CASSAZIONE

Verifica fiscale, valida l’apertura della valigetta dell’A.D. se c’è l’autorizzazione del contribuente

Tributi – IRPEG, IRAP e IVA – Accertamento fiscale – Accesso, ispezioni e verifiche– Apertura di plichi – Illegittima acquisizione della documentazione extracontabile –  Mancanza di autorizzazione del P.M. – Art. 52 della l. n. 212/ 2000 – Libero consenso del contribuente – Remissione alle SS.UU- Ordinanza interlocutoria n.10664/2021 – Validità

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 2 febbraio 2022 n. 3182, pronunciandosi su una questione di massima e di particolare importanza, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del DPR 633/1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33, DPR 600/1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività d’indagine si eserciti con il libero consenso del contribuente.

Il principio di diritto testé offerto infatti così recita: “… In tema di accertamento delle imposte, con riguardo all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prevista in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini della valida espressione del consenso alla apertura della borsa non è necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso nell’art. 52 cit. e neanche nell’art. 12, comma 2, della legge 212/2000”.

Ricordiamo che l’argomento trattato ha assunto particolare importanza, stante la rilevanza del tema, in considerazione che la stessa Sezione quinta della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria n.10664/2021, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando elementi per ritenere che sulla questione, di peculiare interesse, della validità dell’acquisizione degli atti contenuti nella valigetta messi a disposizione dell’ufficio fiscale dall’amministratore della società, in discussione nei motivi quinto, sesto e settimo, esistano pronunzie di legittimità di segno opposto e ritenendo opportuno l’approfondimento sulle seguenti questioni di diritto: 1) se, in caso di apertura della valigetta reperita in sede di accesso, la mancanza di autorizzazione di cui al DPR 633/1972, art. 52, comma 3, possa essere superata dal consenso prestato dal titolare del diritto; 2) se, nel caso in cui si dia risposta positiva alla prima questione, il consenso può dirsi libero ed informato anche qualora l’amministrazione finanziaria non abbia informato il titolare del diritto della facoltà, di cui alla L. 212/2000, art. 12, comma 2, di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria; 3) se, infine, l’eventuale inosservanza del suddetto obbligo di informazione e il conseguente vizio del consenso del titolare del diritto comporti l’inutilizzabilità della documentazione acquisita in mancanza della prescritta autorizzazione

In premessa va rammentato che sulla questione nel tempo si era sviluppato un orientamento che riteneva legittima l’acquisizione di documentazione custodita all’interno di una borsa rinvenuta in sede di verifica fiscale laddove, come nel caso in esame, l’apertura della stessa è avvenuta sia pur non spontaneamente, comunque volontariamente (v. Cass. n. 737/2021).

Si ricorda, infatti, che l’art. 52, DPR 633/1972 regola le attività di verifica nei locali dei contribuenti al fine di reperire documenti e altri mezzi di prova per l’accertamento dell’imposta evasa. La disposizione è costruita in modo da contemperare, anche in ossequio al principio di rango costituzionale di inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.), l’interesse del Fisco alla repressione dei fenomeni evasivi con le garanzie previste a favore dei contribuenti. Anche per l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure è necessaria l’autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio. L’eventuale assenso del contribuente – che fa venir meno la richiesta di autorizzazione al magistrato – legittima l’operato dei verificatori, consenso che dovrà essere trascritto sia nel processo verbale di accesso o giornaliero che nel p.v. di constatazione.  

Sul punto rileva storicamente anche la Sentenza Cass. n. 9565/2007, secondo la quale occorreva l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo per procedere alla “apertura coattiva” di borse, non essendo invece necessaria l’autorizzazione ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione e in continua presenza dei parenti del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà (cfr. in senso conforme Cass. n. 24306/2018, Cass. n. 3204/2015, n. 9565/2007 e nell’ambito della giurisprudenza di merito CTR Marche 564/1/16). 

Riassumendo sinteticamente vediamo che sul primo quesito le SS. UU. hanno in modo sostanziale avallato l’operato dell’Agenzia delle entrate, specificando che: “… In questa direzione orienta anzitutto il canone esegetico letterale di cui all’art. 12 delle Preleggi: il significato del termine coattivo implica che l’azione dell’autorità procedente sia resistita dal soggetto nei confronti del quale l’azione stessa si rivolge, in altri termini, che sussista una coercizione rispetto alla volontà contraria del contribuente. In tal caso il legislatore ha inteso introdurre una peculiare misura protettiva nei confronti del contribuente stesso, laddove questi, con il suo contegno, mostri di opporsi alla richiesta di apertura di uno dei beni indicati nell’art.52 c.3, che sia stata avanzata dai verificatori”.

Sul secondo quesito si smentiscono le conclusioni dell’ordinanza interlocutoria secondo cui la necessità di un consenso preventivo e informato da parte di colui che sia legittimato a esprimerlo, cioè il titolare del diritto, debba dirsi sussistente come necessario bilanciamento tra i valori costituzionali che entrano in gioco nella vicenda e cioè: da un lato, l’interesse fiscale dello Stato ad acquisire in modo concreto ed efficace le risorse tributarie essenziali per garantire la sussistenza e lo sviluppo della comunità; d’altro lato, la tutela delle posizioni soggettive del contribuente nei cui confronti i poteri istruttori di cui dispone l’Amministrazione finanziaria sono destinati a incidere, in particolare, la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza. 

Al riguardo infatti gli Ermellini vogliono chiarire che: “… Queste Sezioni Unite intendono dunque chiarire che le ipotesi di consenso forzato o coartato, perché ad esempio indotto dalla minaccia di conseguenze sfavorevoli in caso di mancata consegna eventualmente accertate dal giudice, escludono in radice ogni valenza al consenso. E ciò per l’assorbente ragione che, in mancanza dell’autorizzazione del P.M., l’acquisizione della borsa trova la propria causa legittimante non nell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di poteri autoritativi di natura pubblicistica, ma direttamente nell’atto di autonoma collaborazione del privato interpellato, che abbia la disponibilità della borsa. Tale atto è inquadrabile nella categoria dell’atto giuridico in senso stretto, per il quale rileva la volontarietà e la consapevolezza dell’atto stesso, e non la volontà produttiva di effetti giuridici. Quel che, in definitiva, il legislatore ha inteso prendere in esame e salvaguardare è la non coattività dell’acquisizione che, per essere tale, richiede ineludibilmente una condotta del contribuente consapevolmente, e liberamente, orientata a consentire l’acquisizione della borsa rinvenuta nei locali di esercizio dell’attività”.

Le Sezioni Unite hanno  dunque offerto oggi una importante chiave interpretativa sui casi di apertura coattiva,  prospettando che il tema vada risolto quando ci si trovi in presenza di un “… consenso libero, reso in assenza di alcuna costrizione, né diretta né indiretta perché correlata alla prospettazione di conseguenze sfavorevoli, del contribuente alla consegna della borsa sia idoneo a soddisfare le ragioni che il legislatore ha inteso tutelare nel richiedere il provvedimento autorizzativo”.

Secondo le Sezioni Unite, sul punto le specifiche norme tributarie, compreso l’art. 12 dello Statuto del Contribuente, nulla prevedono al riguardo sull’onere di informazione.  Quindi, ai fini della valida espressione del consenso, non è necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso nell’art. 52 cit. e neanche nell’art. 12, comma 2, della L. 212/2000.

In parole più semplici diventa legittimo, come nel caso di specie, basare concretamente l’avviso di accertamento sui dati e documenti rintracciati nella valigetta dell’amministratore della società contribuente quando è consegnata spontaneamente agli agenti durante un’ispezione. Ciò vale anche quando manca l’autorizzazione della Procura.

Le Sezioni Unite hanno inoltre individuato i parametri costituzionali di riferimento negli articoli 13 e 14 Cost. ipotizzando che se la borsa fosse stata rinvenuta “addosso” alla persona avrebbe assunto rilievo l’articolo 13 Cost., relativo all’inviolabilità della libertà personale mentre se, come nel caso di specie, la borsa viene rinvenuta all’interno dei locali, la norma di riferimento insiste sull’articolo 14 Cost., cioè sull’inviolabilità del domicilio, il cui comma 3 espressamente prevede che “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”.

In considerazione di ciò e ricordando l’articolo 52, comma 3, DPR 633/1972, che sancisce tra le altre cose che è, “in ogni caso”, necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità giudiziaria più vicina qualora si proceda durante l’accesso ”a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”, le Sezioni Unite hanno in definitiva ritenuto l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica  sia necessaria solo nei casi di apertura coattiva e non anche nei casi in cui il contribuente abbia prestato il suo libero consenso.

Tanto premesso e tornando al caso prospettato, la vicenda ha inizio quando una società contribuente impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia a seguito degli elementi raccolti nel corso di una verifica svolta nei locali della società, più precisamente rinvenuti all’interno di una valigetta del suo amministratore delegato, che però aveva messo a disposizione dei verificatori il contenuto della valigetta a seguito di semplice richiesta di questi ultimi; tali documenti venivano quindi utilizzati dall’ufficio per rideterminare i valori delle rimanenze di magazzino.

La società contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR affidato a tredici motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Il ricorso, giunto in Cassazione, veniva rimesso alle Sezioni Unite per approfondire se, in caso di apertura della valigetta reperita in sede di accesso, la mancanza dell’autorizzazione di cui all’articolo 52, comma 3, DPR 633/1972 possa essere superata dal consenso prestato dal titolare del diritto.

Le Sezioni Unite, dopo una attenta disamina hanno ritenuto che: “… Come già esposto, la soluzione di questioni di diritto, rimesse all’esame di queste Sezioni Unite, sono racchiuse nei motivi quinto, sesto e settimo.  In particolare, il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che nella fattispecie non era necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per l’apertura della valigetta dell’amministratore delegato in sede di accesso, atteso che la stessa era stata aperta, su richiesta della Guardia di Finanza, spontaneamente e senza coercizione. 1.2 Con il sesto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, per avere la CTR ritenuto che l’inosservanza dell’obbligo di informazione, in sede di verifica fiscale, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, non comporta alcun effetto sulla regolarità del procedimento di accertamento; 1.3 Infine, con il settimo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115, c.p.c., per non avere la sentenza impugnata considerato che l’amministrazione finanziaria non aveva mai contestato le argomentazioni sostenute dalla ricorrente circa la illegittima acquisizione e, quindi, l’inutilizzabilità del materiale istruttorio in sede di verifica della Guardia di finanza per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, nonché per la violazione degli obblighi informativi, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2. La trama argomentativa dell’ordinanza di rimessione alle S.U. 2. L’ordinanza n.10664/2021 pone all’esame di queste Sezioni Unite alcune questioni che vengono non solo sintetizzate nei quesiti formulati in calce ad essa, ma spiegate nel corpo della parte motiva, che, dopo avere tratteggiato il quadro normativo di riferimento, reputa necessaria da parte di queste S.U. un’attività esegetica delle previsioni normative indicate al fine di definire: a) quale sia la rilevanza del comportamento tenuto dal contribuente; b) quali siano gli strumenti di garanzia che devono essere riconosciuti al contribuente in sede di accesso e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria e, in particolare, quale rilevanza abbia l’effettivo ricevimento della informazione circa la facoltà di farsi assistere da un professionista; c) se vi siano conseguenze, sotto il profilo della utilizzabilità della documentazione acquisita, nel caso di inosservanza degli obblighi di garanzia predisposte dalla disciplina in esame a tutela del contribuente.  Le questioni rimesse – correlate a difformità interpretative ed alla natura di massima di particolare importanza delle stesse – ruotano, come si è detto, attorno alla validità o meno dell’acquisizione di documenti contenuti in una valigetta chiusa, rinvenuta all’interno dei locali del soggetto sottoposto a verifica fiscale e messa a disposizione dei verificatori dall’amministratore della società, in assenza di autorizzazione del Pubblico Ministero o dell’autorità giudiziaria più vicina. Ed al riguardo, l’ordinanza interlocutoria osserva che «la giurisprudenza della Corte ha assunto una posizione non concorde in ordine alla questione se il consenso manifestato dal contribuente o da soggetti in vario modo collegati allo stesso possa sanare le acquisizioni probatorie eseguite senza la prescritta autorizzazione dell’autorità giudiziaria, soprattutto in quanto non vi è una specifica previsione normativa circa il rilievo da attribuire al comportamento del contribuente». Il quadro normativo di riferimento.  Per un compiuto esame delle questioni sottoposte all’esame delle S.U. è necessario ripercorrere le fonti normative rilevanti. L’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 (“Accessi, ispezioni e verifiche”), sull’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche ai fini IVA – richiamato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ai fini delle II.DD. nonché, ai fini dell’accertamento del valore venale delle aziende, dall’art. 51, comma 4, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (in tema di imposta di registro) e dall’art. 34, comma 4, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (in tema di imposta sulle successioni e donazioni) –prevede che: «Gli uffici possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia, per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni. È in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità Giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale». L’art. 12, comma 2, l.n.212/2000 così dispone: “Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche». Considerazioni generali sull’art.52 d. P. R n.633/1972 5. L’art.52 d.P.R. n.633/1972 contiene una disciplina composita che riguarda gli accessi, ispezioni e verifiche dell’amministrazione fiscale (con disposizione corrispondente a quelle previste per altri tributi) Il sistema prevede diverse ipotesi che, nei primi due commi, riguardano la possibilità stessa dell’ufficio di “accedere” nei locali destinati all’esercizio dell’attività, o dell’abitazione promiscuamente adibita anche a tale attività o presso l’abitazione stessa del contribuente. Discipline che, pur offrendo garanzie diverse in relazione alle specifiche ipotesi ivi prese in considerazione, sono accomunate dal richiedere, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento, un’autorizzazione preventiva dell’Ufficio che ne indica lo scopo per consentire l’accesso, ovvero un provvedimento autorizzatorio del P.M. (al quale si riconosce pacificamente natura amministrativa- cfr. Cass.n.23824/2017, Cass.n.15230/2001- sindacabile da parte del giudice tributario quanto al suo contenuto- cfr.n Cass. S.U. n.16424/2002, Cass. n. 21974/2009-) nelle ipotesi di compimento di tali attività all’interno di abitazione ad uso promiscuo del contribuente, con l’ulteriore necessaria specificazione, nell’autorizzazione anzidetta, dei gravi indizi di violazione delle norme fiscali per il caso di accesso in locali diversi da quelli indicati nel c.1 dell’art.52, cit. 5.3 Le ipotesi disciplinate dal c. 3 dell’art.52 riguardano, invece, l’autorizzazione del P.M. o dell’autorità giurisdizionale più vicina per il compimento di particolari atti istruttori, tra loro non sempre omogenei -perquisizioni personali, apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, esame di documenti per i quali è eccepito il segreto professionale – da richiedere “in ogni caso” quando ne emerga la necessità “durante l’accesso”. Il quadro così sommariamente ricordato offre all’interprete le scelte adottate dal legislatore fiscale, volte a contemperare l’esigenza dell’amministrazione fiscale di esercitare proficuamente i poteri ispettivi necessari a garantire la pretesa impositiva con quella del contribuente (e di eventuali terzi occasionalmente coinvolti), di evitare che un potere di indagine incontrollato, immotivato ed eccessivo possa cagionare un pregiudizio alle libertà costituzionali che vengono volta per volta in rilievo. Tale esigenza viene dunque realizzata attraverso un articolato sistema di autorizzazioni. Nel caso di specie, l’apertura di borsa rinvenuta all’interno dei locali della parte contribuente è avvenuta sulla base di una richiesta dei verificatori alla quale è seguita la spontanea consegna dell’amministratore della società. 5.6 Si legge, infatti, nel pvc, al quale si riferisce l’odierno procedimento, che: All’atto dell’accesso, nell’ambito delle ricerche effettuate ai sensi dell’art. 52 DPR n. 633/1972, richiamato anche dall’art. 33 del DPR n. 600/1973 e dall’art.35 della l. 7.1.1929 n. 4 è stata rinvenuta la valigetta di proprietà dell’amministratore delegato appoggiata sulla scrivania dello stesso. A richiesta dei militari operanti l’amministratore delegato…ha messo a disposizione il contenuto della stessa valigetta ed in particolare la documentazione contabile inerente la gestione della CMS spa che è stata acquisita agli atti della verifica”. Dall’esame di tale documentazione l’ufficio ha tratto elementi per la quantificazione delle rimanenze di magazzino inventariate al 31.12.1998 e quelle inventariate al 31.12.1999. Orbene, per rispondere al primo quesito posto dall’ordinanza interlocutoria rivolto a delineare se, in caso di apertura della valigetta, la mancanza di autorizzazione di cui all’art. 52, c. 3 del d.P.R. 633 possa esser superata dal consenso prestato dal titolare del diritto, occorre anzitutto indagare su quali ambiti di rilievo costituzionale il potere istruttorio qui in esame vada ad incidere. La risposta a tale interrogativo è fondamentale per individuare il livello ed il grado di tutela apprestato dal sistema ai diritti che entrano in gioco in caso di acquisizione coattiva di borse durante l’accesso eseguito in sede di verifica fiscale, e anche la compatibilità del detto sistema con i canoni costituzionali. Parte della dottrina ha ipotizzato, al riguardo, che il valore fondamentale inciso dall’attività dei verificatori coincida col diritto alla segretezza della corrispondenza e di qualsiasi forma di comunicazione previsto dall’art. 15 Cost, individuando come parametro costituzionale di riferimento appunto il detto art.15 Cost. Tale ricostruzione non persuade. Ed invero, la segretezza delle comunicazioni presuppone l’esistenza di uno scambio della corrispondenza che non viene in rilievo nel caso in esame, in cui si discute invece di apertura di borsa del cui contenuto, peraltro, nulla è dato sapere all’atto del rinvenimento della stessa da parte dei verificatori. Rinvenimento che l’art. 52, c. 3 prende in considerazione disinteressandosi di ciò che si trovi dentro alla borsa. Quel che entra in gioco è, per converso, un’esigenza di “segretezza” – alla quale pure opportunamente accenna l’ordinanza interlocutoria- ma sottesa non già alla guarentigia costituzionale prevista in tema di corrispondenza, quanto a quelle insite nella libertà della persona e/o del domicilio. In proposito, occorre, infatti, distinguere l’ipotesi in cui la borsa costituisca elemento intrinsecamente collegato ed a stretto contatto con l’individuo, che appunto dovesse indossarla, in modo da costituire parte della persona stessa, da quella della borsa rinvenuta nei locali oggetto di accesso e, dunque, all’interno di essi. Nel primo caso le Sezioni Unite ritengono applicabile la garanzia apprestata dall’art. 13 Cost. (cfr. C. Cost. n. 88/1987, ove si chiarisce che “D’altra parte, i contenitori portatili che “come mezzi di trasporto”, ai sensi dell’art. 6, secondo comma della legge in esame, trovano diretta copertura nelle garanzie dell’art. 13 Cost., sono soltanto quelli che attengono alla sfera della libertà personale, e perciò quelli che abitualmente sono portati sulla persona (come portafogli, portamonete etc.) o ad immediato contatto di essa (come borse, borselli e borsette): mentre dalle garanzie dell’art. 14 Cost. sono poi esclusi i mezzi di trasporto diversi da autovetture, roulotte etc. che non possono rientrare nel concetto costituzionalistico di “domicilio”“), mentre nel secondo viene in gioco la protezione che l’ordinamento appresta al domicilio, nel senso ampio del termine che appunto si desume dal ricordato c. 3 dell’art. 14 Cost., costituendo qui la tutela apprestata dall’ordinamento alla borsa diretta espressione e proiezione di quella riconosciuta al domicilio. Affermato, dunque, che quando viene in discussione la tematica relativa ai poteri istruttori in materia di acquisizione coattiva di borse i parametri costituzionali di riferimento sono costituiti dagli artt. 13 e 14 Cost., nel caso qui in esame viene in rilievo l’art. 14, proprio in ragione delle modalità di rinvenimento della borsa: non addosso alla persona (per la quale varrebbe la tutela rafforzata prevista dall’art.13 Cost.) ma all’interno dei locali adibiti a sede dell’attività, e cioè all’interno della protezione del domicilio garantita, appunto, dall’art. 14 Cost. , comma 3. Il che, del resto, trova conferma nel concetto di “vita privata” al quale l’art. 8 CEDU riconduce la tutela dello spazio privato circostante la persona in relazione a intercettazioni, perquisizioni domiciliari e sequestri v. Corte edu, Mc Lead c. R. Unito, 23.9.1998,§ 36, Corte edu, Funke, 25.2.1993, § 48-. Giova a tal proposito rammentare, ai fini che qui interessano, che l’art. 14 della Costituzione, dopo avere dichiarato, al primo comma, “inviolabile” il domicilio, nei commi successivi dispone che “non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” e che “gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”- art. 14, c. 3, Cost.-. Occorre altresì sottolineare che la collocazione di tale disposizione fra gli artt. 13 e 15 della Costituzione, e la tutela differenziata prescelta dal costituente in tema di libertà di domicilio, per un verso, sono ispirate ad intenti garantistici, visto che la previsione di una autonoma disposizione per la libertà di domicilio rende possibile la sua tutela anche per ciò che riguarda i luoghi non destinati all’abitazione, come risulta dal ricordato c. 3 dell’art. 14 Cost. Per altro verso, lo stesso comma terzo dell’art. 14 denota in modo altrettanto evidente la discontinuità fra le garanzie apprestate dal comma 2 dello stesso articolo, parametrate attraverso un rinvio per relationem all’art. 13 Cost. e quelle correlate a specifiche materie- accertamenti e ispezioni in materia di sanità, incolumità pubblica e finalità economiche e fiscali – per le quali è proprio il legislatore costituzionale a demandare alle leggi speciali in materia i livelli di protezione della garanzia inviolabile del domicilio. Orbene, la previsione di una riserva di legge in materia fiscale, per quel che qui interessa, conferma la centralità proprio dell’art.14 c.3 rispetto al tema qui all’esame delle Sezioni Unite, essendo in discussione, proprio, l’individuazione del parametro sotto il quale porre la disciplina in tema di poteri istruttori dei verificatori nel corso dell’accesso. Ed il fatto che, in tema di accertamenti ed ispezioni, il legislatore costituzionale abbia equiparato la materia fiscale a quelle incidenti su sanità e incolumità pubblica, di evidente e primaria rilevanza sociale, rende palese il particolare valore attribuito alla materia fiscale dal costituente, che ha appunto demandato al legislatore fiscale di regolarne presupposti e modalità in modo autonomo rispetto alle garanzie previste in tema di libertà personale. La specifica sussunzione del settore relativo ai poteri istruttori in materia fiscale all’interno dell’art.14 Cost. e, specificamente, del comma 3, è sintomo certo della scelta costituzionale di realizzare un corretto bilanciamento fra i valori in gioco – artt.3, 23, 53, 13, 14, 15 Cost.- devolvendo alla legislazione di settore l’individuazione del punto di equilibrio fra di essi. Legislazione alla quale si affidano, dunque, il ruolo principale di attuatore della Costituzione e la scelta delle modalità concrete di attuazione dei poteri di accesso, ispezione e verifica. Orbene, il c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972, come si è sopra ricordato, richiede l’autorizzazione del P.M. o del giudice per i soli casi di “apertura coattiva” di borse, plichi e documenti. Ad esso non può che affiancarsi, ma in seguito se ne verificherà la concreta incidenza, la disposizione della legge n.212/2000, contenente Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, in essa risultando contemplata una specifica regolamentazione su “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. Attorno all’espressione apertura coattiva si snoda, appunto, il percorso argomentativo dell’ordinanza interlocutoria, essa interrogandosi per l’un verso se (A) il consenso all’attività di apprensione della borsa rinvenuta nel corso dell’accesso sia o meno rilevante e renda legittimo l’operato dell’Ufficio in assenza di autorizzazione del P.M. e, per l’altro verso, (B) se, ammessa la possibilità della manifestazione di consenso del contribuente, questo consenso possa dirsi libero ed informato anche qualora l’amministrazione finanziaria non abbia informato il titolare del diritto della facoltà, di cui all’art.12, comma 2, legge n.212/2000, di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria. Quanto alla prima questione, l’ordinanza interlocutoria ipotizza un disallineamento fra un gruppo di decisioni, che hanno escluso la valenza del consenso al fine di sanare l’acquisizione documentale eseguita in assenza di autorizzazione del P.M., da altro indirizzo che aderirebbe ad una prospettiva tesa a valorizzare il consenso manifestato spontaneamente dal contribuente al fine di “sanare” l’attività di acquisizione operata dai verificatori. Secondo il primo orientamento, ricordato dall’ordinanza interlocutoria, tanto il consenso espresso che la mancata manifestazione del dissenso del contribuente (o di terzi) rispetto all’esercizio dell’attività ispettiva eseguita in loco senza il rispetto delle garanzie autorizzatorie di cui all’art. 52 cit. non hanno efficacia sanante del vizio procedimentale né rendono legittimo l’accesso operato al di fuori delle previsioni di legge, trattandosi di manifestazioni non richieste né prese in considerazione da alcuna norma giuridica. Espressione di tale indirizzo è la sentenza Cass., Sez. V, n. 19689/2004, così massimata: «In tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente c.p.p., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della Costituzione». 5.26 In questa stessa prospettiva Cass., Sez. V, n. 20253/2005 ha ritenuto che l’assenza di detta autorizzazione importa l’inutilizzabilità, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale, in ragione del valore stesso dell’inviolabilità della libertà personale solennemente consacrato nell’art. 13 Cost., senza che assuma alcun rilievo la circostanza che il perquisito – per di più nel caso di specie soggetto terzo rispetto al contribuente – non abbia sollevato alcuna contestazione, né al momento della perquisizione, né successivamente: la mancata opposizione, infatti, oltre a non essere presa in considerazione da alcuna norma di legge, non equivale a consenso alla perquisizione personale, né rende legittima una perquisizione operata al di fuori delle previsioni legislative. Analogamente, Cass., Sez. VI-V, n. 14701/2018- richiamata nell’ordinanza interlocutoria- ha ritenuti inutilizzabili, in assenza di autorizzazione della competente Procura della Repubblica, i documenti acquisiti nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione ed a sede dell’attività imprenditoriale, con riguardo all’ipotesi considerata dall’art. 52, comma 1, cit. così testualmente esprimendosi: “D’altra parte, i superiori principi non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può …rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente alle accesso, legittimo od illegittimo che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”. In sintonia con tale indirizzo un altro gruppo di pronunzie- Cass., Sez. V, n. 19689/2004, cit. nell’ordinanza interlocutoria-; Cass., Sez. V, n. 19690/2004; Cass., Sez. VI-V, n. 673/2019- con riguardo ad ipotesi di accesso non autorizzato in locali diversi da quelli destinati ad attività commerciale ovvero adibiti ad uso promiscuo- disciplinata dal c.2 dell’art.53, cit. – , ha ritenuto che i principi in tema di inutilizzabilità in assenza di autorizzazione della Procura della Repubblica “… non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può … rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente all’accesso, legittimo o illegittimo che sia è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”. L’ordinanza interlocutoria muove, dunque, dall’assunto che tale indirizzo giurisprudenziale possa estendersi ad ogni ipotesi di acquisizione coattiva, escludendo la rilevanza del consenso all’acquisizione delle borse e, muovendo da tale convincimento, ne prospetta il possibile contrasto con quello, di diverso tenore, favorevole a riconoscere valore sanante alla consegna spontanea della borsa. Indirizzo quest’ultimo che, specificamente reso con riferimento alle ipotesi di acquisizione coattiva regolate dall’art.52 c.3 d.P.R. n.633/1972, ha inteso valorizzare il comportamento del contribuente e, quindi, l’eventuale consenso prestato, puntando l’attenzione sull’espressione “apertura coattiva”, contenuta nell’art. 52, comma 3, cit., per evidenziare che la stessa sussiste solo quando non vi sia consenso del contribuente (o anche quello espresso da un suo collaboratore) o anche la mancata contestazione da parte dello stesso in sede di chiusura del processo verbale di constatazione, idonei a superare la mancanza di autorizzazione giudiziaria. In questo orientamento si inseriscono le pronunzie Cass., Sez. V, n. 737/2021; Cass., Sez. V, n. 24306/2018; Cass., Sez. V, n. 3204/2015; Cass. Sez. V, n. 9565/2007 che hanno affermato il principio secondo cui : “In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente”. Nel primo caso, è stata ritenuta legittima l’acquisizione nel corso di una ispezione di una “pen drive” contenuta all’interno di una borsa adibita al trasporto di documentazione dell’impresa oggetto di verifica fiscale, in quanto aperta volontariamente da una dipendente a seguito di invito da parte dei verificatori. Nel secondo, il principio è stato affermato in riferimento all’acquisizione di documentazione custodita all’interno di una borsa rinvenuta in sede di verifica fiscale avvenuta con l’autorizzazione di un dipendente dell’impresa sottoposta ad accertamento, senza alcuna successiva contestazione in sede di dichiarazione resa a chiusura delle operazioni di verifica. Nel terzo, l’autorizzazione non è stata ritenuta necessaria nel caso in cui il contribuente aveva assistito all’apertura della cassaforte senza formulare alcuna contestazione specifica in sede di dichiarazione resa a chiusura della verifica. La sentenza più risalente esclude ricorrere la fattispecie dell’apertura coattiva (in quel caso di due borse) constando che tutta l’attività di ricerca si era svolta con la collaborazione ed in continua presenza dei familiari del contribuente. La soluzione al primo quesito. Per rispondere ai dubbi espressi dall’ordinanza interlocutoria circa la controversa rilevanza del consenso ai fini della legittimità dell’apertura di borse, rinvenute in sede di accesso, reputano le Sezioni Unite che la disciplina normativa introdotta dall’art.52, c.3 d.P.R. n.633/1972 e quelle ad essa sovrapponibili- nel prevedere che l’autorizzazione del P.M. del giudice sia richiesta solo per i casi di apertura coattiva- vada risolta nel senso secondo cui il consenso libero, reso in assenza di alcuna costrizione, né diretta né indiretta perché correlata alla prospettazione di conseguenze sfavorevoli, del contribuente alla consegna della borsa sia idoneo a soddisfare le ragioni che il legislatore ha inteso tutelare nel richiedere il provvedimento autorizzativo. In questa direzione orienta anzitutto il canone esegetico letterale di cui all’art. 12 delle Preleggi: il significato del termine coattivo implica che l’azione dell’autorità procedente sia resistita dal soggetto nei confronti del quale l’azione stessa si rivolge, in altri termini, che sussista una coercizione rispetto alla volontà contraria del contribuente. In tal caso il legislatore ha inteso introdurre una peculiare misura protettiva nei confronti del contribuente stesso, laddove questi, con il suo contegno, mostri di opporsi alla richiesta di apertura di uno dei beni indicati nell’art.52 c.3, che sia stata avanzata dai verificatori. In costanza di opposizione, l’accesso al contenuto della borsa è, dunque, precluso, salva previa autorizzazione del P.M. o dell’autorità giudiziaria più vicina. Se, viceversa, questa opposizione non si verifica, ne deriva la non necessità dell’autorizzazione, mancando in radice la coattività che ne costituisce il presupposto, a norma del c.3 dell’art.52 in esame. Orbene, l’assenza di opposizione si desume certamente dal consenso -al quale è appunto il legislatore a dare rilievo, nel momento in cui limita le ipotesi di autorizzazione a quelle in cui vi sia coattività- in qualunque forma manifestato, dal contribuente, e che spetta al giudice individuare- v. Cass. n.20253/2005; Cass. n. 14701/2018; Cass. n.3204/2015; Cass. n. 24306/2018; Cass. n. 737/2021. Al riguardo, va precisato che il consenso dovrà ritenersi mancante non soltanto nelle ipotesi di costrizione materiale, eventualmente posta in essere dai verificatori, ma anche in quelle di apertura operata dal contribuente sotto minaccia, o solo determinata da coazioni implicite e ambientali, indotte cioè dalle modalità, utilizzate dai verificatori per la richiesta di apertura -che una dottrina indica, significativamente, come coazioni ambientali-, che il giudice di merito abbia ritenuto sussistenti, all’interno dei poteri valutativi allo stesso unicamente spettanti, in base al materiale probatorio offertogli. Queste Sezioni Unite intendono dunque chiarire che le ipotesi di consenso forzato o coartato, perché ad esempio indotto dalla minaccia di conseguenze sfavorevoli in caso di mancata consegna eventualmente accertate dal giudice, escludono in radice ogni valenza al consenso. E ciò per l’assorbente ragione che, in mancanza dell’autorizzazione del P.M., l’acquisizione della borsa trova la propria causa legittimante non nell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di poteri autoritativi di natura pubblicistica, ma direttamente nell’atto di autonoma collaborazione del privato interpellato, che abbia la disponibilità della borsa. Tale atto è inquadrabile nella categoria dell’atto giuridico in senso stretto, per il quale rileva la volontarietà e la consapevolezza dell’atto stesso, e non la volontà produttiva di effetti giuridici. Quel che, in definitiva, il legislatore ha inteso prendere in esame e salvaguardare è la non coattività dell’acquisizione che, per essere tale, richiede ineludibilmente una condotta del contribuente consapevolmente, e liberamente, orientata a consentire l’acquisizione della borsa rinvenuta nei locali di esercizio dell’attività. V’è soltanto da aggiungere che la verifica in ordine all’esistenza del consenso, prestato dal contribuente o da chi ha la disponibilità giuridica della borsa, verifica in tesi correlata all’individuazione delle ipotesi, alle quali fa cenno l’ordinanza interlocutoria, di totale assenza di contegno da parte del contribuente, rispetto all’attività di apprensione di borse rinvenuta nel corso dell’accesso, o di mancato dissenso all’apertura, altro non involge se non l’accertamento, riservato al giudice di merito, e da effettuarsi in base agli elementi offerti dalle parti, circa l’esistenza o meno del consenso e circa la sua validità. In altri termini, tutte le volte che la disponibilità all’apertura del soggetto interessato dalle attività, svolte in occasione dell’accesso, si affermi esser viziata da comportamenti indebitamente destinati a condizionarne il processo formativo e connessi alle modalità (ipotizzate intimidatorie e/o vessatorie) di svolgimento dell’azione accertativa o comunque collegate ad una illegittima attività di accesso (in tesi eseguita, a monte, senza l’autorizzazione del Capo dell’ufficio ai sensi dell’art.52, c.1 cit.) spetterà al giudice di merito, all’interno dei poteri valutativi allo stesso demandati, accertare la sussistenza o meno di uno spontaneo e non coartato consenso all’apertura della borsa, con le ovvie conseguenze in tema di utilizzabilità del materiale probatorio in caso di esito negativo di siffatto accertamento, alla stregua dei principi già affermati da questa Corte – cfr., arg., Cass.n.7368/1998 che ha richiamato, in motivazione, Corte cost.n.34/1978 -. Orbene, se questa è la corretta esegesi dell’art.52, c.3 d.P.R. n.633/1972, nella parte che qui viene in rilievo, ritengono queste Sezioni Unite che non possa individuarsi un effettivo contrasto fra i due indirizzi giurisprudenziali individuati dall’ordinanza interlocutoria, gli stessi occupandosi di fattispecie diverse e diversamente disciplinate dal legislatore: i precedenti individuati con riguardo al primo indirizzo si riferiscono, infatti, ad ipotesi di perquisizioni presso il domicilio del contribuente senza autorizzazione del P.M. o a perquisizioni personali eseguite anch’esse senza autorizzazione del P.M., rispetto alle quali il legislatore fiscale non ha appunto preso in considerazione il presupposto della mancata cooperazione del contribuente, considerata invece dal comma 3 dell’art.52, per qualificare come “coattiva” l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, ecc. e così render necessaria l’autorizzazione del P.M. Non pare, allora, potersi dubitare che l’ipotesi, qui in rilievo, dell’apertura coattiva si differenzi nettamente tanto dall’attività di perquisizione personale, pure presa in considerazione dallo stesso comma 3 dell’art.52, cit. quanto dalle altre normate dallo stesso art. 52 in ragione del rilievo nel primo caso connesso alla cooperazione del contribuente. Ciò che val quanto dire che non vi è alcun problema di coerenza fra i due indirizzi giurisprudenziali, avendo gli stessi preso in considerazione fattispecie diversamente regolate dal legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale. Il sistema così interpretato si pone in piena sintonia col dettato costituzionale rilevante rispetto alle singole fattispecie. Anzitutto, non viene in rilievo alcun problema riferibile alla libertà personale per la quale trova applicazione l’art.13 Cost. e la conseguente doppia riserva, di legge e di giurisdizione (salvo il caso, sopra ricordato, di borsa indossata dalla persona). Inoltre, la norma è coerente con il ricordato c.3 dell’art.14 Cost., avendo il legislatore inteso disciplinare le forme di invasione del domicilio del contribuente, quanto alle peculiari ipotesi di acquisizione di borse, ecc., in modo da realizzare il corretto bilanciamento fra garanzia di inviolabilità del domicilio e l’altrettanto fondamentale esigenza, di rango costituzionale, protetta dall’art.53 Cost., che impone a tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva – cfr., sul valore dell’art.53 Cost., da ultimo Cass., S.U. n.26494/2020, p.7.32 e ss.- Sotto altro profilo, proprio la Corte costituzionale ha già riconosciuto che la tutela accordata alla libertà di domicilio non è assoluta, ma trova dei limiti stabiliti dalla legge ai fini della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti. Seguendo questa prospettiva la Consulta, argomentando soprattutto dal terzo comma dell’art. 14 della Costituzione, ha riconosciuto la piena legittimità dell’art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, che dà facoltà agli ispettori del lavoro di visitare laboratori, opifici, cantieri e locali annessi e connessi con l’esercizio dell’azienda (Corte cost. n. 10 del 1971), nonché dell’art. 33, primo comma, della legge n. 4 del 1929, che autorizza gli ufficiali della polizia tributaria a procedere a perquisizioni domiciliari, senza provvedimento dell’autorità giudiziaria, in caso di fondato sospetto di violazioni delle leggi finanziarie che integrino estremi di reato (Corte cost. n. 56 del 1973). 6.17 Né a tale opzione interpretativa si frappone, infine, alcun ostacolo collegato alla natura indisponibile della pretesa tributaria, qui discutendosi, piuttosto, di una modalità di esercizio dell’attività di verifica consapevolmente accettata dal contribuente e che non investe l’obbligo del pagamento del tributo. Ed è appena il caso di ricordare che nemmeno è di ostacolo a tale conclusione la inviolabilità del domicilio, questa non escludendo la possibilità del titolare del diritto di disporne nei limiti, appunto, che non determinino una lesione della sua dignità-cfr., del resto, C.Cost.n.257/1996 e Cass. pen. n.31276/20 con riferimento al consenso alla violazione del proprio domicilio-. È dunque condivisibile, sul punto, il passaggio espresso nell’ordinanza interlocutoria, e fatte salve le precisazioni appena espresse a proposito dei parametri costituzionali che vengono in gioco con riferimento all’apertura di borse senza il consenso del disponente, ove si assume che «il diritto alla segretezza, quale declinazione del diritto alla libertà personale, abbia natura di diritto disponibile, sicché se l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili e simili, avvenga con il valido consenso del titolare del diritto di libertà oggetto di compressione, pur in assenza di autorizzazione dell’autorità giudiziaria, non dovrebbe derivare alcuna sanzione di inutilizzabilità dei documenti» (pag. 15 ord. interl.). In definitiva, quando vi è il consenso richiesto dai verificatori all’apertura delle borse rinvenute nel corso dell’accesso, il legislatore fiscale, muovendosi all’interno delle coordinate fissate dal c.3 dell’art.14 Cost., ha ritenuto condizione necessaria e sufficiente l’esistenza originaria dell’autorizzazione del capo dell’ufficio concessa per l’accesso ai locali. Per converso, la preventiva autorizzazione del P.M. o dell’Autorità Giudiziaria si renderà necessaria per procedere all’apertura “coattiva” di “pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”, il cui contenuto non sia stato volontariamente consegnato dal contribuente ai verificatori- così già Cass. 23 aprile 2007, n. 9565-. Se, dunque, con l’autorizzazione si realizza il corretto bilanciamento fra l’interesse fiscale all’acquisizione della borsa e del suo contenuto (art.53 Cost.) ed il diritto alla inviolabilità del domicilio (art.14 Cost.), il medesimo equilibrio il legislatore fiscale ha inteso realizzare tutte le volte in cui sia lo stesso contribuente a dimostrare, con il suo contegno, una volontà adesiva alla richiesta di consegna della borsa da parte dei verificatori, dato che in tali ipotesi l’autorizzazione risulta non necessaria in conseguenza dell’atto volontario e consapevole del titolare del diritto. Da ciò non può che conseguire la piena idoneità del consenso del contribuente – o di chi ha la disponibilità della borsa – a rendere possibile l’apertura dei beni indicati nel c.3 dell’art.52. La conclusione qui espressa risulta pienamente in linea con gli stessi precedenti invocati dall’ordinanza interlocutoria come idonei a negare l’efficacia sanante del consenso con riguardo ai diversi casi di perquisizione domiciliare e personale, nei quali la ratio decidendi si fonda sull’assenza – nei commi precedenti al c.3 dell’art.52 e nello stesso c.3 quanto all’ipotesi di perquisizione personale – di un rilievo del consenso, che si è visto idoneo ad elidere, ai fini della legittimità dell’attività accertativa, la necessità dell’autorizzazione. In conclusione, nel rispondere al primo quesito posto dall’ordinanza interlocutoria, deve ritenersi che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato, il contegno del contribuente che presta volontariamente il consenso all’apertura della borsa rinvenuta nei locali renda possibile l’acquisizione del suo contenuto da parte dell’Ufficio in assenza dell’autorizzazione di cui al c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972. Resta solo da ribadire che tale indirizzo non va inteso come rivolto a giustificare l’efficacia “sanante” del consenso in caso di assenza di autorizzazione all’apertura delle borse, quanto più rettamente rivolto a riconoscere che, per espressa previsione normativa, nel caso di acquisizione col consenso dell’avente diritto non occorre alcuna autorizzazione, poiché l’attività di acquisizione dell’Ufficio risulta ex se legittima. Va affermato il seguente principio di diritto: In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente. La risposta al secondo quesito. Va ora esaminato il secondo quesito, che pone la questione della validità del consenso, e rappresentata dalla necessità, o meno, che il consenso stesso sia “informato”. In effetti, l’ordinanza interlocutoria sembra dare per scontata l’esistenza di un obbligo informativo per realizzare un corretto bilanciamento fra i valori in gioco, rilevando che: “la necessità di un consenso preventivo ed informato da parte di colui che sia legittimato ad esprimerlo (cioè il titolare del diritto) debba dirsi sussistente come necessario bilanciamento tra i valori costituzionali che entrano in gioco nella vicenda e cioè: da un lato, l’interesse fiscale dello Stato ad acquisire in modo concreto ed efficace le risorse tributarie essenziali per garantire la sussistenza e lo sviluppo della comunità; d’altro lato, la tutela delle posizioni soggettive del contribuente nei cui confronti i poteri istruttori di cui dispone l’amministrazione finanziaria è destinata ad incidere, in particolare la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza; è dalla necessità di comporre adeguatamente le contrapposte esigenze di tutela di valori costituzionalmente rilevanti che derivano le garanzie predisposte dall’ordinamento a favore del soggetto sottoposto a controllo e in particolare, per quel che rileva, la necessità della previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria nel caso di controllo invasivo della sfera personale dell’interessato, il che postula, in generale, che l’esistenza di detta autorizzazione sia condizione necessaria per la legittimità dell’attività di controllo e del successivo avviso di accertamento” Tale prospettiva, pur sostenuta da autorevole dottrina, non può esser condivisa. Come si è visto, infatti, il contenuto precettivo di cui al c.3 dell’art.52, cit., è in sé compiuto, limitandosi a prevedere l’autorizzazione per il solo caso dell’acquisizione coattiva e, dunque, senza il consenso del contribuente, sicché la condizione, postulata in via generale dall’ordinanza interlocutoria, per la legittimità dell’azione del Fisco non è fondata. Non esiste, infatti, allo stato, alcun indice normativo dal quale desumere che la disciplina in tema di apertura di borse, regolata dall’art.52 c.3, sia condizionata all’adempimento di un obbligo informativo relativo alla necessità dell’autorizzazione del P.M. o del giudice. In particolare, la circostanza che il consenso prestato in sede di rinvenimento della borsa debba esser preceduto, per poter essere considerato valido, dall’assolvimento dell’obbligo di informazione da parte degli accertatori, vuoi della possibilità di rifiutare la consegna vuoi della necessità dell’autorizzazione del P.M. in caso di assenza di consenso, non è affatto menzionata nel dettato vigente della norma in esame, né può desumersi aliunde, attingendo a parametri costituzionali o normativi altri rispetto al ricordato art.52, c. 3. Non giova, al riguardo, come pure prospetta l’ordinanza interlocutoria, il disposto di cui all’art.12, c.2, della l.n.212/2000, cui si è sopra fatto cenno e che va ora esaminato. Queste Sezioni Unite, in termini generali, non hanno mancato di sottolineare, nella fondamentale Cass. S.U. n.18184/2013, che l’art.12, della l.n.212/2000 “assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite”, risultando peraltro “…inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000 cit.), il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost. ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254 del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002). A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576 del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006, 9308 del 2013)”. Tali affermazioni, che queste Sezioni Unite fanno proprie e condividono, proprio in ragione del fatto che “nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite” -cfr. Cass. S.U. n. 18184/2013- non consentono, tuttavia, di concludere per l’esistenza dell’obbligo informativo prospettato nell’ordinanza interlocutoria. Non può, infatti, plausibilmente sostenersi una stretta connessione né, a fortiori, un’immediata e consequenziale relazione causale tra l’informazione circa la facoltà di farsi assistere da un professionista in sede di verifica -art.12, c.2 l.n.212/2000–, da una parte, e la validità del consenso prestato all’apertura della borsa, dall’altra. Tanto l’informazione di cui si occupa il comma 2 dell’art.12 dello Statuto che la presenza stessa del professionista in sede di verifica non possono costituire elementi tali da garantire che il contribuente risulti informato del regime giuridico di cui all’art. 52 d.P.R. n.633/1972 (impossibilità di apertura della borsa senza il suo consenso e senza l’autorizzazione del P.M. o del giudice). E ciò per l’assorbente considerazione che non si rinviene nel c.2 dell’art.12 l’esistenza di uno specifico obbligo informativo in tal senso. Da ciò consegue che la mancata informazione sulla possibilità di farsi assistere da un difensore non può esser valorizzata onde supplire al deficit normativo in atto esistente in tema di obbligo di informazione del contribuente del diritto di non aprire la borsa (e del conseguente instaurarsi del regime autorizzatorio di cui al c. 3 dell’art. 52). Senza dire che una siffatta conclusione avrebbe degli esiti a dir poco paradossali, se portata alle estreme conseguenze, ove si giungesse a riconoscere, in caso di mancata informazione circa la facoltà di difesa tecnica, l’invalidità delle acquisizioni compiute dai verificatori nel rispetto del regime autorizzativo previsto dalle altre disposizioni contemplate nei commi 1 e 2 dell’art. 52- effetto invalidante rispetto alla violazione dell’art.12 c.2 cit. che, peraltro, la giurisprudenza della sezione tributaria ha fin qui escluso (Cass., sez. V, n.992/2015 e Cass., Sez. V, n.28692/2018)-. Ciò che, invece, contrasta con la stessa portata precettiva complessiva dell’art. 12 l.n.212/2000, dalla quale si evince il riconoscimento in capo al contribuente di numerose iniziative difensive da adottare in epoca successiva alla verifica e che, dunque, sembrano porsi in contrasto con la tesi secondo cui la violazione dell’obbligo informativo sia idonea a determinare la inutilizzabilità di quanto acquisito in assenza dell’informazione relativa al difensore. A diverse conclusioni rispetto a quelle fin qui esposte non può giungersi se si guarda all’obbligo di informare il contribuente dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche che pure compare nell’art.12, c.2, cit., al quale ha fatto riferimento la difesa della ricorrente nel corpo dei motivi di ricorso per cassazione, riproducendo quanto già espresso fin dal ricorso introduttivo. Tale disposizione è a torto invocata come fonte dell’obbligo informativo in favore del contribuente, in quanto la tesi muove, ancora una volta, dal convincimento che vi sia all’interno del quadro normativo applicabile uno specifico obbligo informativo, obbligo che, per le considerazioni appena espresse, non è invece dato scorgere. Le esposte considerazioni non elidono, beninteso, l’eventuale valenza indiziaria della mancata informazione circa i due aspetti presi in considerazione espressamente dall’art.12 c.2 l.n.212/2000 al fine della verifica giudiziale in ordine alla condizione di piena libertà del contribuente al momento di esprimere il consenso all’acquisizione non coattiva della borsa sollecitata dai verificatori. Per completezza, va rilevato che la valenza riconosciuta alla tematica del consenso informato in altri settori dell’ordinamento non può giovare ai fini qui in rilievo. In particolare, il decisivo valore riconnesso al consenso informato in tema di trattamenti sanitari, desunto dalla Corte costituzionale attraverso il richiamo a diversi parametri costituzionali di natura immediatamente precettiva e poi pienamente riconosciuto anche a livello normativo (l.n.219/2017) non si presta ad esser qui riconosciuto: si tratta, infatti, di ipotesi tutt’affatto diversa, risultando la particolare protezione offerta alla genuinità del consenso su ragioni che attengono al pieno e diretto dispiegamento del diritto alla salute riconosciuto al paziente e dal quale consegue direttamente la scelta in ordine all’esecuzione o meno di un trattamento terapeutico. La disomogeneità della fattispecie succintamente descritta rispetto a quella qui all’esame delle Sezioni Unite risulta evidente, se appunto si consideri che l’attività di consegna spontanea della borsa ai verificatori non colpisce direttamente il titolare del bene che acconsente ad un’attività incidente sulla garanzia del domicilio, ma influisce piuttosto sui poteri istruttori dei verificatori che stanno compiendo l’accesso ai fini fiscali. Nemmeno di ausilio, per giungere a diverse conclusioni sul punto, risulta il richiamo alle peculiari discipline in materia di protezione internazionale, consumatori e dati personali per le quali il legislatore nazionale è andato progressivamente riconoscendo, in armonia con le normative di settore dell’UE, la necessità di un obbligo informativo in riferimento alle manifestazioni del consenso variamente prese in considerazione dai titolari di posizioni giuridiche soggettive. Ancora una volta, va infatti evidenziato che tale riferimento non trova, né allo stato attuale della legislazione né in relazione ai parametri costituzionali sopra ricordati, alcuna considerazione all’interno dell’art.52, c.3 e delle disposizioni omologhe ad esso previste in materia fiscale. Sulla base di tali premesse va fissato il seguente principio di diritto. In tema di accertamento delle imposte, con riguardo all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prevista in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini della valida espressione del consenso alla apertura della borsa non è necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso nell’art. 52 cit. e neanche nell’art. 12, comma 2, della legge 212/2000. La soluzione offerta al secondo quesito assorbe, all’evidenza, l’esame del terzo quesito prospettato dall’ordinanza interlocutoria.  Occorre a questo punto passare all’esame dei motivi di ricorso proposti dalla ricorrente che ruotano attorno alla decisione delle questioni qui esaminate.  Il quinto motivo è infondato. Ed invero, la CTR, muovendo dal contenuto del pvc già sopra riportato, ha dato atto che la valigetta rivenuta nel corso dell’accesso era stata aperta, su richiesta della Guardia di finanza, spontaneamente e senza coercizione e per tal motivo ha escluso che fosse necessaria l’autorizzazione prevista dal c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972. Sulla base di un accertamento di merito operato dalla CTR, insindacabile in questa sede, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente in memoria, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi già sopra espressi in ordine alla necessità o meno dell’autorizzazione del P.M., nel caso di specie correttamente escludendola. Anche il sesto motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art.12, c.2 della legge n.212/2000, è infondato, avendo la CTR correttamente escluso l’esistenza di un obbligo informativo basato sulla ricordata disposizione. Il settimo motivo è inammissibile, nella parte in cui prospetta la violazione del canone di non contestazione con riguardo alle “argomentazioni relative alla illegittima acquisizione di materiale istruttorio da parte della Guardia di finanza per violazione dell’art.52, c.3 , del d.P.R. n.633/1973”, indirizzandosi il canone della non contestazione ai fatti dedotti dalle parti e non già alle argomentazioni giuridiche. 1 Peraltro, la giurisprudenza della sezione tributaria è ferma nel riconoscere che il principio di non contestazione nel processo tributario deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione- cfr.Cass.n.7127/2019-. Orbene, nel caso di specie l’amministrazione fiscale si è opposta fin dal primo atto difensivo alle censure esposte dalla ricorrente, poi impugnando la decisione resa dal giudice di primo grado che aveva annullato l’accertamento per questioni legate alla regolarità della notifica dell’accertamento esclude in radice di poter ritenere che le censure prospettate dalla ricorrente colgano nel segno. In conclusione, i motivi quinto, sesto e settimo vanno rigettati, mentre la causa va rimessa alla Sezione quinta per l’esame degli ulteriori motivi di ricorso proposti dalla C. M. Sud S.p.a.”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite – Sentenza 2 febbraio 2022, n. 3182

sul ricorso 29321-2015 proposto da:

C. M. SUD S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 19, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIRELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2085/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CALABRIA, depositata il 10/11/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2021 dal Consigliere ROBERTO GIOVANNI CONTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, il quale chiede rigettarsi il quinto ed il sesto motivo del ricorso con rimessione della causa alla V Sezione civile per la decisione dei restanti motivi.

Fatti di causa

La società M. Sud s.p.a. impugnava innanzi alla CTP di Cosenza un avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di maggiore IRPEG, IRAP e IVA in relazione agli elementi raccolti nel corso di una verifica svolta nei confronti della società contribuente all’interno dei locali in cui aveva sede, nel corso della quale era stata rinvenuta documentazione extracontabile all’interno di una valigetta dell’amministratore della società attestante l’importo reale delle rimanenze di magazzino , parte delle quali non contabilizzate dalla contribuente. La Commissione tributaria provinciale di Cosenza accoglieva il ricorso in relazione alla ritenuta nullità della notifica dell’avviso di accertamento, ritenendo assorbite le altre questioni, con sentenza impugnata in via principale dall’Agenzia delle entrate ed in via incidentale condizionata dalla contribuente.

La CTR Calabria accoglieva l’appello principale ritenendo, anzitutto, che la notifica dell’avviso di accertamento, eseguita a mezzo posta, era da considerare valida ed efficace, non essendo richiesta la compilazione della relata di notifica. Sosteneva, poi, che non ricorreva alcuna ipotesi di decadenza del potere impositivo dell’amministrazione finanziaria, nemmeno in relazione all’ipotesi di doppia imposizione per l’anno 2000, aggiungendo che, con riferimento ai costi non riconosciuti, il relativo importo era stato inserito nella dichiarazione Unico 2001, ma non vi era prova che la relativa imposta fosse stata versata.

Quanto alla questione della illegittima acquisizione della documentazione extracontabile, in quanto rinvenuta in una valigetta dell’amministratore delegato della società senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, secondo la CTR non poteva ragionarsi in termini di apertura coattiva secondo il presupposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, in quanto la valigetta era stata consegnata spontaneamente e senza coercizione.

Peraltro, la mancata informazione al momento dell’accesso, della facoltà di farsi assistere da un professionista di fiducia, non poteva essere sanzionata, in mancanza di specifica previsione normativa, con la nullità del processo verbale di constatazione, nemmeno potendosi applicare il principio di non contestazione, avendo l’Agenzia delle entrate proposto appello.

La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR indicata in epigrafe, affidato a tredici motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

La sezione quinta civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n.10664/2021, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando elementi per ritenere che sulla questione, di particolare importanza, della validità dell’acquisizione degli atti contenuti nella valigetta messi a disposizione dell’Ufficio fiscale dall’amministratore della società – in discussione nei motivi quinto, sesto e settimo esistano pronunzie di legittimità di segno opposto e ritenendo opportuno l’approfondimento sulle seguenti questioni di diritto: se, in caso di apertura della valigetta reperita in sede di accesso, la mancanza di autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, possa essere superata dal consenso prestato dal titolare del diritto; se, nel caso in cui si dia risposta positiva alla prima questione, il consenso può dirsi libero ed informato anche qualora l’amministrazione finanziaria non abbia informato il titolare del diritto della facoltà, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria; se, infine, l’eventuale inosservanza del suddetto obbligo di informazione ed il conseguente vizio del consenso del titolare del diritto comporti l’inutilizzabilità della documentazione acquisita in mancanza della prescritta autorizzazione.

Il Primo Presidente ha disposto la trattazione del giudizio innanzi a queste Sezioni Unite che, sulle conclusioni della parte ricorrente – che pure ha depositato memoria – e del Procuratore generale, hanno posto la causa in decisione all’udienza del 12.10.2021.

Ragioni della decisione

1.Come già esposto, la soluzione di questioni di diritto, rimesse all’esame di queste Sezioni Unite, sono racchiuse nei motivi quinto, sesto e settimo.

1.1 In particolare, il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che nella fattispecie non era necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per l’apertura della valigetta dell’amministratore delegato in sede di accesso, atteso che la stessa era stata aperta, su richiesta della Guardia di Finanza, spontaneamente e senza coercizione.

1.2  Con il sesto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, per avere la CTR ritenuto che l’inosservanza dell’obbligo di informazione, in sede di verifica fiscale, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, non comporta alcun effetto sulla regolarità del procedimento di accertamento; 1.3 Infine, con il settimo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115, c.p.c., per non avere la sentenza impugnata considerato che l’amministrazione finanziaria non aveva mai contestato le argomentazioni sostenute dalla ricorrente circa la illegittima acquisizione e, quindi, l’inutilizzabilità del materiale istruttorio in sede di verifica della Guardia di finanza per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, nonché per la violazione degli obblighi informativi, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2. La trama argomentativa dell’ordinanza di rimessione alle S.U.

2. L’ordinanza n.10664/2021 pone all’esame di queste Sezioni Unite alcune questioni che vengono non solo sintetizzate nei quesiti formulati in calce ad essa, ma spiegate nel corpo della parte motiva, che, dopo avere tratteggiato il quadro normativo di riferimento, reputa necessaria da parte di queste S.U. un’attività esegetica delle previsioni normative indicate al fine di definire:

a) quale sia la rilevanza del comportamento tenuto dal contribuente;

b) quali siano gli strumenti di garanzia che devono essere riconosciuti al contribuente in sede di accesso e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria e, in particolare, quale rilevanza abbia l’effettivo ricevimento della informazione circa la facoltà di farsi assistere da un professionista;

c) se vi siano conseguenze, sotto il profilo della utilizzabilità della documentazione acquisita, nel caso di inosservanza degli obblighi di garanzia predisposte dalla disciplina in esame a tutela del contribuente.

3. Le questioni rimesse – correlate a difformità interpretative ed alla natura di massima di particolare importanza delle stesse – ruotano, come si è detto, attorno alla validità o meno dell’acquisizione di documenti contenuti in una valigetta chiusa, rinvenuta all’interno dei locali del soggetto sottoposto a verifica fiscale e messa a disposizione dei verificatori dall’amministratore della società, in assenza di autorizzazione del Pubblico Ministero o dell’autorità giudiziaria più vicina. Ed al riguardo, l’ordinanza interlocutoria osserva che «la giurisprudenza della Corte ha assunto una posizione non concorde in ordine alla questione se il consenso manifestato dal contribuente o da soggetti in vario modo collegati allo stesso possa sanare le acquisizioni probatorie eseguite senza la prescritta autorizzazione dell’autorità giudiziaria, soprattutto in quanto non vi è una specifica previsione normativa circa il rilievo da attribuire al comportamento del contribuente».

Il quadro normativo di riferimento

4. Per un compiuto esame delle questioni sottoposte all’esame delle S.U. è necessario ripercorrere le fonti normative rilevanti. 4.1 L’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 (“Accessi, ispezioni e verifiche”), sull’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche ai fini IVA – richiamato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ai fini delle II.DD. nonché, ai fini dell’accertamento del valore venale delle aziende, dall’art. 51, comma 4, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (in tema di imposta di registro) e dall’art. 34, comma 4, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (in tema di imposta sulle successioni e donazioni) –prevede che: «Gli uffici possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia, per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.  In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.

2. L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.

3. È in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità Giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale».

4.2 L’art. 12, comma 2, l.n.212/2000 così dispone: “Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche». Considerazioni generali sull’art.52 d.PR n.633/1972

5. L’art.52 d.P.R. n.633/1972 contiene una disciplina composita che riguarda gli accessi, ispezioni e verifiche dell’amministrazione fiscale (con disposizione corrispondente a quelle previste per altri tributi)

5.1 Il sistema prevede diverse ipotesi che, nei primi due commi, riguardano la possibilità stessa dell’ufficio di “accedere” nei locali destinati all’esercizio dell’attività, o dell’abitazione promiscuamente adibita anche a tale attività o presso l’abitazione stessa del contribuente.

5.2 Discipline che, pur offrendo garanzie diverse in relazione alle specifiche ipotesi ivi prese in considerazione, sono accomunate dal richiedere, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento, un’autorizzazione preventiva dell’Ufficio che ne indica lo scopo per consentire l’accesso, ovvero un provvedimento autorizzatorio del P.M. (al quale si riconosce pacificamente natura amministrativa – cfr. Cass.n.23824/2017, Cass.n.15230/2001- sindacabile da parte del giudice tributario quanto al suo contenuto- cfr. Cass.S.U. n.16424/2002, Cass. n. 21974/2009-) nelle ipotesi di compimento di tali attività all’interno di abitazione ad uso promiscuo del contribuente, con l’ulteriore necessaria specificazione, nell’autorizzazione anzidetta, dei gravi indizi di violazione delle norme fiscali per il caso di accesso in locali diversi da quelli indicati nel c.1 dell’art.52, cit.

5.3 Le ipotesi disciplinate dal c. 3 dell’art.52 riguardano, invece, l’autorizzazione del P.M. o dell’autorità giurisdizionale più vicina per il compimento di particolari atti istruttori, tra loro non sempre omogenei -perquisizioni personali, apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, esame di documenti per i quali è eccepito il segreto professionale – da richiedere “in ogni caso” quando ne emerga la necessità “durante l’accesso”.

5.4 Il quadro così sommariamente ricordato offre all’interprete le scelte adottate dal legislatore fiscale, volte a contemperare l’esigenza dell’amministrazione fiscale di esercitare proficuamente i poteri ispettivi necessari a garantire la pretesa impositiva con quella del contribuente (e di eventuali terzi occasionalmente coinvolti), di evitare che un potere di indagine incontrollato, immotivato ed eccessivo possa cagionare un pregiudizio alle libertà costituzionali che vengono volta per volta in rilievo. Tale esigenza viene dunque realizzata attraverso un articolato sistema di autorizzazioni.

5.5 Nel caso di specie, l’apertura di borsa rinvenuta all’interno dei locali della parte contribuente è avvenuta sulla base di una richiesta dei verificatori alla quale è seguita la spontanea consegna dell’amministratore della società.

5.6 Si legge, infatti, nel pvc, al quale si riferisce l’odierno procedimento, che: All’atto dell’accesso, nell’ambito delle ricerche effettuate ai sensi dell’art.52 DPR n.633/1972, richiamato anche dall’art.33 del DPR n.600/1973 e dall’art.35 della l.7.1.1929 n.4 è stata rinvenuta la valigetta di proprietà dell’amministratore delegato appoggiata sulla scrivania dello stesso. A richiesta dei militari operanti l’amministratore delegato…ha messo a disposizione il contenuto della stessa valigetta ed in particolare la documentazione contabile inerente la gestione della CMS spa che è stata acquisita agli atti della verifica”. Dall’esame di tale documentazione l’ufficio ha tratto elementi per la quantificazione delle rimanenze di magazzino inventariate al 31.12.1998 e quelle inventariate al 31.12.1999.

5.7 Orbene, per rispondere al primo quesito posto dall’ordinanza interlocutoria rivolto a delineare se, in caso di apertura della valigetta, la mancanza di autorizzazione di cui all’art. 52, c.3 del d.P.R. 633 possa esser superata dal consenso prestato dal titolare del diritto, occorre anzitutto indagare su quali ambiti di rilievo costituzionale il potere istruttorio qui in esame vada ad incidere.

5.8 La risposta a tale interrogativo è fondamentale per individuare il livello ed il grado di tutela apprestato dal sistema ai diritti che entrano in gioco in caso di acquisizione coattiva di borse durante l’accesso eseguito in sede di verifica fiscale, e anche la compatibilità del detto sistema con i canoni costituzionali.

5.9 Parte della dottrina ha ipotizzato, al riguardo, che il valore fondamentale inciso dall’attività dei verificatori coincida col diritto alla segretezza della corrispondenza e di qualsiasi forma di comunicazione previsto dall’art. 15 Cost, individuando come parametro costituzionale di riferimento appunto il detto art.15 Cost.

5.10 Tale ricostruzione non persuade.

5.11 Ed invero, la segretezza delle comunicazioni presuppone l’esistenza di uno scambio della corrispondenza che non viene in rilievo nel caso in esame, in cui si discute invece di apertura di borsa del cui contenuto, peraltro, nulla è dato sapere all’atto del rinvenimento della stessa da parte dei verificatori. Rinvenimento che l’art.52, c.3 prende in considerazione disinteressandosi di ciò che si trovi dentro alla borsa.

5.12 Quel che entra in gioco è, per converso, un’esigenza di “segretezza” – alla quale pure opportunamente accenna l’ordinanza interlocutoria- ma sottesa non già alla guarentigia costituzionale prevista in tema di corrispondenza, quanto a quelle insite nella libertà della persona e/o del domicilio.

5.13 In proposito, occorre, infatti, distinguere l’ipotesi in cui la borsa costituisca elemento intrinsecamente collegato ed a stretto contatto con l’individuo, che appunto dovesse indossarla, in modo da costituire parte della persona stessa, da quella della borsa rinvenuta nei locali oggetto di accesso e, dunque, all’interno di essi.

5.14 Nel primo caso le Sezioni Unite ritengono applicabile la garanzia apprestata dall’art.13 Cost. (cfr. C.Cost. n.88/1987, ove si chiarisce che “D’altra parte, i contenitori portatili che “come mezzi di trasporto”, ai sensi dell’art. 6, secondo comma della legge in esame, trovano diretta copertura nelle garanzie dell’art. 13 Cost., sono soltanto quelli che attengono alla sfera della libertà personale, e perciò quelli che abitualmente sono portati sulla persona (come portafogli, portamonete etc.) o ad immediato contatto di essa (come borse, borselli e borsette): mentre dalle garanzie dell’art. 14 Cost. sono poi esclusi i mezzi di trasporto diversi da autovetture, roulotte etc. che non possono rientrare nel concetto costituzionalistico di “domicilio”“), mentre nel secondo viene in gioco la protezione che l’ordinamento appresta al domicilio, nel senso ampio del termine che appunto si desume dal ricordato c.3 dell’art.14 Cost., costituendo qui la tutela apprestata dall’ordinamento alla borsa diretta espressione e proiezione di quella riconosciuta al domicilio.

5.15 Affermato, dunque, che quando viene in discussione la tematica relativa ai poteri istruttori in materia di acquisizione coattiva di borse i parametri costituzionali di riferimento sono costituiti dagli artt.13 e 14 Cost., nel caso qui in esame viene in rilievo l’art.14, proprio in ragione delle modalità di rinvenimento della borsa: non addosso alla persona (per la quale varrebbe la tutela rafforzata prevista dall’art.13 Cost.) ma all’interno dei locali adibiti a sede dell’attività, e cioè all’interno della protezione del domicilio garantita, appunto, dall’art.14 Cost. , comma 3. Il che, del resto, trova conferma nel concetto di “vita privata” al quale l’art.8 CEDU riconduce la tutela dello spazio privato circostante la persona in relazione a intercettazioni, perquisizioni domiciliari e sequestri-v. Corte edu, Mc Lead c. R. Unito, 23.9.1998,§ 36, Corte edu, Funke, 25.2.1993, § 48-.

5.16 Giova a tal proposito rammentare, ai fini che qui interessano, che l’art. 14 della Costituzione, dopo avere dichiarato, al primo comma, “inviolabile” il domicilio, nei commi successivi dispone che “non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” e che “gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”- art.14, c.3, Cost.-.

5.17 Occorre altresì sottolineare che la collocazione di tale disposizione fra gli artt.13 e 15 della Costituzione, e la tutela differenziata prescelta dal costituente in tema di libertà di domicilio, per un verso, sono ispirate ad intenti garantistici, visto che la previsione di una autonoma disposizione per la libertà di domicilio rende possibile la sua tutela anche per ciò che riguarda i luoghi non destinati all’abitazione, come risulta dal ricordato c.3 dell’art.14 Cost.

5.18 Per altro verso, lo stesso comma terzo dell’art.14 denota in modo altrettanto evidente la discontinuità fra le garanzie apprestate dal comma 2 dello stesso articolo, parametrate attraverso un rinvio per relationem all’art.13 Cost. e quelle correlate a specifiche materie- accertamenti e ispezioni in materia di sanità, incolumità pubblica e finalità economiche e fiscali – per le quali è proprio il legislatore costituzionale a demandare alle leggi speciali in materia i livelli di protezione della garanzia inviolabile del domicilio.

5.19 Orbene, la previsione di una riserva di legge in materia fiscale, per quel che qui interessa, conferma la centralità proprio dell’art.14 c.3 rispetto al tema qui all’esame delle Sezioni Unite, essendo in discussione, proprio, l’individuazione del parametro sotto il quale porre la disciplina in tema di poteri istruttori dei verificatori nel corso dell’accesso. Ed il fatto che, in tema di accertamenti ed ispezioni, il legislatore costituzionale abbia equiparato la materia fiscale a quelle incidenti su sanità e incolumità pubblica, di evidente e primaria rilevanza sociale, rende palese il particolare valore attribuito alla materia fiscale dal costituente, che ha appunto demandato al legislatore fiscale di regolarne presupposti e modalità in modo autonomo rispetto alle garanzie previste in tema di libertà personale.

5.20 La specifica sussunzione del settore relativo ai poteri istruttori in materia fiscale all’interno dell’art.14 Cost. e, specificamente, del comma 3, è sintomo certo della scelta costituzionale di realizzare un corretto bilanciamento fra i valori in gioco – artt.3, 23, 53, 13, 14, 15 Cost.- devolvendo alla legislazione di settore l’individuazione del punto di equilibrio fra di essi. Legislazione alla quale si affidano, dunque, il ruolo principale di attuatore della Costituzione e la scelta delle modalità concrete di attuazione dei poteri di accesso, ispezione e verifica.

5.21 Orbene, il c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972, come si è sopra ricordato, richiede l’autorizzazione del P.M. o del giudice per i soli casi di “apertura coattiva” di borse, plichi e documenti.

5.22 Ad esso non può che affiancarsi, ma in seguito se ne verificherà la concreta incidenza, la disposizione della legge n.212/2000, contenente Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, in essa risultando contemplata una specifica regolamentazione su “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”.

5.23 Attorno all’espressione apertura coattiva si snoda, appunto, il percorso argomentativo dell’ordinanza interlocutoria, essa interrogandosi per l’un verso se (A) il consenso all’attività di apprensione della borsa rinvenuta nel corso dell’accesso sia o meno rilevante e renda legittimo l’operato dell’Ufficio in assenza di autorizzazione del P.M. e, per l’altro verso, (B) se, ammessa la possibilità della manifestazione di consenso del contribuente, questo consenso possa dirsi libero ed informato anche qualora l’amministrazione finanziaria non abbia informato il titolare del diritto della facoltà, di cui all’art.12, comma 2, legge n.212/2000, di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria.

5.24 Quanto alla prima questione, l’ordinanza interlocutoria ipotizza un disallineamento fra un gruppo di decisioni, che hanno escluso la valenza del consenso al fine di sanare l’acquisizione documentale eseguita in assenza di autorizzazione del P.M., da altro indirizzo che aderirebbe ad una prospettiva tesa a valorizzare il consenso manifestato spontaneamente dal contribuente al fine di “sanare” l’attività di acquisizione operata dai verificatori. 5.25 Secondo il primo orientamento, ricordato dall’ordinanza interlocutoria, tanto il consenso espresso che la mancata manifestazione del dissenso del contribuente (o di terzi) rispetto all’esercizio dell’attività ispettiva eseguita in loco senza il rispetto delle garanzie autorizzatorie di cui all’art. 52 cit. non hanno efficacia sanante del vizio procedimentale né rendono legittimo l’accesso operato al di fuori delle previsioni di legge, trattandosi di manifestazioni non richieste né prese in considerazione da alcuna norma giuridica. Espressione di tale indirizzo è la sentenza Cass., Sez. V, n. 19689/2004, così massimata: «In tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che:

a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;

b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;

c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile.

Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente c.p.p., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della Costituzione».

5.26 In questa stessa prospettiva Cass., Sez. V, n. 20253/2005 ha ritenuto che l’assenza di detta autorizzazione importa l’inutilizzabilità, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale, in ragione del valore stesso dell’inviolabilità della libertà personale solennemente consacrato nell’art. 13 Cost., senza che assuma alcun rilievo la circostanza che il perquisito – per di più nel caso di specie soggetto terzo rispetto al contribuente – non abbia sollevato alcuna contestazione, né al momento della perquisizione, né successivamente: la mancata opposizione, infatti, oltre a non essere presa in considerazione da alcuna norma di legge, non equivale a consenso alla perquisizione personale, né rende legittima una perquisizione operata al di fuori delle previsioni legislative.

5.27 Analogamente, Cass., Sez. VI-V, n. 14701/2018- richiamata nell’ordinanza interlocutoria- ha ritenuti inutilizzabili, in assenza di autorizzazione della competente Procura della Repubblica, i documenti acquisiti nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione ed a sede dell’attività imprenditoriale, con riguardo all’ipotesi considerata dall’art. 52, comma 1, cit. così testualmente esprimendosi: “D’altra parte, i superiori principi non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può …rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente alle accesso, legittimo od illegittimo che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”.

5.28 In sintonia con tale indirizzo un altro gruppo di pronunzie – Cass., Sez. V, n. 19689/2004, cit. nell’ordinanza interlocutoria-; Cass., Sez. V, n. 19690/2004; Cass., Sez. VI-V, n. 673/2019- con riguardo ad ipotesi di accesso non autorizzato in locali diversi da quelli destinati ad attività commerciale ovvero adibiti ad uso promiscuo- disciplinata dal c.2 dell’art.53, cit. – , ha ritenuto che i principi in tema di inutilizzabilità in assenza di autorizzazione della Procura della Repubblica “… non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può … rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente all’accesso, legittimo o illegittimo che sia è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”.

5.29 L’ordinanza interlocutoria muove, dunque, dall’assunto che tale indirizzo giurisprudenziale possa estendersi ad ogni ipotesi di acquisizione coattiva, escludendo la rilevanza del consenso all’acquisizione delle borse e, muovendo da tale convincimento, ne prospetta il possibile contrasto con quello, di diverso tenore, favorevole a riconoscere valore sanante alla consegna spontanea della borsa.

5.30 Indirizzo quest’ultimo che, specificamente reso con riferimento alle ipotesi di acquisizione coattiva regolate dall’art.52 c.3 d.P.R. n.633/1972, ha inteso valorizzare il comportamento del contribuente e, quindi, l’eventuale consenso prestato, puntando l’attenzione sull’espressione “apertura coattiva”, contenuta nell’art. 52, comma 3, cit., per evidenziare che la stessa sussiste solo quando non vi sia consenso del contribuente (o anche quello espresso da un suo collaboratore) o anche la mancata contestazione da parte dello stesso in sede di chiusura del processo verbale di constatazione, idonei a superare la mancanza di autorizzazione giudiziaria. 5.31 In questo orientamento si inseriscono le pronunzie Cass., Sez. V, n. 737/2021; Cass., Sez. V, n. 24306/2018; Cass., Sez. V, n. 3204/2015; Cass. Sez. V, n. 9565/2007 che hanno affermato il principio secondo cui : “In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente”.

Nel primo caso, è stata ritenuta legittima l’acquisizione nel corso di una ispezione di una “pen drive” contenuta all’interno di una borsa adibita al trasporto di documentazione dell’impresa oggetto di verifica fiscale, in quanto aperta volontariamente da una dipendente a seguito di invito da parte dei verificatori.

Nel secondo, il principio è stato affermato in riferimento all’acquisizione di documentazione custodita all’interno di una borsa rinvenuta in sede di verifica fiscale avvenuta con l’autorizzazione di un dipendente dell’impresa sottoposta ad accertamento, senza alcuna successiva contestazione in sede di dichiarazione resa a chiusura delle operazioni di verifica.

Nel terzo, l’autorizzazione non è stata ritenuta necessaria nel caso in cui il contribuente aveva assistito all’apertura della cassaforte senza formulare alcuna contestazione specifica in sede di dichiarazione resa a chiusura della verifica.

La sentenza più risalente esclude ricorrere la fattispecie dell’apertura coattiva (in quel caso di due borse) constando che tutta l’attività di ricerca si era svolta con la collaborazione ed in continua presenza dei familiari del contribuente.

La soluzione al primo quesito

6. Per rispondere ai dubbi espressi dall’ordinanza interlocutoria circa la controversa rilevanza del consenso ai fini della legittimità dell’apertura di borse, rinvenute in sede di accesso, reputano le Sezioni Unite che la disciplina normativa introdotta dall’art.52, c.3 d.P.R. n.633/1972 e quelle ad essa sovrapponibili- nel prevedere che l’autorizzazione del P.M. del giudice sia richiesta solo per i casi di apertura coattiva- vada risolta nel senso secondo cui il consenso libero, reso in assenza di alcuna costrizione, né diretta né indiretta perché correlata alla prospettazione di conseguenze sfavorevoli, del contribuente alla consegna della borsa sia idoneo a soddisfare le ragioni che il legislatore ha inteso tutelare nel richiedere il provvedimento autorizzativo.

6.1 In questa direzione orienta anzitutto il canone esegetico letterale di cui all’art. 12 delle Preleggi: il significato del termine coattivo implica che l’azione dell’autorità procedente sia resistita dal soggetto nei confronti del quale l’azione stessa si rivolge, in altri termini, che sussista una coercizione rispetto alla volontà contraria del contribuente. In tal caso il legislatore ha inteso introdurre una peculiare misura protettiva nei confronti del contribuente stesso, laddove questi, con il suo contegno, mostri di opporsi alla richiesta di apertura di uno dei beni indicati nell’art.52 c.3, che sia stata avanzata dai verificatori.

6.2 In costanza di opposizione, l’accesso al contenuto della borsa è, dunque, precluso, salva previa autorizzazione del P.M. o dell’autorità giudiziaria più vicina. Se, viceversa, questa opposizione non si verifica, ne deriva la non necessità dell’autorizzazione, mancando in radice la coattività che ne costituisce il presupposto, a norma del c.3 dell’art.52 in esame.

6.3 Orbene, l’assenza di opposizione si desume certamente dal consenso -al quale è appunto il legislatore a dare rilievo, nel momento in cui limita le ipotesi di autorizzazione a quelle in cui vi sia coattività- in qualunque forma manifestato, dal contribuente, e che spetta al giudice individuare- v. Cass. n.20253/2005; Cass. n. 14701/2018; Cass. n.3204/2015; Cass. n. 24306/2018; Cass. n. 737/2021.

6.4 Al riguardo, va precisato che il consenso dovrà ritenersi mancante non soltanto nelle ipotesi di costrizione materiale, eventualmente posta in essere dai verificatori, ma anche in quelle di apertura operata dal contribuente sotto minaccia, o solo determinata da coazioni implicite e ambientali, indotte cioè dalle modalità, utilizzate dai verificatori per la richiesta di apertura -che una dottrina indica, significativamente, come coazioni ambientali-, che il giudice di merito abbia ritenuto sussistenti, all’interno dei poteri valutativi allo stesso unicamente spettanti, in base al materiale probatorio offertogli.

6.5 Queste Sezioni Unite intendono dunque chiarire che le ipotesi di consenso forzato o coartato, perché ad esempio indotto dalla minaccia di conseguenze sfavorevoli in caso di mancata consegna eventualmente accertate dal giudice, escludono in radice ogni valenza al consenso.

6.6. E ciò per l’assorbente ragione che, in mancanza dell’autorizzazione del P.M., l’acquisizione della borsa trova la propria causa legittimante non nell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di poteri autoritativi di natura pubblicistica, ma direttamente nell’atto di autonoma collaborazione del privato interpellato, che abbia la disponibilità della borsa. Tale atto è inquadrabile nella categoria dell’atto giuridico in senso stretto, per il quale rileva la volontarietà e la consapevolezza dell’atto stesso, e non la volontà produttiva di effetti giuridici.

6.7 Quel che, in definitiva, il legislatore ha inteso prendere in esame e salvaguardare è la non coattività dell’acquisizione che, per essere tale, richiede ineludibilmente una condotta del contribuente consapevolmente, e liberamente, orientata a consentire l’acquisizione della borsa rinvenuta nei locali di esercizio dell’attività.

6.8 V’è soltanto da aggiungere che la verifica in ordine all’esistenza del consenso, prestato dal contribuente o da chi ha la disponibilità giuridica della borsa, verifica in tesi correlata all’individuazione delle ipotesi, alle quali fa cenno l’ordinanza interlocutoria, di totale assenza di contegno da parte del contribuente, rispetto all’attività di apprensione di borse rinvenuta nel corso dell’accesso, o di mancato dissenso all’apertura, altro non involge se non l’accertamento, riservato al giudice di merito, e da effettuarsi in base agli elementi offerti dalle parti, circa l’esistenza o meno del consenso e circa la sua validità.

6.9 In altri termini, tutte le volte che la disponibilità all’apertura del soggetto interessato dalle attività, svolte in occasione dell’accesso, si affermi esser viziata da comportamenti indebitamente destinati a condizionarne il processo formativo e connessi alle modalità (ipotizzate intimidatorie e/o vessatorie) di svolgimento dell’azione accertativa o comunque collegate ad una illegittima attività di accesso (in tesi eseguita, a monte, senza l’autorizzazione del Capo dell’ufficio ai sensi dell’art.52, c.1 cit.) spetterà al giudice di merito, all’interno dei poteri valutativi allo stesso demandati, accertare la sussistenza o meno di uno spontaneo e non coartato consenso all’apertura della borsa, con le ovvie conseguenze in tema di utilizzabilità del materiale probatorio in caso di esito negativo di siffatto accertamento, alla stregua dei principi già affermati da questa Corte – cfr., arg., Cass.n.7368/1998 che ha richiamato, in motivazione, Corte cost.n.34/1978 -.

6.10 Orbene, se questa è la corretta esegesi dell’art.52, c.3 d.P.R. n.633/1972, nella parte che qui viene in rilievo, ritengono queste Sezioni Unite che non possa individuarsi un effettivo contrasto fra i due indirizzi giurisprudenziali individuati dall’ordinanza interlocutoria, gli stessi occupandosi di fattispecie diverse e diversamente disciplinate dal legislatore: i precedenti individuati con riguardo al primo indirizzo si riferiscono, infatti, ad ipotesi di perquisizioni presso il domicilio del contribuente senza autorizzazione del P.M. o a perquisizioni personali eseguite anch’esse senza autorizzazione del P.M., rispetto alle quali il legislatore fiscale non ha appunto preso in considerazione il presupposto della mancata cooperazione del contribuente, considerata invece dal comma 3 dell’art.52, per qualificare come “coattiva” l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, ecc. e così render necessaria l’autorizzazione del P.M.

6.11 Non pare, allora, potersi dubitare che l’ipotesi, qui in rilievo, dell’apertura coattiva si differenzi nettamente tanto dall’attività di perquisizione personale, pure presa in considerazione dallo stesso comma 3 dell’art.52, cit. quanto dalle altre normate dallo stesso art. 52 in ragione del rilievo nel primo caso connesso alla cooperazione del contribuente. Ciò che val quanto dire che non vi è alcun problema di coerenza fra i due indirizzi giurisprudenziali, avendo gli stessi preso in considerazione fattispecie diversamente regolate dal legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale.

6.12 Il sistema così interpretato si pone in piena sintonia col dettato costituzionale rilevante rispetto alle singole fattispecie.

6.13 Anzitutto, non viene in rilievo alcun problema riferibile alla libertà personale per la quale trova applicazione l’art.13 Cost. e la conseguente doppia riserva, di legge e di giurisdizione (salvo il caso, sopra ricordato, di borsa indossata dalla persona).

6.14 Inoltre, la norma è coerente con il ricordato c.3 dell’art.14 Cost., avendo il legislatore inteso disciplinare le forme di invasione del domicilio del contribuente, quanto alle peculiari ipotesi di acquisizione di borse, ecc., in modo da realizzare il corretto bilanciamento fra garanzia di inviolabilità del domicilio e l’altrettanto fondamentale esigenza, di rango costituzionale, protetta dall’art.53 Cost., che impone a tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva – cfr., sul valore dell’art.53 Cost., da ultimo Cass., S.U. n.26494/2020, p.7.32 e ss.-

6.15 Sotto altro profilo, proprio la Corte costituzionale ha già riconosciuto che la tutela accordata alla libertà di domicilio non è assoluta, ma trova dei limiti stabiliti dalla legge ai fini della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti.

6.16 Seguendo questa prospettiva la Consulta, argomentando soprattutto dal terzo comma dell’art. 14 della Costituzione, ha riconosciuto la piena legittimità dell’art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, che dà facoltà agli ispettori del lavoro di visitare laboratori, opifici, cantieri e locali annessi e connessi con l’esercizio dell’azienda (Corte cost. n. 10 del 1971), nonché dell’art. 33, primo comma, della legge n. 4 del 1929, che autorizza gli ufficiali della polizia tributaria a procedere a perquisizioni domiciliari, senza provvedimento dell’autorità giudiziaria, in caso di fondato sospetto di violazioni delle leggi finanziarie che integrino estremi di reato (Corte cost. n. 56 del 1973).

6.17 Né a tale opzione interpretativa si frappone, infine, alcun ostacolo collegato alla natura indisponibile della pretesa tributaria, qui discutendosi, piuttosto, di una modalità di esercizio dell’attività di verifica consapevolmente accettata dal contribuente e che non investe l’obbligo del pagamento del tributo. Ed è appena il caso di ricordare che nemmeno è di ostacolo a tale conclusione la inviolabilità del domicilio, questa non escludendo la possibilità del titolare del diritto di disporne nei limiti, appunto, che non determinino una lesione della sua dignità -cfr., del resto, C. Cost. n.257/1996 e Cass. pen. n.31276/20 con riferimento al consenso alla violazione del proprio domicilio-.

6.18 È dunque condivisibile, sul punto, il passaggio espresso nell’ordinanza interlocutoria, e fatte salve le precisazioni appena espresse a proposito dei parametri costituzionali che vengono in gioco con riferimento all’apertura di borse senza il consenso del disponente, ove si assume che «il diritto alla segretezza, quale declinazione del diritto alla libertà personale, abbia natura di diritto disponibile, sicché se l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili e simili, avvenga con il valido consenso del titolare del diritto di libertà oggetto di compressione, pur in assenza di autorizzazione dell’autorità giudiziaria, non dovrebbe derivare alcuna sanzione di inutilizzabilità dei documenti» (pag. 15 ord.interl.).

6.19 In definitiva, quando vi è il consenso richiesto dai verificatori all’apertura delle borse rinvenute nel corso dell’accesso, il legislatore fiscale, muovendosi all’interno delle coordinate fissate dal c.3 dell’art.14 Cost., ha ritenuto condizione necessaria e sufficiente l’esistenza originaria dell’autorizzazione del capo dell’ufficio concessa per l’accesso ai locali. Per converso, la preventiva autorizzazione del P.M. o dell’Autorità Giudiziaria si renderà necessaria per procedere all’apertura “coattiva” di “pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”, il cui contenuto non sia stato volontariamente consegnato dal contribuente ai verificatori- così già Cass. 23 aprile 2007, n. 9565-.

6.20 Se, dunque, con l’autorizzazione si realizza il corretto bilanciamento fra l’interesse fiscale all’acquisizione della borsa e del suo contenuto (art.53 Cost.) ed il diritto alla inviolabilità del domicilio (art.14 Cost.), il medesimo equilibrio il legislatore fiscale ha inteso realizzare tutte le volte in cui sia lo stesso contribuente a dimostrare, con il suo contegno, una volontà adesiva alla richiesta di consegna della borsa da parte dei verificatori, dato che in tali ipotesi l’autorizzazione risulta non necessaria in conseguenza dell’atto volontario e consapevole del titolare del diritto.

6.21 Da ciò non può che conseguire la piena idoneità del consenso del contribuente – o di chi ha la disponibilità della borsa – a rendere possibile l’apertura dei beni indicati nel c.3 dell’art.52.

6.22 La conclusione qui espressa risulta pienamente in linea con gli stessi precedenti invocati dall’ordinanza interlocutoria come idonei a negare l’efficacia sanante del consenso con riguardo ai diversi casi di perquisizione domiciliare e personale, nei quali la ratio decidendi si fonda sull’assenza – nei commi precedenti al c.3 dell’art.52 e nello stesso c.3 quanto all’ipotesi di perquisizione personale – di un rilievo del consenso, che si è visto idoneo ad elidere, ai fini della legittimità dell’attività accertativa, la necessità dell’autorizzazione.

6.23 In conclusione, nel rispondere al primo quesito posto dall’ordinanza interlocutoria, deve ritenersi che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato, il contegno del contribuente che presta volontariamente il consenso all’apertura della borsa rinvenuta nei locali renda possibile l’acquisizione del suo contenuto da parte dell’Ufficio in assenza dell’autorizzazione di cui al c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972.

6.24 Resta solo da ribadire che tale indirizzo non va inteso come rivolto a giustificare l’efficacia “sanante” del consenso in caso di assenza di autorizzazione all’apertura delle borse, quanto più rettamente rivolto a riconoscere che, per espressa previsione normativa, nel caso di acquisizione col consenso dell’avente diritto non occorre alcuna autorizzazione, poiché l’attività di acquisizione dell’Ufficio risulta ex se legittima.

6.25 Va affermato il seguente principio di diritto: In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente.

La risposta al secondo quesito

7. Va ora esaminato il secondo quesito, che pone la questione della validità del consenso, e rappresentata dalla necessità, o meno, che il consenso stesso sia “informato”.

7.1 In effetti, l’ordinanza interlocutoria sembra dare per scontata l’esistenza di un obbligo informativo per realizzare un corretto bilanciamento fra i valori in gioco, rilevando che: “la necessità di un consenso preventivo ed informato da parte di colui che sia legittimato ad esprimerlo (cioè il titolare del diritto) debba dirsi sussistente come necessario bilanciamento tra i valori costituzionali che entrano in gioco nella vicenda e cioè: da un lato, l’interesse fiscale dello Stato ad acquisire in modo concreto ed efficace le risorse tributarie essenziali per garantire la sussistenza e lo sviluppo della comunità; d’altro lato, la tutela delle posizioni soggettive del contribuente nei cui confronti i poteri istruttori di cui dispone l’amministrazione finanziaria è destinata ad incidere, in particolare la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza; è dalla necessità di comporre adeguatamente le contrapposte esigenze di tutela di valori costituzionalmente rilevanti che derivano le garanzie predisposte dall’ordinamento a favore del soggetto sottoposto a controllo e in particolare, per quel che rileva, la necessità della previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria nel caso di controllo invasivo della sfera personale dell’interessato, il che postula, in generale, che l’esistenza di detta autorizzazione sia condizione necessaria per la legittimità dell’attività di controllo e del successivo avviso di accertamento”

7.2 Tale prospettiva, pur sostenuta da autorevole dottrina, non può esser condivisa.

7.3 Come si è visto, infatti, il contenuto precettivo di cui al c.3 dell’art.52, cit., è in sé compiuto, limitandosi a prevedere l’autorizzazione per il solo caso dell’acquisizione coattiva e, dunque, senza il consenso del contribuente, sicché la condizione, postulata in via generale dall’ordinanza interlocutoria, per la legittimità dell’azione del Fisco non è fondata. Non esiste, infatti, allo stato, alcun indice normativo dal quale desumere che la disciplina in tema di apertura di borse, regolata dall’art.52 c.3, sia condizionata all’adempimento di un obbligo informativo relativo alla necessità dell’autorizzazione del P.M. o del giudice. In particolare, la circostanza che il consenso prestato in sede di rinvenimento della borsa debba esser preceduto, per poter essere considerato valido, dall’assolvimento dell’obbligo di informazione da parte degli accertatori, vuoi della possibilità di rifiutare la consegna vuoi della necessità dell’autorizzazione del P.M. in caso di assenza di consenso, non è affatto menzionata nel dettato vigente della norma in esame, né può desumersi aliunde, attingendo a parametri costituzionali o normativi altri rispetto al ricordato art.52, c. 3.

7.4 Non giova, al riguardo, come pure prospetta l’ordinanza interlocutoria, il disposto di cui all’art.12, c.2, della l.n.212/2000, cui si è sopra fatto cenno e che va ora esaminato.

7.5 Queste Sezioni Unite, in termini generali, non hanno mancato di sottolineare, nella fondamentale Cass. S.U. n.18184/2013, che l’art.12, della l.n.212/2000 “assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite”, risultando peraltro “… inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000 cit.), il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.

Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost. ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254 del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002).

A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576 del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006, 9308 del 2013)”.

7.6 Tali affermazioni, che queste Sezioni Unite fanno proprie e condividono, proprio in ragione del fatto che “nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite” -cfr. Cass. S.U. n. 18184/2013- non consentono, tuttavia, di concludere per l’esistenza dell’obbligo informativo prospettato nell’ordinanza interlocutoria.

7.7 Non può, infatti, plausibilmente sostenersi una stretta connessione né, a fortiori, un’immediata e consequenziale relazione causale tra l’informazione circa la facoltà di farsi assistere da un professionista in sede di verifica -art.12, c.2 l.n.212/2000–, da una parte, e la validità del consenso prestato all’apertura della borsa, dall’altra.

7.8 Tanto l’informazione di cui si occupa il comma 2 dell’art.12 dello Statuto che la presenza stessa del professionista in sede di verifica non possono costituire elementi tali da garantire che il contribuente risulti informato del regime giuridico di cui all’art. 52 d.P.R. n.633/1972 (impossibilità di apertura della borsa senza il suo consenso e senza l’autorizzazione del P.M. o del giudice). E ciò per l’assorbente considerazione che non si rinviene nel c.2 dell’art.12 l’esistenza di uno specifico obbligo informativo in tal senso.

7.9 Da ciò consegue che la mancata informazione sulla possibilità di farsi assistere da un difensore non può esser valorizzata onde supplire al deficit normativo in atto esistente in tema di obbligo di informazione del contribuente del diritto di non aprire la borsa (e del conseguente instaurarsi del regime autorizzatorio di cui al c. 3 dell’art. 52).

7.10 Senza dire che una siffatta conclusione avrebbe degli esiti a dir poco paradossali, se portata alle estreme conseguenze, ove si giungesse a riconoscere, in caso di mancata informazione circa la facoltà di difesa tecnica, l’invalidità delle acquisizioni compiute dai verificatori nel rispetto del regime autorizzativo previsto dalle altre disposizioni contemplate nei commi 1 e 2 dell’art. 52- effetto invalidante rispetto alla violazione dell’art.12 c.2 cit. che, peraltro, la giurisprudenza della sezione tributaria ha fin qui escluso (Cass., sez. V, n.992/2015 e Cass., Sez. V, n.28692/2018)-. Ciò che, invece, contrasta con la stessa portata precettiva complessiva dell’art. 12 l.n.212/2000, dalla quale si evince il riconoscimento in capo al contribuente di numerose iniziative difensive da adottare in epoca successiva alla verifica e che, dunque, sembrano porsi in contrasto con la tesi secondo cui la violazione dell’obbligo informativo sia idonea a determinare la inutilizzabilità di quanto acquisito in assenza dell’informazione relativa al difensore.

7.11 A diverse conclusioni rispetto a quelle fin qui esposte non può giungersi se si guarda all’obbligo di informare il contribuente dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche che pure compare nell’art.12, c.2, cit., al quale ha fatto riferimento la difesa della ricorrente nel corpo dei motivi di ricorso per cassazione, riproducendo quanto già espresso fin dal ricorso introduttivo. Tale disposizione è a torto invocata come fonte dell’obbligo informativo in favore del contribuente, in quanto la tesi muove, ancora una volta, dal convincimento che vi sia all’interno del quadro normativo applicabile uno specifico obbligo informativo, obbligo che, per le considerazioni appena espresse, non è invece dato scorgere.

7.12 Le esposte considerazioni non elidono, beninteso, l’eventuale valenza indiziaria della mancata informazione circa i due aspetti presi in considerazione espressamente dall’art.12 c.2 l.n.212/2000 al fine della verifica giudiziale in ordine alla condizione di piena libertà del contribuente al momento di esprimere il consenso all’acquisizione non coattiva della borsa sollecitata dai verificatori.

7.13 Per completezza, va rilevato che la valenza riconosciuta alla tematica del consenso informato in altri settori dell’ordinamento non può giovare ai fini qui in rilievo.

7.14 In particolare, il decisivo valore riconnesso al consenso informato in tema di trattamenti sanitari, desunto dalla Corte costituzionale attraverso il richiamo a diversi parametri costituzionali di natura immediatamente precettiva e poi pienamente riconosciuto anche a livello normativo (l.n.219/2017) non si presta ad esser qui riconosciuto: si tratta, infatti, di ipotesi tutt’affatto diversa, risultando la particolare protezione offerta alla genuinità del consenso su ragioni che attengono al pieno e diretto dispiegamento del diritto alla salute riconosciuto al paziente e dal quale consegue direttamente la scelta in ordine all’esecuzione o meno di un trattamento terapeutico.

7.15 La disomogeneità della fattispecie succintamente descritta rispetto a quella qui all’esame delle Sezioni Unite risulta evidente, se appunto si consideri che l’attività di consegna spontanea della borsa ai verificatori non colpisce direttamente il titolare del bene che acconsente ad un’attività incidente sulla garanzia del domicilio, ma influisce piuttosto sui poteri istruttori dei verificatori che stanno compiendo l’accesso ai fini fiscali.

7.16 Nemmeno di ausilio, per giungere a diverse conclusioni sul punto, risulta il richiamo alle peculiari discipline in materia di protezione internazionale, consumatori e dati personali per le quali il legislatore nazionale è andato progressivamente riconoscendo, in armonia con le normative di settore dell’UE, la necessità di un obbligo informativo in riferimento alle manifestazioni del consenso variamente prese in considerazione dai titolari di posizioni giuridiche soggettive.

7.17 Ancora una volta, va infatti evidenziato che tale riferimento non trova, né allo stato attuale della legislazione né in relazione ai parametri costituzionali sopra ricordati, alcuna considerazione all’interno dell’art.52, c.3 e delle disposizioni omologhe ad esso previste in materia fiscale.

7.18 Sulla base di tali premesse va fissato il seguente principio di diritto. In tema di accertamento delle imposte, con riguardo all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prevista in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini della valida espressione del consenso alla apertura della borsa non è necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso nell’art. 52 cit. e neanche nell’art. 12, comma 2, della legge 212/2000.

8. La soluzione offerta al secondo quesito assorbe, all’evidenza, l’esame del terzo quesito prospettato dall’ordinanza interlocutoria.

9. Occorre a questo punto passare all’esame dei motivi di ricorso proposti dalla ricorrente che ruotano attorno alla decisione delle questioni qui esaminate.

9.1 Il quinto motivo è infondato. Ed invero, la CTR, muovendo dal contenuto del pvc già sopra riportato, ha dato atto che la valigetta rivenuta nel corso dell’accesso era stata aperta, su richiesta della Guardia di finanza, spontaneamente e senza coercizione e per tal motivo ha escluso che fosse necessaria l’autorizzazione prevista dal c.3 dell’art.52 d.P.R. n.633/1972.

9.2 Sulla base di un accertamento di merito operato dalla CTR, insindacabile in questa sede, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente in memoria, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi già sopra espressi in ordine alla necessità o meno dell’autorizzazione del P.M., nel caso di specie correttamente escludendola.

10. Anche il sesto motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art.12, c.2 della legge n.212/2000, è infondato, avendo la CTR correttamente escluso l’esistenza di un obbligo informativo basato sulla ricordata disposizione.

11. Il settimo motivo è inammissibile, nella parte in cui prospetta la violazione del canone di non contestazione con riguardo alle “argomentazioni relative alla illegittima acquisizione di materiale istruttorio da parte della Guardia di finanza per violazione dell’art.52, c.3 , del d.P.R. n.633/1973”, indirizzandosi il canone della non contestazione ai fatti dedotti dalle parti e non già alle argomentazioni giuridiche.

11.1 Peraltro, la giurisprudenza della sezione tributaria è ferma nel riconoscere che il principio di non contestazione nel processo tributario deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione- cfr.Cass.n.7127/2019-.

11.2 Orbene, nel caso di specie l’amministrazione fiscale si è opposta fin dal primo atto difensivo alle censure esposte dalla ricorrente, poi impugnando la decisione resa dal giudice di primo grado che aveva annullato l’accertamento per questioni legate alla regolarità della notifica dell’accertamento. esclude in radice di poter ritenere che le censure prospettate dalla ricorrente colgano nel segno.

12. In conclusione, i motivi quinto, sesto e settimo vanno rigettati, mentre la causa va rimessa alla Sezione quinta per l’esame degli ulteriori motivi di ricorso proposti dalla C. M. sud s.p.a.

PQM

Rigetta i motivi quinto, sesto e settimo proposti dalla C. M. sud spa e rimette la causa per la decisione degli altri motivi proposti dalla ricorrente alla Sezione quinta di questa Corte. Così deciso il 12 ottobre 2021 dalle Sezioni Unite civili in Roma

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