CASSAZIONE

Tarsu: per il Comune il B&B paga come l’albergo

Tributi locali – TARSU – Esercizi alberghieri e B&B –  Delibere tariffarie – Potestà impositiva – Competenza – Discrezionalità amministrativa –  Art. 62 del Dlgs 507/1993  

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 5358 del 27 febbraio 2020, intervenendo su una questione, peraltro molto dibattuta tra giudici di legittimità e di merito, riguardante le tariffe per la Tari /Tarsu, hanno affermato la piena legittimità della scelta discrezionale del Comune di equiparare, ai fini della tariffa della tassa rifiuti, la porzione di immobile destinata a B&B a quelle in vigore per gli alberghi.

Inoltre la Suprema Corte ha voluto anche ribadire che l’applicazione di una tariffa è indipendente dalla destinazione d’uso dell’immobile, in quanto proprio la legge, con il comma 4 dell’articolo 62 del Dlgs 507/1993, autorizza gli enti locali ad adottare tariffe in base all’attività economica concretamente svolta all’interno delle  strutture ricettive alberghiere e paralberghiere.

La decisione effettuata dagli Ermellini segue dunque l’interpretazione già espressa nell’ordinanza 1977 del 26 gennaio 2018 nella quale si affermava che l’amministrazione comunale ha il potere di differenziare le tariffe tenuto conto della maggiore o minore produzione di rifiuti. Non è richiesta la motivazione della delibera, poiché l’aumento è giustificato dalla copertura dei costi del servizio. Secondo la Cassazione, tra l’altro, «trattandosi di un atto amministrativo di carattere generale in quanto rivolto a una pluralità di destinatari, non necessitava di motivazione con particolare riguardo alle varie aree alberghiere in cui può differenziarsi in concreto l’idoneità a produrre rifiuti».

Sulla necessità di motivare le delibere tariffarie, però, non c’è un’uniformità di vedute nella giurisprudenza amministrativa.

Per il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna (sent.n.1056/2015), infatti, la delibera che fissa le tariffe della tassa rifiuti deve essere motivata e deve indicare i costi di esercizio dell’anno precedente, le stime dell’anno di competenza, il gettito della tassa e le ragioni dell’eventuale aumento dei costi e delle tariffe. Vanno esplicitate, poi, con chiarezza tutte le risultanze istruttorie e le ragioni delle decisioni dell’ente. Nello stesso modo si è pronunciato il Consiglio di stato (sentenza 5616/2010), il quale ha sostenuto che il comune deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe Tarsu.

Peraltro, di segno opposto ricordiamo che con sent. n. 486/2016, il Tar Latina ha deciso che le tariffe Tari non richiedono la motivazione se i comuni applicano i coefficienti fissati dal regolamento statale per la determinazione della quota fissa e di quella variabile del tributo. A giudizio del Tar, la delibera che fissa le tariffe Tari non richiede «una particolare o specifica motivazione dato che si tratta di un atto generale, trattandosi di una deroga al principio generale che esclude la motivazione per tutti gli atti a contenuto generale, vale a dire delibere e regolamenti.

Appare opportuno sottolineare che con la citata Ordinanza 1977/2018, i giudici romani oltre a escludere che sussista un obbligo di motivazione delle delibere tariffarie, si è pronunciata anche sulla legittimità delle tariffe per gli alberghi, deliberate dai comuni per il pagamento della tassa rifiuti, ribadendo inoltre la legittimità della delibera comunale che fissa per gli esercizi alberghieri una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile alle civili abitazioni.

Sull’argomento la Suprema Corte sull’argomento  si era espressa da tempo, in considerazione di un orientamento già espresso dalla giurisprudenza, con la Sentenza n. 18501 del 10/08/2010, nella quale statuiva che “ Il Comune può istituire, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, tariffe differenziate per fasce di utenza che distinguano l’uso domestico e quello non domestico, previo accertamento dell’uso effettivo dei relativi immobili, essendo irrilevante la classificazione catastale”. 

Analogamente anche con la sentenza n.16972/2015 si confermava che ai fini della determinazione della tariffa rifiuti, il Comune può del tutto legittimamente stabilire una differenziazione tra l’attività di B&B svolta in una civile abitazione, rispetto alla tariffa abitativa ordinaria, precisando pur tuttavia che i B&B non sono assimilabili agli alberghi, sempre atteso che svolgono attività ricettiva in maniera occasionale e in forma non imprenditoriale. Comunque gli Ermellini hanno confermato l’orientamento consolidato che impone di differenziare le tariffe per utenze domestiche e non domestiche, e quindi quelle degli alberghi da quelle delle abitazioni.

In definitiva l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte converge sul punto nodale, affermando che il Comune può del tutto legittimamente, ai fini della determinazione delle tariffe TARSU (in base al principio “chi inquina paga”), stabilire una differenziazione tra l’attività di B&B svolta in una civile abitazione, rispetto alla tariffa abitativa ordinaria, in quanto l’attività di B&B dà luogo ad un’attività di ricezione, ospitalità e somministrazione di alimenti e bevande, con produzione di rifiuti differenti e superiori rispetto all’utenza residenziale.

Tanto premesso e tornando al caso di specie, un contribuente titolare di un B&B proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Palermo per l’annullamento dell’avviso di accertamento del Comune avente ad oggetto la TARSU dell’anno 2010, ottenendo il parere favorevole. Di analogo avviso i giudici tributari regionali, che confutavano la tesi difensiva del Comune sostenendo che, “sebbene rientri nella nozione di comune esperienza, salva prova contraria del contribuente, che l’attività di B&B dia comunque luogo ad un’attività di ricezione-ospitalità e somministrazione di alimenti e bevande, con produzione di rifiuti certamente differenti e superiori ad un’utenza residenziale, tuttavia ciò potrebbe legittimare il Comune ad istituire, pur nell’ambito della destinazione civile abitazione, una tariffa differenziata per l’uso che si fa di un immobile, ma non ad applicare la tariffa per gli alberghi normalmente caratterizzati da diversa ricettività e dunque da maggiore capacità di produrre rifiuti”.

Di qui il ricorso per Cassazione in cui il Comune deduceva che, in tema di TARSU, l’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone che “nelle unità immobiliari adibite a civile abitazione, in cui sia svolta un’attività economica o professionale, può essere stabilito dal regolamento che la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”.

I Giudici Supremi di legittimità hanno accolto la tesi dell’Amministrazione, specificando che: “ … Nel merito, i due motivi in cui si articola il ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. L’applicazione di una determinata tariffa ai fini TARSU, infatti, è indipendente dalla destinazione d’uso dell’immobile, in quanto lo stesso legislatore, con l’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, ha conferito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all’attività economica concretamente svolta all’interno dell’immobile. Orbene, di tale potere si è avvalso il Comune di Palermo, che ha previsto nel suo regolamento TARSU (art. 4, comma 2) che “la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”. Il problema, allora, è quello di definire l’attività di Bed & Breakfast, sicché l’indagine non può che muoversi entro confini schiettamente normativi.  A tal proposito, si deve rilevare che, nell’ambito delle fonti normative statali, non si rinviene una qualificazione dell’attività economica di Bed & Breakfast. In particolare, l’art. 9 del d.lgs. n. 79 del 2011, che includeva tra le “strutture ricettive alberghiere e paralberghiere” i Bed & Breakfast gestiti in forma imprenditoriale, e l’art. 12 dello stesso decreto che, invece, ricomprendeva tra le strutture extralberghiere i Bed & Breakfast a conduzione familiare, gestiti in forma non imprenditoriale, sono stati dichiarati incostituzionali (Corte Cost., sent. n. 80 del 2012) per violazione della competenza residuale delle Regioni in materia di turismo, escluso dall’elenco delle materie di legislazione concorrente di cui all’art. 117, comma 3, Cost.. Ne consegue che non esiste un’unica qualificazione, valida su tutto il territorio nazionale, dell’attività di Bed & Breakfast, la cui regolamentazione spetta, pertanto, per i profili non civilistici, alle singole Regioni. Orbene, come evidenziato dal Comune ricorrente, l’art. 41, comma I della legge della Regione Sicilia n. 2 del 2002, dispone che “il bed and breakfast è inserito tra le attività di cui all’art. 3 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 27”, cioè tra le strutture ricettive di carattere alberghiero, senza, dunque, che rilevino le caratteristiche dell’organizzazione dell’attività, se gestita o meno in forma imprenditoriale. L’equiparazione normativa, ai fini della regolamentazione dei servizi per il turismo nell’ambito del territorio regionale, dei B&B agli alberghi, non impone ai Comuni di quella Regione di assimilarli anche quanto al trattamento tariffario ai fini TARSU. Tuttavia, non può di certo ritenersi viziato da illegittimità, e dunque non può essere disapplicato ai sensi dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, il regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, equipara la porzione di immobile destinata all’esercizio del B&B ad un albergo: si tratta, in vero, di una scelta discrezionale del Comune, effettuata nei limiti della potestà impositiva ad esso attribuita dall’ordinamento, non vietata da alcuna norma statale, ed anzi in linea con la disciplina regionale dei servizi per il turismo, che, come visto, inserisce espressamente i B&B tra le strutture ricettive di carattere alberghiero.  Pertanto, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, deve essere rigettato il ricorso proposto in prime cure dal contribuente”.

Corte di Cassazione Ordinanza n. 5358 del 27 febbraio 2020

sul ricorso 5251-2018 proposto da:

COMUNE DI PALERMO, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ROBERTO SAETTA;

– ricorrente –

contro F. A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE SANTA TERESA 23, presso lo studio dell’avvocato 2019 PAOLO GRIMALDI, rappresentato e difeso dall’avvocato 5924 FRANCESCO GRECO;

 – controricorrente –

avverso la sentenza n. 2487/201 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO, depositata il 04/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2019 dal Consigliere, Dott. ANGELO NAPOLITANO. -)

 FATTO.

 A.F., con atto del 18/11/2013, proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Palermo per l’annullamento dell’avviso di accertamento del Comune di Palermo n. 10114 del 2013, avente ad oggetto la TARSU dell’anno 2010.

Il contribuente svolgeva attività ricettiva, di “Bed and Breakfast – (B&B), nell’appartamento di via Bari n. 18, dove risiedeva, e lamentava, fra le altre doglianze, la “erronea ascrizione alla categoria di destinazione d’uso di albergo” dell’unità immobiliare da lui posseduta, ai fini dell’assoggettamento alla TARSU. La CTP accoglieva il ricorso sulla base di tale motivo, assorbiti gli altri.

La CTR della Sicilia respingeva l’appello del Comune, sostenendo che, “sebbene rientri nella nozione di comune esperienza, salva prova contraria del contribuente, che l’attività di B&B dia comunque luogo ad un’attività di ricezione-ospitalità e somministrazione di alimenti e bevande, con produzione di rifiuti certamente differenti e superiori ad un’utenza residenziale, tuttavia ciò potrebbe legittimare il Comune ad istituire, pur nell’ambito della destinazione civile abitazione, una tariffa differenziata per l’uso che si fa di un immobile, ma non ad applicare la tariffa per gli alberghi normalmente caratterizzati da diversa ricettività e dunque da maggiore capacità di produrre rifiuti”.

Con la conseguenza che, siccome nel caso di specie non sarebbe stato dedotto e provato che l’utilizzazione dell’immobile del contribuente si discostava da quella tipica del B&B, sarebbe illegittima l’applicazione della tariffa “alberghi” sulla base di una assimilazione che, in fatto, non esprime uguale capacità di produrre rifiuti.

Contro la sentenza n. 2487/8/17 della CTR della Sicilia, depositata in data 4/7/2017, il Comune di Palermo ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Resiste il contribuente con controricorso.

Il Comune di Palermo ha depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. All’udienza del 22 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I .Con un primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell ‘art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell ‘art. 4, comma 2, del Regolamento comunale TARSU”, il Comune ricorrente ha dedotto che, in tema di TARSU, l’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone che “nelle unità immobiliari adibite a civile abitazione, in cui sia svolta un’attività economica o professionale, può essere stabilito dal regolamento che la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”.

Si tratterebbe di una norma attributiva del potere, in capo all’ente impositore, di determinare la tariffa della TARSU relativa all’immobile non in base alla sua destinazione d’uso (che nel caso di specie sarebbe quella di civile abitazione), bensì in base all’attività economica o professionale concretamente esercitata al suo interno.

Orbene, il Comune ricorrente ha dedotto che l’art. 4 del suo regolamento TARSU costituisce esplicazione del potere conferitogli in via generale dall’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, sicché la tariffa TARSU per gli immobili adibiti allo svolgimento di una attività economica e professionale è determinata in base a tale attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata.

Sostiene il Comune che i giudici di appello hanno erroneamente applicato alla fattispecie di causa, ai fini della qualificazione dell’attività di B&B, una legge di un’altra Regione (la legge della Regione Campania n. 5 del 2001), e sulla base di essa hanno stabilito che non fosse consentita l’equiparazione, ai fini TARSU, tra l’attività di B&B e l’attività alberghiera, visto che i B&B svolgono attività ricettiva in maniera occasionale e priva di carattere imprenditoriale, a differenza delle imprese alberghiere che svolgono l’attività professionalmente.

Di converso, se la legge della Regione Sicilia n. 32 del 2000, all’art. 88, comma 4, dispone che “l’esercizio dell’attività di B&B non costituisce cambio di destinazione d’uso dell’immobile e comporta, per i proprietari delle unità abitative, l’obbligo di adibire ad abitazione personale l’immobile medesimo”, d’altro canto l’art. 41, comma 1, della legge della Regione Sicilia n. 2 del 2002 ha stabilito che “il B&B è inserito tra le attività di cui all’art. 3 della legge regionale n. 27 del 1996”, equiparandolo, dunque, agli alberghi.

2. Con un secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, artt 62, 68, 69 e 70, e del Regolamento comunale TARSU”, il Comune ricorrente si duole che i giudici di appello non avrebbero considerato che la TARSU prescinde dalla destinazione urbanistica dell’immobile e dalla sua classificazione catastale, dovendosi considerare, invece, l’attitudine alla produzione di rifiuti dell’attività ricettivo – alberghiera alla quale è destinata parte dell’immobile.

Nel caso di specie, secondo l’esito degli accertamenti svolti dal Nucleo di Polizia Municipale e dall’Ufficio Tecnico del Comune di Palermo, della complessiva superficie utile di 159 mq, il contribuente aveva destinato 127 mq all’attività di B&B, a fronte di 32 mq riservati ad abitazione.

Il Comune ricorrente, nel giustificare l’assimilazione della tariffa TARSU prevista per le porzioni di immobili destinate a B&B a quella applicata per gli alberghi, ha richiamato un arresto di questa Corte secondo il quale il Comune può istituire, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, tariffe differenziate per fasce di utenza che distinguano l’uso domestico e quello non domestico, previo accertamento dell’uso effettivo dei relativi immobili, essendo irrilevante la destinazione catastale.

Del resto, argomenta ancora l’ente locale, l’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabilisce che, per l’applicazione della tassa, i comuni sono tenuti ad adottare un apposito regolamento che deve contenere “la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria”, precisando altresì (comma 2, lett. C) che ai fini dell’articolazione delle categorie e sottocategorie si tiene conto “in via di massima” di varie tipologie di destinazione degli immobili, tra le quali non vi sarebbe distinzione tra tipologie di attività ricettive, accomunate nella onnicomprensiva dizione di “esercizi alberghieri”.

3. Occorre preliminarmente rigettare le eccezioni di inammissibilità del ricorso del Comune spiegate dal contribuente controricorrente. Il Comune ha denunciato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, individuando precisamente i relativi parametri normativi. Il controllo che il Comune devolve a questa Corte, pertanto, è un controllo di mera legalità: il ricorrente non chiede il riesame nel merito di questioni decise dai giudici di appello. Il ricorso, d’altronde, è rispettoso dei canoni dell’autosufficienza.

4. Nel merito, i due motivi in cui si articola il ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. L’applicazione di una determinata tariffa ai fini TARSU, infatti, è indipendente dalla destinazione d’uso dell’immobile, in quanto lo stesso legislatore, con l’art. 62, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, ha conferito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all’attività economica concretamente svolta all’interno dell’immobile.

Orbene, di tale potere si è avvalso il Comune di Palermo, che ha previsto nel suo regolamento TARSU (art. 4, comma 2) che “la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”.

Il problema, allora, è quello di definire l’attività di Bed & Breakfast, sicché l’indagine non può che muoversi entro confini schiettamente normativi.

A tal proposito, si deve rilevare che, nell’ambito delle fonti normative statali, non si rinviene una qualificazione dell’attività economica di Bed & Breakfast. In particolare, l’art. 9 del d.lgs. n. 79 del 2011, che includeva tra le “strutture ricettive alberghiere e paralberghiere” i Bed & Breakfast gestiti in forma imprenditoriale, e l’art. 12 dello stesso decreto che, invece, ricomprendeva tra le strutture extralberghiere i Bed & Breakfast a conduzione familiare, gestiti in forma non imprenditoriale, sono stati dichiarati incostituzionali (Corte Cost., sent. n. 80 del 2012) per violazione della competenza residuale delle Regioni in materia di turismo, escluso dall’elenco delle materie di legislazione concorrente di cui all’art. 117, comma 3, Cost.

Ne consegue che non esiste un’unica qualificazione, valida su tutto il territorio nazionale, dell’attività di Bed & Breakfast, la cui regolamentazione spetta, pertanto, per i profili non civilistici, alle singole Regioni.

4.1 Orbene, come evidenziato dal Comune ricorrente, l’art. 41, comma I della legge della Regione Sicilia n. 2 del 2002, dispone che “il bed and breakfast è inserito tra le attività di cui all’art. 3 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 27”, cioè tra le strutture ricettive di carattere alberghiero, senza, dunque, che rilevino le caratteristiche dell’organizzazione dell’attività, se gestita o meno in forma imprenditoriale. L’equiparazione normativa, ai fini della regolamentazione dei servizi per il turismo nell’ambito del territorio regionale, dei B&B agli alberghi, non impone ai Comuni di quella Regione di assimilarli anche quanto al trattamento tariffario ai fini TARSU.

Tuttavia, non può di certo ritenersi viziato da illegittimità, e dunque non può essere disapplicato ai sensi dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, il regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, equipara la porzione di immobile destinata all’esercizio del B&B ad un albergo: si tratta, in vero, di una scelta discrezionale del Comune, effettuata nei limiti della potestà impositiva ad esso attribuita dall’ordinamento, non vietata da alcuna norma statale, ed anzi in linea con la disciplina regionale dei servizi per il turismo, che, come visto, inserisce espressamente i B&B tra le strutture ricettive di carattere alberghiero.

5. Pertanto, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, deve essere rigettato il ricorso proposto in prime cure dal contribuente.

6. La novità delle questioni affrontate consiglia l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

 Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rigetta il ricorso proposto in prime cure dal contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 novembre 2019.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay