CASSAZIONE

TARI ridotta quando la raccolta non viene effettuata

Tributi locali – TARI – Rifiuti –  Disservizio – Rifiuti di imballaggio – Supermercato – Applicazione delle riduzione di tariffa – Mancata esecuzione del servizio da parte del comune – Accollo delle spese – Prova a carico del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2374 del 25 gennaio 2023 è intervenuta per dirimere un importante aspetto della tassa sui rifiuti, affermando che la riduzione della tassa diviene obbligatoria quando il servizio per la raccolta rifiuti, anche se attivo, non viene erogato. E’ infatti obbligatoria la riduzione del tributo se il servizio per la raccolta dei rifiuti è presente e attivo, ma di fatto non viene erogato. Non occorre dimostrare, ai fini della riduzione, che il disservizio è imputabile al Comune che se ne occupa, a meno che la differenza dalle modalità previste per l’erogazione non risulti grave e perdurante. La Cassazione ha poi evidenziato che, “anche se l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana rientra nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, la riduzione è prevista per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità purché, però, lo scostamento comporti i caratteri di gravità e perdurante non fruibilità”.

Le conclusioni riportate dagli Ermellini hanno una valenza significativa per il chiarimento di alcuni punti rimasti in sospeso, propri della complessa genesi della tassa, ma anche per la precisazione sulla tariffa. Il principio giuridico oggi confermato è molto chiaro: la riduzione si applica senza la necessità di dimostrare che l’inefficienza è stata causata dal Comune. Questo principio si applica anche al paragrafo 657, che fa riferimento alla riduzione per le aree in cui non vi è alcun prelievo, che pagano un’aliquota massima del 40%, come stabilito dal Comune. Il Comune può infatti determinare la tariffa in base alla distanza dal punto di raccolta più vicino nell’area circostante o nell’area di servizio di fatto.

Rilevante è poi la precisazione che riguarda la riduzione dell’imposta, ossia che la stessa non deve considerarsi come un risarcimento del danno per la mancata raccolta dei rifiuti, e neppure come una sanzione che va a gravare sull’amministrazione comunale inadempiente, quanto piuttosto come un sistema finalizzato a ripristinare, in presenza di un inadempimento patologico, un tendenziale equilibrio impositivo tra l’ammontare della tassa che si può pretendere e i costi generali del servizio.

In sostanza, la riduzione della tassa sui rifiuti è quindi possibile “a prescindere dalla sussistenza sia di un nesso di causalità condotta-evento sia di un elemento soggettivo che rendano il disservizio soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale”.

Parte essenziale della vicenda in esame nasce da lungo contenzioso tributario, iniziato nel 2012, che riguarda la classificazione e la differenza esistente tra rifiuti urbani, speciali e assimilati agli urbani all’epoca dei fatti, e considerati come speciali i rifiuti dell’ipermercato. Questione oggi superata, poiché il combinato disposto degli allegati L-quater ed L-quinquies alla parte quarta del D.lgs. 152/2006 (Codice ambientale), classifica come urbani i rifiuti di imballaggio di supermercati e ipermercati di generi misti. Quanto alla tariffa rifiuti le riduzioni, per la quota variabile, sono previste dalla legge 147/2013, articolo 1, commi 649, 657 e 657. 

Ma il principio affermato, ripetiamo, è comunque chiarissimo: la riduzione opera anche senza la prova che il disservizio sia imputabile al Comune. Tale importante principio si applica anche al comma 657, ora riferito alla riduzione per le zone in cui non è effettuata la raccolta.

Nello specifico, l’ordinanza odierna prende inizio dall’articolo 59, comma 4, D.lgs. 507/1993 sulla tassa rifiuti, in base al quale “… il tributo è dovuto nella misura ridotta se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di nettezza urbana in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta”. Anche se l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana rientra nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, tuttavia, confermano gli Ermellini, la riduzione è prevista “…per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità purché, però, lo scostamento comporti i “caratteri di gravità e perdurante non fruibilità”. La riduzione c’è a prescindere dalla sussistenza sia di un nesso di causalità condotta-evento sia di un elemento soggettivo “che rendano il disservizio soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale”.

Secondo la S.C. occorre quindi far ancora riferimento alla ratio iniziale del tributo, che è quella di porre gli enti locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività e non di fornire delle prestazioni riferibili ai singoli contribuenti. Del resto, anche il mancato svolgimento del servizio di raccolta da parte del Comune non comporta l’esenzione, ma il pagamento del tributo in misura ridotta. Nel regolamento comunale, pertanto, devono essere indicati i limiti della zona di raccolta obbligatoria e dell’eventuale estensione del servizio a zone con insediamenti sparsi, le modalità di effettuazione del servizio, con l’individuazione degli ambiti e delle zone, nonché delle distanze massime di collocazione dei contenitori.

Compete al contribuente fornire la prova delle condizioni per usufruire delle riduzioni.

E’ fondamentale, dunque, far riferimento a quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 8909/2018, che ha introdotto specifici limiti alla facoltà dei Comuni di ampliare – attraverso lo  stratagemma dell’assimilazione – il perimetro della privativa comunale e che ribadisce che i rifiuti di imballaggi terziari e secondari sono esclusi dalla privativa comunale in quanto “I rifiuti di imballaggio sono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione”, termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento (art. 38 D.Lgs. n. 22 del 1997), e ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari (quelli concepiti “in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli”), per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, mentre per gli imballaggi secondari (o multipli, quelli costituiti dal “raggruppamento di un certo numero di unità di vendita”) (art. 35, comma 1, D.Lgs. citato), è ammessa solo la raccolta differenziata da parte dei commercianti al dettaglio che non li abbiano restituiti agli utilizzatori”.

Tanto premesso e tornando al caso in dibattimento, esso vede il lungo contenzioso tra un ipermercato e il Comune per un avviso di pagamento relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di imballaggio. Dopo aver esperito tutti i gradi del giudizio tributario e avendo incassato il diniego al riconoscimento delle proprie ragioni, la parte contribuente propone ricorso in Cassazione fornendo due motivi e lamentando essenzialmente la ricostruzione normativa effettuata dalla sentenza impugnata secondo cui, in assenza dei decreti attuativi contenenti i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli solidi previsti dal Codice dell’ambiente e mai attuati, la relativa normativa sarebbe inapplicabile con conseguente applicabilità del D.lgs. 22/1997, che prevederebbe tale assimilabilità, poiché ai sensi dell’art. 7, D.lgs. 22/1997 e dell’art. 184, D.lgs. 152/2006, i rifiuti derivanti da attività commerciale sono da considerarsi speciali e quindi non soggetti al pagamento della TARSU. Inoltre, la parte contribuente sostiene che l’art. 21 del citato decreto n. 22, nel rinviare ai regolamenti comunali i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, andrebbe interpretato nel senso che in assenza di tali criteri i rifiuti speciali non potrebbero essere assimilati a quelli urbani, perché se così non fosse si correrebbero rischi per la salute e per l’ambiente.

La Suprema Corte, riconoscendo le ragioni della società contribuente, ritiene inoltre che “…la TARSU infatti è caratterizzata, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che la disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica; 2.5. in particolare, i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; 2.6. la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio; 2.7. la TARSU infatti – nella disciplina risultante dal disposto del comma 3-bis dell’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell’art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – ha la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (Corte cost. n. 238 del 2009); 2.8. la sentenza impugnata è però innanzitutto priva di una sia pur minima descrizione in fatto della situazione concreta oggetto di causa, che sarebbe stata tanto più necessaria non solo perché un giudizio di legittimità che non possa agganciarsi ad una solida fattispecie concreta rischia inevitabilmente di essere fallace, ma anche perché una tale descrizione sarebbe stato tanto più opportuna in una fattispecie complessa come quella oggetto del presente ricorso; 2.9. inoltre la sentenza impugnata, con una motivazione in diritto peraltro oscura (dopo un lungo e faticoso excursus normativo – peraltro più che giustificato in ragione del disordine normativo della materia -non si esplicita quali sarebbero le norme applicabili al caso di specie), rileva che l’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993 esclude dalla sottoposizione al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per natura o destinazione, ma che la stessa norma prevede che tali circostanze debbano essere indicate nella denuncia ex art. 70 del d.lgs. cit., con il che sarebbe irrilevante la rispondenza al vero o meno della produzione di rifiuti speciali da parte dell’ipermercato, non tenendo conto della successiva evoluzione normativa della materia (si pensi al Decreto Ronchi e al Codice dell’Ambiente, solo per citare le innovazioni più significative), sia pure per escluderne l’applicabilità, mentre nel ricorso del contribuente si sostiene che ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 184 del d.lgs. n. 152 del 2006 i rifiuti derivanti da attività commerciale sarebbero da considerarsi speciali e quindi non soggetti al pagamento della TARSU e che l’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997, nel rinviare ai regolamenti comunali i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, andrebbe interpretato nel senso che, in assenza di tali criteri i rifiuti speciali non potrebbero essere assimilati a quelli urbani perché se così non fosse si correrebbero rischi per la salute e per l’ambiente; 2.10. in ogni caso, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata si pongono in contrasto con – o comunque ignorano – una giurisprudenza consolidata (Cass. 24 luglio 2013, n. 18018; Cass. 13 giugno 2012, n. 9631; Cass. 30 dicembre 2011, n. 30719; Cass. 2 settembre 2002 n. 12752), cui questo Collegio intende dare continuità, secondo cui la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali (nella fattispecie decisa dalla sentenza della Cassazione del 2013, da imballaggi, ossia proprio la tipologia merceologica oggetto del caso di specie, trattandosi di rifiuti provenienti da attività commerciale come affermato nel controricorso del Comune di Napoli, ove si parla espressamente di «rifiuti da imballaggio») non pericolosi a quelli urbani, prevista dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti stessi poiché l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità; 2.11. tale indagine relativa all’individuazione delle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti in oggetto non risulta dalla sentenza essere stata svolta nel caso di specie; 2.12. parimenti trascurata è quella giurisprudenza relativa all’individuazione dell’esatta tipologia di imballaggio (primario, secondario, terziario), da cui discendono diverse conseguenze in termini non solo di assimilabilità ai rifiuti speciali ma più in genere di imposta sui rifiuti: si pensi ad esempio a Cass., 10 marzo 2016, n. 4793 secondo cui, in materia di TARSU i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli da imballaggi secondari (nel regime applicabile ratione temporis fino all’abrogazione del d.lgs. n. 22 del 1997 per effetto dell’art. 264 del d.lgs. n. 152 del 2006), non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti solidi urbani ove non sia attivata la raccolta differenziata, ma ad essi si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formino esclusivamente rifiuti speciali; 2.13. ancora, rimane per molti versi oscura l’esistenza e l’eventuale contenuto specifico (specie con riferimento alla tipologia dell’imballaggio) del provvedimento comunale di assimilazione dei rifiuti, dovendosi tenere conto che, in tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani (TARSU), ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, di regola, rifiuti speciali, per tali dovendosi intendere, ex art. 2 del d.P.R. n. 915 del 1982, fra l’altro, quelli «derivanti da lavorazioni industriali»; su tale disciplina, infatti, non ha inciso l’art. 39 della legge n. 146 del 1994, il quale, nell’abrogare l’art. 60 del d.lgs. n. 507 del 1993 (dettato in tema di equiparazione dei rifiuti e che, peraltro, si riferiva soltanto a quelli artigianali, commerciali e di servizi), non ha assimilato ope legis tutti i rifiuti (esclusi quelli speciali, tossici e nocivi) a quelli urbani, limitandosi ad escludere la necessità di un provvedimento comunale di assimilazione per quei rifiuti già contemplati dalla norma abrogata, al che consegue che i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, vanno considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della predetta tassa;2.14. la sentenza è priva altresì di qualsiasi riferimento alla valutazione delle prove, che pure nel ricorso si affermano offerte, dal momento che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. 13 settembre 2017, n. 21250; 4 aprile 2012, n. 5377); 2.15. infatti, secondo Cass. 14 settembre 2016, n. 18054 la TARSU è dovuta, ai sensi dell’art. 62, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti: nella specie, la Cassazione aveva riconosciuto non dovuta la TARSU, ex art. 62, comma 2, cit., in relazione ad un’area di manovra e parcheggio per mezzi pesanti in quanto produttrice di rifiuti speciali non assimilati; nella fattispecie oggetto della presente decisione la sentenza impugnata non si è espressa sull’area dell’ipermercato adibita a parcheggio coperto); 2.16. deve altresì considerarsi che, qualora si accertasse che i rifiuti in oggetto fossero assimilabili a quelli solidi urbani, il quarto comma dell’articolo 59 d.lgs. 507 del 1993 stabilisce che «se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al primo comma, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2» (cioè in misura non superiore al 40% della tariffa); 2.17. inoltre, il sesto comma della medesima disposizione prescrive che «l’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo. Qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e le prescrizioni sanitarie nazionali, l’utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4»; 2.18. fermo restando che l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana in conformità al regolamento previsto dal primo comma dell’articolo 59 d.lgs. n. 507 del 1993 rientra – in ogni caso – nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, la riduzione è purtuttavia dalla legge prevista per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità (sempre che lo scostamento da queste ultime comporti i suddetti caratteri di gravità e perdurante non fruibilità), e dunque anche indipendentemente dalla sussistenza vuoi di un nesso causale tra condotta ed evento altrimenti connaturato all’ipotesi di illecito, vuoi di un elemento soggettivo (“colpa” contrattuale o extracontrattuale) che rendano il disservizio soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale; 2.19. la riduzione tariffaria non opera infatti quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, e men che meno quale «sanzione» per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di ripristinare -in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare – un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale, ancorché significativamente alterato, correlazione sulla quale si basa la Tarsu, senza con ciò contraddirne il già descritto carattere prettamente tributario (Cass. S.U. n. 14903 del 2010; Cass. n. 4283 del 2010 ed altre), e non privatistico-sinallagmatico; 2.20. va in proposito considerato che il sesto comma dell’articolo 59 in esame esclude, in effetti, l’esonero o la riduzione dal tributo, ma solo nell’ipotesi in cui l’interruzione del servizio di raccolta sia temporanea e dovuta a motivi sindacali ovvero ad «imprevedibili impedimenti organizzativi»; 2.21. è dunque soltanto in tale situazione – di disfunzione temporanea – che può darsi ingresso ad una valutazione di imprevedibilità del disservizio e, per questa via, di non imputabilità dello stesso alla sfera tecnico-organizzativa dell’amministrazione comunale; 2.22. al contrario, in presenza di una situazione di disfunzione non temporanea della raccolta rifiuti nella città di Napoli, ma apprezzabilmente protratta nel tempo (qual è quella qui lamentata dalla società contribuente), la legge attribuisce all’utente – in presenza di un’accertata emergenza sanitaria – la facoltà di provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio parziale su domanda documentata, e tuttavia «fermo restando il disposto del comma 4», cioè il diritto alla riduzione; 2.23. va infine dichiarata inammissibile la censura relativa alla lamentata iscrizione a ruolo del tributo senza la previa notifica di alcun avviso di accertamento, atteso che, come riconosciuto dalla stessa contribuente, trattasi di doglianza che non era stata formulata nel ricorso introduttivo e che non avrebbe potuto essere quindi proposta per la prima volta in grado d’appello; 2.23. in tema di contenzioso tributario, la decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento o esattivo non è infatti rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, e non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’Amministrazione di accettazione del contraddittorio nel merito (cfr. Cass. n. 16703/2017); 3. il ricorso, nei limiti sopra precisati, deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 25 gennaio 2023, n. 2374

sul ricorso n. 7539-2016 proposto da:

A. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio degli Avvocati GIACOMO MENOTTI MARCO ALEMANI e FEDERICO MONACO che la rappresentano e difendono giusta procura speciale estesa in calce al ricorso

-ricorrente–

contro COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentata e difesa dall’Avvocato FABIO MARIA FERRARI giusta procura speciale estesa in calce al controricorso

-controricorrente–

e AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE (già EQUITALIA SUD S.p.A.), in persona del Direttore pro tempore

-intimata–

avverso la sentenza n. 8127/48/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 15/9/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/1/2023 – tenutasi in modalità da remoto previo decreto di autorizzazione del Presidente del Collegio – dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO

RILEVATO CHE

A. S.p.A. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto l’appello del Comune di Napoli avverso la sentenza n. 17664/46/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di pagamento TARSU/TIA 2012 a carico dell’ipermercato A. di Napoli Argine inerente al servizio di raccolta e smaltimento rifiuti prodotti dal suddetto ipermercato e quindi derivante da attività commerciale;

il Comune resiste con controricorso, il Concessionario è rimasto intimato;

la società ricorrente ha, da ultimo, depositato memoria difensiva

CONSIDERATO CHE

1.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delle norme che regolano la TARSU in quanto la sentenza impugnata, contrariamente a quanto testualmente affermato in motivazione (ossia che la TARSU è una tassa), partirebbe dal presupposto che la TARSU non sia una tassa (ossia un tributo che un soggetto versa in relazione ad un’utilità che si trae dallo svolgimento di un pubblico servizio) bensì un’imposta (che non presenta alcuna relazione con lo svolgimento con un pubblico servizio), senza tener conto né della circostanza che il Comune di Napoli non aveva svolto il servizio di raccolta dei rifiuti né della circostanza che la contribuente aveva dovuto ricorrere ad una società terza per lo smaltimento dei rifiuti;

1.2. la ricorrente deduce inoltre che secondo l’art.62 del d.lgs. 14 dicembre 1993, n. 507, la tassa sui rifiuti è dovuta solo nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito o comunque reso in maniera continuativa, ed ancora, che l’art. 59 del d.lgs. citato, per un verso obbliga i Comuni a disciplinare i criteri di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani mediante apposito regolamento e per un altro disciplina i casi di carenza del servizio esprimendo il principio che il Comune, per poter pretendere la tassa, debba mettere l’utente nelle condizioni di poter usufruire del servizio;

1.3. la contribuente ritiene altresì errata la ricostruzione normativa effettuata dalla sentenza impugnata secondo cui, in assenza dei decreti attuativi contenenti i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli solidi previsti dal Codice dell’ambiente e mai attuati, la relativa normativa sarebbe inapplicabile con conseguente applicabilità del d.lgs. n. 22 del 1997, che prevederebbe tale assimilabilità, poiché ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 184 del d.lgs. n. 152 del 2006 i rifiuti derivanti da attività commerciale sono da considerarsi speciali e quindi non soggetti al pagamento della TARSU;

1.4. inoltre, la contribuente sostiene che l’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997, nel rinviare ai regolamenti comunali i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, andrebbe interpretato nel senso che, in assenza di tali criteri i rifiuti speciali non potrebbero essere assimilati a quelli urbani perché se così non fosse si correrebbero rischi per la salute e per l’ambiente;

1.5. con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, la ricorrente denuncia omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto sia a norma dell’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 1997 che a norma dell’art. 184 del d.lgs. n. 152 del 2006 i rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività commerciale devono considerarsi speciali e quindi non sono soggetti a TARSU, ed in via subordinata la contribuente lamenta l’illegittimo assoggettamento alla TARSU dell’area di posteggio coperto, in quanto l’art. 63 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabilisce che la TARSU è dovuta da coloro che occupano o detengono aree scoperte;

1.6. la contribuente lamenta anche l’assenza dell’autorizzazione a proporre appello da parte del responsabile del servizio contenzioso della competente sezione regionale delle entrate, che sarebbe prevista dall’art. 52 del d.lgs. n. 546 del 1992;

1.7. la contribuente ha infine lamentato l’omessa considerazione da parte della Commissione Tributaria Regionale circa la mancata iscrizione a ruolo del tributo sulla base di un accertamento definitivo, con previa notifica dell’avviso di accertamento;

2.1. i due motivi di ricorso, a loro volta articolati in una serie di «sottomotivi», vanno trattati unitariamente in quanto strettamente connessi tra di loro e vanno accolti, sia pure con le precisazioni di seguito illustrate, sulla base dei principi di diritto già affermati da questa Corte con la sentenza n. 7647/2018, sulla medesima fattispecie e tra le stesse parti;

2.2. occorre preliminarmente osservare che l’autorizzazione richiesta dall’art. 52 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è stata espressamente abrogata dalle modifiche intervenute da successive norme (art. 3, comma 1, lett. c), D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, e, successivamente, sostituito dall’art. 9, comma 1, lett. v), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156), tese a valorizzare le autonomie locali, per cui l’appello è stato proposto nella pienezza dei poteri della parte;

2.3. occorre altresì, sempre preliminarmente, evidenziare l’infondatezza della censura in merito alla distinzione tra imposta e tassa ed alla mancanza di un’erogazione effettiva del servizio, il che spiega perché alla cassazione della sentenza non può seguire la decisione nel merito ma occorre un rinvio per determinare il quantum dell’imposta dovuta;

2.4. la TARSU infatti è caratterizzata, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che la disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica;

2.5. in particolare, i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; 2.6. la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio;

2.7. la TARSU infatti – nella disciplina risultante dal disposto del comma 3-bis dell’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell’art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – ha la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (Corte cost. n. 238 del 2009);

2.8. la sentenza impugnata è però innanzitutto priva di una sia pur minima descrizione in fatto della situazione concreta oggetto di causa, che sarebbe stata tanto più necessaria non solo perché un giudizio di legittimità che non possa agganciarsi ad una solida fattispecie concreta rischia inevitabilmente di essere fallace, ma anche perché una tale descrizione sarebbe stato tanto più opportuna in una fattispecie complessa come quella oggetto del presente ricorso;

2.9. inoltre la sentenza impugnata, con una motivazione in diritto peraltro oscura (dopo un lungo e faticoso excursus normativo – peraltro più che giustificato in ragione del disordine normativo della materia -non si esplicita quali sarebbero le norme applicabili al caso di specie), rileva che l’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993 esclude dalla sottoposizione al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per natura o destinazione, ma che la stessa norma prevede che tali circostanze debbano essere indicate nella denuncia ex art. 70 del d.lgs. cit., con il che sarebbe irrilevante la rispondenza al vero o meno della produzione di rifiuti speciali da parte dell’ipermercato, non tenendo conto della successiva evoluzione normativa della materia (si pensi al Decreto Ronchi e al Codice dell’Ambiente, solo per citare le innovazioni più significative), sia pure per escluderne l’applicabilità, mentre nel ricorso del contribuente si sostiene che ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 184 del d.lgs. n. 152 del 2006 i rifiuti derivanti da attività commerciale sarebbero da considerarsi speciali e quindi non soggetti al pagamento della TARSU e che l’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997, nel rinviare ai regolamenti comunali i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, andrebbe interpretato nel senso che, in assenza di tali criteri i rifiuti speciali non potrebbero essere assimilati a quelli urbani perché se così non fosse si correrebbero rischi per la salute e per l’ambiente;

2.10. in ogni caso, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata si pongono in contrasto con – o comunque ignorano – una giurisprudenza consolidata (Cass. 24 luglio 2013, n. 18018; Cass. 13 giugno 2012, n. 9631; Cass. 30 dicembre 2011, n. 30719; Cass. 2 settembre 2002 n. 12752), cui questo Collegio intende dare continuità, secondo cui la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali (nella fattispecie decisa dalla sentenza della Cassazione del 2013, da imballaggi, ossia proprio la tipologia merceologica oggetto del caso di specie, trattandosi di rifiuti provenienti da attività commerciale come affermato nel controricorso del Comune di Napoli, ove si parla espressamente di «rifiuti da imballaggio») non pericolosi a quelli urbani, prevista dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti stessi poiché l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità;

2.11. tale indagine relativa all’individuazione delle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti in oggetto non risulta dalla sentenza essere stata svolta nel caso di specie;

2.12. parimenti trascurata è quella giurisprudenza relativa all’individuazione dell’esatta tipologia di imballaggio (primario, secondario, terziario), da cui discendono diverse conseguenze in termini non solo di assimilabilità ai rifiuti speciali ma più in genere di imposta sui rifiuti: si pensi ad esempio a Cass., 10 marzo 2016, n. 4793 secondo cui, in materia di TARSU i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli da imballaggi secondari (nel regime applicabile ratione temporis fino all’abrogazione del d.lgs. n. 22 del 1997 per effetto dell’art. 264 del d.lgs. n. 152 del 2006), non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti solidi urbani ove non sia attivata la raccolta differenziata, ma ad essi si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formino esclusivamente rifiuti speciali;

2.13. ancora, rimane per molti versi oscura l’esistenza e l’eventuale contenuto specifico (specie con riferimento alla tipologia dell’imballaggio) del provvedimento comunale di assimilazione dei rifiuti, dovendosi tenere conto che, in tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani (TARSU), ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, di regola, rifiuti speciali, per tali dovendosi intendere, ex art. 2 del d.P.R. n. 915 del 1982, fra l’altro, quelli «derivanti da lavorazioni industriali»; su tale disciplina, infatti, non ha inciso l’art. 39 della legge n. 146 del 1994, il quale, nell’abrogare l’art. 60 del d.lgs. n. 507 del 1993 (dettato in tema di equiparazione dei rifiuti e che, peraltro, si riferiva soltanto a quelli artigianali, commerciali e di servizi), non ha assimilato ope legis tutti i rifiuti (esclusi quelli speciali, tossici e nocivi) a quelli urbani, limitandosi ad escludere la necessità di un provvedimento comunale di assimilazione per quei rifiuti già contemplati dalla norma abrogata, al che consegue che i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, vanno considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della predetta tassa;

2.14. la sentenza è priva altresì di qualsiasi riferimento alla valutazione delle prove, che pure nel ricorso si affermano offerte, dal momento che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. 13 settembre 2017, n. 21250; 4 aprile 2012, n. 5377);

2.15. infatti, secondo Cass. 14 settembre 2016, n. 18054 la TARSU è dovuta, ai sensi dell’art. 62, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti: nella specie, la Cassazione aveva riconosciuto non dovuta la TARSU, ex art. 62, comma 2, cit., in relazione ad un’area di manovra e parcheggio per mezzi pesanti in quanto produttrice di rifiuti speciali non assimilati; nella fattispecie oggetto della presente decisione la sentenza impugnata non si è espressa sull’area dell’ipermercato adibita a parcheggio coperto);

2.16. deve altresì considerarsi che, qualora si accertasse che i rifiuti in oggetto fossero assimilabili a quelli solidi urbani, il quarto comma dell’articolo 59 d.lgs. 507 del 1993 stabilisce che «se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al primo comma, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2» (cioè in misura non superiore al 40% della tariffa);

2.17. inoltre, il sesto comma della medesima disposizione prescrive che «l’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo. Qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e le prescrizioni sanitarie nazionali, l’utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4»;

2.18. fermo restando che l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana in conformità al regolamento previsto dal primo comma dell’articolo 59 d.lgs. n. 507 del 1993 rientra – in ogni caso – nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, la riduzione è purtuttavia dalla legge prevista per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità (sempre che lo scostamento da queste ultime comporti i suddetti caratteri di gravità e perdurante non fruibilità), e dunque anche indipendentemente dalla sussistenza vuoi di un nesso causale tra condotta ed evento altrimenti connaturato all’ipotesi di illecito, vuoi di un elemento soggettivo (“colpa” contrattuale o extracontrattuale) che rendano il disservizio soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale;

2.19. la riduzione tariffaria non opera infatti quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, e men che meno quale «sanzione» per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di ripristinare -in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare – un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale, ancorché significativamente alterato, correlazione sulla quale si basa la Tarsu, senza con ciò contraddirne il già descritto carattere prettamente tributario (Cass. S.U. n. 14903 del 2010; Cass. n. 4283 del 2010 ed altre), e non privatistico-sinallagmatico;

2.20. va in proposito considerato che il sesto comma dell’articolo 59 in esame esclude, in effetti, l’esonero o la riduzione dal tributo, ma solo nell’ipotesi in cui l’interruzione del servizio di raccolta sia temporanea e dovuta a motivi sindacali ovvero ad «imprevedibili impedimenti organizzativi»;

2.21. è dunque soltanto in tale situazione – di disfunzione temporanea – che può darsi ingresso ad una valutazione di imprevedibilità del disservizio e, per questa via, di non imputabilità dello stesso alla sfera tecnico-organizzativa dell’amministrazione comunale;

2.22. al contrario, in presenza di una situazione di disfunzione non temporanea della raccolta rifiuti nella città di Napoli, ma apprezzabilmente protratta nel tempo (qual è quella qui lamentata dalla società contribuente), la legge attribuisce all’utente – in presenza di un’accertata emergenza sanitaria – la facoltà di provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio parziale su domanda documentata, e tuttavia «fermo restando il disposto del comma 4», cioè il diritto alla riduzione;

2.23. va infine dichiarata inammissibile la censura relativa alla lamentata iscrizione a ruolo del tributo senza la previa notifica di alcun avviso di accertamento, atteso che, come riconosciuto dalla stessa contribuente, trattasi di doglianza che non era stata formulata nel ricorso introduttivo e che non avrebbe potuto essere quindi proposta per la prima volta in grado d’appello;

2.24. in tema di contenzioso tributario, la decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento o esattivo non è infatti rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, e non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’Amministrazione di accettazione del contraddittorio nel merito (cfr. Cass. n. 16703/2017);

3. il ricorso, nei limiti sopra precisati, deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, affinché il Giudice di merito:

a) accerti sia se la società abbia assolto all’obbligo di denuncia relativo al suo preteso diritto a non pagare la TARSU sia se abbia fornito la prova della natura speciale dei rifiuti in base alle caratteristiche di quest’ultimi, anche con riferimento alla tipologia di imballaggio in questione;

b) accerti se sussistano o meno le delibere comunali di assimilazione, per l’anno oggetto della controversia, degli imballaggi in questione ai rifiuti solidi urbani o ai rifiuti speciali;

c) accerti, nell’ipotesi di ritenuto non raggiungimento della prova della natura speciale dei rifiuti, se la società contribuente abbia fornito la prova della mancata regolare prestazione del servizio di raccolta nell’anno in questione nella specifica zona di ubicazione e con specifico riguardo ai rifiuti prodotti dallo stabile e della minor superficie imponibile rispetto a quanto affermato dal comune di Napoli;

d) determini, nell’ipotesi di ritenuto raggiungimento della prova della mancata regolare prestazione del servizio e/o di una minore superficie imponibile, l’eventuale importo ridotto della Tarsu dovuta

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto

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