CASSAZIONE

Concessioni demaniali scadute, nessun tacito rinnovo

Demanio – Concessioni marittime – Turistico ricreative – Proroga – Canoni concessori – Art.3, c.3, L. n. 118/2022 – Mancato pagamento – Tacito rinnovo – Esclusione – Diritto di insistenza – Abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 404 del 10 gennaio 2023, intervenendo in merito a una questione connessa alla disciplina delle concessioni marittime, ha affermato che la proroga “a tempo” dell’efficacia delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 118/2022, non si applica alle concessioni scadute prima del 27 agosto 2022, data di entrata in vigore della normativa e non automaticamente rinnovata perché scaduta, per mancato pagamento del canone, prima della proroga disposta ex lege dall’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 25/2010, applicabile alle sole concessioni valide ed efficaci al momento dell’entrata in vigore del decreto.  Difatti, la disciplina nazionale che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (inclusa la moratoria pandemica ex art. 182, c. 2, Dl 34/2020, convertito in legge n. 77/2020) collide con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Tale quadro normativo e giurisprudenziale è stato caratterizzato dal contrasto tra legislazione europea e interna, ma si è  valso di un intervento chiarificatore  dell’Adunanza plenaria invocata dal Presidente del Consiglio di Stato, che con il decreto n. 160 del 24 maggio 2021, in considerazione proprio dei diversi e contrastanti orientamenti della giustizia amministrativa,  aveva deferito al massimo organo il compito di assicurare certezza e uniformità di applicazione e di dirimere i contrasti sulla materia. Così, con le sentenze c.d. gemelle n. 17 e n. 18/2021  dello scorso 9 novembre, si è definitivamente pronunciata sulla materia, statuendo con valenza nomofilattica il principio secondo cui le norme legislative nazionali (v. art. 1 commi 682 e 683 della legge 145/2018) che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, Dl 34/2020, sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. 

Come ricordato nella stessa Adunanza, la questione era stata già in gran parte esaminata dalla Corte di giustizia Ue, che con la sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15 aveva affermato, in sintesi, che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. Direttiva Bolkestein), relativa ai servizi nel mercato interno, devono essere interpretati nel senso che essa osta a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. Inoltre, continuano i giudici, anche l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo.

Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla Pubblica amministrazione.   Per evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, e tenuto conto dei tempi tecnici necessari perché le amministrazioni predispongano le procedura di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere restano efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, cesseranno di produrre effetti nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, che andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’Unione europea.

Pertanto, con la successiva sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019, VI Sezione, il Consiglio di Stato, applicando la normativa e la giurisprudenza dell’Ue, stabilisce che le leggi nazionali italiane che prevedono proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime sono in contrasto con il diritto europeo e che vadano pertanto disapplicate. Guardando inoltre alla nutrita giurisprudenza di legittimità in materia, possiamo inizialmente far riferimento alla Sent. n. 34622/2011, nella quale era riportato che la Suprema corte ha reiteratamente affermato che, ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’art.1161 cod. nav., la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime, prevista dall’art. 1, comma 18, Dl 194/2009, (conv. in legge 25/2010), presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace (Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013, Vita, Rv. 256411; Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Giudice, Rv. 257261). Va precisato che le due concessioni rilasciate al ricorrente, rispettivamente nel 2007 e nel 2008, risultavano scadute entrambe in data 31.12.2011, senza che il titolo concessorio fosse stato oggetto di legittime proroghe tacite, escluse dalla normativa vigente in materia, e il Collegio cautelare, nel decidere la quaestio iuris, si è uniformato ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

E invero va ricordato che il Dl 400/1993, art. 1, comma 2, abrogato dalla L. 217/2011, art. 11, comma 1 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee – Legge comunitaria 2010) stabiliva che “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per Io svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l’art. 42, comma 2, cod. nav.”.

Tale abrogazione, come chiarito dalla L. 217/2011, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908, avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico- balneare-ricreativa.

Da segnalare in proposito che nella recente sent. n. 15676/2022 gli Ermellini hanno voluto soffermare la propria attenzione su un particolare punto, quello della valenza delle concessioni, affermando che: “… La stessa decisione della Commissione 4 dicembre 2020 relativa al regime di aiuti SA. 38399 2019/C (ex 2018/E) “Tassazione dei porti in Italia” contiene l’affermazione per cui “la locazione di proprietà demaniali dietro il pagamento di un corrispettivo costituisce un’attività economica“. È allora evidente che il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara. Del resto, come ricordato dalla Corte di giustizia nella più volte citata sentenza P., “il considerando 39 della direttiva in questione precisa che la nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di concessioni”. E la stessa sentenza ha chiaramente affermato che “tali concessioni possono quindi essere qualificate come autorizzazioni, ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica”. Le concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative rappresentano dunque autorizzazioni di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. servizi, come tali sottoposte all’obbligo di gara (cfr. par. 24); c) in senso contrario non vale neanche valorizzare la mancanza del requisito della scarsità della risorsa naturale, sul quale peraltro la Corte di giustizia, nella sentenza P., ha rilevato che le concessioni sono rilasciate a livello non nazionale bensì comunale, fatto che deve “essere preso in considerazione al fine di determinare se tali aree che possono essere oggetto di uno sfruttamento economico siano in numero limitato”. Il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato”.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, un contribuente, legale rappresentate di una S.n.c. operante nel settore turistico-ricreativo, vedeva l’accoglimento del proprio ricorso, statuito dal Tribunale del riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP nella convinzione che le opere ricadenti in area demaniale marittima riferibili alla società del contribuente fossero prive di un valido titolo autorizzatorio. Avverso l’ordinanza impugnata, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione con unico motivo, in cui essenzialmente lamentava che dalle indagini svolte era apparso che il canone del 2009 non risultava pagato, con la conseguenza che doveva escludersi un tacito rinnovo della concessione demaniale in questione, atteso che il mancato pagamento del 2009 aveva impedito il rinnovo della concessione demaniale.

La Suprema Corte ha ritenuto valide le lagnanze della Procura, ritenendo che: “… Tanto premesso, può quindi procedersi nell’esame del ricorso del Procuratore della Repubblica che, come anticipato, è fondato.5. In punto di fatto, innanzitutto merita ricordare che la concessione demaniale marittima denominata “Pois Pub”, presente nel Comune di Giulianova ed oggetto del ricorso, risultava in Capo alla Ditta “4G di G. M. & C. s.n.c.” di Giulianova in forza del titolo concessorio n. 29 – Rep. 29710 in data 18.03.2002, redatto ai sensi del Codice della Navigazione e del relativo Regolamento, nonché a quanto prescritto dalla Legge n. 88/2001, che prevedeva da quattro a sei anni la durata dei titoli concessori. Di fatto, dunque, il titolo risultava rilasciato per la durata di sei anni, dal 01.01.2002 al 31.12.2007 (con la clausola secondo cui “alla scadenza si rinnova automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, salvo diverso provvedimento di revoca da parte dell’Amministrazione concedente ex art.42 del Cod. Nav. ovvero di decadenza ex art. 47 del Cod. Nav., fermo restando il pagamento della tassa di registrazione da richiedersi a cura della medesima Amministrazione”), e la clausola di “rinnovo automatico della concessione demaniale marittima” sopra indicata veniva redatta nel titolo in forza dell’art. 1, comma 2 del D.L. n. 400/1993, poi sostituito dall’art. 10 della Legge n. 88/2001 (dall’esame del testo della concessione, peraltro, risultano le seguenti annotazioni: “Si rilascia la presente licenza subordinata oltre che alle discipline doganali e di pubblica sicurezza alle condizioni che seguono:”, al cui successivo punto 10 si rileva che “il tacito rinnovo della presente concessione è comunque subordinato al pagamento dei canoni ed al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, sempre sotto pena di decadenza e con l’onere di sgombero e riconsegna di cui alle condizioni precitate”). Dall’attività di P.G. svolta, tuttavia, si rilevava che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall’Autorità competente alla ditta concessionaria sopra indicata con nota protocollo n. 437/DE3 del 09.01.2009. Pertanto, a fronte di tale clausola ed al mancato pagamento del canone 2009, deve escludersi che possa considerarsi tacitamente rinnovata la concessione demaniale marittima in questione, oltre al fatto che non vi è evidenza dei depositi cauzionali eseguiti ai fini del rinnovo della concessione demaniale. Quindi, se il mancato pagamento del canone 2009 ha impedito il rinnovo della concessione demaniale, la stessa è da considerarsi spirata prima del regime normativo che stabilisce le tacite proroghe delle concessioni demaniali marittime turistico ricreative, disposta dall’art. 18 del D.L. n. 194/2009, convertito in Legge n. 25/2010, dovendosi ritenere fondata l’arbitraria occupazione in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo. 6. In merito alla durata delle concessioni demaniali marittime, l’art. 10, comma 1, I. n. 88/2001 ha introdotto il principio del c.d. “rinnovo automatico” di sei anni in sei anni alla scadenza del titolo concessorio e, contestualmente, l’art. 37 del Codice della Navigazione, come modificato dal D.L. n. 400/1993 ha enunciato il “diritto di insistenza” dei concessionari sui beni oggetto della concessione, stabilendo che in sede di rinnovo delle stesse, dovesse esser accordata preferenza al precedente concessionario. La disciplina normativa fin qui esaminata è stata poi oggetto di attenzione da parte del Legislatore, il quale, in sede di approvazione della Legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006) ha modificato l’art. 3 del D.L. n. 400/1993, tramite l’inserimento del comma 4 -bis, che prevede la possibilità di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni “in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni” (art. 1, comma 253). L’impianto normativo italiano pocanzi esaminato ha dovuto uniformarsi alla pronuncia della direttiva comunitaria del 12.12.2006 n. 2006/123/CE – Bolkestein, che (in particolare, ai §§ 1-2, art. 12) ha ritenuto che nel comparto servizio-turismo la modalità di assegnazione della concessione demaniale marittima debba essere assoggettata a gara, con la conseguente applicazione delle norme che sovrintendono le procedure ad evidenza pubblica. Lo strappo con il diritto comunitario è divenuto così inevitabile e nel 2008 la Commissione Europea, nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, rilevata l’incompatibilità con i principi in essa contenuti delle disposizioni rinvenibili nel Codice della Navigazione e del D.L. n. 400/1993, attinenti il diritto di insistenza, ha formalmente ammonito l’Italia con la procedura d’infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell’ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari. Sul punto sono anche intervenute diverse pronunce della Giustizia Amministrativa (ex multis, Cons. St., 25.09.2009, n. 5765), che hanno affermato il principio giuridico in base al quale “alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (specificamente le concessioni demaniali marittime), poiché idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti” (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 3828/2009; occorrendo anche nell’assegnazione di un bene demaniale l’individuazione del soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell’interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parità di possibilità di accesso all’utilizzazione dei beni demaniali, sic TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23.04.2010, n. 2085). Rebus sic stantibus, il Legislatore italiano è intervenuto con il D.L. n. 194/2009, convertito con Legge n. 25/2010, il cui art. 1, comma 18, ha abrogato il comma 2 dell’art. 37 del Cod. Nav., disciplinante il “diritto di insistenza” e, contestualmente, disponendo una proroga sino al 31.12.2015 della scadenza di tutte le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto. Tale emendamento ha poi comportato l’apertura di una seconda procedura di infrazione comunitaria (la n. 2010/2734), legata al permanere della disposizione relativa al rinnovo automatico delle concessioni già esistenti. 7. Orbene, il Tribunale, aderendo sostanzialmente ai contenuti dell’istanza di riesame datata 31.03.2022, depositata dalla difesa dell’indagato in sede di riesame, non risulta aver adeguatamente effettuato quella indispensabile attività critica che doveva ineludibilmente essere operata nel caso di specie, se solo si considera che il richiamato giudizio si rivelava evidentemente incentrato su un taglio interpretativo della norma pro-assistito, che, sebbene offrisse un apprezzabile quadro generale della disciplina generale della materia trattata, trascurava alcuni passaggi critici indispensabili per delineare la corretta soluzione. Occorre, infatti, rilevare come il Collegio adito configuri il rinnovo automatico (il primo istituto in ordine cronologico reputato sussistente che, solo al suo concretizzarsi, avrebbe poi legittimato le successive proroghe riconosciute ai titoli concessori) come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio, senza soluzione di continuità. Tuttavia, tale conclusione è offerta a fondamento della motivazione dell’ordinanza impugnata senza analizzare in alcuna maniera i presupposti dell’istituto del rinnovo, insistendo ulteriormente sull’assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione in esame sia stata prorogata, con ciò richiamando il principio secondo cui in sede di proroga – e non di rinnovo (alla data della scadenza al 31.12.2007) – sussistessero i presupposti per l’esonero dell’Amministrazione dall’istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonché per l’esonero di attività istruttorie finalizzate a qualsivoglia accertamenti di carattere amministrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Nel caso in esame, tuttavia, non sussistono le condizioni del c.d. rinnovo automatico, stante l’assenza dei presupposti richiesti dalla normativa; tra questi, proprio la regolarità nella corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonché la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido che, qualora esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato in seguito accesso al regime di proroga. E invero, per il perfezionamento del citato iter procedimentale di rinnovo, la Regione Abruzzo è tenuta, ineludibilmente, a riscontrare l’avvenuto pagamento dei canoni dovuti. Conformemente a tali disposizioni normative, la Regione Abruzzo – Servizio di Pianificazione Territoriale e Paesaggio – Ufficio Demanio Marittimo tramite la nota n. 48641 del 09.02.2021 evidenziava del resto che la società 4G di G. M. & C. s.n.c. non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dell’anno 2009 ad oggi per una somma totale pari a euro 363.915,17 e altresì non aveva pagato le imposte regionali (10°/0 del canone) per una somma totale pari a euro 41.794,61. Nel caso di specie, invece, il mancato configurarsi di tali essenziali presupposti ha conseguentemente inibito la definizione del procedimento e, con esso, anche l’adozione e l’emanazione di un titolo concessorio valido, titolo che, qualora regolarmente formalizzato, avrebbe avuto poi accesso al già richiamato istituto della proroga. Infatti, sulla base della normativa richiamata, il distinguo tra l’istituto del rinnovo dell’atto concessorio e quello della mera proroga è rappresentato dalla ineludibile circostanza che, mentre quest’ultima presuppone la continuazione di un rapporto in corso, il rinnovo, invece, incide, rivitalizzandolo, su un rapporto ormai esaurito. Perché tale rivitalizzazione si concretizzi, non si può prescindere dal concretizzarsi degli estremi di una nuova concessione, che si sostituisce alla precedente già scaduta. In tal senso, si noti, anche alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa riguardanti l’accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall’Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte dagli stabilimenti balneari del teramano (Cons. St., sentenze nn. 6850-6851-6852- 6853/2018, tutte in data 03/12/2018). Di fatto, nella concreta fattispecie, nessun procedimento amministrativo, preordinato alla decadenza della concessione, doveva essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto tale istituto caducatorio presuppone inevitabilmente la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come in questo caso, una situazione già scaduta e, quindi, definitivamente esaurita.8. Alla stregua di quanto sopra, poi, non rileva, a giudizio del Collegio, la questione relativa alla “proroga automatica” delle concessioni che, infatti, presuppone un titolo concessorio valido ed efficace e non, invece, un titolo scaduto, peraltro alla data del 31.12.2007, dunque antecedente alla normativa interna, suc- cedutasi nel tempo (ossia l’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, che ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico – ricreative dapprima al 31.12.2015; successivamente, le modifiche apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31.12.2020 e, infine, per effetto dell’art. 1, commi 682 e 683 della successiva L. n. 145/2018, sino al 31.12.2033), dichiarata incompatibile alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE. Ed invero, va ricordato che l’art. 1, comma 2, D.L. n. 400 del 1993, abrogato dall’art. 11, comma 1, L. 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee – Legge comunitaria 2010) stabiliva che “le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l’art. 42, comma 2, cod. nav. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84”. L’abrogazione di quella disposizione, come espressamente chiarito dalla L. n. 217 del 2011, che vi provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa. L’instaurazione della procedura d’infrazione e la successiva abrogazione della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione. 9. Conclusivamente, la concessione rilasciata alla 4G, con scadenza alla data del 31 dicembre 2007, non “esisteva” più al momento dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere non solo oggetto di rinnovo (posto che il mancato paga- mento del canone ex art. 47, lett. d), Cod. nav., ne comporta la decadenza, imponendo all’Amministrazione l’esercizio di un potere di discrezionalità vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l’interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario: tra le tante, Cons. St., Sez. VI, n. 465 del 2 febbraio 2015) né, tantomeno, oggetto di proroga. Sul punto, del resto, è sufficiente in questa sede ricordare che in relazione allo svolgimento del rapporto concessorio conseguente al rilascio di una concessione demaniale marittima, la decadenza del concessionario per omesso pagamento del canone concessorio costituisce atto doveroso, unitamente alle altre ipotesi previste dall’art. 47 del Codice della Navigazione, che (con l’esclusione della lettera f), che fa generico riferimento alla « inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione») rappresentano altrettante clausole risolutive espresse, integrate le quali la risoluzione opera di di- ritto (v., sul punto: Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20854 del 02/10/2014, Rv. 632838 – 01), senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte (T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I, 18/09/2019, n.746). La concessione demaniale in questione era scaduta e non prorogata né prorogabile; e ciò in quanto già l’art. 1, comma 18 D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25 prevedeva che il termine di durata delle con- cessioni “in essere” alla data di entrata in vigore del predetto decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fosse prorogato fino al 31 dicembre 2020, con la logica conseguenza che la proroga dovesse intendersi come valevole solo per le concessioni “nuove” (nel senso di successive al D.L. n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010) in quanto “in essere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009 e in scadenza” e tale non era la concessione originariamente emessa a favore della 4G (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014 – dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108; Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013 – dep. 30/07/2013, Vita, Rv. 256411)”.

Corte di Cassazione – Sentenza 10 gennaio 2023, n. 404

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TERAMO nei confronti di: G. M. nato a SENIGALLIA il 18/10/1960 avverso l’ordinanza del 14/04/2022 del TRIB. LIBERTA’ di TERAMO

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

lette le memorie difensive dell’Avv. EUGENIO GALASSI, con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero ed alle conclusioni scritte del PG, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 14.04.2022, il tribunale del riesame di Teramo ha accolto il ricorso proposto nell’interesse di G. M., quale legale rappresentante della soc. 4G di G. M. & c. s.n.c. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/Tribunale di Teramo in data 18.03.2022 avente ad oggetto le opere ricadenti in area demaniale marittima senza valido titolo autorizzatorio, il tutto presso il ristorante pub ad insegna “Pois pub” di proprietà della predetta società, e nelle sue aree di pertinenza, corrente in Giulianova.

2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo propone ricorso per cassazione, deducendo un unico ed articolato motivo, di seguito sommariamente indicato.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 1161 cod. nav. In sintesi, il ricorso evidenzia come la concessione demaniale marittima denominata “Pois pub” risultava in capo alla società dell’indagato in forza del titolo rilasciatogli in data 18.03.2002, titolo che, rilasciato per la durata di sei anni, aveva una validità dal 1.01.2002 al 31.12.2007.

Nel predetto titolo concessorio era presente la clausola di rinnovo automatico in forza dell’art. 1, co. 2, d.l. 400 del 1993, conv. con modd. in L. 494 del 1993, come sostituito dall’art. 10, L. n. 88 del 2001. Al punto 10 delle condizioni indicate nella concessione demaniale in questione veniva specificato che il tacito rinnovo della concessione in questione era subordinato al pagamento dei canoni e al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, a pena di decadenza e con l’onere di sgombero e riconsegna.

Orbene, rileva il PM ricorrente che dalle indagini svolte è emerso che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall’autorità competente alla ditta concessionaria con nota 1.09.2009. Ne consegue, quindi, che deve escludersi che possa essersi verificato il tacito rinnovo della concessione demaniale in questione, atteso che il pagamento del canone del 2009 aveva impedito il rinnovo della concessione demaniale in questione, donde la stessa è da ritenersi spirata prima dell’entrata in vigore delle norme che hanno introdotto il regime delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime turistico – ricreative, di cui all’art. 18, d.l. 194 del 2009, conv. con modd. in L. 25 del 2010, e successive modifiche ed integrazioni, dovendosi pertanto ritenere fondata l’occupazione arbitraria in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo.

Il tribunale, dunque, aderendo alla tesi difensiva proposta in sede di riesame, non avrebbe adeguatamente effettuato quell’indispensabile attività critica che avrebbe dovuto essere svolta.

A tal fine, il PM ricorrente, dopo aver operato un’ampia e dettagliata ricognizione normativa e giurisprudenziale sul tema delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime, osserva come il tribunale del riesame avrebbe errato nel configurare il rinnovo automatico come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio, senza soluzione di continuità, essendo giunto a tale soluzione senza analizzare i presupposti dell’istituto del rinnovo, insistendo sull’assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione demaniale in questione sarebbe stata prorogata. In altri termini, sarebbe stato erroneamente applicato il principio secondo cui, in sede di proroga, e non quindi in sede di rinnovo alla data della scadenza del 31.12.2007, vi fosse l’esonero dell’Amministrazione dall’istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonché l’esonero di attività istruttorie finalizzate a qualsiasi accertamento di carattere amministrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Diversamente, ribadisce il PM ricorrente, nel caso in esame non sussisterebbero le condizioni del c.d. rinnovo automatico, attesa l’assenza dei requisiti richiesti dalla normativa, tra cui la regolarità della corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonché la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido, che ove esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato accesso al regime di proroga. Sul punto, evidenzia come la regione Abruzzo, ufficio demanio marittimo, con nota 9.02.2021 aveva evidenziato che la società riferibile all’indagato non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dal 2009 ad oggi, per una somma totale di quasi 364.000 euro, senza nemmeno pagare le imposte regionali, pari al 10% del canone, per una somma di poco inferiore ai 42.000 euro. Operata, infine, una puntualizzazione sulle differenze tra “proroga” e “rinnovo”, in cui si anniderebbe l’errore dei giudici del riesame, ribadisce il PM che detta tesi sarebbe stata suffragata anche da plurime decisioni del giudice amministrativo, richiamando quattro sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in data 3.12.2018 e riguardanti l’accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall’Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte rispettivamente da altrettanti stabilimenti balneari del teramano. Di conseguenza, nessun procedimento amministrativo preordinato alla decadenza della concessione avrebbe dovuto essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto il descritto istituto caducatorio presuppone la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come nel caso in esame, una situazione scaduta e quindi definitivamente esaurita.

Da ultimo, infine, si duole il PM ricorrente per aver i giudici del riesame operato un distinguo delle difformità edilizie accertate in sede di ispezione demaniale alla concessione, parte delle quali derubricata ad innovazioni anziché ad abusi, atteso che, diversamente, la prospettazione accusatoria sarebbe confermata dalla circostanza per la quale, in assenza di un provvedimento mai formalmente rinnovatosi, e quindi mai prorogato di validità, permarrebbe la piena operatività del reato di cui all’art. 1161 cod. nav., nei termini dell’abusiva occupazione dell’intera area assentita in concessione, illecito penale posto a base del carattere permanente della fattispecie e del requisito del periculum in mora ravvisato dal GIP, dovendosi in ultima analisi ritenere che il periculum risulterebbe in re ipsa. Sarebbe, conseguentemente, superato il dubbio espresso dal Tribunale circa la maggiore occupazione della superficie demaniale (1610 mq. anziché 1530 mq.) condizione che da sola aveva determinato il tribunale a disporre l’annullamento del decreto di sequestro, atteso che l’indagato dal 2009 non aveva effettuato alcun pagamento dei canoni demaniali, e che l’ultimo titolo concessorio demaniale marittimo rilasciato era quello scaduto il 31.12.2007. Erroneamente, pertanto, i giudici del riesame avrebbero ritenuto insussistenti le esigenze cautelari solo in ragione dell’incerta perimetrazione delle maggiori aree occupate, trascurando invece le occupazioni del demanio marittimo constatate dalla PG e contestate nel capo b) dalla lett. b) alla lett. k).

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.11.2022 la propria requisitoria scritta con cui ha insistito per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. In particolare, il P.G. ha evidenziato:

(a) che è ormai consolidato l’orientamento di legittimità il quale, partendo dalle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 213 del 2011, n. 340 del 2010, n. 233 del 2010 e n. 180 del 2010), ha affermato che le disposizioni che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime violano l’art. 117 Cost., comma 1, per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza (c.d. Direttiva Bolkestein), con conseguente obbligo di disapplicazione delle norme (nazionali o regionali) che prevedono taciti rinnovi delle concessioni per il periodo in cui sono state in vigore, e relativa caducazione di tali taciti rinnovi in ragione del venire meno del presupposto normativo su cui si fondavano (in argomento, anche Sez. 3, sentenza n. 7267 del 09/01/2014 – dep. 14/02/2014, Granata e altri, Rv. 259294 – 01, secondo cui dalla immediata operatività della direttiva CE sopra indicata consegue la disapplicazione del D.L. n. 400 del 1993, come conv. e succ. modif., con l’effetto che le concessioni demaniali che scadevano il 31.12.2007, quale è quella di specie, non potevano essere più prorogate automaticamente);

(b) che la proroga legale dei termini di durata delle concessioni, prevista dall’art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 (conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25), la quale, se applicabile alla concreta fattispecie, esclude la configurabilità del reato di cui all’art. 1161 cod. nav., presuppone la titolarità di un provvedimento concessorio valido ed efficace ed opera solo per gli atti ampliativi successivi all’entrata in vigore del medesimo D.L. n. 194 del 2009 (su cui si richiama anche Sez. 3, sentenza n. 29763 del 26/03/2014 – dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108 – 01; succ. conformi, da ultimo, Sez. 3, sentenza n. 15676 del 13/04/2022 – dep. 22/04/2022, Galli, n.m.), mentre nella specie, al momento di entrata in vigore dell’art. 1 citato, la concessione demaniale de qua era già scaduta, non operando così il regime di rinnovo automatico; (c) il dictum di Sez. 3, sentenza n. 29105 del 16/09/2020 – dep. 21/10/2020, Longino, n.m., relativa ad analoga vicenda, peraltro nella stessa zona demaniale.

4. In data 21.10.2022 l’Avv. Eugenio Galassi, nell’interesse dell’indagato, ha fatto pervenire memoria difensiva, con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato. Con successiva memoria datata 2.12.2022, il predetto difensore, in replica alla requisitoria scritta del PG, ha insistito per il rigetto del ricorso del PM.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso – in assenza di richiesta di discussione orale, trattato ai sensi dell’art. 23, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, e successive modifiche ed integrazioni – è fondato.

2. Al fine di meglio chiarire le ragioni che hanno determinato il Collegio a tale soluzione, è utile ripercorrere, sebbene sinteticamente, la vicenda storico – processuale al medesimo sottesa.

3. Il 9.02.2021 l’Ufficio Demanio Marittimo della Giunta Regionale abruzzese, Dipartimento Territorio – Ambiente, Servizio Pianificazione territoriale e Paesaggio segnalava alcune criticità relative alla concessione demaniale accordata alla società “4G di G. M. & C. s.n.c.”, di cui è legale rappresentante l’indagato.

In tale nota si rappresentava l’emersione, a seguito di alcuni sopralluoghi eseguiti negli anni 1997 e 2008, di tutta una serie di manufatti, abusivamente realizzati e connessi funzionalmente alla concessione in questione, e si disponeva la rettifica dei canoni demaniali in ragione dell’effettiva consistenza riscontrata. La nota veniva, poi, inoltrata all’Ufficio Circondariale Marittimo – Guardia Costiera di Giulianova, a sua volta richiesto di eseguire ulteriori accertamenti sulla regolarità delle opere e sulla tempestività dei versamenti degli oneri concessori. In sede di attività compiuta in data 11.11.2021, la società dell’indagato non era in grado di esibire il titolo concessorio in corso di validità; l’indagato negava di aver ricevuto solleciti di pagamento di canoni relativi alla concessione demaniale e non presentava documentazione inerente all’avvenuto pagamento delle imposte regionali dovute. A questo punto, l’Agenzia del Demanio di Pescara rimetteva una nota con cui evidenziava il mancato pagamento dei canoni demaniali dovuti per la concessione a partire dal 2009. Veniva, peraltro, acquisita ulteriore documentazione inerente al titolo concessorio demaniale, che veniva identificato nella concessione n. 29/2002 rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Pescara. Tale concessione aveva una durata di sei anni, come previsto dall’art. 1, comma 2, D.L. n. 400/1993 (poi abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. a), L. n. 217/2011 al dichiarato fine di favorire la rapida e favorevole definizione di procedure d’infrazione a carico dello Stato avviate dalla Commissione Europea). Il personale dell’Agenzia del Demanio, Direzione Regionale Abruzzo e Molise intraprendeva un’attività ispettiva nell’ambito della quale veniva esaminata la documentazione tecnico-amministrativa, veniva avviato il contraddittorio con l’indagato, e veniva espletato un sopralluogo sempre in data 11.11.2021: in questo contesto venivano acquisiti i titoli edilizi che assentivano gli interventi eseguiti sul compendio immobiliare oggetto di concessione (ossia dell’autorizzazione edilizia n. 114 del 12.09.1984, n. 103 del 04/05/1987, n. 384 del 16/06/1987 e n. 199 del 21/07/1987).

All’esito dei rilievi venivano accertate:

1) attività di rilevanza edilizia poste in essere in assenza o in difformità ai titoli edilizi (per cui si veda il capo a) d’imputazione);

2) rilevanti scostamenti dal titolo concessorio, ritenuto scaduto, quanto all’effettiva occupazione di spazi demaniali.

In conseguenza di ciò, in data 18.03.2022, il G.I.P. presso il Tribunale di Teramo disponeva il sequestro preventivo del ristorante/pub, con aree di pertinenza, ritenendo sussistente il fumus boni iuris in relazione ad entrambi i reati contestati in via provvisoria all’indagato.

Quanto al capo a) della rubrica (reato p. e p. dagli artt. 35, 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i., 142, comma 1 lett. a), 146, commi 1 e 2, 181, comma 1-bis lett. A) D.Lgs. n. 42/2004 e s.nn.i.), risultava, infatti, essere stata accertata, in sede di sopralluogo presso i locali in uso all’impresa dell’indagato, la realizzazione di tutta una serie di opere, vuoi in totale difformità dai titoli edilizi, vuoi in totale carenza degli stessi, da identificare, in ragione della natura demaniale del bene immobile destinato ad ospitare le opere, nel permesso a costruire.

Quanto al capo b) della rubrica (reato p. e p. dagli artt. 54, 1161, comma 1, R.D. n. 327/1942 – Codice della Navigazione), anche in questo caso (dopo aver operato una sintetica rassegna delle principali disposizioni e pronunce in materia) venivano ritenuti sussistenti gli elementi del fumus boni iuris in relazione al reato di occupazione arbitraria, poiché avente ad oggetto superficie maggiore di quella assentita dai titoli demaniali e poiché discendente da “innovazioni non consentite” ai sensi dell’art. 1161 cod. nav. idonee a determinare un ampliamento dell’occupazione (risultando, infatti, che la concessione in favore dell’indagato consentiva l’occupazione di una superficie totale massima di 1530 mq, a fronte dell’effettiva occupazione di 1610 mq, in ragione evidentemente delle innovazioni non consentite). Infine, veniva ritenuto sussistente anche il periculum in mora, dato che “la realizzazione di numerosi interventi edilizi sine título, l’ampliamento per le vie di fatto dell’oggetto della concessione e l’omissione di pagamenti dei canoni concessori per vari anni (…) consentivano di ritenere assai probabile l’aggravamento delle conseguenze dell’illecito penale” (pag. 3 decreto di sequestro G.I.P. Teramo).

In data 31.03.2022, l’indagato interponeva istanza di riesame avverso il provvedimento di sequestro, chiedendo in via principale l’annullamento del decreto di sequestro preventivo del 18.03.2022 oppure, in via subordinata, la sostituzione della misura con altra meno onerosa (sostenendosi peraltro, a pag. 12, come vi fosse una differenza tra la volumetria concessa, pari a 1530 mq, e quella effettivamente occupata, pari a 1610 mq).

Erano due i motivi di riesame:

il primo concernente l’asserita insussistenza del fumus boni iuris della misura cautelare reale (peraltro sollevando la questione relativa alla prescrizione dell’illecito di cui al capo a) di imputazione);

il secondo relativo all’insussistenza del periculum in mora, in- defettibile ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo.

In data 14.04.2022, il Tribunale penale di Teramo, Sezione per il riesame nei provvedimenti di sequestro, accoglieva il ricorso e revocava il sequestro preventivo in essere (definitivamente disponendo il dissequestro lo stesso 14.04.2022, come da verbale di dissequestro ex art. 263 c.p.p.). Difatti, richiamando l’impostazione e le argomentazioni difensive, il Giudice del Riesame affermava di non ritenere sussistente il fumus boni iuris che aveva portato all’emissione della misura da parte del G.I.P. in quanto, ai fini del rinnovo della concessione, non erano necessari gli incombenti di cui parlava l’accusa a carico dell’indagato, non sussistendo in definitiva il reato di occupazione arbitraria posta in totale carenza di titolo demaniale. Nessun argomento veniva speso in punto di periculum n in mora e, conclusivamente, veniva operato un incerto riferimento a come “non sia possibile allo stato dei fatti determinare e circostanziare l’area che è abusiva- mente occupata” (pag. 4 ord. Riesame Trib. Teramo).

4. Tanto premesso, può quindi procedersi nell’esame del ricorso del Procuratore della Repubblica che, come anticipato, è fondato.

5. In punto di fatto, innanzitutto merita ricordare che la concessione demaniale marittima denominata “Pois Pub”, presente nel Comune di Giulianova ed oggetto del ricorso, risultava in Capo alla Ditta “4G di G. M. & C. s.n.c.” di Giulianova in forza del titolo concessorio n. 29 – Rep. 29710 in data 18.03.2002, redatto ai sensi del Codice della Navigazione e del relativo Regolamento, nonché a quanto prescritto dalla Legge n. 88/2001, che prevedeva da quattro a sei anni la durata dei titoli concessori. Di fatto, dunque, il titolo risultava rilasciato per la durata di sei anni, dal 01.01.2002 al 31.12.2007 (con la clausola secondo cui “alla scadenza si rinnova automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, salvo diverso provvedimento di revoca da parte dell’Amministrazione concedente ex art.42 del Cod. Nav. ovvero di decadenza ex art. 47 del Cod. Nav., fermo restando il pagamento della tassa di registrazione da richiedersi a cura della medesima Amministrazione”), e la clausola di “rinnovo automatico della concessione demaniale marittima” sopra indicata veniva redatta nel titolo in forza dell’art. 1, comma 2 del D.L. n. 400/1993, poi sostituito dall’art. 10 della Legge n. 88/2001 (dall’esame del testo della concessione, peraltro, risultano le seguenti annotazioni: “Si rilascia la presente licenza subordinata oltre che alle discipline doganali e di pubblica sicurezza alle condizioni che seguono:”, al cui successivo punto 10 si rileva che “il tacito rinnovo della presente concessione è comunque subordinato al pagamento dei canoni ed al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, sempre sotto pena di decadenza e con l’onere di sgombero e riconsegna di cui alle condizioni precitate”).

Dall’attività di P.G. svolta, tuttavia, si rilevava che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall’Autorità competente alla ditta concessionaria sopra indicata con nota protocollo n. 437/DE3 del 09.01.2009. Pertanto, a fronte di tale clausola ed al mancato pagamento del canone 2009, deve escludersi che possa considerarsi tacitamente rinnovata la concessione demaniale marittima in questione, oltre al fatto che non vi è evidenza dei depositi cauzionali eseguiti ai fini del rinnovo della concessione demaniale. Quindi, se il mancato pagamento del canone 2009 ha impedito il rinnovo della concessione demaniale, la stessa è da considerarsi spirata prima del regime normativo che stabilisce le tacite proroghe delle concessioni demaniali marittime turistico ricreative, disposta dall’art. 18 del D.L. n. 194/2009, convertito in Legge n. 25/2010, dovendosi ritenere fondata l’arbitraria occupazione in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo.

6. In merito alla durata delle concessioni demaniali marittime, l’art. 10, comma 1, I. n. 88/2001 ha introdotto il principio del c.d. “rinnovo automatico” di sei anni in sei anni alla scadenza del titolo concessorio e, contestualmente, l’art. 37 del Codice della Navigazione, come modificato dal D.L. n. 400/1993 ha enunciato il “diritto di insistenza” dei concessionari sui beni oggetto della concessione, stabilendo che in sede di rinnovo delle stesse, dovesse esser accordata preferenza al precedente concessionario. La disciplina normativa fin qui esaminata è stata poi oggetto di attenzione da parte del Legislatore, il quale, in sede di approvazione della Legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006) ha modificato l’art. 3 del D.L. n. 400/1993, tramite l’inserimento del comma 4 -bis, che prevede la possibilità di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni “in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni” (art. 1, comma 253).

L’impianto normativo italiano pocanzi esaminato ha dovuto uniformarsi alla pronuncia della direttiva comunitaria del 12.12.2006 n. 2006/123/CE – Bolkestein, che (in particolare, ai §§ 1-2, art. 12) ha ritenuto che nel comparto servizio-turismo la modalità di assegnazione della concessione demaniale marittima debba essere assoggettata a gara, con la conseguente applicazione delle norme che sovrintendono le procedure ad evidenza pubblica. Lo strappo con il diritto comunitario è divenuto così inevitabile e nel 2008 la Commissione Europea, nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, rilevata l’incompatibilità con i principi in essa contenuti delle disposizioni rinvenibili nel Codice della Navigazione e del D.L. n. 400/1993, attinenti il diritto di insistenza, ha formalmente ammonito l’Italia con la procedura d’infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell’ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari. Sul punto sono anche intervenute diverse pronunce della Giustizia Amministrativa (ex multis, Cons. St., 25.09.2009, n. 5765), che hanno affermato il principio giuridico in base al quale “alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (specificamente le concessioni demaniali marittime), poiché idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti” (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 3828/2009; occorrendo anche nell’assegnazione di un bene demaniale l’individuazione del soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell’interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parità di possibilità di accesso all’utilizzazione dei beni demaniali, sic TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23.04.2010, n. 2085).

Rebus sic stantibus, il Legislatore italiano è intervenuto con il D.L. n. 194/2009, convertito con Legge n. 25/2010, il cui art. 1, comma 18, ha abrogato il comma 2 dell’art. 37 del Cod. Nav., disciplinante il “diritto di insistenza” e, contestualmente, disponendo una proroga sino al 31.12.2015 della scadenza di tutte le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto. Tale emendamento ha poi comportato l’apertura di una seconda procedura di infrazione comunitaria (la n. 2010/2734), legata al permanere della disposizione relativa al rinnovo automatico delle concessioni già esistenti.

7. Orbene, il Tribunale, aderendo sostanzialmente ai contenuti dell’istanza di riesame datata 31.03.2022, depositata dalla difesa dell’indagato in sede di riesame, non risulta aver adeguatamente effettuato quella indispensabile attività critica che doveva ineludibilmente essere operata nel caso di specie, se solo si considera che il richiamato giudizio si rivelava evidentemente incentrato su un taglio interpretativo della norma pro-assistito, che, sebbene offrisse un apprezzabile quadro generale della disciplina generale della materia trattata, trascurava alcuni passaggi critici indispensabili per delineare la corretta soluzione.

Occorre, infatti, rilevare come il Collegio adito configuri il rinnovo automatico (il primo istituto in ordine cronologico reputato sussistente che, solo al suo concretizzarsi, avrebbe poi legittimato le successive proroghe riconosciute ai titoli concessori) come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio, senza soluzione di continuità. Tuttavia, tale conclusione è offerta a fondamento della motivazione dell’ordinanza impugnata senza analizzare in alcuna maniera i presupposti dell’istituto del rinnovo, insistendo ulteriormente sull’assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione in esame sia stata prorogata, con ciò richiamando il principio secondo cui in sede di proroga – e non di rinnovo (alla data della scadenza al 31.12.2007) – sussistessero i presupposti per l’esonero dell’Amministrazione dall’istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonché per l’esonero di attività istruttorie finalizzate a qualsivoglia accertamenti di carattere amministrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti.

Nel caso in esame, tuttavia, non sussistono le condizioni del c.d. rinnovo automatico, stante l’assenza dei presupposti richiesti dalla normativa; tra questi, proprio la regolarità nella corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonché la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido che, qualora esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato in seguito accesso al regime di proroga. E invero, per il perfezionamento del citato iter procedimentale di rinnovo, la Regione Abruzzo è tenuta, ineludibilmente, a riscontrare l’avvenuto pagamento dei canoni dovuti. Conformemente a tali disposizioni normative, la Regione Abruzzo – Servizio di Pianificazione Territoriale e Paesaggio – Ufficio Demanio Marittimo tramite la nota n. 48641 del 09.02.2021 evidenziava del resto che la società 4G di G. M. & C. s.n.c. non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dell’anno 2009 ad oggi per una somma totale pari a euro 363.915,17 e altresì non aveva pagato le imposte regionali (10°/0 del canone) per una somma totale pari a euro 41.794,61. Nel caso di specie, invece, il mancato configurarsi di tali essenziali presupposti ha conseguentemente inibito la definizione del procedimento e, con esso, anche l’adozione e l’emanazione di un titolo concessorio valido, titolo che, qualora regolarmente formalizzato, avrebbe avuto poi accesso al già richiamato istituto della proroga. Infatti, sulla base della normativa richiamata, il distinguo tra l’istituto del rinnovo dell’atto concessorio e quello della mera proroga è rappresentato dalla ineludibile circostanza che, mentre quest’ultima presuppone la continuazione di un rapporto in corso, il rinnovo, invece, incide, rivitalizzandolo, su un rapporto ormai esaurito. Perché tale rivitalizzazione si concretizzi, non si può prescindere dal concretizzarsi degli estremi di una nuova concessione, che si sostituisce alla precedente già scaduta. In tal senso, si noti, anche alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa riguardanti l’accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall’Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte dagli stabilimenti balneari del teramano (Cons. St., sentenze nn. 6850-6851-6852- 6853/2018, tutte in data 03/12/2018).

Di fatto, nella concreta fattispecie, nessun procedimento amministrativo, preordinato alla decadenza della concessione, doveva essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto tale istituto caducatorio presuppone inevitabilmente la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come in questo caso, una situazione già scaduta e, quindi, definitivamente esaurita.

8. Alla stregua di quanto sopra, poi, non rileva, a giudizio del Collegio, la questione relativa alla “proroga automatica” delle concessioni che, infatti, presuppone un titolo concessorio valido ed efficace e non, invece, un titolo scaduto, peraltro alla data del 31.12.2007, dunque antecedente alla normativa interna, suc- cedutasi nel tempo (ossia l’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, che ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico – ricreative dapprima al 31.12.2015; successivamente, le modifiche apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31.12.2020 e, infine, per effetto dell’art. 1, commi 682 e 683 della successiva L. n. 145/2018, sino al 31.12.2033), dichiarata incompatibile alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE. Ed invero, va ricordato che l’art. 1, comma 2, D.L. n. 400 del 1993, abrogato dall’art. 11, comma 1, L. 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee – Legge comunitaria 2010) stabiliva che “le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l’art. 42, comma 2, cod. nav. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84”.

L’abrogazione di quella disposizione, come espressamente chiarito dalla L. n. 217 del 2011, che vi provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa. L’instaurazione della procedura d’infrazione e la successiva abrogazione della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione.

9. Conclusivamente, la concessione rilasciata alla 4G, con scadenza alla data del 31 dicembre 2007, non “esisteva” più al momento dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere non solo oggetto di rinnovo (posto che il mancato paga- mento del canone ex art. 47, lett. d), Cod. nav., ne comporta la decadenza, imponendo all’Amministrazione l’esercizio di un potere di discrezionalità vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l’interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario: tra le tante, Cons. St., Sez. VI, n. 465 del 2 febbraio 2015) né, tantomeno, oggetto di proroga. Sul punto, del resto, è sufficiente in questa sede ricordare che in relazione allo svolgimento del rapporto concessorio conseguente al rilascio di una concessione demaniale marittima, la decadenza del concessionario per omesso pagamento del canone concessorio costituisce atto doveroso, unitamente alle altre ipotesi previste dall’art. 47 del Codice della Navigazione, che (con l’esclusione della lettera f), che fa generico riferimento alla « inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione») rappresentano altrettante clausole risolutive espresse, integrate le quali la risoluzione opera di di- ritto (v., sul punto: Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20854 del 02/10/2014, Rv. 632838 – 01), senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte (T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I, 18/09/2019, n.746). La concessione demaniale in questione era scaduta e non prorogata né prorogabile; e ciò in quanto già l’art. 1, comma 18 D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25 prevedeva che il termine di durata delle con- cessioni “in essere” alla data di entrata in vigore del predetto decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fosse prorogato fino al 31 dicembre 2020, con la logica conseguenza che la proroga dovesse intendersi come valevole solo per le concessioni “nuove” (nel senso di successive al D.L. n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010) in quanto “in essere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194 del 2009 e in scadenza” e tale non era la concessione originariamente emessa a favore della 4G (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014 – dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108; Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013 – dep. 30/07/2013, Vita, Rv. 256411).

Del tutto inconferente è dunque il richiamo, da parte del Tribunale distrettuale e della difesa della 4G, dell’omessa attivazione, da parte dell’Amministrazione, del procedimento di decadenza dalla concessione per l’omesso pagamento del canone di concessione, di cui all’art. 47, comma 1, lett. d), cod. nav., per l’assorbente ragione che, essendo la concessione scaduta, non era più in essere alcun rapporto giuridico tra l’amministrazione e la 4G. Né, infine, risulta che la concessionaria abbia usufruito del c.d. condono balneare di cui all’art. 100, di. 4 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126.

10. Che, del resto, questa sia la conclusione corretta, era stato già affermato da questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 29105 del 16 settembre 2020, dep. 21 ottobre 2020, PM in proc. Longino, n.m.).

Va, infine, richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo (da ultimo: Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011 – dep. 23/09/2011, P.M. in proc. Barbieri, Rv. 250976), attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione.

11. Da ultimo, ritiene il Collegio che parimenti non abbia rilievo l’art. 3, comma 3, I. 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, in G.U. n.188 del 12-8-2022), in vigore dal 27/08/2022, che ha disciplinato l’annosa questione delle concessioni demaniali marittime all’art. 3, introducendo un inciso al comma 3 che impedisce di ritenere configurabile, fino al 31.12.2023 o, in presenza delle condizioni ivi indicate, fino al 31.12.2024, il reato di cui all’art.1161 Cod. nav. Tale disposizione, che proroga ex lege l’efficacia, fino alle predette date, delle concessioni indicate dalla lett. a) della medesima disposizione, subordina infatti la proroga “a tempo” dell’efficacia alla condizione che la concessione sia “in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della legge 30 dicembre 2018, n. 145, e del decreto- legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126”, con la conseguenza che tale disposizione non trova applicazione, invece, a quelle concessioni che non sono in essere alla data del 27.08.2022, ossia data di entrata in vigore della I. 118/2022.

E’ quindi lo stesso Legislatore a prevedere espressamente che tale “beneficio” non possa estendersi alle concessioni scadute, tra cui vi rientra quella in esame, soggetta sì a rinnovo automatico in forza della clausola n. 10, ma subordinatamente alla condizione del regolare pagamento dei canoni concessori, non corrisposti a far data dal 2009, come emerge dagli atti, donde la stessa da tale data era da considerarsi scaduta perché decaduta ex art. 47, comma 1, lett. d), cod. nav., con conseguente permanenza dell’abusiva occupazione dello spazio demaniale marittimo, integrante l’illecito di cui all’art. 1161 cod. nav. 12. L’impugnata ordinanza dev’essere pertanto annullata per nuovo giudizio davanti al tribunale di Teramo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Teramo competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p. Così deciso, il 14 dicembre 2022

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