CASSAZIONE FISCALITA

Via libera alla rottamazione anche se la cartella è emessa in base alla liquidazione automatica

Imposte – IRES – IRAP – Accertamento – Controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 – Iscrizione a ruolo – Cartella esattoriale – Impugnabilità – Definizione agevolata ex art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 – L. n. 136/2018 – Atto impositivo – Atto di riscossione – Ammissibilità

 La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18298 del 25 giugno 2021, risolvendo un contrasto interpretativo tra diversi orientamenti in merito all’impugnazione degli atti impositivi emessi con procedure automatizzate,  ha affermato il seguente principio di diritto: “L’impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l’amministrazione finanziaria liquida, in sede di controllo automatizzato, ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo, come, tale, impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva”.

In parole semplici, l’odierna pronunzia ha sancito che le liti instaurate avverso una cartella di pagamento da liquidazione automatica della dichiarazione (artt. 36-bis, DPR 600/1973 e 54-bis, DPR 633/1972) possono essere oggetto di definizione delle liti pendenti ai sensi dell’art. 6 del Dl 119/2018. Seguendo il ragionamento posto in essere dagli Ermellini, la cartella derivante dalla liquidazione della dichiarazione, quale primo atto impositivo notificato al contribuente, rientra nella definizione delle liti pendenti quando è impugnata per vizi propri o per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva. I principi esposti hanno valenza generale, considerato che l’art. 6 del DL 119/2018, per quanto interessa ai nostri fini, è formulato in modo analogo alle precedenti definizioni di cui all’art. 39, comma 12, del Dl 98/2011 e all’art. 16 della L. 289/2002. Da segnalare che un problema simile si è da sempre posto per gli avvisi di liquidazione emessi in tema di imposte (Cass. 27 aprile 2021, n. 11098), affermando che sono definibili solo se hanno una sostanziale valenza accertativa. Peraltro questo punto in particolare, e citiamo a memoria, era già stato ribadito, forse in maniera non così esaustiva, con l’ordinanza n. 11527 del 4 giugno 2015, a cui volentieri rimandiamo la lettura.

Al riguardo giova anche riportare quanto esplicitato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SS. UU. n. 11722/2010), ove viene chiaramente affermato il seguente principio di diritto: “Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria (…), essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione”.

Si rileva, innanzitutto, che in tema di “motivazione” delle cartelle di pagamento che vengono emesse dall’Amministrazione finanziaria a seguito dei menzionati controlli, occorre effettuare una distinzione tra controllo automatico e controllo formale: se quest’ultimo, infatti, non pone particolari problemi riguardo all’obbligatorietà della motivazione del relativo atto impositivo, rispetto al controllo automatico è tuttavia opportuno evidenziare quanto segue.

La giurisprudenza ritiene che, per le attività di controllo con rilievo solo cartolare (artt. 36-bis, DPR 600/1973 e 54-bis, DPR 633/1972), l’obbligo di motivazione si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente, nel senso che ben può l’ufficio procedere alla liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o rinvenibili negli archivi dell’Anagrafe tributaria. In tali ipotesi, infatti, il contribuente si troverebbe già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Agenzia delle entrate mediante il mero richiamo alla dichiarazione dei redditi.

Al contrario, qualora il controllo ex art. 36 bis vada oltre la dichiarazione del contribuente, l’obbligo di motivazione sussisterà. In tal senso, la Suprema Corte (Cass. 14414/2005; Cass. 26330/2009; Cass. 28056/2009) ha più volte precisato che “con riferimento ai controlli automatizzati deve infatti distinguersi la ipotesi in cui la liquidazione della imposta non si sovrappone semplicemente alla dichiarazione del contribuente, ma si risolve in una rettifica dei risultati della dichiarazione stessa, comportando una pretesa ulteriore da parte dell’amministrazione finanziaria: in tal caso si è in presenza di un’attività impositiva vera e propria, per definizione rientrante in quella di accertamento, sicché la cartella esattoriale che rechi la pretesa fiscale non solo va notificata nel termine previsto a pena di decadenza per la notifica dell’avviso di accertamento, ma deve essere anche motivata come il suddetto avviso, ossia deve contenere tutte le indicazioni idonee a consentire al contribuente di apprestare un’efficace difesa”.

Appare utile ricordare che le Sezioni Unite hanno affrontato una questione di non facile soluzione, in quanto gli atti impositivi emessi con procedure automatizzate sono stati ritenuti, anche da parte della giurisprudenza, fuori dalla definizione agevolata, perché effettuati sulla base dei dati dichiarati dal contribuente e poi controllati dall’Agenzia mediante le procedure automatizzate ex art. 36 bis, DPR 600/1973, che calcolano le imposte dovute basandosi sui dati forniti dal contribuente nella propria dichiarazione. In questi casi l’attività dell’Agenzia Entrate Riscossione si è limitata a quantificare il solo ammontare del tributo dovuto. Altra giurisprudenza ha invece ritenuto che questa prassi non fosse corretta, come nel caso dell’Ordinanza della Cassazione n. 1590 del 26 gennaio 2021, che aveva dato torto all’Amministrazione finanziaria giudicando ammissibile la rottamazione delle cartelle perché mantengono comunque la natura di atto impositivo.

Si trattava, quindi, di colmare le distanze interpretative che sussistevano tra atti impositivi, che implicano una rettifica dei dati dichiarati, e i c.d. atti di riscossione, che si limitano invece a quantificare il tributo dovuto senza alcuna discrezionalità da parte dell’Amministrazione.  

La prima interpretazione è di fatto quella più favorevole ai contribuenti, perché è evidente che comunque queste cartelle rappresentano il primo atto con cui la pretesa fiscale viene portata a conoscenza del destinatario, che equivale nella sostanza a un vero e proprio atto impositivo con l’evidente vantaggio di accedere alla possibilità di sanatoria. Questo filone vanta all’attivo alcune pronunzie, come l’ordinanza n. 27271 del 24 ottobre 2019, che sinteticamente affermava tout-court che “la cartella di pagamento non è semplice atto di riscossione” e ricordava anche il consolidato orientamento sancito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del DPR n. 600/1973, articolo 36-bis, ovvero a seguito di controllo automatizzato, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati.

Altre sentenze, invece, affermano che siccome la cartella di pagamento è il primo atto impositivo notificato al contribuente la lite è definitiva, in special modo poiché si censura altresì il merito della pretesa (Cass. 17 gennaio 2019 n. 1158, Cass. 24 ottobre 2014 n. 22672).

La cartella di pagamento in questione riveste infatti anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo e unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante. Ne discende che l’impugnazione della cartella di pagamento con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sulla base dei dati forniti dal contribuente genera una controversia definibile in forma agevolata ai sensi della legge n. 289/2002, articolo 16; infatti detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa ed ha, così, natura di atto impositivo.

L’Agenzia, ovviamente, ha invece sostenuto con forza la tesi giurisprudenziale che vedeva la natura impositiva delle cartelle derivanti dalle procedure automatizzate, come peraltro indicato nelle circolari 1 aprile 2019, n. 6/E e le successive n. 8 e n. 25 del 2020, insistendo e facendo proprio il principio della legittimità dell’operato quale atto di riscossione, che risulta anche più favorevole agli interessi fiscali.

Tale orientamento nega di fatto la possibilità di definire le liti e muove dalla considerazione che non si tratta di liti effettive, in ragione del fatto che la cartella di pagamento riscuote somme indicate in dichiarazione e ha, pertanto, una mera natura liquidatoria (Cass. 13 gennaio 2021 n. 321, Cass. 21 aprile 2011 n. 9194).

In buona sostanza il Fisco ha sempre denegato l’istanza di definizione agevolata ritenendo che, in linea generale, l’articolo 6 del Dl 119/2018, rimasto invariato in sede di conversione nella L. n. 136/2018, limita la definizione agevolata alle controversie inerenti agli “atti impositivi” escludendo quelle aventi ad oggetto agli atti di mera riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento ex art. 36-bis, DPR 600/1973 e 54-bis, DPR 633/1972.

Così la Suprema Corte, vista la presenza di contrasti interpretativi, con l’ordinanza n. 1913 del 28 gennaio 2021 ha rimesso la decisione definitiva alle Sezioni Unite, ritenendo la questione “di massima importanza” specificando anche, e citiamo integralmente, che: “…In proposito si registrano almeno tre orientamenti tra loro contrastanti. 7. Un primo orientamento (che è quello in sostanza richiamato dalla società contribuente) ha dato soluzione positiva al problema, ritenendo riconducibile alla natura di “atto impositivo” qualunque atto fiscale che non sia preceduto da altro atto e che sia impugnato o impugnabile per vizi di merito, anche se non aumenta le imposte dichiarate e anche se l’errore, da cui eventualmente origina l’impugnazione dell’atto, non sia allegato nel ricorso introduttivo della lite. E’ stato considerato (Cass., 24 settembre 2020, n. 20058; Cass., 24 ottobre 2019, n. 27271; Cass. 8 febbraio 2019, n. 3759; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1158, non nnassimata; Cass., 12 dicembre 2018, n. 32132; Cass., 27 settembre 2018, n. 23269; Cass. 29 novembre 2017, n. 28611, non massimata; Cass., 28 dicembre 2017, n. 31055, non massimata; Cass. 20/01/2016, n. 23486, non massimata; Cass., 25 gennaio 2016, n. 1295; Cass., 19 dicembre 2014, n. 26997; Cass., 24 ottobre 2014, n. 22672 non massimata; Cass., 22 gennaio 2014, n. 1263; Cass., 7 aprile 2006, n. 8275; Cass., 20 marzo 2006, n. 6186) che in caso di cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma «riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche per contestare il merito della pretesa impositiva» (Cass., 25 gennaio 2016, n. 1295 e Cass., 22 gennaio 2014, n. 1263). 7.1. Tale orientamento trae alimento dai principi di favore per l’applicabilità della normativa di condono più volte affermati da questa Corte, anche a Sezioni Unite, nonché dal significato sistematico della normativa condonistica, le cui disposizioni risultano convergere nel riferimento agli “atti impositivi”. In tale ottica la giurisprudenza che ha dato soluzione affermativa alla condonabilità della cartella di pagamento quale primo ed unico atto impositivo notificato al contribuente, ha considerato che l’art. 6, comma 12, del d.-l. n. 119 del 2018 (conv. in I. n. 136 del 2018), ricalca, nella sostanza, salvo minime divergenze di forma, l’art. 16, comma 8, della I. n. 289 del 2002, richiamato dall’art. 39, comma 12, del d.-l. n. 98 del 2011, la cui sovrapponibilità di disciplina consente l’applicazione dei principi di diritto già espressi in precedenza da questa Corte in tema di condonabilità della cartella di pagamento scaturente da controllo automatizzato (sul rinvio che l’art. 39, comma 12, d.-l. n. 98 del 2011 opera all’art. 16, I. n. 289 del 2002, v., ex plurimis, Cass. 24 ottobre 2019, n. 27271 e Cass., 20 gennaio 2016, n. 23486). 8. Un secondo orientamento (cui si riporta la ricorrente Agenzia delle entrate) afferma che non può essere considerato atto impositivo la cartella di pagamento, formata ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto è atto che deriva, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente in dichiarazione e, per quanto attiene alle sanzioni, da un riscontro meramente formale dell’omissione «senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’Amministrazione» (v., Cass., 2 novembre 2018, n. 14344; 08/06/2017, n. 14344, Cass., 15 gennaio 2016 n. 548; Cass. 13/04/2016, n. 7279; Cass.28 gennaio 2015 n. 1571; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4608; Cass., 29 aprile 2011, n. 9545; Cass., 21 aprile 2011, n. 9194; Cass., 11 aprile 2011, n. 8196; Cass., 30 agosto 2006, n. 18840). 8.1. Tale orientamento, sorto già in relazione alla definizione agevolata prevista dall’art. 16 della I. n. 289 del 2002, ha trovato seguito in recenti pronunce di questa Corte (Cass., 24 dicembre 2020, n. 26552, non massimata; Cass., 04 settembre 2020, n. 18397; Cass., 13 marzo 2019, n. 7099; Cass., 5 dicembre 2019, n. 31804) riguardanti la normativa agevolativa di cui al d.-l. n. 119 del 2018, che hanno escluso la condonabilità della cartella di pagamento scaturente da controllo automatizzato, facendo leva su un’analisi esegetica e funzionale della nozione di “atto impositivo” per la quale «la natura impositiva di un atto fiscale è correlata alla determinazione e alla pretesa di un’imposta maggiore di quella liquidata e dichiarata dal contribuente o dal sostituto d’imposta, e presuppone, perciò, una rettifica dei dati e degli elementi indicati nelle dichiarazioni». 8.2. In tal senso, è stato considerato che «nei casi (riconducibili alla liquidazione/controllo a norma della lett. f del comma 2 dell’art. 36-bis o a norma della lett. c del comma 2 dell’art. 54-bis), di imposte dichiarate e non versate, o versate tardivamente, l’iscrizione a ruolo delle stesse imposte e/o degli interessi non presuppone alcuna rettifica dei dati e degli elementi indicati nelle dichiarazioni, ma opera il mero recupero dell’imposta dichiarata dal contribuente e da lui non versata (con i relativi interessi) o dei soli interessi sulla stessa imposta tardivamente versata; da ciò discende che tali ruoli e le pedisseque cartelle di pagamento costituiscono atti di mera riscossione, privi di natura anche impositiva, con la conseguenza che gli stessi ruoli, così come le cartelle che li recano, non possono ritenersi suscettibili di definizione agevolata ai sensi (per quanto qui rileva) dell’art. 6 del d.-l. n. 119 del 2018» (così, Cass., 24 dicembre 2020, n. 26552 in motivazione). 8.3. Talune di tali ultime pronunce sembrano porsi in contrasto consapevole con il primo orientamento sopra delineato, nella parte in cui affermano che la soluzione negativa alla condonabilità della cartella non è inficiata dagli opposti argomenti che affermano che la cartella di pagamento scaturente da controllo automatizzato è il primo e unico atto con cui la pretesa tributaria è comunicata al contribuente osservando, a confutazione di tali argomenti; «che, se è vero che la cartella di pagamento, non essendo previsto che sia preceduta da un avviso di accertamento, è il primo atto notificato al contribuente, tale circostanza non è tuttavia tale da fare assumere natura impositiva a atti (il ruolo e la cartella) con i quali ci si limiti a riscuotere le imposte dichiarate dal contribuente e non versate e che, perciò, non presuppongono alcuna rettifica dei dati e degli elementi indicati nelle dichiarazioni (diverso potendo essere eventualmente il caso in cui una cartella di pagamento sia notificata quale “primo atto” in difetto della previa doverosa notificazione dell’atto impositivo/avviso di accertamento presupposto); quanto al secondo argomento, appare evidente che la natura impositiva o no di un atto non può essere stabilita che sulla base del contenuto di esso e non di elementi estrinseci – e, addirittura, a posteriori – quali sono i motivi del ricorso proposto dal contribuente avverso lo stesso atto, con la conseguenza che il ruolo e la cartella di pagamento emessi per imposte dichiarate e non versate non potranno che continuare a essere atti di riscossione anche se il contribuente li abbia impugnati per motivi “di merito” (cioè, in questo caso, essenzialmente per fare valere errori commessi nella dichiarazione» (così, Cass., 24 dicembre 2020, n. 26552, in motivazione). 8.4. Quest’orientamento esclude espressamente la natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) anche per le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, sul rilievo che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni, previste dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento. 9. Un terzo orientamento, che si pone come mediano rispetto agli altri due delineati innanzi, ritiene che la controversia è condonabile sempre che la cartella costituisca primo atto impositivo e vi sia controversia effettiva, e non apparente, sulla legittimità, sotto qualsiasi profilo della pretesa medesima, tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo (Cass., 29 novembre 2017, n. 28611, non massimata; Cass., 27 febbraio 2017, n. 4967; Cass., 24 giugno 2016, n. 13136; Cass., 8 luglio 2015, n. 14196, non massimata; Cass., 22 gennaio 2014, n. 1263; Cass., 10 febbraio 2014, n. 2986, non massimata; Cass., 8 marzo 2013, n. 5879, non massimata; Cass., 27 settembre 2013, n. 22158, non massimata; Cass., 6 ottobre 2010, n. 20731)”.

Tanto premesso e tornando alla vicenda de quo, la Riscossione aveva emesso la cartella di pagamento per sanzioni e interessi dovuti dalla società per il ritardo nel pagamento dei tributi e lo aveva fatto sulla base dei dati forniti dal contribuente: la società contribuente di conseguenza aveva impugnato l’atto.

La Riscossione aveva motivato il diniego sul presupposto che l’articolo 6 del Dl n. 119/2018 esclude gli atti di mera riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento e avvisi di liquidazione, per cui, trattandosi di un giudizio avente a oggetto l’impugnazione di cartella di pagamento ex articolo 36-bis del DPR 600/1973 riguardante unicamente le sanzioni, oltre agli interessi, per ritardato versamento delle imposte IRES e IRAP, l’Amministrazione finanziaria ne aveva dedotto l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 6 del decreto

Durante il giudizio era entrata in vigore la rottamazione-ter e immediatamente era stata chiesta l’applicabilità alla causa in corso. I giudici tributari aditi avevano però rifiutato l’istanza confermando quanto asserito dall’ufficio finanziario, che riteneva che la controversia non poteva essere oggetto di condono in quanto prendeva le mosse da un atto della Riscossione e non da un atto impositivo.

Le Sezioni Unite non hanno condiviso questa interpretazione, anzi dopo una lunga e accurata disamina delle varie interpretazioni succedutesi nel tempo, hanno definitivamente chiarito che “… Premesso che, nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte, la cartella emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 attiene unicamente, oltre agli   interessi, alle sanzioni irrogate in ragione dell’aver ritenuto l’Amministrazione finanziaria il ritardato  versamento  dei  tributi  IRES  ed  IRAP  dovuti  per l’anno d’imposta, in disparte ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che  l’interpretazione  offerta  da  una  circolare  dall’Amministrazione finanziaria, che e parte del giudizio, non assurge al rango di fonte del diritto che possa pregiudicare di per se le ragioni addotte dalla parte privata (cfr. Cass., SU, 2 novembre 2007, n.23031; Cass. sez. 5, 21marzo    2014, n. 6699), la tesi esposta dall’Agenzia delle entrate a sostegno del diniego di definizione agevolata non può essere condivisibile.

In proposito va osservato, come evidenziato anche            in dottrina, che l’iscrizione a ruolo, esattamente come gli avvisi di accertamento, svolge la duplice funzione di pretendere l’imposta dovuta e di irrogare la sanzione, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, tanto da essere invalsa la nozione di “atto contestuale”, per   evidenziare la natura polifunzionale dei provvedimenti impositivi. Ciò porta a ritenere che quando, come nella fattispecie, la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, pur resa nell’ambito di procedura di controllo cartolare su dichiarazione del contribuente, si ponga  come atto di irrogazione della sanzione, essa configuri  un  atto  impositivo,  non  diversamente  da  come  sarebbe accaduto  se  fosse  stato  impugnato  un  avviso  di  accertamento, unicamente   nel   suo   contenuto   sanzionatorio,   o   un   atto   di contestazione  e,   pertanto,   può  costituire  oggetto  di  definizione agevolata, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.l. n. 119/2018.

Nella fattispecie in esame, ove la contestazione e sorta, in effetti, senza investire il rapporto relativo ai tributi IRES ed IRAP pacificamente dovuti e versati, limitatamente all’irrogazione delle sanzioni per il preteso ritardo nel versamento, sussistendo detto ritardo unicamente ove fosse stata accertata l’insussistenza del diritto della società alla proroga del termine di approvazione del proprio bilancio (questione, peraltro, rimasta estranea all’oggetto della prima comunicazione dell’Amministrazione resa ai sensi del terzo comma dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973), si ritiene che la controversia possa essere oggetto di definizione agevolata ai sensi del citato art. 6, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 119/2018, che stabilisce che in caso  di  controversia   relativa  esclusivamente  alle  sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun  importo  relativo  alle  sanzioni qualora  il  rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione. E, in ogni caso, è fondato il ricorso della contribuente anche in relazione al primo profilo di articolazione dell’unico motivo di ricorso avverso il diniego di definizione agevolata della lite.  Non   appaiono, infatti, decisive, in senso ostativo alla condannabilità delle liti su cartelle pur emesse in procedura di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n.    600/1973, nella sussistenza dei presupposti indicati nel precedente paragrafo 4, le considerazioni critiche espresse riguardo al secondo orientamento ivi preso in esame.

Quanto  alla  negazione  della  natura  di  “atto  impositivo” della cartella emessa nell’ambito di controllo automatizzato ex art. 36 bis, del d.P.R. n. 600/1973, sui dati offerti dalla stessa dichiarazione del contribuente, nel richiamare quanto si è già avuto sopra modo di osservare  specificamente  riguardo  all’atto  di  contestazione  delle sanzioni, laddove, come nel caso di specie, la cartella costituisca il primo atto col quale il contribuente sia stato reso edotto della pretesa fatta  valere dall’Amministrazione  nei  suoi  confronti,  può attribuirsi alla cartella,   proprio  per  la  mancanza  di  un  previo  avviso  di accertamento,  natura  di  atto  complesso,  che,  oltre a  svolgere la funzione  di  un  comune  precetto,  “impone”  per  la  prima  volta  al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum.

Ciò risulta coerente con l’indirizzo di questa Corte, che può dirsi ormai consolidato e che va in questa sede riaffermato, secondo cui pur nel contesto dell’elencazione, contenuta nell’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992 degli atti suscettibili d’impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, si è riconosciuta al contribuente, in ragione dei principi costituzionali di buon andamento della P.A.(art. 97 Cost.) e   di   tutela   del   contribuente (artt. 24   e 53   Cost.), la facoltà d’impugnazione, ad esempio, delle stesse comunicazioni d’irregolarità rese ai sensi dell’art.36 bis, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973, che   rendano   quindi   ii   contribuente   destinatario di una pretesa tributaria ben individuata nei termini sopra indicati (cfr., tra le altre, Cass.,  sez. 5, 11  maggio 2012,  n. 7344;  Cass.,  sez. 6-5, Ord. 28 novembre 2014, n. 25297; Cass., sez. 6-5, Ord. 19 febbraio 2016, n. 3315). La  stessa  Amministrazione  finanziaria, d’altronde,  nella citata circolare (par. 2.3.4.),  sia  pure  a fini  diversi (come,  ad  esempio, riguardo alla natura impositiva che debba riconoscersi agli avvisi di liquidazione in tema di imposta di registro, catastale o di successione che rettifichino i dati esposti dal contribuente, con effetto novativo della pretesa), pone in evidenza come rilevi, di la dal nomen iuris, per poter accedere alla definizione agevolata della controversia, la natura sostanziale dell’atto impugnato. Neppure appare decisiva, nel senso invece prospettato dal primo indirizzo esaminato, la considerazione secondo cui la natura impositiva dell’atto non possa stabilirsi a posteriori in considerazione dei motivi di ricorso proposti, che debbono riguardare il merito della pretesa impositiva. Fermo quanta già osservato in relazione alla ritenuta natura impositiva dell’atto in se, laddove esso assolva alla duplice funzione sopra indicata, deve rilevarsi come lo stesso indirizzo in esame non-possa escludere che, dalla natura formale dell’atto, rilevi – ai fini della valutazione dell’ammissibilita o meno della definizione agevolata –  anche la considerazione della natura dei motivi d’impugnazione, come ad esempio nel caso in cui, nell’impugnare la cartella, si faccia valere   il preteso   vizio   di   notifica   dell’avviso   di   accertamento presupposto.

Ritiene ancora la Corte come l’orientamento che ritiene che la controversia originata da impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 possa formare oggetto di definizione agevolata, ove costituisca il primo atto con il quale il contribuente venga posto a conoscenza dell’esistenza di una pretesa fiscale nei suoi confronti, meriti adesione anche in relazione alla sua coerenza con il principio dell’emendabilità, da parte del contribuente, in sede contenziosa, della          dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza, nei termini affermati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU. 30 giugno 2016, n. 13378), come gia rilevato, del resto, da parte della giurisprudenza della sezione tributaria (cfr., tra le altre, più di recente, Cass., sez. 5, 27 settembre 2018, n. 23269), nonché, riguardo all’IVA, all’ambito di utilizzabilità del controllo automatizzato di cui all’art.      54 bis del d.P.R. n. 633/1972, nei termini pure illustrati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU. 8 settembre 2016, n. 17758), esulando la definizione agevolata, nei limiti definiti dall’art. 6 del d.l. n. 119/2018, dalle preclusioni e limiti derivanti dalla disciplina eurounitaria, in tema di tributi armonizzati. Un’ulteriore   considerazione   va, in questa sede spesa, specificamente, in relazione alla natura c.d. spuria della definizione agevolata ex art. 6 del d.l.  n. 119/2018, tale da incidere, in parte, anche sull’entità del tributo, determinando il quantum anche in considerazione dell’esito dei gradi di giudizio già svolti, in cui, dunque, particolarmente evidente è il favor del legislatore per la condannabilità delle liti, in via generale riconosciuta già in passato da queste Sezioni Unite (cfr., Cass., SU, 25 luglio 2007, n. 16142; Cass., SU, 17 febbraio 2010, n. 3676).

Negare   la   condannabilità   delle   liti   che   trovano   occasione nell’impugnazione per ragioni di merito di una cartella formata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 (un caso particolarmente frequente, in   passato, in   adesione   al   primo orientamento, ha riguardato il contenzioso originato da cartelle di pagamento ex art. 36 bis per IRAP non versata sebbene oggetto di dichiarazione da parte di liberi professionisti che, impugnando la cartella, hanno poi contestato la stessa sussistenza dell’autonoma organizzazione come presupposto impositivo dell’IRAP), si porrebbe in modo antitetico alle finalità della norma  sopra  evidenziate,  ponendo  in  condizione  deteriore  quei contribuenti  che  abbiano  reso  comunque  possibile  l’individuazione della pretesa tributaria nell’ambito di un controllo di natura cartolare.

In conclusione appare sufficiente spendere un’unica considerazione riguardo a quello che nell’ordinanza interlocutoria definito  orientamento  mediano,  riassunto  nel  principio  secondo  il quale  la  natura  impositiva  dell’atto,  ai  fini  dell’ammissibilità  della definizione agevolata  della   lite   pendente   a   seguito   della   sua impugnazione, debba essere riconosciuta quando esso sia destinato ad esprimere per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale, purché vi sia controversia effettiva, e non apparente,  sulla   legittimità,  sotto  qualsiasi profilo  della   pretesa  impositiva medesima, tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo (tra le pronunce ricondotte al suddetto      orientamento l’Ordinanza interlocutoria richiama, tra le altre, Cass., sez. 5, Ord. 29 novembre 2017, n. 28611; Cass., sez. 5, 8 luglio 2015, n. 14196; Cass., sez.5, 22 gennaio 2014, n. 2986; Cass., sez.5, 6 ottobre 2010, n. 20731). Va premesso che, in realtà, un esame puntuale delle fattispecie oggetto   delle   rispettive   decisioni consentirebbe   di ricondurre la maggior parte dei casi   ivi esaminati   nei termini paradigmatici propri del secondo indirizzo sopra menzionato (nel caso, ad esempio, deciso da Cass. sez. 5, 13 marzo 2019, n. 7099, oggetto d’interpretazioni contrastanti in dottrina, la conferma della legittimità del diniego di definizione agevolata in controversia relativa all’impugnazione di cartella emessa ex art. 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 è stata pur sempre basata sulla circostanza relativa all’essere stata la cartella impugnata non nel merito della pretesa erariale ma per vizi propri); per il resto, il richiamo alla natura effettiva della controversia trovando adeguata giustificazione nel principio generale del divieto di abuso del processo (cfr., tra le altre, in particolare,  Cass.,  sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18445), non potendo servirsi strumentalmente del processo allo scopo di creare surrettiziamente una lite pendente al fine di ottenere una definizione agevolata, ove a monte esista un accertamento definitivo.

Si tratta di casi  che  purtroppo la prassi rivela come non infrequenti,  come laddove, ad   esempio,  si   affermi   d’impugnare una cartella di pagamento ed il ruolo ad essa sotteso (oltre al prodromico avviso di accertamento)  dei  quali  ii  ricorrente  assuma  di  essere  venuto  a conoscenza per il tramite di estratto di ruolo consegnato dall’agente della  riscossione,  risultando  poi  spesso  smentita  dalle  risultanze processuali  la  doglianza  relativa  all’omessa  notifica  della  cartella (viceversa regolarmente notificata e non impugnata nei termini).

Ove, tuttavia,  all’orientamento  definito  mediano,  debba intendersi  riconosciuta  una  propria  autonomia,  nel  senso  che  si ritenga ad esso conseguente che sia necessario accertare caso per caso se la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, abbia o meno funzione impositiva, e sufficiente richiamare quanto sopra osservato sulla prevalenza del dato sostanziale, quanto alla funzione (anche) impositiva  della  cartella  emessa  ai  sensi  della  citata  norma,  che costituisca il primo atto che ponga il contribuente a conoscenza della pretesa   da   parte   dell’Amministrazione   finanziaria,   non   potendo tralasciarsi  di  considerare  come  l’ulteriore  finalità  deflattiva  del contenzioso tributario, propria della discipline in esame, potrebbe in concreto  risultare  contraddetta  da  un  aumento  del  contenzioso relativo alle controversie riguardanti proprio le ipotesi di diniego di definizione agevolata. Può, pertanto, darsi continuità al principio secondo il quale l’impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida, in sede di controllo automatizzato, ex art. 36 his del d.P.R.  n. 600/1973, le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, come   convertito, con   modificazioni, dalla   L. n. 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale e comunicata al contribuente, essendo, come tale, impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso della società avverso il diniego di definizione agevolata opposto dall’Amministrazione   finanziaria è fondato e va accolto, con conseguente declaratoria di estinzione del giudizio e cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 6, terzo comma, del d.l. n. 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla I. n. 136/2018. A ciò consegue l’assorbimento del motivi addotti a sostegno del ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – che, giudicando nel merito della pretesa impositiva, aveva rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado ad essa sfavorevole”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite – Sentenza 25 giugno 2021, n. 18298

sul ricorso 26292-20 13 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro

S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 10, presso Io studio dell’avvocato CLAUDIO PREZIOSI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente successivo –

avverso la sentenza  n. 373/2013  detta COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE   DI   NAPOLI   –   SEZIONE   DISTACCATA   di   SALERNO, depositata il 02/05/2013.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/05/2021 dal Consigliere LUCIO NAPOLITANO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale ANNA MARIA SOLDI, il quale chiede che la Corte di Cassazione accolga il RICORSO

FATTI DI CAUSA

A seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P,R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti della L.

S.r.I., l’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che la società avesse versato in ritardo IRES ed IRAP relative all’anno d’imposta 2006, iscrisse a ruolo sanzioni ed interessi per complessivi euro 32.527,00, notificando quindi cartella di pagamento per detto importo.

La società impugnò detta cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Avellino, che accolse il ricorso.

L’appello proposto avverso detta sentenza dell’Amministrazione finanziaria fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Campania — sezione staccata di Salerno – con sentenza n. 373/04/ 13, depositata il 2 maggio 2013, non notificata.

La CTR escluse che vi fosse stato ritardo nel versamento delle imposte dovute, ritenendo che l’approvazione del bilancio da parte della società fosse avvenuto nei termini, avendo la società un esercizio sociale non coincidente con l’anno solare ed in ogni caso approvato in data30 ottobre 2006, dunque nei quattro mesi successivi alla chiusura, il 30 giugno 2006, dell’esercizio medesimo, essendosi la società avvalsa della proroga di cui all’art.17 del d.P.R. 7 dicembre 2001, n.            435.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

La società resiste con controricorso. Nelle more del giudizio, avendo la società presentato nei termini l’istanza   di   definizione   agevolata   della   lite, ne fu   disposta la sospensione sino al 31 dicembre 2020, ai sensi, dell’art. 6, comma 10, del d.l. 23 ottobre 2018, n.119, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136.

L’Agenzia   delle   Entrate, comunicando   che   la   domanda   di definizione agevolata della lite era stata oggetto di diniego con provvedimento del 17 luglio 2020, richiese quindi la fissazione dell’udienza di discussione.

Riunito all’originario giudizio ricorso proposto dinanzi alla Corte dalla società avverso il diniego di condono, le cause furono trattate dalla sezione tributaria all’adunanza in camera di consiglio del 14 gennaio 2021.

All’esito della stessa fu emessa l’ordinanza interlocutoria n. 1913/2021, depositata il 28 gennaio 2021, con   la   quale   la controversia   fu   rimessa   al   Primo   Presidente   per   l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in ragione del contrasto rilevato in materia nella giurisprudenza della sezione tributaria, nonché quale questione di massima di particolare importanza.

Disposta   l’assegnazione   alle   Sezioni Unite, in prossimità dell’udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Anna Maria Soldi, ha reso conclusioni scritte, ex art. 23, comma 8 – bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali ha chiesto accogliersi ii ricorso proposto dalla contribuente avverso ii diniego di condono.

Non essendo stata fatta, secondo la succitata norma, nei termini, richiesta di discussione orale, la causa è stata decisa all’odierna camera di consiglio delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del dl. n. 137/2020, come convertito, con modificazioni, dalla l.  n.176/2020, per la quale la società ha depositato memoria ex art. 380 bis, cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminato, in ordine logico, con priorità, l’unico motivo, prospettato in relazione ad un duplice profilo, addotto a sostegno del ricorso proposto dalla contribuente avverso il diniego di condono.

1.1.  In primo   luogo   va   ribadito   quanto   già   osservato dall’ordinanza interlocutoria, anche in ordine alla sua tempestività, in punto di ammissibilità del ricorso, che, pendendo il giudizio al quale riferita l’istanza di definizione agevolata della lite presso questa Suprema Corte, va dunque proposto dinanzi ad essa nelle forme proprie del ricorso per cassazione (cfr., tra le altre, Cass, sez. 5, Ord. 30 novembre 2018, n. 31049; Cass. sez. 5, del 3 maggio 2021, n. 11623).

1.2. L’Agenzia delle Entrate ha motivato il diniego sull’istanza di definizione agevolata sul presupposto che l’art. 6 del d.l.  n. 119/2018, rimasto invariato a seguito della conversione di cui alla L. n. 136/2018, limitasse la stessa alle sole controversie inerenti agli “atti impositivi”, escludendo quelli aventi ad oggetto atti di mera

Riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento   ed   avvisi   di liquidazione; nella fattispecie, trattandosi di giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 riguardante unicamente le sanzioni, oltre agli interessi, per ritardato versamento delle imposte IRES ed IRAP di cui alla dichiarazione per l’anno d’imposta 2006 (analoga disposizione, come è noto, e contenuta nell’art.54 bis del d.P.R.  n.633/1972 riguardo all’IVA), se ne è dedotta, dall’Amministrazione finanziaria, anche in virtù, del richiamo ai propri documenti di prassi (da ultimo la circolare n. 6/E del primo aprile 2019), l’esclusione della controversia medesima dall’ambito di applicazione dell’art. 6 del citato decreto legge n. 119/2018.

1.2.1.  Con l’unico motivo di   ricorso la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l.  n. 119/2018, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

In  relazione ad un primo profilo, la contribuente lamenta l’illegittimità del diniego notificatore riguardo all’istanza di definizione agevolata della lite, assumendo  che, diversamente da quanto sostenuto   dall’Agenzia   delle Entrate – Direzione provinciale di Avellino – l’impugnazione da parte della contribuente della cartella di pagamento nell’originario giudizio non fu emessa a seguito di controllo cartolare, considerarsi l’atto col quale per la prima volta la contribuente è stata resa destinataria di una nuova pretesa impositiva, concernente la contestazione ed irrogazione delle sanzioni, in ragione di un presupposto quello afferente il tardivo versamento delle imposte indicate come dovute dalla parte medesima nella dichiarazione sottoposta a controllo  automatizzato – viceversa contestato  dalla società riguardo alla legittimità dell’invocata proroga ex art. 17 del d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435.

1.2.2. Quanto al secondo profilo, la ricorrente denuncia ancora violazione o falsa applicazione della medesima norma di legge di cui alla richiamata   rubrica, nella parte in cui   il diniego espresso dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza di definizione agevolata della lite è stato motivato in relazione a quanto affermato nella circolare n. 6/E del 2019, ivi essendosi affermato che l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art.6 del d.l.  n.119/2018 delle «controversie aventi ad oggetto atti di mera riscossione comporta, inoltre, la non definibilità in via agevolata di giudizi concernenti unicamente le sanzioni per omesso o ritardato versamento delle imposte indicate in dichiarazione, irrogate a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.471».

Osserva in proposito la ricorrente, per un verso, come l’interpretazione di parte fornita dall’Agenzia delle Entrate nei propri documenti di prassi, non costituendo fonte di diritto, non possa arrecare pregiudizio alle ragioni della contribuente, rilevando, inoltre, per altro verso, come in realtà tale interpretazione si ponga essa stessa in chiaro contrasto con la norma dell’art. 6, comma 3, del citato dl.  n. 119/2018, neppure potendo dirsi esistente, attese le singolari modalità della lite fiscale insorta, “un rapporto relativo ai tributi”.

2. Nell’approccio alla problematica in oggetto, appare opportuna una premessa metodologica. 

Può recepirsi lo schema riepilogativo proposto dall’ordinanza interlocutoria in ordine alla ricognizione degli orientamenti espressi in materia dalla giurisprudenza della sezione tributaria secondo la tripartizione proposta, con la precisazione riguardo alla sua natura tendenziale   ed   alla   sua   funzione essenzialmente esplicativa, atteso che, in realtà, il c.d. orientamento mediano esprime ugualmente l’esigenza – rappresentata dall’orientamento  che  ammette  che,  in  presenza  di  determinate condizioni, alla cartella emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 in sede di controllo automatizzato debba attribuirsi natura di atto impositivo – di una correlazione tra atto e sua impugnazione in quella che,  ai  fini  della  disciplina  in  oggetto,  viene  a  porsi  come  lite pendente suscettibile di definizione agevolata.

3. Conviene allora muovere dall’esame dell’orientamento radicatosi storicamente nell’ambito di    precedenti discipline condonistiche, derivante dalla giurisprudenza formatasi in relazione all’ipotesi di c.d. condono su condono, che tale correlazione nega in radice, e che qualifica – al pari dei documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria succedutisi nel tempo – la cartella emessa ai sensi dell’art. 36 bis del citato d.P.R. n. 600/1973 come mero  atto  liquidatorio,  come  tale  non  suscettibile  di  definizione agevolata.

3.1. E’ dunque opportuno ricordare come l’art.          6, comma 1, del d.l. 23 ottobre           2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalia l. n. 136/2018- laddove stabilisce che «1e controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui   parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti Impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere  definite,  a  domanda  del  soggetto che  ha  proposto l’atto introduttivo  del  giudizio  o di chi vi è subentrato o ne  ha  la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia, stabilito ai sensi dell’art. 12, comma 2, del d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546 –  si ponga, in termini di sostanziale continuità con le precedenti disposizioni di cui all’art. 2 – quinquies del d.l.          30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 novembre 1994, n. 656; all’art. 16 della I.   27 dicembre 2002, n. 289; all’art. 39, comma 12, del dl.6 luglio      2011,n.           98, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111.

Rispetto a   dette disposizioni si pone invece in maniera eccentrica il disposto dell’art.11, comma 1, del di. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla l.21 giugno 2017, n. 96, ove la possibilità di definizione agevolata delle controversie in presenza delle condizioni ivi stabilite a riferita alle controversie attribuite alla

Giurisdizione tributaria, riguardanti, in generale, l’atto impugnato, in cui parte l’Agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione ed anche a seguito di rinvio.

Tra le precedenti disposizioni, in particolare, pare utile ricordare il contenuto dell’art. 16, terzo comma, della I. n. 289/2002, al quale il c.d.  minicondono del 2011 per le liti di valore fino a ventimila euro ha, salvo alcune specificazioni, fatto rinvio, trattandosi della norma in relazione alla quale si è, per lo più, affermato l’indirizzo in esame. L’art. 16 della l. n. 289/2002, per quanto qui d’interesse, stabilisce, al terzo comma, che per lite fiscale pendente, in relazione al disposto del prima comma della stessa norma, s’intende quella in cui è parte l’amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali, alla data di entrata in vigore di detta legge, e stato proposto l’atto introduttivo del giudizio.

3.2. Nella vigenza del condono previsto dalla I. n. 289/2002, si è andato affermando l’indirizzo secondo cui «in tema di condono fiscale, l’art. 16 della l.  n. 289/2002,  consentendo  la  definizione agevolata   delle   sole   liti aventi ad oggetto un atto impositivo comunque denominato, non si applica alle controversie riguardanti la cartella, emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con cui l’Amministrazione  richiede  il  pagamento  di versamenti   omessi   e  delle   conseguenti sanzioni, derivando,  per quanta attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal  contribuente e, con riferimento alle  sanzioni,  da  un riscontro puramente formate dell’omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte  dell’Amministrazione» (cfr.,  tra  le  molte, Cass., sez.5, 21 aprile 2011, n. 9194; Cass., sez. 5, Ord. 24 maggio

2012, n. 9894; Cass. sez. 5, 11 aprile 2014, n. 8529; Cass. sez.5, 28 gennaio 2015, n. 1571; Cass. sez. 6-5, Ord. 2 novembre 2018, n. 28064, nonché Cass. sez. 5, 2 luglio 2013, n. 17252; Cass. sez. 5, 13 aprile 2016, n. 7279; Cass.  sez. 6-5, Ord. 8 giugno 2017, n. 14344; Cass. sez. 5, Ord. 21 gennaio 2021, n. 1231, queste ultime in fattispecie relative all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011).

3.2.1. Detto orientamento ha, inoltre, costituito la base su cui si è essenzialmente ritenuto non suscettibile di definizione agevolata l’avviso di liquidazione, laddove   sia   assente la discrezionalità dell’Amministrazione, affinché possa parlarsi di importo realmente contestato (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9178, su limiti entro i quali possa essere oggetto di definizione agevolata della lite, ex art.16 della l.  n.    289/2002, controversia riguardante l’impugnazione di avviso di liquidazione emesso sulla base della volontà del contribuente di avvalersi del   sistema automatico   di valutazione catastale di cui   all’art. 12   del d.l.       14 marzo 1988, n.      70, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 maggio 1988, n. 154).

3.2.2. Ancora, di detto orientamento si è fatta applicazione in tema di accertamento con adesione per sostenere che la sospensione del termine d’impugnazione previsto dall’art.         6, comma 3 del d.lgs.19 giugno 1997, n.         218 sia applicabile solo qualora l’istanza di accertamento con adesione sia presentata nei confronti di un atto accertativo e non anche a seguito di cartella seguita a liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, non essendo questa fondata su una ricostruzione dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, ma su mero controllo formate effettuato con procedure automatizzate (cfr. Cass., sez. 5, Ord. 4 settembre 2020, n.18397).

3.3. Tra le pronunce più recenti, con specifico riferimento alla definizione agevolata ex art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2018, ha ribadito detto orientamento Cass., sez. 5, Ord. 24 dicembre 2020, n. 29552, in motivato dissenso rispetto all’indirizzo di cui al paragrafo successivo, rilevando che, a differenza di altre ipotesi contemplate dagli articoli 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, come quelle relative all’esclusione o riduzione delle detrazioni o deduzioni ritenute in tutto o in parte non spettanti, di cui alle lettere c) e d) del secondo comma del citato art. 36 – bis del d.P.R. n.600/73, “nei casi (riconducibili alla liquidazione/ controllo a norma della lett. f del comma 2 dell’art.54 – bis) di imposte dichiarate e non versate, o versate tardivamente, l’iscrizione a ruolo delle stesse imposte e/o degli interessi non presuppone alcuna rettifica dei dati e degli elementi indicati  nelle  dichiarazioni,  ma  opera  il  mero  recupero dell’imposta dichiarata dal contribuente e da lui non versata (con i relativi  interessi)  o  dei  soli  interessi  sulla  stessa  imposta  non versata”;  da ciò discende la conseguenza –  prosegue la citata  Cass. Ord. n. 29552/20 – “che tali ruoli e le pedisseque cartelle di pagamento costituiscono atti di mera riscossione, privi di natura anche impositiva, con la conseguenza che gli stessi ruoli, cosi come le cartelle che li recano, non possono ritenersi suscettibili di definizione agevolata ai sensi […] dell’art. 6 del di. n. 119 del 2018”.

La conclusione a cui approda la pronuncia in esame è che “della natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) partecipano anche le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, atteso che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni, previste dall’art. 13 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento”.

3.4. I documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate secondo le diverse discipline in tema di condono sopra menzionate (da ultimo, riguardo all’art.         6 del d.l.  n. 119/2018, si   veda   la   circolare dell’Agenzia delle entrate n. 6/E del primo aprile 2019), riflettono l’orientamento sopra esposto.

4. Ad esso si contrappone il diverso indirizzo che ritiene che il giudizio relativo all’impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 possa formare oggetto di definizione agevolata se ed in quanto la cartella costituisca il primo atto con il quale il contribuente è messo a conoscenza dell’esistenza di una pretesa fiscale nei suoi confronti, trovando espressione il più delle volte la massima in cui esso 6 esposto, con riferimento alle norme di cui l’art. 16 della I. n. 289/2002 o all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011 che alla prima, come si è detto, rinvia.

Si è, dunque, affermato che in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in L. n. 111/2011, le  controversie  relative  a  cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non preceduta da precedente atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente» (in tal senso, tra le molte, più di recente, Cass., sez. 5, 27 settembre 2018, n. 23269; Cass., sez. 5, Ord. 12 dicembre 2018, n. 32132; Cass. sez. 5, Ord. 17 gennaio        2019, n. 1158; Cass., sez.5, Ord. 8 febbraio 2019, n. 3759; Cass., sez. 5, Ord.  Cass. sez. 5, Ord. 24 settembre 2020, n. 20058; Cass., sez. 5, Ord. 7 dicembre 2020, n. 27975, nonché, in precedenza, in relazione all’art.16 della L. n. 289/2002, tra le altre, Cass. sez. 5, 20 marzo 2006, n. 6186; Cass. sez. 5, 2 luglio 2009, n. 15548; Cass., sez.5,16 aprile 2010, n.16075; Cass., sez. 5, 7 luglio 2010, n.16075).

Da ultimo, con specifico riferimento alla definizione agevolata, ex art. 6, del d.l. n. 119/2018, Cass., sez. 5, ord. 26 gennaio 2021, n. 1590, ha ribadito come l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dia origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. 119/2018, in quanto detta cartella,   “essendo   l’unico   atto   portato  a  conoscenza  del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, a impugnabile non solo per vizi propri   della stessa,  ma  anche   per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo”.

5. Ritengono queste Sezioni Unite, in conformità alle conclusioni scritte rese dal Pubblico Ministero, che detto indirizzo debba essere confermato. In tal senso converge l’esito della disamina delle ipotesi formulate   dal   contrapposto   orientamento   nella   sua   principale articolazione di cui alla succitata pronuncia Cass., Ord. n. 29952/20 che, a giudizio di queste Sezioni Unite, non appaiono decisive nel sostenere la legittimità del diniego di condono opposto dall’Agenzia delle entrate nella fattispecie in esame.

5.1.  Conviene, peraltro, in relazione alla peculiarità della presente vicenda processuale, muovere dall’ultimo rilievo (si veda supra, par. 3.2.2.), secondo cui della natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) partecipano anche le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, atteso che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni, previste dall’art. 13 del d. Igs. 18 dicembre 1997, n. 471, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento.

L’assunto addotto dall’Agenzia delle entrate nella motivazione del diniego di definizione agevolata della lite, espresso nel paragrafo 2.3.5. della citata circolare n. 6/E del 2019, è analogo.

La società, come si è visto, nell’impugnare con ricorso per cassazione il diniego di condono, ha censurato detto assunto in relazione al secondo profilo dell’unico motivo addotto a sostegno del ricorso.

5.2.  Premesso che, nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte, la cartella emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 attiene unicamente, oltre agli   interessi, alle sanzioni irrogate in ragione dell’aver ritenuto l’Amministrazione finanziaria il ritardato  versamento  dei  tributi  IRES  ed  IRAP  dovuti  per l’anno d’imposta, in disparte ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che  l’interpretazione  offerta  da  una  circolare  dall’Amministrazione finanziaria, che e parte del giudizio, non assurge al rango di fonte del diritto che possa pregiudicare di per se le ragioni addotte dalla parte privata (cfr. Cass., SU, 2 novembre 2007, n.23031; Cass. sez. 5, 21marzo            2014, n. 6699), la tesi esposta dall’Agenzia delle entrate a sostegno del diniego di definizione agevolata non può essere condivisibile.

5.3.  In proposito va osservato, come evidenziato anche       in dottrina, che l’iscrizione a ruolo, esattamente come gli avvisi di accertamento, svolge la duplice funzione di pretendere l’imposta dovuta e di irrogare la sanzione, ai sensi dell’art.    17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, tanto da essere invalsa la nozione di “atto contestuale”, per   evidenziare la natura polifunzionale dei provvedimenti impositivi.

Ciò porta a ritenere che quando, come nella fattispecie, la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, pur resa nell’ambito di procedura di controllo cartolare su dichiarazione del contribuente, si ponga  come atto di irrogazione della sanzione, essa configuri  un  atto  impositivo,  non  diversamente  da  come  sarebbe accaduto  se  fosse  stato  impugnato  un  avviso  di  accertamento, unicamente   nel   suo   contenuto   sanzionatorio,   o   un   atto   di contestazione  e,   pertanto,   può  costituire  oggetto  di  definizione agevolata, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.l. n. 119/2018.

5.4. Nella fattispecie in esame, ove la contestazione e sorta, in effetti, senza investire il rapporto relativo ai tributi IRES ed IRAP pacificamente dovuti e versati, limitatamente all’irrogazione delle sanzioni per il preteso ritardo nel versamento, sussistendo detto ritardo unicamente ove fosse stata accertata l’insussistenza del diritto della società alla proroga del termine di approvazione del proprio bilancio (questione, peraltro, rimasta estranea all’oggetto della prima comunicazione dell’Amministrazione resa ai sensi del terzo comma dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973), si ritiene che la controversia possa essere oggetto di definizione agevolata ai sensi del citato art. 6, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 119/2018, che stabilisce che in caso  di  controversia   relativa  esclusivamente  alle  sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun  importo  relativo  alle  sanzioni qualora  il  rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione.

6. E, in ogni caso, è fondato il ricorso della contribuente anche in relazione al primo profilo di articolazione dell’unico motivo di ricorso avverso il diniego di definizione agevolata della lite. Non appaiono, infatti, decisive, in senso ostativo alla condannabilità delle liti su cartelle pur emesse in procedura di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, nella sussistenza dei presupposti indicati nel precedente paragrafo 4, le considerazioni critiche espresse riguardo  al  secondo  orientamento  ivi  preso  in esame.

6.1.  Quanto  alla  negazione  della  natura  di  “atto  impositivo” della cartella emessa nell’ambito di controllo automatizzato ex art. 36 bis, del d.P.R. n. 600/1973, sui dati offerti dalla stessa dichiarazione del contribuente, nel richiamare quanto si è già avuto sopra modo di osservare  specificamente  riguardo  all’atto  di  contestazione  delle sanzioni, laddove, come nel caso di specie, la cartella costituisca il primo atto col quale il contribuente sia stato reso edotto della pretesa fatta  valere dall’Amministrazione  nei  suoi  confronti,  può attribuirsi alla cartella,   proprio  per  la  mancanza  di  un  previo  avviso  di accertamento,  natura  di  atto  complesso,  che,  oltre a  svolgere la funzione  di  un  comune  precetto,  “impone”  per  la  prima  volta  al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum.

Ciò risulta coerente con l’indirizzo di questa Corte, che può dirsi ormai consolidato e che va in questa sede riaffermato, secondo cui pur nel contesto dell’elencazione, contenuta nell’art. 19del d.lgs. n. 546/1992 degli atti suscettibili    d’impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, si è riconosciuta al contribuente, in ragione dei principi costituzionali di buon andamento della P.A.      (art. 97 Cost.) e   di   tutela   del   contribuente (artt. 24   e 53   Cost.), la facoltà d’impugnazione, ad esempio, delle stesse comunicazioni d’irregolarità rese ai sensi dell’art.  36 bis, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973, che rendano quindi il contribuente destinatario di una pretesa tributaria ben individuata nei termini sopra indicati (cfr., tra le altre, Cass.,  sez. 5, 11  maggio 2012,  n. 7344;  Cass.,  sez. 6-5, Ord. 28 novembre 2014, n. 25297; Cass., sez. 6-5, Ord. 19 febbraio 2016, n. 3315). La  stessa  Amministrazione  finanziaria, d’altronde,  nella citata circolare (par. 2.3.4.),  sia  pure  a fini  diversi (come,  ad  esempio, riguardo alla natura impositiva che debba riconoscersi agli avvisi di liquidazione in tema di imposta di registro, catastale o di successione che rettifichino i dati esposti dal contribuente, con effetto novativo della pretesa), pone in evidenza come rilevi, di la dal nomen iuris, per poter accedere alla definizione agevolata della controversia, la natura sostanziale dell’atto impugnato.

6.2. Neppure appare decisiva, nel senso invece prospettato dal primo indirizzo esaminato, la considerazione secondo cui la natura impositiva dell’atto non possa stabilirsi a posteriori in considerazione dei motivi di ricorso proposti, che debbono riguardare il merito della pretesa impositiva.

Fermo quanta già osservato in relazione alla ritenuta natura impositiva dell’atto in se, laddove esso assolva alla duplice funzione sopra indicata, deve rilevarsi come lo stesso indirizzo in esame non-possa escludere che, di là dalla natura formale dell’atto, rilevi – ai fini della valutazione dell’ammissibilita o meno della definizione agevolata –  anche la considerazione della natura dei motivi d’impugnazione, come ad esempio nel caso in cui, nell’impugnare la cartella, si faccia valere   il preteso   vizio   di   notifica   dell’avviso   di   accertamento presupposto.

6.3. Ritiene ancora la Corte come l’orientamento che ritiene che la controversia originata da impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R.  n. 600/1973 possa formare oggetto di definizione agevolata, ove costituisca il primo atto con il quale il contribuente venga posto a conoscenza dell’esistenza di una pretesa fiscale nei suoi confronti, meriti adesione anche in relazione alla sua coerenza con il principio dell’emendabilità, da parte del contribuente, in      sede contenziosa, della        dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza, nei termini affermati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU. 30 giugno 2016, n. 13378), come gia rilevato, del resto, da parte della giurisprudenza della sezione tributaria (cfr., tra le altre, più di recente, Cass., sez. 5, 27 settembre       2018, n. 23269), nonché,  riguardo  all’IVA,  all’ambito  di   utilizzabilità  del  controllo automatizzato di cui all’art.           54 bis del d.P.R. n. 633/1972, nei termini pure illustrati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU. 8 settembre 2016, n. 17758), esulando la definizione agevolata, nei limiti definiti dall’art. 6 del d.l. n. 119/2018, dalle preclusioni e limiti derivanti dalla disciplina eurounitaria, in tema di tributi armonizzati.

7. Un’ulteriore   considerazione   va, in questa sede spesa, specificamente, in relazione alla natura c.d. spuria della definizione agevolata ex art. 6 del d.l.  n. 119/2018, tale da incidere, in parte, anche sull’entità del tributo, determinando il quantum anche in considerazione dell’esito dei gradi di giudizio già svolti, in cui, dunque, particolarmente evidente è il favor del legislatore per la condannabilità delle liti, in via generale riconosciuta già in passato da queste Sezioni Unite (cfr., Cass., SU,        25 luglio 2007, n. 16142; Cass., SU, 17 febbraio 2010, n. 3676).

Negare   la   condannabilità   delle   liti   che   trovano   occasione nell’impugnazione per ragioni di merito di una cartella formata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 (un caso particolarmente frequente, in   passato, in   adesione   al   primo orientamento, ha riguardato il contenzioso originato da cartelle di pagamento ex art. 36 bis per IRAP non versata sebbene oggetto di dichiarazione da parte di liberi professionisti che, impugnando la cartella, hanno poi contestato la stessa sussistenza dell’autonoma organizzazione come presupposto impositivo dell’IRAP), si porrebbe in modo antitetico alle finalità della norma  sopra  evidenziate,  ponendo  in  condizione  deteriore  quei contribuenti  che  abbiano  reso  comunque  possibile  l’individuazione della pretesa tributaria nell’ambito di un controllo di natura cartolare.

8. In conclusione appare sufficiente spendere un’unica considerazione riguardo a quello che nell’ordinanza interlocutoria definito  orientamento  mediano,  riassunto  nel  principio  secondo  il quale  la  natura  impositiva  dell’atto,  ai  fini  dell’ammissibilità  della definizione   agevolata   della   lite   pendente   a   seguito   della   sua impugnazione, debba essere riconosciuta quando esso sia destinato ad esprimere per la prima volta, nei confronti del contribuente, una              pretesa fiscale, purché vi sia controversia effettiva, e non apparente,  sulla   legittimità,  sotto  qualsiasi profilo  della   pretesa  impositiva medesima, tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo (tra le pronunce ricondotte al suddetto            orientamento l’Ordinanza interlocutoria richiama, tra le altre, Cass., sez. 5, Ord. 29 novembre 2017, n. 28611; Cass., sez. 5, 8 luglio 2015, n. 14196; Cass., sez.5,

22 gennaio 2014, n. 2986; Cass., sez.5, 6 ottobre 2010, n. 20731).

8.1.  Va premesso che, in realtà, un esame puntuale delle fattispecie oggetto delle rispettive decisioni consentirebbe di ricondurre la maggior parte dei casi ivi esaminati nei termini paradigmatici  propri  del  secondo  indirizzo  sopra  menzionato (nel caso, ad esempio, deciso da Cass. sez. 5, 13 marzo 2019, n. 7099, oggetto d’interpretazioni contrastanti in dottrina,  la conferma della legittimità del diniego di definizione agevolata in controversia relativa all’impugnazione  di  cartella  emessa  ex  art. 36  bis  del  d.P.R.  n. 600/1973 è  stata  pur  sempre  basata  sulla  circostanza  relativa all’essere stata la cartella impugnata  non  nel  merito della pretesa erariale  ma  per vizi  propri);  per  it  resto,  il  richiamo  alla  natura effettiva  della  controversia  trovando  adeguata  giustificazione  nel principio generale del divieto di abuso del processo (cfr., tra le altre, in particolare,  Cass.,  sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18445), non potendo servirsi strumentalmente del processo allo scopo di creare surrettiziamente una lite pendente al fine di ottenere una definizione agevolata, ove a monte esista un accertamento definitivo.

Si tratta di casi  che  purtroppo la prassi rivela come non infrequenti,  come laddove, ad   esempio,  si   affermi   d’impugnare una cartella di pagamento ed il ruolo ad essa sotteso (oltre al prodromico avviso di accertamento)  dei  quali  ii  ricorrente  assuma  di  essere  venuto  a conoscenza per il tramite di estratto di ruolo consegnato dall’agente della  riscossione,  risultando  poi  spesso  smentita  dalle  risultanze processuali  la  doglianza  relativa  all’omessa  notifica  della  cartella (viceversa regolarmente notificata e non impugnata nei termini).

8.2.  Ove, tuttavia,  all’orientamento  definito  mediano,  debba intendersi  riconosciuta  una  propria  autonomia,  nel  senso  che  si ritenga ad esso conseguente che sia necessario accertare caso per caso se la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, abbia o meno funzione impositiva, e sufficiente richiamare quanto sopra osservato sulla prevalenza del dato sostanziale, quanto alla funzione (anche) impositiva  della  cartella  emessa  ai  sensi  della  citata  norma,  che costituisca it primo atto che ponga it contribuente a conoscenza della pretesa   da   parte   dell’Amministrazione   finanziaria,   non   potendo tralasciarsi  di  considerare  come  l’ulteriore  finalità  deflattiva  del contenzioso tributario, propria della discipline in esame, potrebbe in concreto  risultare  contraddetta  da  un  aumento  del  contenzioso relativo alle controversie riguardanti proprio le ipotesi di diniego di definizione agevolata.

9. Può, pertanto, darsi continuità al principio secondo il quale l’impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida, in sede     di controllo automatizzato, ex art. 36 his del d.P.R.  n. 600/1973, le imposte  calcolate  sui  dati  forniti  dallo  stesso  contribuente,  dà origine  a controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n.        119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale e comunicata al contribuente, essendo, come tale, impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva.

10. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso della  società  avverso  il  diniego  di  definizione  agevolata  opposto dall’Amministrazione   finanziaria è   fondato   e   va   accolto,   con conseguente declaratoria di estinzione del giudizio e cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 6, terzo comma, del d.l. n. 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla I. n. 136/2018.

11. A ciò consegue l’assorbimento dei motivi addotti a sostegno del ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – che, giudicando nel merito          della pretesa impositiva, aveva rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado ad essa sfavorevole.

12. Le spese del giudizio, ai sensi dell’art. 6, comma 13, del citato d.l. n. 119/2018, restano a carico della  parte  che  le  ha anticipate.

13. L’estinzione del giudizio per definizione agevolata della lite esclude che ricorrano i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente avverso il diniego di definizione agevolata della lite, per il versamento di ulteriore importo a titolo e contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

Accoglie  il  ricorso  della  societa  L  S.r.l. avverso il diniego di definizione agevolata della lite e dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere.

Spese del giudizio a carico della parte che le ha anticipate.

Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili dell’11 maggio 2021

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay