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Violazioni delle norme tributarie: sanzioni sempre dovute, anche senza dimostrazione del dolo

Tributi – IRPEF – Violazioni delle norme tributarie – Redditometro – Cartella – Sanzioni – Art. 5 del D.lgs. 472/1997 –  Responsabilità del contribuente – Domanda di rottamazione – Presunzione di colpa  – Onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21546 del 31 luglio 2024 è intervenuta nuovamente sul tema della dimostrazione del dolo o colpa in ambito tributario in cui sia incorso il contribuente, affermando che la norma di riferimento presuppone una presunzione di colpa per colui che ha posto in essere l’atto vietato e che non occorre, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa. Spetta quindi al contribuente l’onere della prova contraria, come peraltro hanno riconosciuto recentemente gli stessi giudici della Suprema Corte con la sentenza n. 12648/2024. In definitiva, secondo i giudici basta che la condotta sia cosciente e volontaria, senza necessità di provare un intento fraudolento o evasivo da parte del contribuente e quindi le sanzioni sono sempre dovute, a prescindere dalla volontarietà o dalla colpa riscontrabile nel caso di specie.

In buona sostanza, dunque, gli Ermellini hanno tra l’altro offerto importanti chiarimenti sull’importanza dell’articolo 5 del D.lgs. 472/1997, che sottolinea l’affermazione della responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie  e postula soltanto l’esistenza di una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa o di un intento fraudolento, o ancora di una volontà di evasione dell’imposta, anche a mero titolo di tentativo. Ciò in quanto la norma stabilisce una presunzione di colpa a carico di colui che abbia posto in essere l’atto vietato, gravandolo dell’onere della prova contraria (v. Cass. n. 16463/2020, n. 25057/2019, n. 22329/2018, n. 13068/2011).

Da sottolineare, inoltre, che i giudici di piazza Cavour, con sentenza n. 22679/2022, principio confermato anche successivamente, hanno statuito precisamente che: “… in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. Questo può consistere anche nella inosservanza di norme tributarie ed è sufficiente, quindi, la coscienza e la volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; 13068/2011; 4171/09; n. 2139/2020).” In precedenza, nell’ordinanza n. 12901/2019 la Suprema Corte aveva allo stesso modo affermato che: “… In tema di sanzione tributaria, l’ elemento soggettivo della violazione, che può constare anche solo della colpa, comporta che, al fine di escludere la responsabilità dell’autore dell’infrazione, non basta uno stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza; quanto al riparto dell’onere probatorio, la prova dell’assenza di colpa grava, quindi, sul contribuente sicché va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa”. Nonostante tale principio sia rimasto praticamente immutato nel tempo, e che la responsabilità del contribuente in tema di sanzioni sia eludibile solo laddove egli dimostri di essere estraneo ai fatti contestati, va osservato che la modulazione della sanzione concretamente irrogabile ha subito rilevanti novità con la recente approvazione del D.lgs. 87/2024, entrato in vigore in data 29 giugno 2024: in attuazione della delega per la riforma fiscale (articolo 20, Legge 9 agosto 2023, n. 111), ha ampiamente revisionato il D.lgs. 74/2000, e le innovazioni apportate dal decreto riguardano, per quanto qui interessa, essenzialmente le cause di non punibilità previste dall’articolo 13, D.lgs.  74/2000.

Tra le molte novità il decreto sanzioni prevede, all’art. 1, comma 1, lett. g), nuove cause di non punibilità delle fattispecie delittuose in materia di versamenti, secondo quanto previsto dai nuovi artt. 10-bis, ter e quater. Degna di nota è, innanzitutto, la causa di non punibilità introdotta dal nuovo comma 2-bis dell’art. 10-quater, secondo il quale “… La punibilità dell’agente per il reato di cui al comma 1 è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito”. Una breve considerazione su queste novità muove, infatti, dalla considerazione generale che il decreto in questione, in attuazione dei principi fissati dalla legge delega di riforma fiscale, ha revisionato il sistema sanzionatorio tributario incidendo su diverse disposizioni del citato decreto 472, con l’intento di razionalizzarlo, per renderlo più equo e proporzionato, oltre che allineato ai sistemi sanzionatori adottati dagli altri Paesi europei, anche nell’ottica di promuovere l’attrazione di capitali e imprese estere sul territorio nazionale. La riforma ha inoltre introdotto alcune cause di non punibilità per i delitti di omesso versamento delle ritenute certificate e di omesso versamento IVA, rispettivamente previsti agli artt. 10-bis e 10-ter,D.lgs. 74/2000. Nello specifico è stata prevista la non punibilità dell’autore del reato nel caso di pagamento del debito tributario “… se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto”.

Ai fini della valutazione della sussistenza di tale causa di non punibilità il giudice dovrà tenere in considerazione la crisi non transitoria di liquidità dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi, o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e alla non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Il legislatore delegato ha inoltre introdotto, all’art. 3-ter dell’art. 13, D.lgs. 74/2000, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista all’art. 131-bis c.p., individuando gli indicatori di cui il giudice dovrà tener conto per il suo riconoscimento, ossia: l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’Amministrazione finanziaria; l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione e, infine, la situazione di crisi dell’azienda ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), D.lgs. 14/2019.

Inoltre, quanto alla modulazione della sanzione da irrogare, viene ora in particolare rilievo il neo-codificato principio di proporzionalità, che impatta apertamente su tre disposizioni del decreto 472. In primo luogo, l’articolo 3, espressamente dedicato ai principi di legalità e proporzionalità, con il nuovo comma 3-bis richiede espressamente che la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie sia improntata al principio di proporzionalità e offensività, così recependo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in materia e arrivando a imporre la considerazione delle mutate condizioni di rilevanza sanzionatoria del fatto. In secondo luogo, la proporzionalità interessa l’articolo 6, in tema di cause di non punibilità, laddove si rafforza il comma 5-bis, che ora esclude la punibilità di tutte quelle violazioni che non arrecano un “concreto” pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Dunque, per far valere la non punibilità ai sensi del nuovo comma 3-bis, il giudice dovrà considerare l’inesigibilità dei crediti da parte dell’autore per una delle seguenti cause: l’accertata insolvenza; il sovraindebitamento di terzi e, infine,  il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche.

Per completare il quadro occorre segnalare che il nuovo comma 3-bis dell’art. 13, D.lgs. 74/2000, in tema di causa di non punibilità connessa al versamento del tributo dispone che i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore, sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA. Il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. In merito, invece, al nuovo comma 3-ter, esso prevede che “… Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del Codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; salvo quanto previsto al comma 1, l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria; l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; la situazione di crisi ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”.

La nuova norma avrebbe perciò la funzione di introdurre appositi criteri valutativi della causa di non punibilità correlata alla particolare tenuità del fatto. E allora, anche qualora il trasgressore non riesca a evitare l’incriminazione per omesso versamento di IVA o ritenute IRPEF, grazie al pagamento rateizzato a seguito della ricezione comunicazione di irregolarità, il giudice penale ha comunque ampi margini per valutare la non punibilità dell’autore della violazione, in relazione appunto alla non fraudolenza della condotta.

Tanto premesso e tornando alla vicenda odierna essa ha inizio quando un contribuente riceve due distinti avvisi di accertamento mediante i quali si determinava con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, comma 4, DPR 600/1973, un maggior reddito. La parte contribuente contestava le pretese erariali proponendo ricorso alla giustizia tributaria, ottenendo in primo grado una rideterminazione del reddito sottoposto a tassazione. Entrambe le parti si rivolgevano alla giustizia tributaria di secondo grado, che però accoglieva l’appello principale dell’Amministrazione finanziaria e respingeva quello incidentale della parte privata. Da qui il ricorso in Cassazione.

Il contribuente basava le richieste su sei motivi, nei quali essenzialmente evidenziava di aver presentato domanda di definizione agevolata dei carichi pendenti di cui alla legge 225/2016 e di aver interamente versato le somme dovute per il perfezionamento della procedura di rottamazione,  quindi veniva chiesto alla Suprema Corte di disporre la estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. Gli Ermellini non hanno accolto però tale richiesta, premettendo che la domanda di adesione alla definizione agevolata dei carichi pendenti si riferisce a cartelle di pagamento che, sulla scorta della documentazione prodotta in atti, non è possibile ricollegare agli avvisi di accertamento impugnati nel presente giudizio, e affermando inoltre che: “… Nel caso di specie, i motivi di appello in ordine ai quali si assume essere stata omessa ogni statuizione nella qui impugnata sentenza devono ritenersi implicitamente disattesi dalla CTR, la quale, avendo confermato in toto gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, ne ha chiaramente e necessariamente riconosciuto la piena legittimità. 7.4 Peraltro, non risulta formulata in questa sede una specifica censura volta a denunciare l’assoluta mancanza o la mera apparenza della motivazione sottesa all’implicita pronuncia di rigetto adottata dal giudice a quo.8. Il quarto motivo e la prima censura sviluppata con il terzo mezzo, suscettibili di scrutinio congiunto per la loro intima connessione, sono in parte infondati, in parte inammissibili: infondati laddove lamentano la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., atteso che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale iuris tantum di capacità contributiva, a fronte della quale il giudice, lungi dal poter svalutare la rilevanza degli indici presuntivi individuati dal legislatore, deve solo limitarsi a valutare la prova contraria eventualmente offerta dal contribuente (cfr. Cass. n. 3183/2024, Cass. n. 10378/2022, Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 26672/2019); inammissibili per il resto, poiché, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano, in realtà, a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello operato dal giudice di merito. 8.1 Il secondo profilo di censura articolato nel contesto del terzo motivo è infondato. 8.2 A partire dall’arresto delle Sezioni Unite n. 24823/2015, la giurisprudenza di questo Supremo Collegio è ormai univoca nell’affermare che l’esistenza di un obbligo generalizzato dell’Amministrazione Finanziaria di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale nei confronti del contribuente è predicabile soltanto nel settore dei tributi cd.«armonizzati», ovvero quelli soggetti alla diretta applicazione del diritto dell’Unione Europea (cfr., ex plurimis, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 16374/2022, Cass. n. 9991/2022, Cass. n. 33000/2021, Cass. n. 25266/2020, Cass. n. 6708/2019); per contro, in materia di tributi cd. «non armonizzati» -fra i quali rientra l’IRPEF (cfr. Cass. n. 25778/2023, Cass. n. 27471/2020, Cass. n. 26681/2018)-, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio preventivo, a pena di invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti espressamente sancito (si pensi, ad esempio, agli artt. 36-bis, comma 3, e 36-ter, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, riguardanti, rispettivamente, il controllo automatizzato e quello formale della dichiarazione dei redditi; all’art. 10, comma 3-bis, della L. n. 146 del 1998sugli studi di settore; all’art. 10-bis, commi 6, 7 e 8, della L. n. 212 del 2000 concernente l’accertamento di operazioni abusive: cfr. Cass. n. 33349/2023, Cass. n. 2585/2023, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 30211/2022). 8.3 Nessuna delle dette ipotesi ricorre nel caso di specie, sicchè la lagnanza in esame si appalesa priva di consistenza. 8.4 D’altro canto, se è pur vero che l’attuale testo dell’art. 38, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 22, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, impone all’Ufficio procedente alla determinazione sintetica del reddito l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, è nondimeno vero che tale norma non è applicabile agli accertamenti di cui trattasi, soggetti alla disciplina previgente. 9. Il sesto motivo è anch’esso privo di fondamento. 9.1 Ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n. 472 del 1997, l’affermazione della responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie postula soltanto l’esistenza di una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), o ancora di una volontà di evasione dell’imposta, anche a mero titolo di tentativo: ciò in quanto la norma stabilisce una presunzione di colpa a carico di colui che abbia posto in essere l’atto vietato, gravandolo dell’onere della prova contraria (cfr. Cass. n. 16463/2020, Cass. n. 25057/2019, Cass. n. 22329/2018, Cass. n. 13068/2011). 9.2 Giova soggiungere, a confutazione dell’assunto del ricorrente e in linea con un diffuso indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che non esiste nell’ordinamento un divieto di doppia presunzione (cd. «praesumptio de praesumpto»), non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2697 e 2729 c.c., né a qualsiasi altra norma, e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea, a sua volta, a fondare l’accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019). 10. In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

Corte di Cassazione – Ordinanza 31 luglio 2024, n. 21546

sul ricorso iscritto al n.7625/2015 R.G. proposto da

R. S., elettivamente domiciliato in Roma alla via Federico Cesi n. 72 presso lo studio dell’avv. Bernardo De Stasio, rappresentato e difeso dall’avv. Katia Scarpa

 – ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis

 – controricorrente –

avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 4080/2014 depositata il 23 luglio 2014 Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’8 maggio 2024 dal Consigliere Danilo CHIECA

FATTI DI CAUSA

La Direzione Provinciale II di Milano dell’Agenzia delle Entrate notificava a R. S. due distinti avvisi di accertamento mediante i quali determinava con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, in base agli indici di capacità di spesa previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 (cd. vecchio redditometro ), il reddito complessivo netto del contribuente da sottoporre a tassazione ai fini dell’IRPEF relativamente agli anni 2007 e 2008.

Il S. contestava le pretese erariali proponendo separate impugnazioni avverso i singoli atti impositivi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, riuniti i procedimenti, accoglieva parzialmente i ricorsi, rideterminando il reddito complessivo netto da sottoporre a tassazione in 75.000 euro per ciascuno dei due anni d’imposta oggetto di accertamento.

La decisione veniva appellata da ambo le parti davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 4080/2014 del 23 luglio 2014, accoglieva l’appello principale dell’Amministrazione Finanziaria e respingeva quello incidentale della parte privata; per l’effetto, in riforma della pronuncia di prime cure, rigettava gli originari ricorsi del contribuente.

Rilevava il collegio di secondo grado, per quanto qui ancora interessa:

 – che l’atto di appello era stato validamente sottoscritto dal capo del team legale dell’ufficio finanziario in virtù di delega conferitagli dal direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate;

 – che il contribuente non aveva «affatto dimostrato che le spese di gestione dei vari beni posseduti» – fra i quali anche una barca a vela- e gli incrementi patrimoniali ottenuti (fosser) o stati finanziati da disinvestimenti patrimoniali o da redditi esenti goduti nel periodo degli accertamenti, per potersi annullare o ridurre i redditi accertati dall’Ufficio».

Avverso quest’ultima sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, del menzionato articolo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va anzitutto rilevato che nella memoria illustrativa ex art. 380- bis.1, comma 1, terzo periodo, c.p.c. il S. ha reso noto di aver aderito alla definizione agevolata dei carichi pendenti di cui all’art. 6 del D.L. n. 193 del 2016, convertito in L. n. 225 del 2016, con riferimento alle cartelle esattoriali nn. 668150118998124009 e 66815011998305004, e di aver interamente versato le somme dovute per il perfezionamento della procedura di rottamazione, così come quantificate dall’agente della riscossione nella comunicazione inviatagli a mente del comma 3 dello stesso articolo. Nel ribadire la propria volontà di rinunciare ad ogni precedente azione avviata nei confronti dei due atti N. 668150118998124009 e N. 66815011998305004, già manifestata con la dichiarazione di adesione presentata ai sensi del comma 2 dell’art. 6 innanzi citato, e nell’evidenziare che, per effetto di ciò, sembra doversi provvedere alla declaratoria di estinzione della controversia quanto meno per la parte relativa ai due carichi in parola , il ricorrente ha chiesto di voler disporre… la estinzione del giudizio per cui è causa per cessata materia del contendere .

1.1 L’istanza non può essere accolta, in quanto:

(a)il S. non ha manifestato in modo chiaro ed esplicito, con apposita dichiarazione resa nelle forme di cui all’art. 390, comma 2, c.p.c., la volontà di rinunciare alla proposta impugnazione, avendo, anzi, adoperato espressioni dubitative ( sembra doversi provvedere alla declaratoria di estinzione della controversia… ) e di incerto contenuto ( …quanto meno per la parte relativa ai due carichi in parola );

(b)la domanda di adesione alla definizione agevolata dei carichi pendenti, da lui presentata a norma dell’art. 6, comma 2, del D.L. n. 193 del 2016, si riferisce a cartelle di pagamento che, sulla scorta della documentazione versata in atti, non è possibile ricollegare agli avvisi di accertamento impugnati nel presente giudizio.

1.2 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., vengono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12, comma 3, 18, comma 3, e 53 del D. Lgs. n. 546 del 1992.

1.3 Si contesta alla CTR di aver erroneamente disatteso la sollevata eccezione di inammissibilità dell’atto di appello dell’Amministrazione, sottoscritto da un funzionario asseritamente incaricato in virtù di delega del direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate mai prodotta in atti.

2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1 Viene rimproverato al collegio d’appello di aver omesso di statuire sul motivo di gravame del contribuente inteso a denunciare l’illegittimità degli impugnati avvisi di accertamento per inosservanza del principio del contraddittorio preventivo.

3. Con il terzo e il quarto mezzo, introdotti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt.2697 e 2727 c.c..

3.1 Si sostiene che gli atti impositivi per cui è causa sarebbero stati illegittimamente confermati dal collegio di secondo grado, sebbene l’Agenzia delle Entrate non avesse offerto ulteriori elementi probatori atti a corroborare la presunzione semplice di capacità contributiva fondata sulla disponibilità dei beni-indice previsti dal cd. vecchio redditometro .

3.2 Viene, altresì,dedotto che la sentenza gravata non avrebbe adeguatamente valutato la documentazione prodotta dal contribuente, la quale dimostrava l’erroneità della determinazione del reddito effettuata dall’Ufficio con metodo sintetico.

3.3 Il solo terzo motivo denuncia, inoltre, l’illegittimità degli avvisi di accertamento per violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale.

4. Con il quinto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è nuovamente contestata l’inosservanza dell’art. 112 c.p.c..

4.1 Si ascrive alla CTR di non aver statuito sul motivo di appello con il quale il S. si era doluto dell’omessa pronuncia del primo giudice sulla sollevata eccezione di nullità della sanzione amministrativa irrogata dall’Ufficio, in quanto disposta in violazione dei principi di legalità, tipicità e colpevolezza.

5. Con il sesto mezzo, formulato in via subordinata e ricondotto allo schema dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono contestate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 del D. Lgs. n. 472 del 1997 e degli artt. 2697 e 2727 c.c..

5.1 Per l’ipotesi in cui non fosse ritenuto configurabile il vizio di omessa pronuncia denunciato con il motivo precedente, viene lamentata l’erroneità della statuizione di implicito rigetto resa dalla CTR, obiettandosi che la responsabilità amministrativa del contribuente non può trovare fondamento nella mera presunzione di capacità di spesa introdotta dalla disciplina del redditometro, pena la violazione del divieto di doppie presunzioni.

6. Il primo motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data ulteriore continuità, secondo cui deve ritenersi validamente apposta la sottoscrizione dell’atto di appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente,anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza (cfr. Cass. n. 23010/2022, Cass. n. 36685/2021, Cass. n. 2138/2019, Cass. n. 16211/2018, Cass. n. 6691/2014).

7. Il secondo e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto accomunati dalla denuncia del medesimo vizio processuale.

7.1 Essi sono infondati.

7.2 Per costante insegnamento giurisprudenziale di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando, pur in mancanza di un’espressa statuizione sul punto, la decisione adottata dal giudice comporta l’implicito rigetto delle questioni non trattate, presupponendo come suo necessario antecedente logico-giuridico il riconoscimento della loro irrilevanza o infondatezza (cfr. Cass. n. 12476/2024, Cass. n. 24667/2021, Cass. n. 20718/2018, Cass. n. 29191/2017).

7.3 Nel caso di specie, i motivi di appello in ordine ai quali si assume essere stata omessa ogni statuizione nella qui impugnata sentenza devono ritenersi implicitamente disattesi dalla CTR, la quale, avendo confermato in toto gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, ne ha chiaramente e necessariamente riconosciuto la piena legittimità.

7.4 Peraltro, non risulta formulata in questa sede una specifica censura volta a denunciare l’assoluta mancanza o la mera apparenza della motivazione sottesa all’implicita pronuncia di rigetto adottata dal giudice a quo.

8. Il quarto motivo e la prima censura sviluppata con il terzo mezzo, suscettibili di scrutinio congiunto per la loro intima connessione, sono in parte infondati, in parte inammissibili: infondati laddove lamentano la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., atteso che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale iuris tantum di capacità contributiva, a fronte della quale il giudice, lungi dal poter svalutare la rilevanza degli indici presuntivi individuati dal legislatore, deve solo limitarsi a valutare la prova contraria eventualmente offerta dal contribuente (cfr. Cass. n. 3183/2024, Cass. n. 10378/2022, Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 26672/2019); inammissibili per il resto, poiché, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano, in realtà, a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello operato dal giudice di merito.

8.1 Il secondo profilo di censura articolato nel contesto del terzo motivo è infondato.

8.2 A partire dall’arresto delle Sezioni Unite n. 24823/2015, la giurisprudenza di questo Supremo Collegio è ormai univoca nell’affermare che l’esistenza di un obbligo generalizzato dell’Amministrazione Finanziaria di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale nei confronti del contribuente è predicabile soltanto nel settore dei tributi cd.«armonizzati», ovvero quelli soggetti alla diretta applicazione del diritto dell’Unione Europea (cfr., ex plurimis, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 16374/2022, Cass. n. 9991/2022, Cass. n. 33000/2021, Cass. n. 25266/2020, Cass. n. 6708/2019); per contro, in materia di tributi cd. «non armonizzati» -fra i quali rientra l’IRPEF (cfr. Cass. n. 25778/2023, Cass. n. 27471/2020, Cass. n. 26681/2018)-, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio preventivo, a pena di invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti espressamente sancito (si pensi, ad esempio, agli artt. 36-bis, comma 3, e 36-ter, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, riguardanti, rispettivamente, il controllo automatizzato e quello formale della dichiarazione dei redditi; all’art. 10, comma 3-bis, della L. n. 146 del 1998sugli studi di settore; all’art. 10-bis, commi 6, 7 e 8, della L. n. 212 del 2000 concernente l’accertamento di operazioni abusive: cfr. Cass. n. 33349/2023, Cass. n. 2585/2023, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 30211/2022).

8.3 Nessuna delle dette ipotesi ricorre nel caso di specie, sicchè la lagnanza in esame si appalesa priva di consistenza.

8.4 D’altro canto, se è pur vero che l’attuale testo dell’art. 38, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 22, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, impone all’Ufficio procedente alla determinazione sintetica del reddito l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, è nondimeno vero che tale norma non è applicabile agli accertamenti di cui trattasi, soggetti alla disciplina previgente.

9. Il sesto motivo è anch’esso privo di fondamento.

9.1 Ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n. 472 del 1997, l’affermazione della responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie postula soltanto l’esistenza di una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), o ancora di una volontà di evasione dell’imposta, anche a mero titolo di tentativo: ciò in quanto la norma stabilisce una presunzione di colpa a carico di colui che abbia posto in essere l’atto vietato, gravandolo dell’onere della prova contraria (cfr. Cass. n. 16463/2020, Cass. n. 25057/2019, Cass. n. 22329/2018, Cass. n. 13068/2011).

9.2 Giova soggiungere, a confutazione dell’assunto del ricorrente e in linea con un diffuso indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che non esiste nell’ordinamento un divieto di doppia presunzione (cd. «praesumptio de praesumpto»), non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2697 e 2729 c.c., né a qualsiasi altra norma, e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea, a sua volta, a fondare l’accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019).

10. In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

11. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

12. Visto l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione

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