CASSAZIONE EUROPA

Trasferimento di società in ambito europeo: l’applicazione della legge italiana può contrastare la libertà di stabilimento

Rinvio pregiudiziale – Articoli 49 e 54 del TFUE – Libertà di stabilimento – Società stabilita in uno Stato membro ma che svolge la propria attività in un altro Stato membro – Funzionamento e gestione della società – Normativa nazionale che prevede l’applicazione della legge dello Stato membro in cui una società svolge la propria attività – Restrizione alla libertà di stabilimento – Giustificazione – Tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti – Lotta contro le pratiche abusive e le costruzioni artificiose – Proporzionalità

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 25 aprile 2024 relativa alla causa C-276/22, intervenendo su una questione di diritto generale che regola la fattispecie del trasferimento delle società in ambito europeo, ha reputato inammissibile una normativa nazionale che applichi in via generale le proprie norme agli atti di gestione di una società stabilita in altro Stato membro per il fatto di svolgere la maggior parte delle attività nel primo Stato membro, statuendo che gli articoli 49 e 54, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) devono essere interpretati come ostacoli alla normativa di uno Stato membro che prevede, in via generale, l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro.

In sintesi, i giudici europei hanno decretato che l’applicazione della legge italiana nel caso di trasferimento di società in un altro Stato membro ostacola la libertà di stabilimento nello spazio Ue,  spiegando anche che, in forza del diritto alla libertà di stabilimento, gli atti di gestione di una società che si sia trasferita da uno Stato membro (Italia) a un altro (Lussemburgo) non possono essere regolati dalla legge italiana: e questo anche nei casi in cui l’attività sia svolta, in via principale, nel primo Stato.

La Corte europea ha così risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Cassazione italiana nell’ambito di una causa che verteva sulla egittimità del trasferimento della proprietà di un complesso immobiliare, alla luce di quanto previsto dalla normativa italiana in materia.

In sostanza, gli Ermellini avevano sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: “…  Se gli articoli 49 e 54 [TFUE] ostano al caso in cui uno Stato membro in cui è stata originariamente costituita una società (a responsabilità limitata) applichi a tale società le disposizioni del diritto nazionale relative al funzionamento e alla gestione di [tale] società in cui la società , dopo aver trasferito la sede sociale e ricostituito la società secondo il diritto dello Stato membro di destinazione, mantiene la sede principale nello Stato membro di origine e l’atto di gestione in questione ha un effetto determinante sull’attività della società”.

I fatti della questione erano sorti quando una società italiana, con una diversa denominazione sociale, aveva trasferito la propria sede legale in Lussemburgo trasformandosi in un’entità giuridica lussemburghese. In altre parole, nella causa il giudice del rinvio chiede alla Corte se gli articoli 49 e 54, TFUE ostino a che gli atti di gestione di una società che si trovi nella situazione della STE siano disciplinati dal diritto italiano, facendo riferimento alla circostanza che tale società è stata costituita come società di uno Stato membro, la Repubblica italiana, e che essa ha successivamente trasferito la propria sede sociale e si è costituita secondo il diritto di un altro Stato membro, il Lussemburgo, pur mantenendo il centro della propria attività nel primo Stato membro.

Come noto, i Trattati istitutivi della Comunità europea pongono tra gli obiettivi dell’integrazione europea la realizzazione di un mercato interno nel quale sia “ assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali” (art. 26, TFUE). Per ciò che attiene l’iniziativa economica privata e la circolazione dei capitali, in particolare, l’affermazione di tale mercato unico richiede il pieno riconoscimento della cosiddetta libertà di stabilimento, comunemente intesa come il diritto di trasferirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine, al fine di esercitarvi una qualsiasi forma di attività economica, di natura non subordinata, alle stesse condizioni normative stabilite dal Paese di destinazione per i propri cittadini.

Tale nozione è delineata dall’art. 49, par. 2, del TFUE, in virtù del quale la libertà di stabilimento che recita“… importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini”.

Il principio in parola trova pacificamente applicazione non solo nei confronti dei cittadini europei, ma anche delle società commerciali che, se costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro vengono equiparate ai primi, diventando così fondamentali centri d’imputazione delle libertà sancite dal diritto europeo delle società e, in particolare, di questa sorta di “ libertà di circolazione intracomunitaria dell’impresa e dell’iniziativa economica privata”.

Al diritto di stabilimento è dedicato, infatti, il CAPO 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dove tra le disposizioni fondamentali che hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri vi sono proprio quegli articoli accennati che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro e garantiscono alle società aventi la loro residenza nell’Unione europea la libertà di stabilimento nel territorio della Comunità.

Per libertà di stabilimento essenzialmente si intende il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza e, per le persone giuridiche (art. 54, TFUE), occorre ricordare la  Sent. CGCE 27/9/1988, causa 81/87, Daily Mail, che tra l’altro disponeva “ … secondo il trattato, la diversità delle legislazioni nazionali sul criterio di collegamento previsto per le loro società nonché sulla facoltà, ed eventualmente le modalità, di un trasferimento della sede, legale o reale, di una società di diritto nazionale da uno SM all’altro costituisce un problema la cui soluzione non si trova nelle norme sul diritto di stabilimento, dovendo invece essere affidata ad iniziative legislative o pattizie, tuttavia non ancora realizzatesi”.

Ricordiamo anche che a grandi linee sono previste diverse forme di  libertà di stabilimento, intendendo quella primaria, che si ha quando un cittadino di uno Stato membro si stabilisce in via definitiva in un altro stato per intraprendere un’attività imprenditoriale; diversamente, si ha libertà di stabilimento secondaria quando  un cittadino, già stabilito in uno Stato membro, esercita un’attività secondaria in un altro paese della CE. Al riguardo ricordiamo che in ambito nazionale, l’articolo 25 della legge 218/1995 – Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (GURI n. 128 del 3 giugno 1995) – prevede che le società, le associazioni, le fondazioni e ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione.

Si applica tuttavia la legge italiana quando la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti. Inoltre, i trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati. Per di più l’articolo 2381, secondo comma, del codice civile così dispone al riguardo: “… Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti”.

A questo punto la Corte Europea è stata anche chiamata a determinare se la normativa italiana costituisse una particolare restrizione alla libertà di stabilimento, come disposto dagli articoli 43-48 del Trattato della Comunità Europea, che concedono la libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro in un altro Stato membro.

Andava chiarito, secondo quanto risultava dall’ordinanza di remissione proposta dalla Cassazione, se la costituzione della società, avvenuta come una società lussemburghese, comportasse l’assoggettamento al diritto lussemburghese degli atti di gestione di tale società, che aveva tuttavia mantenuto il centro della propria attività in Italia. Attualmente, secondo l’articolo 25 della legge  218/1995, le società stabilite in un altro Stato membro che svolgono la parte principale delle loro attività in Italia devono rispettare, nella realizzazione dei loro atti di gestione, oltre agli obblighi eventualmente derivanti dal diritto del loro Stato membro di stabilimento, il diritto italiano.

Di conseguenza la Cassazione chiedeva alla Corte di Giustizia se, ai sensi degli articoli 49 e 54, TFUE, fosse ammissibile la normativa di uno Stato membro che, come quella italiana, porta ad applicare il suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro, ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro. Nell’ordinanza di rinvio, però la Cassazione non aveva indicato le ragioni che avrebbero potuto giustificare la restrizione alla libertà di stabilimento.

Rammentiamo, infatti, che il diritto di stabilimento include il diritto di svolgere attività indipendenti, nonché di avviare e gestire imprese al fine di esercitare un’attività permanente su base stabile e continuativa, alle stesse condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini.

Tale libertà di stabilimento comporta, infine, la costituzione e la gestione di tali società alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento per le proprie società (Corte di giustizia Ue, causa C-106/16, sentenza del 25 ottobre 2017).

Le società hanno pertanto il diritto di svolgere la loro attività in un altro Stato membro e la localizzazione della loro sede sociale, della loro amministrazione centrale o del loro centro di attività principale serve a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato membro (Corte di giustizia Ue, causa C-208/00, sentenza del 5 novembre 2002).

Difatti, la Corte di giustizia nell’esamina dell’argomento ha in primo luogo richiamato la giurisprudenza resa dai giudici europei riguardante la disciplina dell’articolo 49, TFUE in combinato disposto con l’articolo 54, TFUE che accordano il beneficio della libertà di stabilimento alle società costituite in conformità alla legislazione di uno Stato membro e con la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione europea.

Le leggi nazionali, in buona sostanza, potrebbero determinare una restrizione significativa della libertà di stabilimento e, come si legge infatti nella decisione odierna, tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attrattivo l’esercizio di tale libertà (Corte di giustizia Ue, causa C-442/02, sentenza del 5 ottobre 2004). Pertanto, a parere della Corte non dovrebbero sussistere, in ambito europeo, impedimenti al riconoscimento della continuità giuridica delle società in sede di trasferimento da un Paese europeo a un altro.

Dunque, per la Corte di Giustizia una normativa come quella oggi in esame (legge n. 218/1995)  avrebbe potuto rendere più difficile la gestione societaria, obbligandola a conformarsi ai requisiti imposti da entrambi i diritti. Peraltro l’articolo 49, paragrafo 1, TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, comprese quelle relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali. 

L’art 49 (ex articolo 43 del TCE) così recita: “ …  Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”.

La pronuncia odierna appare quindi pienamente in linea con le recenti sentenze della Corte europea (v. ex multis Sent. Nona Sezione, 10 novembre 2022, nella causa C-414/21).

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, essa ha inizio quando una società italiana che gestiva un immobile di  grande valore aveva modificato il proprio nome e trasferito la propria sede legale in Lussemburgo, trasformandosi in un’entità giuridica lussemburghese.

Risultava dagli atti che la società era stata costituita nel 2004 come società lussemburghese, aveva la propria sede sociale in Lussemburgo e svolgeva la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro, ossia in Italia: pertanto, la situazione di tale società e, in particolare, gli atti di gestione da essa adottati in relazione alle attività in Italia, rientravano nell’ambito della libertà di stabilimento.

La società aveva successivamente nominato un’amministratrice delegata che, a sua volta, aveva incaricato un mandatario generale di compiere tutte le azioni e operazioni necessarie: in seguito, la proprietà dell’immobile era stata ceduta e successivamente trasferita a un’altra società italiana. La società lussemburghese si era rivolta al Tribunale di Roma per chiedere l’annullamento dei due trasferimenti di proprietà, sostenendo che l’attribuzione di poteri fosse illegittima ai sensi del diritto italiano. Il Tribunale di Roma, in primo grado, aveva giudicato regolare tale attribuzione ma la Corte d’appello successivamente adita aveva riformato la sentenza. Da qui il ricorso davanti alla Corte di Cassazione, che aveva deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia Ue.

Dalle memorie presentate a nome del Governo italiano, in sintesi  emergeva che la restrizione alla libertà di stabilimento era giustificata dall’obiettivo di tutela dei soci, dei creditori, dei dipendenti e dei terzi. L’applicazione della normativa italiana era quindi dovuta unicamente al fatto che l’attività si svolgeva in Italia, ma non era stata fornita alcuna prova dell’eventuale rischio di creditori o lavoratori. La decisione della Corte Ue non ha condiviso tali orientamenti, ritenendo invece che la normativa nazionale risultava eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela degli interessi menzionati, affermando quanto segue: “.. Invia preliminare, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare la questione ad essa sottoposta. A tale proposito, la Corte può trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice del rinvio e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto del procedimento principale

[sentenza del 16 febbraio 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid
(Figlio in gestazione al momento della domanda di asilo), C-745/21,
EU:C:2023:113, punto 43]

. 19. Nella presente causa, il giudice del rinvio chiede alla Corte se gli articoli 49 e 54 TFUE ostino a che gli atti di gestione di una società che si trovi nella situazione della STE siano disciplinati dal diritto italiano, facendo riferimento alla circostanza che tale società è stata costituita come società di uno Stato membro, ossia la Repubblica italiana, e che essa ha successivamente trasferito la propria sede sociale e si è costituita secondo il diritto di un altro Stato membro, ossia il Granducato di Lussemburgo, pur mantenendo il centro della propria attività nel primo Stato membro. 20 Orbene, dalle informazioni di cui dispone la Corte, che spetta al giudice del rinvio verificare, risulta che non è stata imposta alcuna restrizione in occasione di tale trasferimento e di tale trasformazione societaria. 21Poiché il trasferimento della sede sociale e la trasformazione della società italiana STA nella società lussemburghese STE non fanno quindi parte delle circostanze pertinenti al fine di rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre riformulare la questione pregiudiziale nel senso che tale giudice chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 54 TFUE ostino alla normativa di uno Stato membro che prevede, in via generale, l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro. 22 A tale riguardo, occorre, in primo luogo, stabilire se la situazione di cui trattasi nel procedimento principale rientri nell’ambito della libertà di stabilimento. 23 L’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, accorda il beneficio della libertà di stabilimento alle società costituite in conformità alla legislazione di uno Stato membro e con la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione europea (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 32). 24 In virtù dell’articolo 49, secondo comma, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, la libertà di stabilimento delle società citate in quest’ultimo articolo comporta, in particolare, la costituzione e la gestione di tali società alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento per le proprie società (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 33). 25 Peraltro, dette società hanno il diritto di svolgere la loro attività in un altro Stato membro, e la localizzazione della loro sede sociale, della loro amministrazione centrale o del loro centro di attività principale serve a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2002, Überseering, C-208/00, EU:C:2002:632, punto 57). 26 In assenza di uniformazione nel diritto dell’Unione, la definizione del criterio di collegamento che determina il diritto nazionale applicabile ad una società rientra, conformemente all’articolo 54 TFUE, nella competenza di ciascuno Stato membro, avendo tale articolo posto sullo stesso piano la sede sociale, l’amministrazione centrale e il centro d’attività principale di una società come criteri di collegamento (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 34). 27 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta, innanzitutto, che la STE è stata costituita nel 2004 come società lussemburghese, inoltre, che tale società ha la propria sede sociale in Lussemburgo e, infine, che essa svolge la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro, ossia la Repubblica italiana. 28 Alla luce della giurisprudenza di cui ai punti da 23 a 26 della presente sentenza, si deve ritenere che la situazione di tale società e, in particolare, gli atti di gestione da essa adottati in relazione alle attività che svolge in Italia rientrino nell’ambito della libertà di stabilimento. 29 Ciò premesso, occorre determinare, in secondo luogo, se la normativa di uno Stato membro che prevede l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro in ragione del fatto che tale società svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento. 30 Devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’articolo 49 TFUE, tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attrattivo l’esercizio di tale libertà (sentenze del 5 ottobre 2004, CaixaBank France, C-442/02, EU:C:2004:586, punto 11, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 46). 31 Orbene, occorre rilevare che una normativa di uno Stato membro, ai sensi della quale le società stabilite in un altro Stato membro che svolgono la parte principale delle loro attività nel primo Stato membro devono rispettare, nella realizzazione dei loro atti di gestione, oltre agli obblighi eventualmente derivanti dal diritto del loro Stato membro di stabilimento, il diritto del primo Stato membro, potrebbe rendere più difficile la gestione di tali società, in quanto potrebbe obbligarle a conformarsi ai requisiti imposti da entrambi tali diritti. 32 Ne consegue che una siffatta normativa può rendere meno attrattivo l’esercizio della libertà di stabilimento e costituisce, di conseguenza, un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento. 33 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che la STE è una società di diritto lussemburghese, la cui sede sociale si trova in Lussemburgo. Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio risulta altresì che, per quanto riguarda i suoi atti di gestione, l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, della legge n. 218/1995 assoggetta tale società al diritto italiano, per il solo motivo che essa svolge la parte principale delle sue attività in Italia. 34 In tali circostanze, una società che si trovi nella situazione della STE potrebbe essere assoggettata, cumulativamente, tanto al diritto lussemburghese quanto al diritto italiano. Orbene, una siffatta applicazione cumulativa del diritto di due Stati membri può rendere più difficile la gestione di tale società. 35 Occorre pertanto analizzare, in terzo luogo, se una restrizione alla libertà di stabilimento risultante da una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale possa essere nondimeno giustificata. 36 Risulta da costante giurisprudenza che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Occorre inoltre che essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo da essa perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer, C-446/03, EU:C:2005:763, punto 35, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 52). 37 Al riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che il giudice del rinvio non indica le ragioni che giustifichino la restrizione alla libertà di stabilimento derivante dall’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, della legge n. 218/1995 agli atti di gestione di una società validamente costituita in virtù del diritto di un altro Stato membro e che svolge la parte principale delle sue attività sul territorio italiano. Tali indicazioni non risultano neppure dal tenore letterale di detta disposizione né da quello dell’articolo 2381 del codice civile. 38 Per contro, dalle memorie del governo italiano risulta, sotto un primo profilo, che la restrizione alla libertà di stabilimento di cui trattasi è giustificata dall’obiettivo di tutela dei soci, dei creditori, dei dipendenti e dei terzi. 39 A tal proposito, va ricordato che la tutela degli interessi dei creditori, dei lavoratori e dei soci di minoranza figura tra i motivi imperativi d’interesse generale riconosciuti dalla Corte (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 54 e giurisprudenza ivi citata). 40 Pertanto, gli articoli 49 e 54 TFUE non ostano, in linea di principio, a misure di uno Stato membro dirette a far sì che gli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori di una società, che è stata costituita conformemente al diritto di un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel territorio nazionale, non siano indebitamente lesi. 41 Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 36 della presente sentenza, la restrizione di cui trattasi nel procedimento principale deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di tutela dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori e non deve eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo. 42 Orbene, se l’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, della legge n. 218/1995 dovesse essere interpretato nel senso di implicare che qualsiasi atto di gestione di una società validamente costituita secondo il diritto di un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia debba essere assoggettato alla normativa italiana, non sarebbe possibile verificare l’esistenza, in un caso concreto, di un rischio di lesione degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza o dei lavoratori. Infatti, occorre precisare che tale rischio può dipendere, in particolare, dal tipo di atto adottato e variare in funzione della composizione dell’assetto societario della società di cui trattasi. Inoltre, la normativa dello Stato membro in cui si è costituita la società in questione può aver preso in considerazione tali interessi, circostanza di cui l’applicazione automatica della normativa italiana non consente di tener conto. 43 Ciò considerato, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela degli interessi menzionati al punto 39 della presente sentenza. 44 Sotto un secondo profilo, il governo italiano sostiene che la normativa nazionale di cui al procedimento principale mira a contrastare le pratiche abusive, ostacolando comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica. 45 A tal proposito, occorre ricordare che gli Stati membri possono certamente adottare tutte le misure tali da prevenire o sanzionare le frodi (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 38, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 61). 46 Peraltro, la repressione della frode e dell’evasione fiscale può giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE a condizione che l’obiettivo specifico della restrizione stessa sia di impedire condotte consistenti nella creazione di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 55, nonché del 20 gennaio 2021, Lexel, C-484/19, EU:C:2021:34, punto 49).  47 Tuttavia, la Corte ha statuito, da un lato, che il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 27, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 40). 48 Dall’altro lato, la mera circostanza che una società, pur avendo la propria sede in uno Stato membro, svolga la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 63). 49 Orbene, nel caso di specie, se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale dovesse essere interpretata nel senso che impone l’applicazione sistematica della legge italiana a qualsiasi atto di gestione di una società avente sede in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia, essa equivarrebbe a introdurre una presunzione secondo cui i comportamenti di tale società sarebbero abusivi. Alla luce delle considerazioni esposte ai punti 47 e 48 della presente sentenza, una normativa di questo tipo sarebbe sproporzionata (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 64). 50 Considerato quanto precede, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che gli articoli 49 e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro che prevede, in via generale, l’applicazione del suo diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro. Sulle spese 51  Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: Articoli 49 e 54 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro che prevede in generale l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro.

Corte di Giustizia dell’Unione europea

Sentenza del 25 aprile 2024 relativa alla causa C-276/22

(Rinvio pregiudiziale – Articoli 49 e 54 TFUE – Libertà di stabilimento – Società stabilita in uno Stato membro ma che esercita la propria attività in un altro Stato membro – Funzionamento e gestione della società – Normativa nazionale che prevede l’applicazione della legge di Stato membro in cui la società esercita la propria attività – Restrizione alla libertà di stabilimento – Giustificazione – Tutela degli interessi dei creditori, degli azionisti di minoranza e del personale – Prevenzione delle pratiche abusive e delle costruzioni artificiose – Proporzionalità)

Nella causa C‑276/22

DOMANDA DI pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE proposta dalla Corte suprema di cassazione, Italia, con decisione dell’11 aprile 2022, pervenuta in cancelleria il 22 aprile 2022, nel procedimento

Edil Lavoro 2 Srl,

ST S.r.l

STE Sarl,

parte interveniente:

CM,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe (relatore), presidente di sezione, L. Bay Larsen, vicepresidente della Corte, facente funzione di giudice della Terza Sezione, N. Piçarra, N. Jääskinen e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: L. Medina,

Cancelliere: M. Krausenböck, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza dell’11 luglio 2023,

considerate le osservazioni presentate per conto di:

– Edil Work 2 Srl e ST Srl, da R. Vaccarella, avvocato,

– STE Sàrl, da A. Pontecorvo e P. Sammarco, avvocati,

– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, e F. Meloncelli, avvocato dello Stato,

– per la Commissione europea, da G. Braun, L. Malferrari e M. Mataija, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale nell’udienza del 19 ottobre 2023,

dà quanto segue

Giudizio

1 La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 49 e 54 TFUE.

2 La domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento tra Edil Work 2 Srl e ST Srl, da un lato, e STE Sàrl, dall’altro, vertente sulla liceità del trasferimento di proprietà del complesso immobiliare denominato ‘Castello di Tor Crescenza ‘ (“il Castello”) a favore delle prime due società.

Contesto giuridico

Diritto dell’Unione Europea

3 Ai sensi del considerando 2 della direttiva (UE) 2019/2121 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 per quanto riguarda le trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere (GU L 321, pag. 1):

«La libertà di stabilimento è uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione. Ai sensi dell’articolo 49 [TFUE], secondo comma, in combinato disposto con l’articolo 54 [TFUE], la libertà di stabilimento delle società comprende, inter alia, il diritto di costituire e gestire tali società o imprese alle condizioni previste , dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento. Ciò è stato interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel senso che comprende il diritto di una società costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro di trasformarsi in una società o impresa disciplinata dalla legge di un altro Stato membro, a condizione che che siano soddisfatte le condizioni previste dalla normativa di detto altro Stato membro e, in particolare, che sia soddisfatto il criterio adottato da quest’ultimo Stato membro per determinare il collegamento di una società con il proprio ordinamento giuridico nazionale».

Legge italiana

4 Articolo 25 della legge n. 218 – Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (legge n. 218 di riforma dell’ordinamento italiano di diritto internazionale privato) del 31 maggio 1995 (GURI n. 128 del 3 giugno 1995, pag. 1; «legge n. 218/1995» ) fornisce:

‘1. Le società, le associazioni, le fondazioni e ogni altro ente pubblico o privato, anche non di natura associativa, sono regolati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stata compiuta la relativa procedura di costituzione. Tuttavia, si applica la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia o se l’oggetto principale di tali enti è situato in Italia.

2. La legge che regola tali enti è disciplinata, in particolare:

a) forma giuridica;

(b) denominazione commerciale o ragione sociale;

(c) costituzione, trasformazione e scioglimento;

d) capacità;

(e) istituzione degli organi sociali e relativi poteri e modalità operative;

(f) rappresentanza dell’entità;

g) procedure per l’acquisizione e la perdita dello status di azionista o socio, nonché diritti e obblighi inerenti a tale status;

(h) la responsabilità per le obbligazioni dell’ente;

(i) conseguenze di violazioni della legge o degli atti costitutivi.

3. I trasferimenti della sede sociale in altro Stato e le fusioni di enti aventi sede in Stati diversi hanno effetto solo se effettuati in conformità alle leggi di tali Stati».

5 L’articolo 2381, secondo comma, del Codice civile così recita:

“Se lo statuto o l’assemblea generale lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare i suoi poteri ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi membri, o ad uno o più dei suoi membri.”

 Causa principale e questione pregiudiziale

6 Il Castello, nei pressi di Roma (Italia), costituiva il patrimonio esclusivo dell’Agricola Torcrescenza Srl, società la cui attività consisteva nella gestione di tale immobile. Nel 2004, tale società, da un lato, ha cambiato denominazione in STA Srl e, dall’altro, ha trasferito la propria sede legale in Lussemburgo, dove è stata trasformata in una società lussemburghese, STE, pur continuando a gestire il Castello.

7 Nel 2010, in occasione dell’assemblea generale straordinaria della STE tenutasi a Lussemburgo, la SB è stata nominata amministratore unico. In tale occasione, l’SB nominò procuratore generale FF, che non era né azionista né membro del consiglio di amministrazione della STE, conferendogli il potere di compiere «tutti gli atti e le operazioni necessarie, senza eccezione né esclusione, ma in ogni caso nell’ambito dell’oggetto sociale» («il conferimento di poteri controverso»).

8 Nel 2012, FF, agendo in nome e per conto della STE, ha trasferito la proprietà del Castello alla ST, che lo ha successivamente ceduto alla Edil Work 2. Nel 2013, la STE ha proposto ricorso contro la ST e la Edil Work 2 dinanzi al Tribunale di Roma (Tribunale distrettuale di Roma, Italia), chiedendo l’annullamento dei due trasferimenti di proprietà del Castello, in quanto il conferimento di poteri controverso era illegittimo secondo il diritto italiano.

9 Il Tribunale di Roma ha ritenuto legittimo il conferimento di poteri controverso e ha respinto il ricorso. Poiché la sentenza di tale giudice è stata riformata dalla Corte d’appello di Roma, la Edil Work 2 e la ST hanno proposto ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione, la quale è il giudice del rinvio.

10 Il giudice del rinvio precisa che dall’articolo 25, comma 3, della legge n. 218/1995 risulta che la legge italiana autorizza la trasformazione di società o imprese italiane in società o imprese straniere, mediante trasferimento della sede sociale presso altro Stato membro Stato membro, a condizione che il trasferimento sia valido sia nello Stato membro di origine che in quello di destinazione.

11 Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, si pone la questione se la costituzione della STE come società lussemburghese significhi che gli atti di gestione di tale società, che pur mantiene la propria sede in Italia, debbano essere soggetti al diritto lussemburghese.

12 A tal riguardo, detto giudice precisa, in primo luogo, che il criterio generale per determinare la legge applicabile al conferimento di poteri in questione è, ai fini dell’articolo 25, comma 1, della legge n. 218/1995, quello del luogo in cui la società è stata costituita.

13 Ai sensi della seconda frase di tale disposizione, il diritto italiano si applica alle società il cui «oggetto principale» è situato in Italia. Secondo il giudice del rinvio, poiché la sede della STE, vale a dire il Castello, suo unico bene, è situata in Italia, la legge applicabile al conferimento di poteri controverso è la legge italiana.

14 Inoltre, ai sensi dell’art. 2381, secondo comma, del codice civile, il consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata può delegare i propri poteri soltanto ai membri di tale consiglio. Pertanto, il conferimento di tali poteri ad un soggetto esterno alla società è illegittimo.

15 Il giudice del rinvio rileva, in secondo luogo, che, secondo la giurisprudenza della Corte, la libertà di stabilimento comprende il diritto di una società costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro di trasformarsi in una società o impresa di un altro Stato membro, a condizione che siano soddisfatte le condizioni previste dalla legislazione di tale altro Stato membro e, in particolare, che sia soddisfatto il criterio di collegamento previsto da detto altro Stato membro. Ne consegue che il fatto che venga trasferita soltanto la sede sociale, e non l’amministrazione centrale o la sede principale di attività, non esclude di per sé l’applicabilità della libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE.

16 Inoltre, secondo tale disposizione, la libertà di stabilimento comprende non solo il diritto di stabilimento, ma anche il diritto di «gestire imprese». Le attività di gestione dovrebbero essere esercitate, conformemente al considerando 2 della direttiva 2019/2121, alle condizioni previste dal diritto dello Stato membro di stabilimento, che nella fattispecie è il Granducato di Lussemburgo.

17 Ciò premesso, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli articoli 49 e 54 [TFUE] ostano al caso in cui uno Stato membro in cui è stata originariamente costituita una società (a responsabilità limitata) applichi a tale società le disposizioni del diritto nazionale relative al funzionamento e alla gestione di [tale] società in cui la società , dopo aver trasferito la sede sociale e ricostituito la società secondo il diritto dello Stato membro di destinazione, mantiene la sede principale nello Stato membro di origine e l’atto di gestione in questione ha un effetto determinante sull’attività della società».

Esame della questione pregiudiziale

18 Va preliminarmente rilevato che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura istituita dall’articolo 267 TFUE che prevede la cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale con una risposta che gli sarà utile e gli consentirà di decidere sulla causa di cui è investito. Pertanto, se necessario, la Corte potrebbe dover riformulare la questione sottopostale. A tal fine, la Corte può estrarre da tutte le informazioni fornite dal giudice nazionale, in particolare dalla motivazione dell’ordinanza di rinvio, i punti del diritto dell’Unione che necessitano di interpretazione alla luce dell’oggetto della controversia nel procedimento principale (sentenza del 16 febbraio 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nascituro al momento della domanda di asilo), C-745/21, EU:C:2023:113, punto 43).

19 Nel caso di specie, il giudice del rinvio chiede alla Corte se gli articoli 49 e 54 TFUE ostino a che gli atti di gestione di una società nella situazione della STE siano disciplinati dal diritto italiano, con riferimento al fatto che tale società è stata costituita come società società di uno Stato membro, vale a dire la Repubblica italiana, e ha poi trasferito la propria sede legale ed è stata costituita secondo il diritto di un altro Stato membro, vale a dire il Granducato del Lussemburgo, pur mantenendo la propria sede principale di attività nel primo Stato membro.

20 Risulta dagli elementi di cui dispone la Corte, che spetta al giudice del rinvio verificare, che al momento di tale trasferimento e della trasformazione della società non sono state imposte restrizioni.

21 Poiché il trasferimento della sede sociale e la trasformazione della società italiana STA nella società lussemburghese STE non rientrano tra le circostanze rilevanti ai fini della risposta alla questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre riformulare la questione pregiudiziale una domanda di pronuncia pregiudiziale nel senso che detto giudice chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 54 TFUE ostino ad una normativa di uno Stato membro che preveda in generale l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma svolgendo la maggior parte delle sue attività nel primo Stato membro.

22 A tal riguardo occorre verificare, in primo luogo, se la situazione di cui al procedimento principale rientri nella libertà di stabilimento.

23 L’articolo 49 TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, estende il beneficio della libertà di stabilimento alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede legale, l’amministrazione centrale o la sede principale di attività all’interno dello Unione europea (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 32).

24 Ai sensi dell’articolo 49, secondo comma, TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, la libertà di stabilimento delle società contemplate da quest’ultimo articolo comprende, in particolare, il diritto di costituire e gestire tali società o imprese alle condizioni previste, dalla normativa dello Stato membro in cui avviene tale stabilimento, per le proprie società o imprese (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 33).

25 Inoltre, tali società o ditte hanno il diritto di esercitare la propria attività in un altro Stato membro, l’ubicazione della loro sede legale, della loro amministrazione centrale o del luogo di attività principale serve a determinare la loro connessione con l’ordinamento giuridico di un determinato Stato membro nello stesso così come avviene per la nazionalità nel caso di una persona fisica (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2002, Überseering, C-208/00, EU:C:2002:632, punto 57).

26 In assenza di armonizzazione del diritto dell’Unione, la definizione del criterio di collegamento che determina la legge nazionale applicabile ad una società rientra, ai sensi dell’articolo 54 TFUE, nelle competenze di ciascuno Stato membro, avendo tale articolo posto a carico sullo stesso piano la sede legale, l’amministrazione centrale e la sede principale di attività di una società in quanto tali elementi di collegamento (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 34).

27 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta, da un lato, che la STE è stata costituita nel 2004 come società lussemburghese, in secondo luogo, che tale società ha sede in Lussemburgo e, in terzo luogo, che esercita la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro, vale a dire la Repubblica italiana.

28 Alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti da 23 a 26 supra, si deve considerare che la situazione di tale società e, in particolare, gli atti di gestione da essa adottati rispetto alle attività da essa svolte in Italia, sono coperti dalla libertà di stabilimento.

29 In tali circostanze, occorre verificare, in secondo luogo, se la normativa di uno Stato membro che prevede l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di direzione di una società stabilita in un altro Stato membro, in quanto tale società svolge la maggior parte delle sue attività nel primo Stato membro, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.

30 Devono essere considerate restrizioni a tale libertà, ai sensi dell’articolo 49 TFUE, tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento (sentenze del 5 ottobre 2004, CaixaBank France, C-442/02, EU:C:2004:586, punto 11, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 46).

31 È importante rilevare che la normativa di uno Stato membro che prevede che le società stabilite in un altro Stato membro che svolgono la maggior parte delle loro attività nel primo Stato membro debbano conformarsi, nell’esercizio dei loro atti di gestione, alla legge dello Stato membro primo Stato membro, nonché gli eventuali obblighi derivanti dalla legge del loro Stato membro di stabilimento, potrebbero rendere più difficile la gestione di tali società, poiché esse potrebbero essere costrette a rispettare i requisiti imposti da questi due gruppi di norme.

32 Ne consegue che una normativa del genere è idonea a rendere meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento e costituisce quindi un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento.

33 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la STE è una società lussemburghese con sede in Lussemburgo. Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio risulta anche che, per quanto riguarda gli atti di gestione, l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, della legge n. 218/1995 assoggetta tale società al diritto italiano, per il solo motivo che svolge la maggior parte delle sue attività in Italia.

34 Pertanto, una società nella situazione della STE potrebbe essere soggetta, cumulativamente, tanto al diritto lussemburghese quanto al diritto italiano. Una siffatta applicazione cumulativa del diritto di due Stati membri può rendere più difficile la gestione di tale società.

35 Occorre quindi analizzare, in terzo luogo, se una restrizione alla libertà di stabilimento derivante da una normativa come quella di cui al procedimento principale possa tuttavia essere giustificata.

36 Secondo costante giurisprudenza, una restrizione alla libertà di stabilimento è ammissibile solo se è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. È inoltre necessario che esso sia idoneo a garantire il raggiungimento dell’obiettivo in questione e non vada al di là di quanto necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer, C-446/ 03, EU:C:2005:763, punto 35, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 52).

37 A tal riguardo, va preliminarmente rilevato che il giudice del rinvio non espone le ragioni che potrebbero giustificare la restrizione alla libertà di stabilimento comportata dall’applicazione dell’articolo 25, comma 1, seconda frase, della legge n. /1995 agli atti di amministrazione di una società validamente costituita secondo il diritto di un altro Stato membro ed esercitante la parte preponderante della propria attività in Italia. Siffatte informazioni non risultano né dal tenore letterale di tale disposizione né da quello dell’art. 2381 del codice civile.

38 Per contro, dalle memorie del governo italiano risulta, in primo luogo, che la restrizione alla libertà di stabilimento controversa è giustificata dall’obiettivo di tutela degli azionisti, dei creditori, del personale e dei terzi.

39 A tal proposito, occorre ricordare che la Corte ha riconosciuto tra motivi imperativi di interesse generale la tutela degli interessi dei creditori, del personale e degli azionisti di minoranza (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 54 e giurisprudenza ivi citata). 

40 Pertanto, gli articoli 49 e 54 TFUE non ostano, in linea di principio, ai provvedimenti di uno Stato membro diretti a garantire che gli interessi dei creditori, degli azionisti di minoranza e del personale di una società costituita conformemente al diritto di un altro Stato membro Stato ma esercita la maggior parte delle sue attività sul territorio nazionale non sono impropriamente pregiudicati.

41 Tuttavia, secondo la giurisprudenza citata al punto 36 supra, la restrizione di cui al procedimento principale deve essere idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo di tutela dei creditori, degli azionisti di minoranza e del personale e non deve eccedere quanto necessario per raggiungere quell’obiettivo.

42 Se l’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, della legge n. L’Italia dovesse essere soggetta alla legislazione italiana, non sarebbe possibile accertare se, nel caso specifico, sussista il rischio che gli interessi dei creditori, degli azionisti di minoranza o del personale vengano pregiudicati. È importante evidenziare che tale rischio può dipendere, tra l’altro, dalla tipologia di provvedimento adottato e variare a seconda della composizione azionaria della società in questione. Inoltre, la normativa dello Stato membro in cui ha sede la società in questione potrebbe aver tenuto conto dei suddetti interessi, circostanza che non può essere presa in considerazione qualora la normativa italiana si applichi automaticamente.

43 Pertanto, una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela degli interessi di cui al punto 39 supra.

44 In secondo luogo, il governo italiano sostiene che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale è intesa a combattere le pratiche abusive impedendo comportamenti consistenti nella realizzazione di costruzioni puramente artificiose che non riflettono la realtà economica.

45 A tal riguardo, si deve ricordare che, peraltro, gli Stati membri hanno la facoltà di adottare qualsiasi misura idonea a prevenire o a sanzionare le frodi (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 38, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 61).

46 Inoltre, la lotta contro l’elusione e la frode fiscale può giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento prevista dall’articolo 49 TFUE a condizione che l’obiettivo specifico di tale restrizione sia quello di impedire comportamenti comportanti la creazione di costruzioni puramente artificiose che non riflettono ragioni economiche. realtà, al fine di sottrarsi all’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, UE: C:2006:544, punto 55, e del 20 gennaio 2021, Lexel, C-484/19, EU:C:2021:34, punto 49).

47 Tuttavia, la Corte ha dichiarato, in primo luogo, che il fatto che la sede sociale o la sede sociale effettiva di una società sia stata stabilita conformemente alla legislazione di uno Stato membro allo scopo di beneficiare del beneficio di una legislazione più favorevole non costituiscono di per sé un abuso (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 27, e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106 /16, EU:C:2017:804, punto 40).

48 In secondo luogo, il semplice fatto che una società, pur avendo la sede legale in uno Stato membro, svolga la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro, non può fondare una presunzione generale di frode e non può giustificare una misura che arrechi pregiudizio incide sull’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 63).

49 Nel caso di specie, se la normativa di cui al procedimento principale dovesse essere interpretata nel senso che impone alla legge italiana di applicarsi sistematicamente a qualsiasi atto di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia , equivarrebbe ad introdurre una presunzione secondo cui il comportamento di tale società costituisce un abuso. Una normativa del genere, alla luce di quanto accertato ai punti 47 e 48 supra, sarebbe sproporzionata (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 64).

50 In tali circostanze, si deve rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che gli articoli 49 e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro che preveda in via generale l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma svolgendo la maggior parte delle sue attività nel primo Stato membro.

Costi

51 Poiché il presente procedimento costituisce, per le parti nella causa principale, una fase del procedimento pendente dinanzi al giudice nazionale, spetta a quest’ultimo statuire sulle spese. Le spese sostenute per il deposito delle osservazioni alla Corte, diverse dalle spese sostenute dalle parti interessate, non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

Articoli 49 e 54 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro che prevede in generale l’applicazione del proprio diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività nel primo Stato membro.

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