Valida la cartella notificata all’ex coniuge
Atti tributari – Cartelle di pagamento – Notifica – Domicilio del coniuge separato – Legittimità
La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 33611 del 18 dicembre 2019, occupandosi della legittimità delle notifiche delle cartelle di pagamento emanate dall’Amministrazione finanziaria, ha reputato regolare la notificazione degli avvisi, in quanto era stata correttamente effettuata presso l’indirizzo del domicilio fiscale indicato dal contribuente, senza che l’A.F. ne ricevesse comunicazione in rettifica: a nulla rileva che nel domicilio fiscale indicato abitasse il coniuge separato.
Notificare, giuridicamente parlando, significa “portare a conoscenza”, e quando si parla di atti tributari, ovvero di atti impositivi emessi per la riscossione di imposte, tasse e contributi, con la notifica viene portato a conoscenza un obbligo di pagamento, entro un termine ben preciso, scaturito da un accertamento o da un inadempimento del debitore.
Come regola generale ci si riferisce al codice di procedura civile, a cui rimanda anche la normativa che regola gli accertamenti fiscali (DPR 600/1973, art. 60) apportando alcune modifiche. La norma di notifica della cartella esattoriale (DPR 602/1973, art. 26) rimanda a sua volta all’art.60 del DPR 600, intrecciando di fatto tra loro le regole di notifica degli atti giudiziari e di quelli tributari, con alcune differenze per questi ultimi.
Tipicamente la notifica avviene nelle mani proprie del destinatario, mentre in questi casi può avvenire ovunque oppure presso il suo domicilio fiscale coincidente con la residenza o l’ufficio o eletto presso terzi. Normalmente la notifica avviene presso il domicilio fiscale del cittadino/debitore (casa di abitazione, ufficio, azienda) e viene certificata con la cosiddetta relata di notifica, ovvero la dichiarazione con cui il messo notificatore attesta la data, l’ora e il luogo di consegna dell’atto nelle mani del destinatario o di soggetti terzi autorizzati e identificati, nonché le ricerche effettuate e le motivazioni dell’eventuale mancata consegna. Il cittadino può tuttavia eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel proprio Comune per la notifica degli atti che lo riguardano, comunicando la cosa all’ufficio emittente. Chi non ha residenza o domicilio in Italia, parimenti, può chiedere che le notifiche avvengano presso uno specifico indirizzo estero: in quest’ultimo caso la notifica avviene per raccomandata a/r.
In caso di invio tramite posta la relata di notifica viene scritta prima dell’invio ed e’ completata dalla ricevuta di ritorno sottoscritta e datata; in caso di incertezza fa fede il timbro apposto sull’avviso dall’ufficio postale che lo restituisce.
La relata di notifica è un atto pubblico che fa fede fino a querela di falso. Non è perciò opponibile ne’ contestabile, se non con una querela penale (Cassazione, sentenze n. 17723/2006 e n.13812/2007). Per le notifiche postali la ricevuta di ritorno costituisce la principale prova dell’avvenuta notifica e l’eventuale mancata compilazione della relata di notifica non costituisce irregolarità tale da rendere la stessa nulla (la relata non è un requisito essenziale nelle notifiche a mezzo posta). In questo senso si è espressa più volte la Corte di Cassazione, con varie sentenze (23470/2017 e 879/2016), che precisano l’essenzialità dell’avviso di ricevimento che funge da prova privilegiata e fa fede fino a querela di falso, a condizione del rispetto di alcune condizioni (invio all’indirizzo corretto e firma del consegnatario). Altre sentenze che riguardano questo orientamento sono principalmente del 2010, in particolare le n. 834, 835 e 838.
Secondo altre tendenze, pur potendo dirsi “nulla” la notifica priva della compilazione della relata, la nullità viene sanata dal ricorso secondo il principio del “raggiungimento dello scopo” (art. 156, cpc) e quindi la notifica è valida e non certo inesistente (Cassazione, sentenza n. 6613/2013).
Inoltre, la notifica a soggetti terzi può avvenire solo presso il domicilio del destinatario (casa di abitazione, ufficio, azienda) nei casi in cui lo stesso non è presente. L’atto, infatti, può essere consegnato nelle mani di terzi, come una persona di famiglia, purché non minore di 14 anni o palesemente incapace, oppure anche agli addetti alla casa (o all’ufficio o azienda), purché non minori di 14 anni o palesemente incapaci e, infine anche al portiere dello stabile o ai vicini di casa che accettino il ricevimento. In questi casi l’atto dev’essere consegnato, con la relata di notifica, in busta chiusa e sigillata riportante solo il numero cronologico dell’atto stesso (non debbono esserci segni, dati o indicazioni che potrebbero indicarne il contenuto). Chi accetta l’atto deve sottoscrivere una ricevuta dichiarando a quale titolo lo riceve. Nei casi di consegna al portiere o al vicino di casa, il destinatario deve ricevere notizia della notifica tramite raccomandata a/r, anche in caso di notifica postale (art. 60, DPR 600/1973 e art.7, L. 890/1982).
Su questo tipo di notifica è bene precisare che per essere corretta e legale è sufficiente che l’atto risulti correttamente notificato all’indirizzo del destinatario, a prescindere dal fatto che chi lo riceve (che deve comunque essere uno dei soggetti su indicati) dica o meno il falso nel qualificarsi. La Cassazione, su questo punto, ha un orientamento unanime che bene risulta dalla sentenza n. 10245/2017, nella quale dispone che per gli atti tributari notificati all’indirizzo di abitazione si può presumerne la consegna al destinatario.
In precedenza la Suprema Corte, con sentenza n. 6959/2015, aveva anche invitato i contribuenti a prestare più attenzione alla compilazione della dichiarazione dei redditi, perché è l’indirizzo in essa indicato a far fede per le notifiche fiscali.
In conclusione del ragionamento ricavabile dalla lettura della giurisprudenza della Corte è possibile ritenere che il domicilio fiscale indicato dai contribuenti nella dichiarazione dei redditi costituisce atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione finanziaria il recapito, sia ai fini delle notificazioni sia ai fini della legittimazione a procedere, per cui il legittimo ius variandi deve essere esercitato in buona fede e nel rispetto del principio dell’affidamento, che deve informare la condotta dei soggetti del rapporto tributario, senza che il contribuente possa sfruttare a suo vantaggio anche un eventuale errore. Questo, in sintesi, è il principio di diritto ribadito anche recentemente sulla materia dai Supremi Giudici con l’ordinanza n. 19699 del 22 luglio 2019, nella quale precisano che l’indicazione del Comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, deve essere effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento.
Da sottolineare, inoltre, che solo la prova della insussistenza di ogni collegamento tra l’effettiva residenza del destinatario dell’atto e il luogo della consegna del plico può annullare l’efficacia della procedura, in quanto in materia di accertamento tributario, nel caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo.
Così premesso e tornando al caso di specie, un contribuente denunciava alle Commissioni Tributarie la nullità delle notifiche degli avvisi di accertamento e delle cartelle consegnati alla ex moglie, dalla quale è separato, perché effettuate a persona diversa dal legittimo destinatario.
Dopo aver incassato il rifiuto da parte della CTP e della CTR, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione lamentando con quattro motivi e denunciando l’omessa motivazione della CTR sull’esistenza di un provvedimento di separazione dalla ex moglie, a cui sono stati consegnati gli avvisi di accertamento, non considerando neppure il fatto che è straniera e che non comprende la lingua italiana. Inoltre, sottolineava anche l’omessa motivazione della CTR sul contenuto della memoria presentata dal ricorrente, con cui aveva denunciato la nullità delle notifiche degli avvisi perché carenti dei requisiti formali richiesti, l’omesso invio dell’avviso, in quanto la notifica era stata effettuata a persona diversa dal destinatario e l’omessa motivazione della CTR sul punto. Infine, sottolineava l’omessa motivazione della Commissione Tributaria Regionale sulla lesione del diritto di difesa del contribuente.
Le tesi esposte dal contribuente non hanno trovato conferma presso i Giudici di piazza Cavour, che hanno confermato i precedenti pareri della giustizia tributaria statuendo che “È dirimente, in primo luogo, che il ricorso non coglie la ratio della decisione, la quale ha rilevato, con accertamento in fatto, che la notificazione degli avvisi era stata regolarmente effettuata presso l’indirizzo del domicilio fiscale indicato dal contribuente, senza che di esso fosse mai stata inviata alcuna comunicazione in rettifica. Presso lo stesso indirizzo, del resto, era stata inviato l’invito per la comparizione al contraddittorio (trattandosi di accertamento scaturito dall’applicazione degli studi di settore), contraddittorio che – come pure accertato dalla CTR – era stato pienamente instaurato dal contribuente stesso. Da ciò, dunque, la CTR ha tratto la conclusione della regolarità e ritualità della notifica degli avvisi di accertamento, esito che, oltre ad essere in linea con la giurisprudenza della Corte (v. Cass. n. 25680 del 14/12/2016; Cass. n. 15258 del 21/07/2015), non è stato in alcun modo censurato. Quanto al primo motivo, inoltre, la censura è altresì del tutto carente in punto di autosufficienza, introduce profili di novità e, comunque, è del tutto inammissibilmente formulata, neppure sussistendo la lamentata omessa motivazione poiché la CTR non ha affatto trascurato l’avvenuta separazione, ritenendola ininfluente ai fini della regolarità della notifica. Quanto al secondo motivo, la doglianza è parimenti carente di autosufficienza sia con riguardo alle asserite nullità della notifica, sia alla dedotta contestazione in giudizio (asseritamente introdotta con memoria), nulla sul punto essendo stato riprodotto, essendo ignoto l’esatto tenore della questione, nonché la regolare e tempestiva introduzione sia in primo grado che in appello, né, comunque, risultando dalla stessa sentenza. Analoghe considerazioni rilevano quanto al terzo motivo, neppure essendo chiaro, sul punto, se sia stata contestata una violazione di legge o un vizio motivazionale (entrambi inammissibili perché inosservanti del principio di autosufficienza, nulla essendo stato riprodotto, né la relata di notifica, né la memoria in cui la questione sarebbe stata posta, sicché la stessa questione non si sottrae all’ulteriore rilievo di inammissibilità per novità) ovvero di omessa pronuncia (comunque insussistente). Il quarto motivo, infine, è inammissibile perché, oltre a non cogliere la ratio della decisione, è del tutto generico e indeterminato, neppure censurando, in realtà, la sentenza, della quale non specifica i passaggi oggetto di contestazione, sicché, in conclusione, è un “non motivo”. Il ricorso va pertanto rigettato per inammissibilità dei motivi”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 18 dicembre 2019, n. 33611
Sul ricorso iscritto al n. 28068/2012 R.G. proposto da :
C. B., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Angelozzi, con domicilio eletto presso l’Avv. Massimo Gizzi in Roma via Anapo n. 29, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 29/02/12, depositata il 2 luglio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
RILEVATO CHE
B. C. impugna per cassazione, con quattro motivi, la decisione della CTR in epigrafe che, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittime le cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle entrate e regolare la notificazione dei pregressi avvisi di accertamento, effettuata presso il coniuge da cui era separato.
L’Agenzia delle entrate resiste, depositando atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. in relazione agli artt. 157 e segg. c.p.c.”. Il contribuente deduce, in particolare, che la CTR ha omesso di motivare sull’esistenza di un provvedimento di separazione personale con la coniuge, cui erano stati consegnati gli avvisi notificati, neppure considerando che essa, nell’apporre la propria firma sulla dizione moglie convivente, non comprendeva appieno la lingua italiana.
1.1. Il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 157 e segg. c.p.c., all’art. 149 c.p.c. ed all’art. 3 I. 890/1982”. Il contribuente deduce che la CTR ha omesso di motivare “sul contenuto della memoria 23/03/2011”, con cui era dedotta la nullità delle notifiche degli avvisi in quanto carenti dei requisiti formali necessari.
1.2. Il terzo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 149 ultimo comma c.p.c. ed all’art. 7 ultimo comma I. 20/11/1982 n. 890”. Il contribuente deduce l’omesso invio dell’avviso per esser stata la notifica effettuata a persona diversa dal destinatario e l’omessa motivazione da parte della CTR in ordine alla contestata violazione.
1.3. Il quarto motivo denuncia “violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 24, 2° comma della Costituzione” per aver la CTR omesso di motivare sulla violazione del diritto di difesa. 2. I motivi, che possono essere valutati unitariamente per connessione, sono tutti inammissibili e per più ragioni.
2.1. È dirimente, in primo luogo, che il ricorso non coglie la ratio della decisione, la quale ha rilevato, con accertamento in fatto, che la notificazione degli avvisi era stata regolarmente effettuata presso l’indirizzo del domicilio fiscale indicato dal contribuente, senza che di esso fosse mai stata inviata alcuna comunicazione in rettifica. Presso lo stesso indirizzo, del resto, era stata inviato l’invito per la comparizione al contraddittorio (trattandosi di accertamento scaturito dall’applicazione degli studi di settore), contraddittorio che – come pure accertato dalla CTR – era stato pienamente instaurato dal contribuente stesso. Da ciò, dunque, la CTR ha tratto la conclusione della regolarità e ritualità della notifica degli avvisi di accertamento, esito che, oltre ad essere in linea con la giurisprudenza della Corte (v. Cass. n. 25680 del 14/12/2016; Cass. n. 15258 del 21/07/2015), non è stato in alcun modo censurato.
2.2. Quanto al primo motivo, inoltre, la censura è altresì del tutto carente in punto di autosufficienza, introduce profili di novità e, comunque, è del tutto inammissibilmente formulata, neppure sussistendo la lamentata omessa motivazione poiché la CTR non ha affatto trascurato l’avvenuta separazione, ritenendola ininfluente ai fini della regolarità della notifica.
2.3. Quanto al secondo motivo, la doglianza è parimenti carente di autosufficienza sia con riguardo alle asserite nullità della notifica, sia alla dedotta contestazione in giudizio (asseritamente introdotta con memoria), nulla sul punto essendo stato riprodotto, essendo ignoto l’esatto tenore della questione, nonché la regolare e tempestiva introduzione sia in primo grado che in appello, né, comunque, risultando dalla stessa sentenza.
2.4. Analoghe considerazioni rilevano quanto al terzo motivo, neppure essendo chiaro, sul punto, se sia stata contestata una violazione di legge o un vizio motivazionale (entrambi inammissibili perché inosservanti del principio di autosufficienza, nulla essendo stato riprodotto, né la relata di notifica, né la memoria in cui la questione sarebbe stata posta, sicché la stessa questione non si sottrae all’ulteriore rilievo di inammissibilità per novità) ovvero di omessa pronuncia (comunque insussistente).
2.5. Il quarto motivo, infine, è inammissibile perché, oltre a non cogliere la ratio della decisione, è del tutto generico e indeterminato, neppure censurando, in realtà, la sentenza, della quale non specifica i passaggi oggetto di contestazione, sicché, in conclusione, è un “non motivo”.
3. Il ricorso va pertanto rigettato per inammissibilità dei motivi. Nulla per le spese attesa la mancata costituzione dell’Ufficio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 3 ottobre 2019