CASSAZIONE SENTENZE

Uno scostamento modico annulla l’accertamento sugli studi di settore

Dichiarazioni reddituali – Accertamento – Studi di settore – Maggiori redditi – Scostamento tra redditi dichiarati ed accertati 

La  Corte di Cassazione (Ordinanza n. 5327 del 22 febbraio 2019), respingendo il ricorso presentato dal Fisco, è intervenuta ancora una volta sul tema degli accertamenti basati sulle risultanze degli studi di settore, stabilendo che se lo scostamento dagli studi risulta compreso nei parametri del c.d. scostamento”fisiologico”, l’accertamento è nullo anche in mancanza di documenti e delle giustificazioni presentate dal contribuente.

L’attuale giurisprudenza in materia dei giudici di legittimità ci ricorda che l’accertamento induttivo è legittimo solo quando è riscontrato da una grave incongruenza tra i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, sempre nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva.

Il divario contestato dagli uffici finanziari nella vertenza in questione si attestava intorno all’8% tra reddito dichiarato e reddito accertato in base alle risultanze degli studi di settore, e tale modica misura è stata reputata dagli Ermellini insufficiente per legittimare il ricorso all’accertamento induttivo-analitico ex artt. 39 comma 1, lett. d), DPR 600/73 e 54, DPR 633/72.

Sul punto sono intervenute nel lontano 2009, con la sent. n.26635, anche le Sezioni Unite per rimarcare che la necessità che il divario debba comunque testimoniare una “grave incongruenza”, deve ritenersi implicitamente confermata dall’art. 10, comma 1, legge 146/98, che disciplina, appunto, le modalità di utilizzazione degli studi in sede di accertamento.  Sarà dunque necessario che il procedimento di ricostruzione presuntiva dei ricavi che conduce all’accertamento sia plausibile, credibile, privo di vizi logici e improntato a ”canoni di giustificabilità razionale”. Inoltre, la differenza fra volume di ricavi dichiarati e ricavi ricostruiti deve essere di entità non lieve. Per dare una dimensione al requisito della gravità, la giurisprudenza di merito ha ritenuto – ex multis ricordiamo, ad esempio, la sent. 13 aprile 2005 della CTP Milano, Sez. VIII che suggeriva la quantificazione congrua si potesse fissare almeno al 25-30% – che la qualità sia indicata da una soglia minima da superare e, magari, anche espressamente fissata.

Parimenti è possibile osservare che nel linguaggio giuridico l’aggettivo “grave” in contrapposizione a “lieve” indica un requisito quantitativo e che la grandezza indicata, in buona sostanza, non sia di piccola entità.

Come tutti i concetti relativi, è però discutibile fissare una volta per tutte la soglia superata la quale si arrivi alla gravità.

L’affermazione secondo cui un accertamento basato sugli studi di settore dovrebbe portare a un risultato di almeno 1/4 (o qualsiasi altro valore, ovviamente) superiore al dichiarato è immotivata e aprioristica. La lacuna normativa, dunque, sussiste, e sta proprio nel fatto che la norma non fissa una percentuale minima che consenta di rilevare la grave incongruenza. Tuttavia, è rinvenibile in altre norme tributarie un concetto similare, ovvero di grave sproporzione, previsto dall’art. 38, 6° comma, DPR 600/73, che legittima l’accertamento delle persone fisiche con il metodo sintetico qualora per due anni si registri uno scostamento, fra reddito dichiarato e reddito accertabile in base al ”redditometro“ e alla ”spesa globale”, pari almeno al 20%.

In definitiva, i Giudici di legittimità nella loro complessa attività giurisprudenziale hanno sostenuto che la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è per legge determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma deriva solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, che ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, oppure, se lo scostamento è da considerarsi al di sotto della soglia del 20%, si potrebbe dedurne che l’Agenzia non avrebbe titolo a procedere alla determinazione del nuovo reddito imponibile.

Ne consegue, seguendo la logica dei ragionamenti adottati, che in caso di scostamenti modici si può considerare l’illegittimità dell’avviso emesso per recuperare i maggiori ricavi e rideterminare il maggior valore della produzione e del volume di affari. Nel caso in esame l’atto impositivo del Fisco era stato ricevuto da una S.r.l. che aveva effettuato uno scostamento dell’8% rispetto agli standard dell’Agenzia. Gli Ermellini hanno prestato però l’attenzione sull’assenza di una incongruenza grave tra il dichiarato e lo studio applicato, stabilendo che “ … Infatti, come anche ribadito dalla Sezioni unite (sent. n. 26635/09), che rimarcando la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto n. 331/93, aggiunto dalla legge di conversione n. 427/93 – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, il menzionato art. 10 non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento solo in quanto già previsto dalla norma precedente, rispetto alla quale opera un rinvio <<secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale precedente, da parte di una norma speciale successiva che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare>>. In forza di tale tipologia di rinvio infatti l’art. 62 sexies risulta inserito ed assorbito nel successivo art. 10, sicché sul piano strutturale la successiva disposizione, recependo integralmente la previsione generale della norma precedente, ed in assenza di una disciplina derogatoria specifica sul punto, conferma la perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a “gravi incongruenze” (cfr Cass., sent. n. 20414/2014 cit., che regolando il caso sottoposto alla sua attenzione, riteneva non grave uno scostamento del 7% tra i ricavi dichiarati e i dati dello studio di settore applicato). Ebbene, ritornando all’esame del caso di specie, alla luce dei principi già enunciati dalla giurisprudenza, cui si intende dare continuità, l’argomento sostenuto dalla società contribuente e valorizzato nella sentenza impugnata, ossia la marginalità dello scostamento tra i ricavi dichiarati e i paradigmi applicabili in base allo studio di settore appropriato, e dunque la carenza della grave incongruenza richiesta dalla disciplina positiva, con uno scostamento anche in questo caso approssimativamente vicino all’8%, costituisce una valutazione operata correttamente dal giudice di merito, certamente coerente con la prioritaria tutela del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.Ne discende che, in assenza di ogni ulteriore riscontro allegato dalla Amministrazione a sostegno del maggior reddito attribuito con l’atto impositivo, la pronuncia è indenne sia da errores iuris in iudicando, sia da vizi motivazionali. In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 22 febbraio 2019, n. 5327

Sul ricorso 417 -2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le Rappresenta s e difende;

– ricorrente –

contro F.M. SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 771/2011 della COMM.TRIB.REG. SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 20/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/02/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELDERICI

Rilevato che

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 771/40/11, depositata il 20.12.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. staccata di Latina, di rigetto dell’appello dell’Ufficio avverso la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso della F.M. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento dei maggiori redditi determinati induttivamente mediante applicazione degli studi di settore.

Ha riferito che l’atto impositivo trovava genesi nel riscontro nell’Unico 2005 di ricavi dichiarati per l’anno d’imposta 2004 inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dello studio di settore relativo all’attività esercitata (segagione e lavorazione pietre di marmo), di cui all’art. 62 bis del d.l. n. 331 del 1993, conv. con modificazioni in I. n. 427 del 1993.

La contribuente era convocata ai fini dell’instaurazione del contraddittorio, in tale circostanza tuttavia non rappresentando all’Ufficio – a dire della ricorrente – alcuna giustificazione dello scostamento rilevato. Invitata alla allegazione di documentazione idonea, non produceva nulla, per cui all’esito della fase endoprocedimentale l’Amministrazione notificava l’avviso di accertamento.

Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone accoglieva il ricorso della società con sentenza n. 492/01/08. L’appello proposto dall’Ufficio avverso tale pronuncia era rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza ora al vaglio di questa Corte.

L’Ufficio censura la sentenza con due motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, degli artt. 39 co. 1, lett. d) e co. 2 lett. d-bis), nonché 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 54 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente affermato l’infondatezza dell’accertamento basato sui soli studi di settore, pur in assenza di qualunque giustificazione addotta dal contribuente nella fase del contraddittorio;

con il secondo per omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.

La società, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi.

Considerato che

I motivi, che possono trovare congiunto esame per essere tra loro connessi, non sono fondati.

Questa Corte ha affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, ai sensi dell’art. 62 bis e segg. del d.l. 331 del 1993, convertito in I. n. 427 del 1993, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio tuttavia non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., Sez. U, sent. n. 26635 del 2009; più di recente, 13908/2018; 9484/2017; 21754/2017; 14091/2017). A maggior chiarimento delle conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunché per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. sent. 21754/2017 cit.; da ultimo anche ord. n. 27617/2018). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c.

Ciò tuttavia, pur abilitando l’Amministrazione all’accertamento di un maggior reddito per il mancato allineamento dei ricavi allo studio di settore appropriatamente applicato, non esime il giudice da una analisi dei dati emergenti anche nel contenzioso instauratosi. Se infatti l’atto impositivo può legittimamente fare seguito all’emergere dello scostamento, ciò non è altrettanto sufficiente a vincolare il giudice quando nella fase del contradditorio endoprocedimentale il contribuente si sia limitato a rappresentare oralmente le ragioni giustificative di tale scostamento, oppure abbia inteso solo evidenziare la non gravità dello scostamento. Il concetto di “allegazione”, pur valorizzato dalla giurisprudenza, non deve essere infatti circoscritto al deposito di prove documentali o difese scritte, potendo essere sufficiente la rappresentazione orale delle proprie ragioni e delle proprie valutazioni, peraltro certamente riprodotte in un verbale, che riporti i risultati del contradditorio instaurato e per ciò stesso costituenti una difesa riportata in uno scritto. Saranno tali ragioni a costituire poi oggetto di giudizio critico in sede contenziosa da parte del giudice.

Ebbene la sentenza, dopo aver richiamato la norma di riferimento ossia quell’art. 62 sexies del d.l. 331 cit., che al comma 3 richiede la “grave incongruenza tra i ricavi ….e gli studi di settore”, e aver richiamato la giurisprudenza che esclude I’ automatismo dei coefficienti presuntivi attribuendo al giudice poteri di valutazione con riferimento alla specifica condizione del contribuente, nel rispetto del principio di capacità contributiva, afferma che <<nel caso specifico va rilevato che a seguito dell’incontro presso l’Agenzia delle Entrate venivano esposti verbalmente i motivi per cui i ricavi dichiarati si discostavano dai ricavi risultanti dallo studio di settore; in quell’occasione la società venne invitata a presentare per iscritto le motivazioni, ma per un disguido il documento non venne presentato. La società tiene comunque a precisare che a fronte di ricavi dichiarati di € 1.102.356,00 la differenza con l’applicazione degli studi di settore è solo di € 89.688,00 ed allega il bilancio dell’anno e degli anni successivi. L’ufficio di contro non dimostra alcunché tranne il trincerarsi sul fatto che gli studi di settore sono uno strumento assolutamente legittimo su cui fondare l’accertamento>>.

La motivazione, ancorché stringata, rivela una consapevole valutazione degli elementi essenziali utilizzati dalle rispettive parti a sostegno delle opposte posizioni, risultando peraltro indenne da carenze motivazionali, per contraddittorietà o insufficienza.

In particolare essa valorizza proprio il dato della assenza di una “incongruenza grave” tra il dichiarato e lo studio applicato.

Questa Corte, in una fattispecie analoga, ha già affermato che <<la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, rispetto alla quale costituisce uno strumento alternativo disponibile per l’Amministrazione finanziaria, proprio in quanto – al contrario di questa- è del tutto indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (Cass. 23096/12)>> (Cass., sent. n. 20414/2014).

Questo indirizzo non è stato pregiudicato neppure dall’art. 10, co. 1, della I. n. 146 del 1998.

Infatti, come anche ribadito dalla Sezioni unite (sent. n. 26635/09), che rimarcando la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto n. 331/93, aggiunto dalla legge di conversione n. 427/93 – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, il menzionato art. 10 non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento solo in quanto già previsto dalla norma precedente, rispetto alla quale opera un rinvio <<secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale precedente, da parte di una norma speciale successiva che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare>>. In forza di tale tipologia di rinvio infatti l’art. 62 sexies risulta inserito ed assorbito nel successivo art. 10, sicché sul piano strutturale la successiva disposizione, recependo integralmente la previsione generale della norma precedente, ed in assenza di una disciplina derogatoria specifica sul punto, conferma la perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a “gravi incongruenze” (cfr Cass., sent. n. 20414/2014 cit., che regolando il caso sottoposto alla sua attenzione, riteneva non grave uno scostamento del 7% tra i ricavi dichiarati e i dati dello studio di settore applicato).

Ebbene, ritornando all’esame del caso di specie, alla luce dei principi già enunciati dalla giurisprudenza, cui si intende dare continuità, l’argomento sostenuto dalla società contribuente e valorizzato nella sentenza impugnata, ossia la marginalità dello scostamento tra i ricavi dichiarati e i paradigmi applicabili in base allo studio di settore appropriato, e dunque la carenza della grave incongruenza richiesta dalla disciplina positiva, con uno scostamento anche in questo caso approssimativamente vicino all’8%, costituisce una valutazione operata correttamente dal giudice di merito, certamente coerente con la prioritaria tutela del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

Ne discende che, in assenza di ogni ulteriore riscontro allegato dalla Amministrazione a sostegno del maggior reddito attribuito con l’atto impositivo, la pronuncia è indenne sia da errores iuris in iudicando, sia da vizi motivazionali.

In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato.

Considerato che:

La mancata costituzione della società esonera questo Collegio dalla regolamentazione delle spese di causa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

 

 

 

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