CASSAZIONE

Valido l’accertamento nei locali dell’ente non commerciale effettuato senza l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria

Tributi – IRES, IRAP e IVA – Associazione sportiva– Ente non commerciale – Accertamento –  Accesso nei locali adibito ad uso promiscuo di abitazione e ufficio – Assenza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria – Equiparazione – Validità – Elementi di prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 564 dell’11 gennaio2023, intervenendo sulla legittimità delle ispezioni dei funzionari dell’Agenzia delle entrate, ha nuovamente stabilito, sulla scia di quanto precedentemente confermato dall’ordinanza n. 612/2020, che soltanto l’accesso presso locali che costituiscono abitazione privata effettuati in assenza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, può portare alla inutilizzabilità degli elementi di prova ivi acquisiti.

Questo nel rispetto del principio dell’inviolabilità del domicilio, di cui all’art. 14 Cost. e ribadendo  che non rientra in tale concetto il locale dell’associazione adibito a uso promiscuo di abitazione e ufficio. L’accesso, le ispezioni e le verifiche – attività disciplinate dall’articolo 52 del DPR 633/1972 – costituiscono gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione finanziaria (e della Guardia di Finanza) per l’adempimento dei compiti accertativi nei confronti dei contribuenti; i poteri ispettivi dell’Amministrazione finanziaria hanno l’obiettivo di prevenire o individuare fenomeni di evasione o elusione fiscale. La norma citata, per effetto del rimando fatto dal punto 1 dell’articolo 32, DPR 600/1973, oltre che ai fini IVA vale anche per tutte le imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP).

Quelle sopra descritte rientrano nelle cosiddette “attività di indagine” e sono da ritenersi le principali, se non altro perché nella maggior parte dei casi risultano propedeutiche ad altre forme di raccolta di informazioni utili per l’attività accertativa.

L’accesso presso la sede del contribuente ha l’obiettivo della ricerca di documenti o circostanze per le quali il verificatore potrebbe trovare indizi o prove di evasione; l’obiettivo che si prefigge questo tipo di indagine è di effettuare un’analisi contabile ed extracontabile dell’attività del contribuente attraverso una permanenza, più o meno prolungata, dei verificatori presso il luogo di esercizio dell’attività.

Il tema appare dunque di notevole interesse, in quanto secondo la giurisprudenza della Cassazione l’effetto dell’inutilizzabilità della documentazione acquisita in assenza dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria si verifica in occasione di “accessi effettuati in locali adibiti esclusivamente ad uso abitativo, in ciò sostanziandosi la dicitura ‘locali diversi da quelli indicati nel precedente comma’, in quanto avente fondamento nell’inviolabilità del domicilio di cui all’art. 14 Cost.”(Cass. Sez. V, 17 maggio 2022, n. 15643).

Dunque, l’accesso presso l’abitazione privata del contribuente, tutelata come detto dall’art. 14 della Costituzione, può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica e ciò avviene solo in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali che suggeriscano la necessità di ricercare e acquisire particolare documentazione, contabile e non, e ogni altro elemento idoneo a fornire prova delle infrazioni ipotizzate. Qualora dovesse accertarsi che i gravi indizi non esistono, nel senso che non sono esplicitati in concreto dai verificatori, la giurisprudenza della Corte ritiene che l’accertamento conseguente sia viziato da nullità. La mera inosservanza di disposizioni relative ai presupposti degli atti ispettivi, come nel caso della menzionata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, è stata più volte oggetto degli interventi della Suprema Corte nei quali sinteticamente è stato affermato che “… non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852 e 8344 del 2001), salva l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la ‘inutilizzabilità’, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale» (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 25650).

Pertanto, solo l’accesso presso locali che costituiscano abitazione privata senza l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria può portare alla inutilizzabilità degli elementi di prova ivi acquisiti, ma non nel caso che l’accesso sia effettuato in un locale promiscuo adibito anche a ufficio, “costituendo questo espressione del principio di cui all’art. 14 Cost., sicché non rientra in questo concetto il locale ad uso promiscuo (come abitazione e come ufficio) rende non necessaria l’autorizzazione preventiva dell’Autorità giudiziaria” (Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 21411; Cass., n. 26829/2014).

Tale giurisprudenza appare conforme a quella eurounitaria, secondo la quale la tutela riguardante l’intangibilità del domicilio di cui all’art. 8 CEDU costituisce il presupposto per l’estensione della suddetta tutela ai locali aziendali di una società (CGUE, 2002, Roquette Freres).
Infine, deve valorizzarsi in termini di interpretazione evolutiva, ancorché norma, il disposto dell’art. 52, secondo comma, DPR 633/1972, come novellato dall’art. 8 del decreto-legge 16/2012, ove è stata prevista l’equiparazione ai locali degli enti commerciali di quelli utilizzati dagli enti non commerciali, in considerazione delle finalità dell’accertamento e della accertata equiparazione dei locali in cui viene svolta l’attività degli enti associativi non commerciali a quelli degli enti commerciali e non anche alle abitazioni private, ove tali attività non risulti rispettosa della disciplina degli artt. 148, 149 TUIR per effetto dell’accertamento dello svolgimento di attività aperta al pubblico.

Tanto premesso, e tornando alla vicenda odierna, a un’associazione sportiva dilettantistica venivano elevati due avvisi di accertamento scaturenti da una verifica fiscale, effettuata nei locali dell’associazione, con la quale veniva disconosciuta la natura di ente non commerciale. Rivoltasi alla giustizia tributaria la società contribuente vedeva in entrambi i gradi il rigetto dei ricorsi: in particolare, i giudici di appello sostenevano che nel caso di specie fosse bastante, per l’accesso nei locali dell’associazione, la sola autorizzazione del responsabile dell’ufficio e non anche quella dell’Autorità giudiziaria, con conseguente legittimità dell’acquisizione degli elementi di prova.

La società proponeva allora  ricorso per cassazione basato su  tre motivi, censurando essenzialmente la legittimità dell’accesso effettuato dai funzionari accertatori in assenza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, precisando che l’accesso nei locali di associazioni ed enti non commerciali, relativamente a locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, debba essere autorizzato dall’Autorità giudiziaria in costanza della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria – che nella specie farebbero difetto – con conseguente inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti durante l’accesso, dovendosi equiparare l’attività svolta nei locali dell’ente non commerciale a un’abitazione privata.  Tale interpretazione non ha trovato però convincimento nei Supremi giudici, che hanno invece ritenuto valido l’operato degli ispettori del Fisco affermando che: … L’art. 52, primo comma, d.P.R. n. 633/1972, nella formulazione pro tempore, dispone che « gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono». Il secondo comma del medesimo articolo prevede – analogamente a quanto previsto dal terzo periodo del primo comma, nella parte in cui richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’accesso a locali che siano «adibiti anche ad abitazione»-che «l’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni». Tale disposizione si applica all’accertamento delle imposte dirette, stante il rinvio recettizio dell’art. 33, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e conseguentemente all’IRAP (art. 50, comma 6, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). L’autorizzazione del procuratore della Repubblica diviene, pertanto, necessaria per l’accesso presso locali «adibiti anche ad abitazione», nonché presso «locali diversi da quelli indicati nel precedente comma». I ricorrenti sostengono che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria sarebbe necessaria per l’accesso a qualsiasi locale dell’ente non commerciale (in quanto ente non commerciale), al pari di quanto avviene per le abitazioni private.6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’effetto dell’inutilizzabilità della documentazione acquisita in assenza dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria si verifica ove si verta in tema di documentazione acquisita in occasione di «accessi effettuati in locali adibiti esclusivamente ad uso abitativo, in ciò sostanziandosi la dicitura “locali diversi da quelli indicati nel precedente comma”, in quanto avente fondamento nell’inviolabilità del domicilio di cui all’art.14 Cost.» (Cass.,Sez. V, 17 maggio 2022, n. 15643). E’, difatti, stato osservato che la mera inosservanza di disposizioni relative ai presupposti degli atti ispettivi, come nel caso della menzionata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, «non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852e 8344 del 2001), salva l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale» (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 25650). 7. Tale interpretazione si fonda sull’assunto secondo cui «l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost., sull’inviolabilità del domicilio»,al pari della verifica della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, quali requisiti formali dell’accertamento dei presupposti, al fine di valutare « la ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione », sostanzialmente equiparabile alla verifica dei presupposti di una «autorizzazione della perquisizione domiciliare direttamente fissato dalla legge, la cui sussistenza e legittimità non può sfuggire alla verifica del giudice deputato al sindacato della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva» (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2014, n. 26829). Pertanto, solo l’accesso presso locali che costituiscano abitazione privata in assenza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria può portare alla inutilizzabilità degli elementi di prova ivi acquisiti in assenza della preventiva autorizzazione, «costituendo questo espressione del principio di cui all’art. 14 Cost., sicché non rientra in questo concetto il locale dell’associazione ove è stato svolto l’accertamento» (Cass., n. 25650/2018, cit.), tanto che lo stesso uso promiscuo (come abitazione e come ufficio) dei locali rende non necessaria l’autorizzazione preventiva dell’Autorità giudiziaria (Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 21411; Cass., n. 26829/2014, cit.). 8. Tale giurisprudenza, la quale va tenuta ferma, appare conforme alla giurisprudenza eurounitaria, secondo la quale la tutela riguardante l’intangibilità del domicilio di cui all’art. 8 CEDU costituisce il presupposto per l’estensione della suddetta tutela ai locali aziendali di una società (CGUE, 22 ottobre 2002, Roquette Freres, C-94/00, punto 29). 9. Va, in ogni caso, osservato – quanto alla dedotta inutilizzabilità degli atti acquisiti (in tesi) in forza di una iniziale carenza di autorizzazione giurisdizionale preventiva – che un controllo giurisdizionale completo ex post permette , comunque, di compensare l’eventuale mancanza di un’autorizzazione giudiziaria preventiva e costituisce, pertanto, una garanzia fondamentale per assicurare la compatibilità degli accessi nei locali non commerciali con l’articolo 8 CEDU ( CGUE, 18 giugno 2015, Deutsche Bahn, C – 583/13 P, punti 26, 32; Corte EDU, 2 ottobre 2014, Delta Pekárny a.s. c. Repubblica ceca, n.97/11, §§ 83, 87 e 92). 10.Infine, deve valorizzarsi in termini di interpretazione evolutiva (ancorché norma sopravvenuta, non direttamente applicabile al caso di specie) il disposto dell’art. 52, secondo comma, come novellato dall’art. 8, d.l. n. 16/2012, ove è stata prevista l’equiparazione ai locali degli enti commerciali di quelli «utilizzati dagli enti non commerciali», in considerazione delle finalità dell’accertamento e della accertata equiparazione dei locali in cui viene svolta l’attività degli enti associativi non commerciali a quelli degli enti commerciali e non anche alle abitazioni private, ove tali attività non risulti rispettosa della disciplina degli artt. 148, 149 TUIR per effetto del l’accertamento dello svolgimento di attività aperta al pubblico (Cass., Sez. V, 20 ottobre). Non è, pertanto, sostenibile l’equiparazione dei locali di un ente collettivo non commerciale tout court a una abitazione privata, se non ove si deduca e si provi che quei locali fossero adibiti ad abitazione privata, in assenza della cui deduzione i suddetti locali sono equiparabili ai locali degli enti commerciali. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi. 11. Il terzo motivo è inammissibile, ove parte ricorrente ritiene che le previsioni statutarie e la assenza di scopo lucrativo, come anche l’assenza di iscrizione al Registro del CONI, siano sufficienti a confermare la natura di ente non commerciale della società (associazione), in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice di appello ha, difatti, accertato la assenza sostanziale del principio di democraticità, avendo accertato il mancato o fittizio svolgimento delle delibere assembleari in presenza del solo presidente e della segretaria, nonché in forza della mancanza di prova della formale convocazione delle assemblee degli associati, le quali venivano convocate «oralmente». Sulla base di questo accertamento in fatto, il giudice di appello ha ritenuto violato l’art. 148, comma 8, lett. c) ed e) TUIR, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rispetto in termini sostanziali (e non meramente formali) dei principi di democraticità e di partecipazione costituisce precondizione ai fini del riconoscimento della natura di ente non commerciale ai fini fiscali (Cass., Sez. V, 24 ottobre 2014, n. 22644; Cass., Sez. V, 18 maggio 2022, n. 16081; Cass., Sez. V, 26 ottobre 2021, n. 30008). 12. Il ricorso va, pertanto, rigettato”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 11 gennaio 2023, n. 564

sul ricorso iscritto al n. 16306/2015R.G. proposto da:

S.r.l. SOCIETA’ SPORTIVA DILETTANTISTICA O. G., già ASSOCIAZIONE SPORT IVA DILETTANTISTICA O. G. (C.F. 97136070584), in persona del legale rappresentante pro tempore, MALORI DANIELE (C.F. MLRDNL55P11H501J), rappresentati e difesi dall’Avv. LUIGI ALBISSINI (C.F. LBS LGU45S23L049F ) in virtù di procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, Via Federico Cesi, 72

 –ricorrenti –

Nonché da BRACCI FABRIZIO (C.F. BRCFRZ68A01H501A), SPIZZICHINO ANDREA (C.F. SPZNDR68E14H501T), rappresentati e difesi dall’Avv. PAOLO AMOROSO (C.F. MRSPLA63P06F839U) in virtù di procura, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, Via di Casal Selce, 441/A

 – ricorrenti –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. 06363301001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

–controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 1830/14/15 depositata in data 25 marzo 2015

Udita la relazione svolta dal Consigliere Filippo D’Aquino nella camera di consiglio del 9 novembre 2022.

RILEVATO CHE

1. La società contribuente ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA O. G. S.r.l., già ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA O. G., ha impugnato due avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2007 e 2008, con i quali – a seguito di una verifica fiscale con accesso nei locali dell’associazione, concluso con PVC – veniva disconosciuta la natura di ente non commerciale della società contribuente, in periodi di imposta in cui la stessa assumeva la forma di associazione non riconosciuta e si recuperavano maggiori IRES, IRAP e IVA.

Gli avvisi sono stati separatamente impugnati anche dai soci BRACCI FABRIZIO, MALORI DANIELE e SPIZZICHINO ANDREA, quali membri del Consiglio Direttivo e responsabili solidali.

2. La CTP di Roma ha rigettato i ricorsi riuniti.

3. La CTR del Lazio, con sentenza in data 25 marzo 2015, ha rigettato l’appello dei contribuenti.

Ha ritenuto il giudice di appello che nel caso di specie fosse sufficiente, ai fini dell’accesso nei locali dell’associazione, la sola autorizzazione del responsabile dell’Ufficio e non anche quella dell’autorità giudiziaria, con conseguente legittimità dell’acquisizione degli elementi di prova.

Ha, poi, ritenuto il giudice di appello che i locali sociali erano accessibili a tutti, anche a non soci e che per il rilascio della tessera associativa non veniva richiesto alcun corrispettivo, accertandosi che nei locali della società venivano svolte varie attività e somministrazioni; ha, quindi, ritenuto la CTR che i ricavi percepiti dalla società fossero corrispettivi per i servizi resi, con conseguente prova dello svolgimento di attività commerciale. Ha rilevato, inoltre, il giudice di appello che le assemblee non fossero mai state tenute, se non con la sola presenza del presidente e della segretaria e che delle assemblee venivano informati oralmente i soli collaboratori della palestra. Ha, pertanto, ritenuto la CTR che la società contribuente, nel periodo di imposta oggetto di accertamento, avesse perduto la natura di ente non commerciale.

Ha infine ritenuto il giudice di appello che la società contribuente, nei periodi di imposta oggetto di accertamento, non ha operato secondo le regole statutarie.

4. Propongono ricorso per cassazione i contribuenti, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

I ricorrenti Spizzichino Andrea e Bracci Fabrizio si sono successivamente costituiti a ministero di altro difensore.

CONSIDERATO CHE

1.1.Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 21-septies e 21-octies l. 7 agosto 1990, n. 241 , 7 l. 27 luglio 2000, n. 212 , 8, comma 8, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 37/2015, art. 1, comma 14, d.l. 20 dicembre 2013, n. 150, convertito dalla l. 27 febbraio 2014, n. 15, art. 1 comma 8, d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. I ricorrenti deducono la nullità degli avvisi di accertamento per effetto della declaratoria dell’incostituzionalità degli artt. 8, comma 24, d.l. n. 16/2012, dell’art. 1, comma 14, d.l. n. 150/2013, e dell’art 1, comma 8, d.l. n. 192/2014, per essere stati gli avvisi di accertamento sottoscritti da funzionario (Minnucci Giorgio) decaduto dagli incarichi dirigenziali e, quindi, privo della qualifica dirigenziale.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e/o errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 52, primo e secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 2727, 2729 cod. civ., 112, 115 r 116 cod. proc. civ, anche in relazione all’art. 8, comma 22 d.l. n. 16/2012e all’art. 24 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’accesso effettuato dagli agenti accertatori sulla base della sola autorizzazione del direttore dell’Ufficio e in assenza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Osservano i ricorrenti che ai fini dell’accesso nei locali di associazioni ed enti non commerciali, relativamente a locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, debba essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria, in costanza della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, i quali nella specie farebbero difetto, con conseguente inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti durante l’accesso, dovendosi equiparare l’attività svolta nei locali dell’ente non commerciale a una abitazione privata.

Diversamente, proseguono i ricorrenti, l’autorizzazione giudiziale si sarebbe potuta evitare ove la natura non commerciale dell’associazione fosse emersa prima dell’accesso e del rilascio dell’autorizzazione. I ricorrenti denunciano, inoltre, apoditticità dell’affermazione circa la legittimità dell’accesso. Rilevano, inoltre, i ricorrenti come al caso di specie non sarebbe applicabile la novella di cui all’art. 8, comma 22, l. n. 16/2012, essendo l’accesso avvenuto in data precedente la novella (13 settembre 2010).

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 350, primo comma, nn. 3, 4e 5, cod. proc. civ., violazione e/o errata applicazione e falsa applicazione degli artt. 90 l. 27 dicembre 2002, n. 289, 148 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), 2697, 2727, 2729 cod. civ., 112, 115, 116 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice di appello, anche per giustificare l’accesso presso i locali dell’associazione di cui all’art. 52, secondo comma, d.P.R. n. 633/1972, ha ritenuto di natura commerciale le attività svolte dall’associazione e ha ritenuto legittimo induttivo operato dall’Ufficio.

Osservano i ricorrenti che le agevolazioni tributarie si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fine di lucro, per cui è il perseguimento o meno dello scopo di lucro che fa da presupposto per l’applicazione delle agevolazioni tributarie, come risultante dallo statuto dell’associazione, trascritto per specificità. Ritengono, inoltre, irrilevante l’omessa iscrizione al Registro del CONI.

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto –come ampiamente dedotto dal controricorrente – si censura per la prima volta in sede di legittimità un profilo non originariamente dedotto in sede di merito, con conseguente violazione del principio di consumazione del diritto di impugnazione in relazione ai profili di censura non originariamente proposti (Cass., Sez. V, 2 marzo 2022, n. 6940; Cass., Sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993; Cass., Sez. U., 22 febbraio 2012, n. 2568). Né detta censura è rilevabile di ufficio, atteso che il vizio denunciato è un vizio dell’atto impositivo, diverso da quelli originariamente allegati, che in quanto tale non è rilevabile di ufficio (Cass., Sez. V, 23 settembre 2020, n. 19929).

3. Questa preclusione è propria del sistema delle impugnazioni e principio di conservazione degli atti processuali , nonché della stabilizzazione degli effetti degli atti amministrativi, nelle parti non oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale, non potendo l’atto amministrativo ritenersi inficiato dalla sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma, posto che l’illegittimità costituzionale opera per l’avvenire sino all’avvenuta dichiarazione di incostituzionalità (art. 136 Cost.); salvo che la stessa norma sia stata espressamente impugnata, nel qual caso l’efficacia della sentenza del giudice delle leggi è destinata ad operare anche nei procedimenti in corso.

4. La sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale non può, invece, riverberare effetti sulle sentenze che di quella norma hanno fatto applicazione quando non vi sia stata impugnazione del relativo capo, a nulla rilevando che altri capi della sentenza siano stati impugnati e il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pronuncia della Corte costituzionale (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34575; Cass., Sez. I, 15 gennaio 2015, n. 574; Cass., Sez. I, 18 giugno 2012, n. 9950), né tale sentenza può avere effetti sugli atti impositivi in relazione ai quali non è censurato il profilo in ordine al quale la norma è stata successivamente dichiarata incostituzionale (Cass., Sez. V, 1° marzo 2006, n. 4549; Cass., Sez. V, 2 luglio 2007, n. 2280), stante la definitività dell’atto conseguente alla omessa tempestiva impugnazione (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34617).

5. Il secondo motivo è infondato.

L’art. 52, primo comma, d.P.R. n. 633/1972, nella formulazione pro tempore, dispone che « gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni.

Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono». Il secondo comma del medesimo articolo prevede – analogamente a quanto previsto dal terzo periodo del primo comma, nella parte in cui richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’accesso a locali che siano «adibiti anche ad abitazione»-che «l’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni».

Tale disposizione si applica all’accertamento delle imposte dirette, stante il rinvio recettizio dell’art. 33, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e conseguentemente all’IRAP (art. 50, comma 6, d. lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). L’autorizzazione del procuratore della Repubblica diviene, pertanto, necessaria per l’accesso presso locali «adibiti anche ad abitazione», nonché presso «locali diversi da quelli indicati nel precedente comma». I ricorrenti sostengono che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria sarebbe necessaria per l’accesso a qualsiasi locale dell’ente non commerciale (in quanto ente non commerciale), al pari di quanto avviene per le abitazioni private.

6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’effetto dell’inutilizzabilità della documentazione acquisita in assenza dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria si verifica ove si verta in tema di documentazione acquisita in occasione di «accessi effettuati in locali adibiti esclusivamente ad uso abitativo, in ciò sostanziandosi la dicitura “locali diversi da quelli indicati nel precedente comma”, in quanto avente fondamento nell’inviolabilità del domicilio di cui all’art.14 Cost.» (Cass.,Sez. V, 17 maggio 2022, n. 15643).

E’, difatti, stato osservato che la mera inosservanza di disposizioni relative ai presupposti degli atti ispettivi, come nel caso della menzionata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, «non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852e 8344 del 2001), salva l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale» (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 25650).

7. Tale interpretazione si fonda sull’assunto secondo cui «l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost., sull’inviolabilità del domicilio»,al pari della verifica della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, quali requisiti formali dell’accertamento dei presupposti, al fine di valutare « la ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione », sostanzialmente equiparabile alla verifica dei presupposti di una «autorizzazione della perquisizione domiciliare direttamente fissato dalla legge, la cui sussistenza e legittimità non può sfuggire alla verifica del giudice deputato al sindacato della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva» (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2014, n. 26829). Pertanto, solo l’accesso presso locali che costituiscano abitazione privata in assenza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria può portare alla inutilizzabilità degli elementi di prova ivi acquisiti in assenza della preventiva autorizzazione, «costituendo questo espressione del principio di cui all’art. 14 Cost., sicché non rientra in questo concetto il locale dell’associazione ove è stato svolto l’accertamento» (Cass., n. 25650/2018, cit.), tanto che lo stesso uso promiscuo (come abitazione e come ufficio) dei locali rende non necessaria l’autorizzazione preventiva dell’Autorità giudiziaria (Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 21411; Cass., n. 26829/2014, cit.).

8. Tale giurisprudenza, la quale va tenuta ferma, appare conforme alla giurisprudenza eurounitaria, secondo la quale la tutela riguardante l’intangibilità del domicilio di cui all’art. 8 CEDU costituisce il presupposto per l’estensione della suddetta tutela ai locali aziendali di una società (CGUE, 22 ottobre 2002, Roquette Freres, C-94/00, punto 29).

9. Va, in ogni caso, osservato – quanto alla dedotta inutilizzabilità degli atti acquisiti (in tesi) in forza di una iniziale carenza di autorizzazione giurisdizionale preventiva – che un controllo giurisdizionale completo ex post permette , comunque, di compensare l’eventuale mancanza di un’autorizzazione giudiziaria preventiva e costituisce, pertanto, una garanzia fondamentale per assicurare la compatibilità degli accessi nei locali non commerciali con l’articolo 8 CEDU ( CGUE, 18 giugno 2015, Deutsche Bahn, C – 583/13 P, punti 26, 32; Corte EDU, 2 ottobre 2014, Delta Pekárny a.s. c. Repubblica ceca, n.97/11, §§ 83, 87 e 92).

10.Infine, deve valorizzarsi in termini di interpretazione evolutiva (ancorché norma sopravvenuta, non direttamente applicabile al caso di specie) il disposto dell’art. 52, secondo comma, come novellato dall’art. 8, d.l. n. 16/2012, ove è stata prevista l’equiparazione ai locali degli enti commerciali di quelli «utilizzati dagli enti non commerciali», in considerazione delle finalità dell’accertamento e della accertata equiparazione dei locali in cui viene svolta l’attività degli enti associativi non commerciali a quelli degli enti commerciali e non anche alle abitazioni private, ove tali attività non risulti rispettosa della disciplina degli artt. 148, 149 TUIR per effetto del l’accertamento dello svolgimento di attività aperta al pubblico (Cass., Sez. V, 20 ottobre). Non è, pertanto, sostenibile l’equiparazione dei locali di un ente collettivo non commerciale tout court a una abitazione privata, se non ove si deduca e si provi che quei locali fossero adibiti ad abitazione privata, in assenza della cui deduzione i suddetti locali sono equiparabili ai locali degli enti commerciali. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

11. Il terzo motivo è inammissibile, ove parte ricorrente ritiene che le previsioni statutarie e la assenza di scopo lucrativo, come anche l’assenza di iscrizione al Registro del CONI, siano sufficienti a confermare la natura di ente non commerciale della società (associazione), in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice di appello ha, difatti, accertato la assenza sostanziale del principio di democraticità, avendo accertato il mancato o fittizio svolgimento delle delibere assembleari in presenza del solo presidente e della segretaria, nonché in forza della mancanza di prova della formale convocazione delle assemblee degli associati, le quali venivano convocate «oralmente».

Sulla base di questo accertamento in fatto, il giudice di appello ha ritenuto violato l’art. 148, comma 8, lett. c) ed e) TUIR, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rispetto in termini sostanziali (e non meramente formali) dei principi di democraticità e di partecipazione costituisce precondizione ai fini del riconoscimento della natura di ente non commerciale ai fini fiscali (Cass., Sez. V, 24 ottobre 2014, n. 22644; Cass., Sez. V, 18 maggio 2022, n. 16081; Cass., Sez. V, 26 ottobre 2021, n. 30008).

12. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 8.200,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quaterd.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, in data 9 novembre 2022

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