CASSAZIONE IVA

Studi professionali: IVA detraibile a prescindere dal dato catastale

Tributi – Imposte indirette – IVA – Spese – Fabbricati di proprietà con destinazione professionale – Casa di abitazione – Risultanze catastali – Detraibilità dell’imposta – Valutazione del nesso di strumentalità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13259 del 28 aprile 2022 è tornata a occuparsi della detraibilità dello studio professionale, che risulta accatastato come abitazione civile e non a uso ufficio, per confermare la legittimità della detrazione dell’IVA sull’acquisto dell’immobile da parte del contribuente professionista e da questi tranquillamente utilizzato come studio professionale, proprio in ragione della natura di bene strumentale atto allo svolgimento dell’attività professionale. .

È noto che la tematica “immobile destinato all’attività professionale” rappresenta, sul fronte fiscale, un tema complesso e assai controverso, soprattutto in ordine alla casistica relativa all’acquisto di beni immobili.

Partendo dalle disposizioni in esame (Dispositivo dell’art. art. 19 e 19 bis del Testo unico IVA), la Corte vuole anche ricordare come, in deroga al generale principio della detraibilità dell’IVA e in attuazione della relativa previsione normativa unionale, lo stesso decreto prevede che “ … non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni”. La suddetta previsione normativa preclude, quindi, la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall’utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati). Ciò comporta che la questione va dunque risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame e nell’ambito della disciplina unionale, con la necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica.

Può risultare utile, allora, far inizialmente riferimento anche a un recente verdetto dei giudici tributari regionali, la Sent. CTR Toscana n. 993/2020, che in un caso analogo ha ritenuto legittima la detrazione dell’IVA versata per l’acquisto dell’immobile destinato a studio professionale anche se il bene risultava accatastato come civile abitazione (accatastamento in cat. A/2). Secondo i giudici la verifica della strumentalità dell’acquisto rispetto all’attività imprenditoriale deve essere effettuata analizzando l’effettivo utilizzo, e non basando il diritto alla detrazione solo sulla certificazione catastale.

Anche se nel corso degli anni sono intervenute diverse modifiche normative al trattamento fiscale degli immobili strumentali dei professionisti, in quanto sono sempre stati oggetto di attenzione da parte del legislatore, resta valido il principio della giurisprudenza dominante che ritiene strumentale l’immobile utilizzato esclusivamente per esercitare l’attività professionale. È, ribadisce la S.C., l’utilizzo, inteso come destinazione dell’immobile per lo svolgimento dell’attività professionale, a determinarne la strumentalità. In buona sostanza il concetto di immobile strumentale per un professionista deve quindi prescindere dalla categoria catastale in cui l’immobile risulta censito.

Qualora la “strumentalità” non risulti immediatamente verificabile, il soggetto passivo che intende avvalersi del diritto alla detrazione dell’imposta pagata o dovuta, ha l’onere di provare, sulla scorta di elementi obiettivi, che l’acquisto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa (cfr. Cass. n. 25986/2014) e sia destinato, anche in prospettiva, a procurargli un profitto (cfr Cass. n. 1859/2014).

Del resto, anche la successiva sentenza n. 11425/2015 ebbe a sostenere che per detrarre l’IVA relativa all’acquisto di un bene immobile è necessaria la dimostrazione dell’inerenza, ovvero della stretta connessione del bene con le finalità imprenditoriali, e la strumentalità in concreto del bene acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale, compiuta o anche solo programmata.

Porgendo una maggiore attenzione al caso oggi in esame, i Supremi giudici di legittimità, seguendo  questo principio fondato su orientamento nomofilattico pienamente consolidato,  hanno sottolineato che risulta del tutto evidente che la destinazione del fabbricato acquistato era quella abitativa ma era altresì pacifico, in quanto non contestato, e comunque anche accertato dai giudici di appello, che il predetto fabbricato era utilizzato come studio legale del contribuente, che svolgeva la professione di avvocato. Conseguentemente deve riconoscersi la detraibilità dell’IVA, essendo indubitabile la natura strumentale dell’immobile stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell’attività professionale del contribuente, a prescindere dalla categoria catastale attribuitagli.

In questi termini si era già espressa la Cassazione nell’Ordinanza n. 5559 del 2019, che così recitava: “In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio della suddetta attività”. (cfr. Cass. n. 3396 del 2020, n. 26748 del 2016, Cass. n. 6883 del 2016, Cass. n. 8628 del 2015).

Tanto premesso e tornando alla vicenda in questione, essa ha inizio con l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione l’IVA pagata per l’acquisto di una quota di una unità immobiliare di civile abitazione che l’Amministrazione finanziaria sosteneva essere stata indebitamente detratta dal professionista in violazione dell’art. 19 bis, comma 1, lett. i) del DPR 633/1972, e infliggeva le sanzioni anche relative al mancato perfezionamento del ravvedimento operoso posto in essere dal contribuente. Adita la giustizia tributaria, essa rigettava l’appello proposto dallo stesso avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che l’immobile acquistato in comproprietà, ancorché di fatto utilizzato come ufficio (studio legale) e, quindi, in categoria A/10, era però iscritto in catasto con categoria A/2 (civile abitazione) sicché l’IVA era indetraibile. Da qui il ricorso in Cassazione, ove il contribuente lamentava essenzialmente la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dei principi giurisprudenziali di cui a Cass. n. 8628 del 2015 e n. 26748 del 2016.

Il ricorso veniva accolto dai Giudici di legittimità per queste ragioni: “Va premesso, preliminarmente, che il ricorrente ha espressamente limitato l’impugnazione alla sola questione della detraibilità dell’IVA versata sulla quota parte di prezzo pagato per l’acquisto dell’unità immobiliare adibito a studio professionale, ritenendo di «marginale importanza l’ulteriore questione riguardante il ravvedimento operoso» (ricorso, pag. 19), sicché in relazione a tale questione la statuizione d’appello (di rigetto del ricorso del contribuente) deve ritenersi coperta da giudicato. Venendo al merito del motivo di ricorso, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato e vada accolto.  Va premesso che, in deroga al generale principio della detraibilità dell’IVA contenuto nell’art. 19, d.P.R. 633/1972 – che consente all’acquirente di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisti effettuati nell’esercizio dell’impresa ed il bene acquistato sia inerente all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività -, in attuazione della relativa previsione normativa unionale, l’art. 19 bis 1, lett. i), stesso decreto prevede che «non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni».  La suddetta previsione normativa preclude, quindi, la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall’utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati).  Le disposizioni in esame (art. 19 e art. 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972), inerenti alla materia della detrazione dell’Iva e dei limiti della stessa, unitariamente considerate, comportano, quindi, che, ove l’impresa non svolga attività di costruzione (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa può comunque portare in detrazione l’IVA relativa all’acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l’operazione, come nel caso di specie, consista nell’acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell’esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo, perché compiuto da parte di un’impresa che non esercita in via esclusiva o principale l’attività di costruzione di tale tipologia di fabbricati. Infatti, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell’acquisto per l’attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) ad una categoria per la quale non vige l’esclusione della detrazione. 8. Va precisato, a tal proposito, che il sistema dell’IVA è volto ad esonerare l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purché esse siano a loro volta soggette ad IVA (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, EON Aset Menidjmunt, punto 43); in questo contesto, la Corte di giustizia ha particolarmente fatto riferimento alla necessità di verifica dell’intenzione del soggetto passivo di destinare all’attività d’impresa l’immobile acquistato (Corte giust.19 luglio 2012, causa C-334/10); sicchè, la questione va risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame nell’ambito della disciplina unionale, nella necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica. In tali termini si è espressa questa Corte nell’ordinanza n. 5559 del 2019, così massimata: «In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio della suddetta attività». Principio, questo, fondato su orientamento nomofilattico assolutamente consolidato (cfr. Cass.n. 3396 del 2020, n. 26748 del 2016, Cass. n. 6883 del 2016, Cass. n. 8628 del 2015). Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui è pacifico che il fabbricato acquistato dal contribuente ha destinazione abitativa ed è altresì pacifico, in quanto non contestato, e comunque anche accertato dai giudici di appello, che il predetto fabbricato è utilizzato come ufficio, ovvero come studio legale del contribuente, di professione avvocato, deve riconoscersi la detraibilità dell’IVA essendo indubitabile la natura strumentale dell’immobile, stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell’attività professionale del contribuente, prescindendo dalla categoria catastale attribuitagli (A/2 – civile abitazione). In estrema sintesi il ricorso va accolto e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 28 aprile 2022, n. 13259

sul ricorso iscritto al n. 5025-2020 R.G. proposto da:

L. U., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Domenico CARELLO ed elettivamente domiciliato in Roma, in largo dei Longobardi, n. 44, presso lo studio legale dell’avv. Gregorio ARENA;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 063633911001, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1105/02/2019 della Commissione tributaria regionale della TOSCANA, depositata il 08/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/03/2022 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI,

Rilevato che

1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, per l’anno d’imposta 2014, recuperava a tassazione l’IVA pagata per l’acquisto di una quota di una un’unità immobiliare di civile abitazione che l’amministrazione finanziaria sosteneva essere stata indebitamente detratta da U. L. in violazione dell’art. 19 bis, comma 1, lett. i) del d.P.R. n. 633 del 1972, ed infliggeva le sanzioni anche relative al mancato perfezionamento del ravvedimento operoso posto in essere dal contribuente, con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’immobile acquistato in comproprietà dal contribuente, ancorché di fatto utilizzato come ufficio (studio legale) e, quindi, in categoria A/10, era però iscritto in catasto con categoria A/2 (civile abitazione) sicché l’IVA era indetraibile per espressa previsione della citata disposizione.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non ha replicato per iscritto l’intimata Agenzia delle entrate.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Considerato che

1. Con il motivo di ricorso il ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dei principi giurisprudenziali di cui a Cass. n. 8628 del 2015 e n. 26748 del 2016.

2. Sostiene che il dato formale dell’accatastamento in categoria A/2 (civile abitazione) dell’immobile acquistato e che la stessa amministrazione finanziaria non contestava essere adibito esclusivamente a studio professionale, ricompreso come tale in categoria A/10, non preclude la detraibilità dell’IVA sull’acquisto trattandosi di bene strumentale alla predetta attività.

3. Va premesso, preliminarmente, che il ricorrente ha espressamente limitato l’impugnazione alla sola questione della detraibilità dell’IVA versata sulla quota parte di prezzo pagato per l’acquisto dell’unità immobiliare adibito a studio professionale, ritenendo di «marginale importanza l’ulteriore questione riguardante il ravvedimento operoso» (ricorso, pag. 19), sicché in relazione a tale questione la statuizione d’appello (di rigetto del ricorso del contribuente) deve ritenersi coperta da giudicato.

4. Venendo al merito del motivo di ricorso, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato e vada accolto.

5. Va premesso che, in deroga al generale principio della detraibilità dell’IVA contenuto nell’art. 19, d.P.R. 633/1972 – che consente all’acquirente di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisti effettuati nell’esercizio dell’impresa ed il bene acquistato sia inerente all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività -, in attuazione della relativa previsione normativa unionale, l’art. 19 bis 1, lett. i), stesso decreto prevede che «non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni».

6. La suddetta previsione normativa preclude, quindi, la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall’utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati).

7. Le disposizioni in esame (art. 19 e art. 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972), inerenti alla materia della detrazione dell’Iva e dei limiti della stessa, unitariamente considerate, comportano, quindi, che, ove l’impresa non svolga attività di costruzione (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa può comunque portare in detrazione l’IVA relativa all’acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l’operazione, come nel caso di specie, consista nell’acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell’esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo, perché compiuto da parte di un’impresa che non esercita in via esclusiva o principale l’attività di costruzione di tale tipologia di fabbricati. Infatti, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell’acquisto per l’attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) ad una categoria per la quale non vige l’esclusione della detrazione. 8. Va precisato, a tal proposito, che il sistema dell’IVA è volto ad esonerare l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purché esse siano a loro volta soggette ad IVA (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, EON Aset Menidjmunt, punto 43);

in questo contesto, la Corte di giustizia ha particolarmente fatto riferimento alla necessità di verifica dell’intenzione del soggetto passivo di destinare all’attività d’impresa l’immobile acquistato (Corte giust.19 luglio 2012, causa C-334/10);

sicchè, la questione va risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame nell’ambito della disciplina unionale, nella necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica.

9. In tali termini si è espressa questa Corte nell’ordinanza n. 5559 del 2019, così massimata: «In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l’esercizio della suddetta attività».

Principio, questo, fondato su orientamento nomofilattico assolutamente consolidato (cfr. Cass.n. 3396 del 2020, n. 26748 del 2016, Cass. n. 6883 del 2016, Cass. n. 8628 del 2015).

10. Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui è pacifico che il fabbricato acquistato dal contribuente ha destinazione abitativa ed è altresì pacifico, in quanto non contestato, e comunque anche accertato dai giudici di appello, che il predetto fabbricato è utilizzato come ufficio, ovvero come studio legale del contribuente, di professione avvocato, deve riconoscersi la detraibilità dell’IVA essendo indubitabile la natura strumentale dell’immobile, stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell’attività professionale del contribuente, prescindendo dalla categoria catastale attribuitagli (A/2 – civile abitazione).

11. In estrema sintesi il ricorso va accolto e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA.

12. In applicazione del principio della soccombenza, l’Agenzia delle entrate va condannata al pagamento delle spese sostenute dal ricorrente nel presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, dovendosi compensare le spese dei gradi di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.

13. Va, invece, rigettata la richiesta avanzata dal controricorrente, di condanna dell’Agenzia delle entrate ex art. 96 cod. proc. civ. per insussistenza di una responsabilità aggravata della parte stessa, come invece sostenuto, peraltro genericamente, dalla ricorrente (cfr. Cass., Sez. U, n. 25041 del 2021 e n. 9912 del 2018, nonché Cass., n. 27646 del 2018), in quanto nella specie, non avendo l’intimata Agenzia neanche replicato per iscritto (essendosi costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa), non può ravvisarsi in capo alla stessa alcuna mala fede o colpa grave e tanto meno un abuso dedllo strumento processuale, trattandosi di profili di responsabilità ravvisabili esclusivamente in atti o comportamenti processuali.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma in data 08 marzo 2022

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay