo stato regolarmente notificato invito a fornire chiarimenti – anch’essa circostanza acclarata dalla CTP di Caserta e dalla CTR – il contribuente non vi aveva ottemperato, restando così non giustificate le disponibilità accertate. In giudizio, la CTR ha ritenuto che la formale intestazione a due società dei conti correnti su cui operava il Della G. escludesse la riferibilità dei versamenti al medesimo. Tali conclusioni non possono essere condivise […]”. 3.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento. 3.2.1. Viene in linea di conto che l’Ufficio non si è limitato a condurre indagini bancarie ai sensi dell’art. 32 DPR n. 600 del 1973. Gli esiti di dette indagini sono sfociati, in uno, da un parte, alle ulteriori emergenze acquisite (con riguardo alle numerose pratiche risultanti all’Agenzia del territorio ed all’esiguità dei redditi dichiarati) e, dall’altra, alla mancata risposta al questionario somministrato al contribuente, nell’impiego della metodologia accertativa di cui all’art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973. 3.2.2. Ora, le indagini bancarie, come correttamente rilevato nel motivo, di per se stesse determinano “una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza […] e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili” (cfr., ad es., Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392-01; cfr. altresì “ex multis” Sez. 5, n. 25812 del 23/09/2021, Rv. 662241-01; Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016, Rv. 640618-01; Sez. 6-5, n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064-01). Tale presunzione consente all’Amministrazione “di riferire ‘de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente” (Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017, Rv. 644098-01). In riferimento ai conti correnti bancari non del contribuente, vige il principio per cui essa è autorizzata “a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente” (Sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016, Rv. 639236-01). 3.2.3. Il “thema” vertito in causa – stante la motivazione della sentenza impugnata – riguarda giust’appunto la connessione ed inerenza dei conti correnti di terzi al reddito del contribuente. 3.2.4. Sul punto, nella specie, centrale rilievo acquisisce la mancata risposta al questionario. Più precisamente, nella parentesi di contraddittorio anticipato apertasi, per esclusiva iniziativa dell’Amministrazione, con la somministrazione del questionario, il contribuente ben avrebbe potuto, ma per ciò solo anche dovuto, fornire giustificazioni, non solo sul merito delle operazioni, ma prioritariamente sull’effettiva (al di là cioè del dato formale dell’intestazione) imputabilità a terzi dei conti correnti recanti le annotazioni di dette operazioni. Il silenzio serbato sul punto ha comportato l’effetto di assolvere l’Amministrazione dall’onere di ogni ulteriore allegazione e dimostrazione riguardo alla riferibilità al contribuente dei conti e, di riflesso, delle somme dal medesimo movimentatevi, spostando su di lui l’onere di fornire in contrario la prova rigorosa dell’esclusiva ascrivibilità delle somme a chi appare titolare dei conti.  Al riguardo, può sinteticamente enunciarsi il seguente principio di diritto: In caso di accertamento fiscale scaturente (anche) da indagini bancarie ex art. 32 DPR n. 600 del 1973, in relazione ad operazioni effettuate dal contribuente su conti correnti intestati a terzi, qualora questi sia stato vanamente invitato a rendere giustificazioni sugli esiti di siffatte indagini, legittimamente essi confluiscono (insieme agli altri elementi raccolti) nella metodologia dell’accertamento induttivo puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, del citato DPR, con la conseguenza che l’Amministrazione non è gravata di alcun ulteriore onere probatorio in punto di riferibilità al contribuente dei conti e per l’effetto altresì delle somme di cui alle suddette operazioni, spettando invece a questi di offrire rigorosa prova contraria. 3.2.5. Ora, come visto, la CTR, nello “svolgimento del processo”, rammenta che “la CTP di Caserta […] falcidiava dai maggiori compensi da lavoro autonomo […] l’importo di euro 288.118,55 relativo ad operazioni su conti intestati alla srl Romano Costruzioni ed alla srl WBS di cui il D.G. era legale rappresentante delegato”; di poi, nei “motivi della decisione”, esclude la rilevanza delle movimentazioni su tali conti in quanto essi “non risultavano intestati al D. G. ma alle due dette società”, ragion per cui, “per il principio di apparenza, non poteva trattarsi di operazioni effettuate dal contribuente in proprio, salva appunto la dimostrazione specifica” – in tesi mancante perché non fornita dall’Ufficio, per ciò solo inosservante, “a tacer d’altro”, dell’art. 2697 cod. civ. – “che invece trattavasi di effettività contraria”. In tal guisa, la CTR dimostra di aver fatto evidente malgoverno del principio dianzi enunciato, gravando l’Ufficio di un onere non incombentegli.  4. Conclusivamente, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 19 marzo 2024, n. 7360

sul ricorso iscritto al n.18098/2017 R.G. proposto da :

D. G. C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MECENATE 77, presso lo studio dell’avvocato FERRANTE MICHELE (FRRMHL82P14F839E), rappresentato e difeso dall’avvocato SOMMA GIUSEPPE (SMMGPP76C21F839O)

– ricorrente in via principale e controricorrente rispetto al ricorso successivo-

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende

– controricorrente rispetto al ricorso principale e ricorrente in via successiva-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA – NAPOLI n. 317/2017depositata il 13/01/2017 .

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Considerato che

1. Emerge dalla sentenza in epigrafe che D. G. C., di professione geometra, era attinto da avviso di accertamento n. TF7010804084/2014 per imposte dirette ed indirette in relazione all’a.i. 2010 previa emersione – in considerazione della presentazione, quale progettista, di 73 DOCFA – di maggiori compensi da lavoro autonomo, determinato in totali euro 394.361,89, e di operazioni extraconto per euro 6.997,00.

2. Il contribuente impugnava l’avviso.

2.1. “La CTP di Caserta, previamente rilevata la sufficienza motiva dell’avviso impugnato ed il mancato riscontro del Della G. all’invito dell’Ufficio tributario per l’instaurazione del contraddittorio, pur non previsto da quell’accertamento ex art. 39 co. 2 DPR n. 600/73, riteneva provate e non giustificate le operazioni extra conto per euro 6.997,00 ma nel contempo falcidiava dai maggiori compensi da lavoro autonomo […] l’importo di euro 288.118,55 relativo ad operazioni su conti intestati alla srl Romano Costruzioni ed alla srl WBS di cui il Della G. era legale rappresentante e delegato, non avendo l’Agenzia delle entrate di Caserta dimostrato che tali conti fossero riferibili a lui personalmente, e ciò anche in difetto di appropriate indagini nei confronti delle predette società”.

3. Proponevano separati appelli il contribuente e l’Agenzia.

3.1. La CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, così decideva: “Dichiara inammissibile l’appello del contribuente ed infondato l’appello dell’Ufficio”.

3.2. In motivazione la CTR osservava: – “l’appello del contribuente è inammissibile per difetto di specificità dei motivi, il che invero va affermato tutte le volte in cui l’appellante, come nella specie, si limita a ribadire puramente semplicemente le deduzioni esposte davanti ai primi giudici, senza addurre puntuali ragioni censorie avverso il loro ‘decisum’”;l’appello dell’Ufficio è infondato perché “.è corretto quanto divisato […] dai primi giudici, e ciò per il semplice rilievo che i conti stessi non risultavano intestati al D. G. ma alle due dette società, di modo che, per il principio di apparenza, non poteva trattarsi di operazioni effettuate dal contribuente in proprio, salva appunto la dimostrazione specifica che invece trattavasi di effettività contraria”.

Ed invero l’obiezione dell’Agenzia delle entrate di Caserta per cui incorrerebbe sul contribuente l’onere di provare la riferibilità dei conti alle due società intestatarie dei medesimi non è degna di pregio, atteso che una tale inversione probatoria – peraltro arbitrariamente prospettabile nel silenzio della legge – contrasta, a tacer da altro, con la regola generale di cui all’art.2697 c.c. che impone di provare i fatti costitutivi della pretesa creditoria […]. L’inversione innervata sulla […] ‘provocatio [ad opponendum’ che connota il giudizio tributario] presuppone che l’atto in cui si sostanzia ed esterna il credito vantato da soggetto attivo del rapporto tributario sia fondato, così come del resto prescrive l’art. 7 della legge n. 212/00, su circostanziati presupposti fattuali e giuridici, presupposti peraltro da portare a conoscenza del contribuente proprio perché possa esercitare la facoltà oppositiva che gli compete. In difetto di tanto, come nella specie, la stessa ‘provocatio’ è inefficace […]”.

4. Propone ricorso principale il contribuente con un motivo, resistito dall’Agenzia con controricorso.

4.1. Propone ricorso successivo l’Agenzia con due motivi, resistito dal contribuente con controricorso.

Rilevato che

1. Con l’unico motivo del ricorso principale del contribuente si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 53 D.Lgs. n. 546 del 1992 e 342 cod. proc. civ., erroneamente avendo la CTR dichiarato inammissibile l’appello del contribuente.

1.1. Il motivo è fondato è merita accoglimento.

È la stessa CTR a dare atto, nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo, che il contribuente, con l’atto di appello, “ribad[iva] le doglianze esposte in ricorso nei limiti del loro rigetto”.

Un tanto è di per se stesso sufficiente – alla luce del principio devolutivo pieno che caratterizza l’appello nel processo tributario, a differenza, sia consentito di far rilevare, del giudizio di cassazione (Cass. n. 125 del 2017) – a render conto di un’effettiva sottoposizione della regiudicanda al giudice del gravame, idonea a fondare il preciso ed ineludibile dovere decisiorio da parte del medesimo (cfr., tra le numerose altre, Cass. n. 125 del 2017 e Cass. n. 1200 del 2016).D’altronde, e pur a voler prescindere da quanto precede, dimostra il contribuente, alla stregua di un’ampia ed approfondita illustrazione dell’atto di appello contenuta, anche in chiave di autosufficienza, nel ricorso (pp. 6 ss.), che le doglianze in tale atto rassegnate erano finanche alla lettera riferite alla sentenza di primo grado. Ciò emerge con evidenza relativamente, ad esempio, non solo alla pretermissione, da parte della CTP come dell’Agenzia, “del mancato riscontro alla richiesta di sgravio parziale”, ma soprattutto all’omessa considerazione della rideterminazione del volume d’affari avanzata in via subordinata dal contribuente sulla base della stessa sentenza di primo grado.

2. Con il primo motivo del ricorso successivo dell’Agenzia si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia.

2.1. L’Ufficio – attesa l’esiguità del reddito dichiarato dal contribuente, pari ad euro 641,00 – aveva attivato indagini finanziarie.  All’avviso – fotoriprodotto per autosufficienza – “era allegato elenco delle movimentazioni bancarie ritenute rilevanti”. In appello l’Ufficio aveva censurato la sentenza di primo grado sotto il profilo dell’apparente o insufficiente motivazione con riguardo all’affermazione della non riferibilità dei conti correnti al contribuente in difetto, nel fascicolo processuale, di alcun sostegno probatorio.

La CTR non ha “affronta[to] il profilo censurato dall’Ufficio e relativo all’inesistenza di prova documentale in ordine alle estraneità del contribuente ai conti correnti esaminati dall’Ufficio. Vero è che il giudice di appello, benché mostri di prendere in considerazione (ma solo formalmente) la questione, tuttavia, non affronta il motivo specifico di appello, limitandosi a richiamare la precedente decisione della CTP, a sua volta censurata dall’Ufficio sotto il profilo della motivazione”.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.

È esso medesimo, infatti, a dare atto che la CTR, nella sentenza impugnata, scrive essere “corretto quanto divisato […] dai primi giudici, e ciò per il semplice rilievo che i conti stessi non risultavano intestati al Della G. ma alle due dette società […]”. La CTR, dunque, ben lungi dall’ignorare le doglianze introdotte dall’Ufficio in appello, le ha espressamente considerate e viepiù motivatamente confutate, in ragione dell’intestazione dei conti correnti addotti dall’Ufficio a fondamento dei recuperi a soggetti diversi dal contribuente.

3. Con il secondo motivo del ricorso successivo dell’Agenzia si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 32, comma 1, n. 7, DPR n. 600 del 1973 e dell’art. 51 DPR n. 633 del 1972.

3.1. “Risulta pacifico, anche perché è confermato dallo stesso contribuente a pag. 7, paragrafo 3)[,] del ricorso introduttivo del giudizio […], che i versamenti bancari in contestazione erano stati dallo stesso effettuati su conti correnti intestati a società delle quali egli stesso era legale rappresentante e delegato. Ebbene, il giudice di appello ha ritenuto acquisito al processo il fatto che i versamenti in contestazione siano stati effettuati dalla controparte su conti di società cui il soggetto era legato. Secondo i giudici, anzi, in tale fattispecie, l’Ufficio sarebbe stato onerato dell’ulteriore prova relativa alla circostanza che si sarebbe trattato di operazioni effettuate dal contribuente in proprio e non riferibili alle società […]. Il quadro portato alla valutazione del collegio di appello riguardava […] un soggetto che dichiarava un reddito per euro 641,00 ma che aveva effettuato numerose prestazioni professionali, risultanti dai documenti DOCFA presentati all’Agenzia del territorio[,] [e] versamenti per euro 394.362,00 su conti correnti comunque a lui riferibili, per circostanza non contestata. Pur essendo stato regolarmente notificato invito a fornire chiarimenti – anch’essa circostanza acclarata dalla CTP di Caserta e dalla CTR – il contribuente non vi aveva ottemperato, restando così non giustificate le disponibilità accertate. In giudizio, la CTR ha ritenuto che la formale intestazione a due società dei conti correnti su cui operava il Della G. escludesse la riferibilità dei versamenti al medesimo. Tali conclusioni non possono essere condivise […]”.

3.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

3.2.1. Viene in linea di conto che l’Ufficio non si è limitato a condurre indagini bancarie ai sensi dell’art. 32 DPR n. 600 del 1973. Gli esiti di dette indagini sono sfociati, in uno, da un parte, alle ulteriori emergenze acquisite (con riguardo alle numerose pratiche risultanti all’Agenzia del territorio ed all’esiguità dei redditi dichiarati) e, dall’altra, alla mancata risposta al questionario somministrato al contribuente, nell’impiego della metodologia accertativa di cui all’art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973.

3.2.2. Ora, le indagini bancarie, come correttamente rilevato nel motivo, di per se stesse determinano “una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza […] e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili” (cfr., ad es., Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392-01; cfr. altresì “ex multis” Sez. 5, n. 25812 del 23/09/2021, Rv. 662241-01; Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016, Rv. 640618-01; Sez. 6-5, n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064-01).

Tale presunzione consente all’Amministrazione “di riferire ‘de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente” (Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017, Rv. 644098-01).

In riferimento ai conti correnti bancari non del contribuente, vige il principio per cui essa è autorizzata “a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente” (Sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016, Rv. 639236-01).

3.2.3. Il “thema” vertito in causa – stante la motivazione della sentenza impugnata – riguarda giust’appunto la connessione ed inerenza dei conti correnti di terzi al reddito del contribuente.

3.2.4. Sul punto, nella specie, centrale rilievo acquisisce la mancata risposta al questionario. Più precisamente, nella parentesi di contraddittorio anticipato apertasi, per esclusiva iniziativa dell’Amministrazione, con la somministrazione del questionario, il contribuente ben avrebbe potuto, ma per ciò solo anche dovuto, fornire giustificazioni, non solo sul merito delle operazioni, ma prioritariamente sull’effettiva (al di là cioè del dato formale dell’intestazione) imputabilità a terzi dei conti correnti recanti le annotazioni di dette operazioni. Il silenzio serbato sul punto ha comportato l’effetto di assolvere l’Amministrazione dall’onere di ogni ulteriore allegazione e dimostrazione riguardo alla riferibilità al contribuente dei conti e, di riflesso, delle somme dal medesimo movimentatevi, spostando su di lui l’onere di fornire in contrario la prova rigorosa dell’esclusiva ascrivibilità delle somme a chi appare titolare dei conti. Al riguardo, può sinteticamente enunciarsi il seguente principio di diritto: In caso di accertamento fiscale scaturente (anche) da indagini bancarie ex art. 32 DPR n. 600 del 1973, in relazione ad operazioni effettuate dal contribuente su conti correnti intestati a terzi, qualora questi sia stato vanamente invitato a rendere giustificazioni sugli esiti di siffatte indagini, legittimamente essi confluiscono (insieme agli altri elementi raccolti) nella metodologia dell’accertamento induttivo puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, del citato DPR, con la conseguenza che l’Amministrazione non è gravata di alcun ulteriore onere probatorio in punto di riferibilità al contribuente dei conti e per l’effetto altresì delle somme di cui alle suddette operazioni, spettando invece a questi di offrire rigorosa prova contraria.

3.2.5. Ora, come visto, la CTR, nello “svolgimento del processo”, rammenta che “la CTP di Caserta […] falcidiava dai maggiori compensi da lavoro autonomo […] l’importo di euro 288.118,55 relativo ad operazioni su conti intestati alla srl Romano Costruzioni ed alla srl WBS di cui il D.G. era legale rappresentante delegato”; di poi, nei “motivi della decisione”, esclude la rilevanza delle movimentazioni su tali conti in quanto essi “non risultavano intestati al D. G. ma alle due dette società”, ragion per cui, “per il principio di apparenza, non poteva trattarsi di operazioni effettuate dal contribuente in proprio, salva appunto la dimostrazione specifica” – in tesi mancante perché non fornita dall’Ufficio, per ciò solo inosservante, “a tacer d’altro”, dell’art. 2697 cod. civ. – “che invece trattavasi di effettività contraria”.

In tal guisa, la CTR dimostra di aver fatto evidente malgoverno del principio dianzi enunciato, gravando l’Ufficio di un onere non incombentegli.

4. Conclusivamente, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale

Accoglie il secondo motivo del ricorso successivo, rigettato il primo. In relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, per nuovo esame e per le spese. Così deciso a Roma, lì 14 febbraio 2024

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