Somme indebitamente versate dal datore di lavoro: il lavoratore può chiedere il rimborso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7509 del 26 marzo 2018 inerente la controversa questione del rimborso in favore dei lavoratori dipendenti del 90% delle ritenute subite negli anni 1990, 1991 e 1992, ha stabilito che le somme indebitamente versate all’Erario possono essere richieste a rimborso direttamente dal contribuente, anche se il pagamento delle stesse è di fatto stato eseguito dal datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta. Restano infatti del tutto irrilevanti le modalità con le quali sia avvenuto il pagamento, atteso che entrambi i soggetti indicati hanno il diritto a presentare istanza di rimborso.
La vicenda in esame riguarda, infatti, le misure di sostegno in favore dei soggetti colpiti dal sisma del dicembre 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa, previste dall’art. 9, comma 17, legge 289/2002, in cui il lavoratore interessato è legittimato a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso di quanto già versato a titolo di imposte negli anni 1990, 1991 e 1992, e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, non solo il soggetto che ha effettuato il versamento (sostituto d’imposta), ma anche colui che ha percepito le somme assoggettate a ritenuta (sostituito d’imposta), atteso che quest’ultimo è il beneficiario diretto del provvedimento agevolativo in questione. Nello specifico un contribuente, in qualità di erede del padre/lavoratore, presentava istanza di rimborso IRPEF per gli anni 1990-1992, basata sulle agevolazioni previste dal legislatore per tali periodi d’imposta a seguito del sisma del 1990.
L’Ufficio non forniva alcuna risposta e, pertanto, veniva impugnato il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, ritenevano meritevole di accoglimento la domanda del contribuente, attesa la tempestività della richiesta di rimborso e la fondatezza della stessa nel merito. In particolare, la CTR evidenziava come fosse irrilevante che le imposte in questione fossero state integralmente versate tramite il datore di lavoro/sostituto d’imposta.
La pronuncia era impugnata dall’ufficio, fondamentalmente sulla base del fatto che sarebbe stato carente di legittimazione attiva il lavoratore (e quindi il suo erede): essendo stati gli obblighi tributari assolti dal sostituto d’imposta, il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro poteva essere richiesto solo da quest’ultimo. Tale posizione si basava su alcune risoluzioni dell’Amministrazione e sul dato letterale della normativa, che faceva espresso riferimento alle imposte “versate”. Da rammentare che in precedenza gli stessi Ermellini, con la pronunzia n. 15027 depositata il 16 giugno 2017 emessa dalla Sezione V della Suprema Corte si sono pronunciati, in maniera totalmente opposta, su una questione di diritto relativa alla spettanza o meno del rimborso delle ritenute subite negli anni interessati dall’agevolazione “sisma 1990”: avevano espresso un orientamento, oggi minoritario, nel quale veniva espresso in particolare, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, il diritto in capo al lavoratore dipendente al rimborso delle ritenute subite negli anni 1990, 1991 e 1992, precisando però che la formulazione delle norme in esame – il riconoscimento dell’abbattimento del 90% delle imposte versate – ha l’evidente scopo di circoscrivere il diritto al rimborso solo alle fattispecie in cui le somme siano state per l’appunto versate all’Erario, e non solo ritenute alla fonte. Con tale inciso, dunque, i giudici di legittimità avevano posto un serio limite al diritto al rimborso delle ritenute, in quanto per poter sussistere tale diritto occorrerebbe che il sostituto d’imposta abbia effettivamente versato all’Erario le somme trattenute sugli emolumenti di lavoro dipendente elargiti al lavoratore.
La conseguenza di tale affermazione era inerente al caso in cui il datore di lavoro non abbia versato le ritenute effettuate: il lavoratore dipendente avrebbe solamente, salva la intervenuta prescrizione del diritto, un’azione di ripetizione di indebito nei confronti del datore di lavoro che è rimasto in possesso delle somme non versate e che vanno rimborsate nella misura del 90%.
Nel caso in questione, però, la S.C. seguendo le orme della giurisprudenza maggioritaria e in particolare da quanto affermato dalla quasi contemporanea sentenza, la n. 17472 del 14/7/2017, dove il Fisco promuoveva ricorso contro il silenzio rifiuto dell’ufficio su un’istanza di rimborso per IRPEF relativa agli anni 1990-1992, evidenziava: “ … che il motivo è infondato, giacché, in tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui all’art. 1, comma 665, della I. n. 190 del 2014, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, può essere richiesto sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (cd. Sostituto d’imposta) sia dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”) nella sua qualità di lavoratore dipendente (Sez. 5, n. 17472 del 14/07/2017; Sez. 5, n. 15026 del 16/06/2017; Sez. 6-5, n. 14406 del 14/07/2016)”.
La conseguenza di tale affermazione, se da un lato ha riconosciuto la spettanza del diritto al rimborso del 90% delle ritenute subite dai lavoratori dipendenti – smentendo ancora una volta la opposta tesi dell’Amministrazione Finanziaria che incardina tale diritto solo in capo al sostituto di imposta – dall’altro ha testualmente affermato, in risposta a un motivo di censura da parte dell’Amministrazione finanziaria che aveva sostenuto che il ricorrente dovesse dare prova della spettanza del diritto al rimborso (mediante produzione documentale dei versamenti eseguiti da parte del sostituto), che tale censura è infondata laddove postula che di tale fatto costitutivo faccia parte (e che ad esso conseguentemente si estenda anche l’onere della prova del contribuente) — oltre all’effettiva esecuzione delle ritenute fiscali — anche il loro successivo versamento da parte del sostituto d’imposta, essendo questo, in realtà, momento estraneo al rapporto tra sostituito e Fisco e fuori anche dalla sfera di controllo e dall’ambito della responsabilità del sostituito.
Concludono così gli Ermellini: “… Va ribadito (Cass. n. 17472 e n. 17473 del 2017) che «tale interpretazione non trova invero univoco riferimento nel dato positivo, specie alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di cui sopra si è detto. Il riferimento testuale alle imposte “versate”, in particolare, non può assumere il significato scriminante che intende attribuirgli l’amministrazione, non rinvenendosi in materia ragione alcuna per derogare al principio fissato dall’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in forza del quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituirò) (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14406; Cass. 29/07/2015, n. 16105), rimanendo quest’ultimo, comunque, il contribuente/debitore principale e come tale beneficiario diretto del provvedimento agevolativo di che trattasi». Pertanto si deve confermare che il lavoratore, che si identifica con il contribuente, vanta e può esercitare il diritto al rimborso per le somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, restando del tutto indifferente ai fini della spettanza del beneficio la circostanza che la somma, oggetto di richiesta di rimborso, sia stata versata tramite ritenute operate dal sostituto d’imposta. Tale principio ha peraltro recentemente trovato l’avallo del Legislatore che con l’art. 16-octies, comma 1, lett. b), della legge n. 123 del 2017, di conversione con modifiche del d.l. n. 91 del 2017, ha modificato l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 specificando espressamente che tra «i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, […], che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni e che «hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, […] al rimborso di quanto indebitamente versato», sono «compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite». E nel senso dell’effettiva spettanza del rimborso ai lavoratori dipendenti si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, emesso ai sensi del terzo periodo del novellato comma 665 dell’art. 1 della legge 190/2014, che prevede che «Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma». Al riguardo va rilevato che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura «pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017», la novella introdotta dalla legge n. 123 del 2017, art. 16 – octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati «nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma» (primo periodo del comma 665 modificato dalla lettera a) del citato art. 16-octies, comma 1), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che «in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi» (quinto periodo del comma 665 come introdotto dalla lettera b) del citato art. 16-octies, comma 1), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca «le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma», in precedenza riservando il citato comma 665 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un «decreto» con cui stabilire «i criteri di assegnazione dei predetti fondi».[…]Quanto al termine per la presentazione dell’istanza questa Corte, nella già citata sentenza n. 18205 del 2016, ha infatti affermato che lo ius superveniens costituito dall’art. 1, comma 665, ultima parte, della legge n. 190 del 2014, ha espressamente previsto che «Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza é calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248» e cioè dal Io marzo 2008. Ne consegue che le istanze de quibus sono all’evidenza tempestive”.
CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 26 marzo 2018, n. 7509
Sul ricorso 836-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROLA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro M.C., P.C. P.V., elettivamente domiciliati in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati PIETRO LATINO, PIERO SABELLINI;
– contro ricorrente –
avverso la sentenza n. 2054/34/2016 della COMMISIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA, depositata il 25/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/02/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON
Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.
Rilevato che
Con sentenza in data 18 maggio 2016 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 9/2/12 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che aveva accolto il ricorso di M.C. quale erede di P.G. contro il silenzio-rifiuto di rimborso IRPEF spettante al de cuius per gli anni 1990, 1991, 1992. La CTR osservava in particolare che le istanze di rimborso dovevano considerarsi al contempo fondate, ancorché le imposte de quibus fossero state integralmente versate tramite il sostituto datoriale, e tempestive, essendo state proposte il 22 gennaio 2008 e dunque entro il termine decadenziale legale prorogato. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resistono con controricorso la M. e le coeredi P.V. e P.C..
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso l’agenzia fiscale ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, 11 e 14 delle preleggi, 3, comma 1, della legge n. 212 del 2000, 3, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 e 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo di non condividere l’orientamento di questa Corte in ordine all’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla legge n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, anche ai contribuenti che all’entrata in vigore di tale disposizione di favore avevano integralmente versato le imposte relative agli anni 1990, 1991 e 1992.
La censura è inammissibile.
Nel caso di specie le tesi sostenute dalla difesa erariale nel motivo in esame sono del tutto identiche a quelle esaminate e confutate da questa Corte già nella sentenza n. 20641 del 2007 (con riferimento a fattispecie del tutto analoga a quella qui vagliata) e poi ancora nella sentenza n. 11247 del 2010 (con riferimento ai contributi previdenziali dovuti dai soggetti colpiti dall’alluvione della città di Alessandria nel novembre 1994) e n. 3832 del 2012 (con riferimento ai soggetti colpiti dall’alluvione del Piemonte del 1994).
In tali pronunce si è affermato che la definizione automatica della posizione fiscale prevista dalle disposizioni di favore emanate per i soggetti colpiti da particolari calamità naturali «può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10% del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post (Cass. n. 20641 del 2007) «in coerenza con l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge e, in particolare, con i principi di ragionevolezza e uguaglianza da ritenere tanto più accentuati in quanto riferiti a vittime di calamità naturali» (Cass. n. 3832 del 2012).
Analoga confutazione hanno avuto le argomentazioni svolte dalla difesa erariale con riferimento ai principi espressi dalla Corte costituzionale nelle pronunce dalla medesima citate nel ricorso, essendosi affermato (Cass. n. 18205 del 2016) che in quelle pronunce vengono definite “sine causa” i pagamenti di tributi precedentemente effettuati dal contribuente e, quindi, dovute al momento della solutio, ma divenuti indebiti a seguito di successivo intervento legislativo; che è situazione del tutto identica a quella in esame.
Si è detto, inoltre, che il Giudice delle leggi ha differenziato la disciplina del condono – che essendo caratterizzata dalla «incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati» e non escludendo la “causa debendi” dei pagamenti anteriormente effettuati, non interferisce con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – dalle altre disposizioni di favore – nel cui ambito si ascrivono quella in esame – che sono estranee alla tecnica ed alle finalità del condono e che non rispondono «ad esigenze della finanza pubblica» (così Corte cost., sent. n. 416 del 2000), ma piuttosto mirano a «realizzare un’uniformità di regolamentazione» di una disciplina sostanziale (come la Corte costituzionale ha ritenuto con riferimento alle agevolazioni per la prima casa) oppure a prevedere misure di sostegno in favore di soggetti particolarmente bisognosi, come quelli danneggiati da calamità naturali (in tal senso Cass. n. 11247 del 2010), che è appunto l’ipotesi che viene qui in rilievo.
Il motivo di ricorso non supera quindi lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ. (da effettuarsi in ordine ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione; v. in tal senso Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017), atteso che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nella citata disposizione processuale, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 3142 del 2011 e n. 19190 del 2017).
Con il secondo motivo l’agenzia fiscale ricorrente si duole della violazione degli artt. 9, comma 17, legge 289 del 2002, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 e 112 cod. proc. civ., poiché la CTR ha errato nel ritenere spettante al contribuente il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro del medesimo, che aveva assolto gli obblighi tributari quale sostituto d’imposta, a costui spettando in via esclusiva il rimborso, come avrebbe dovuto desumersi sia dal riferimento testuale nella norma alle imposte «versate», sia dalla ratio dell’intervento legislativo diretto ad assicurare – siccome evidenziato dall’interpretazione fornita dal Governo nell’ordine del giorno n. 9/5310-bis C-R/65 della seduta del 28/12/2004, e poi ancora dalle risoluzioni dell’amministrazione finanziaria n. 23/E del 2005 e n. 247/E del 2008 – un sostegno economico alle imprese delle province colpite dagli eventi sismici e comunque riferito alle imposte autoliquidate dagli stessi contribuenti.
La censura è infondata.
Va ribadito (Cass. n. 17472 e n. 17473 del 2017) che «tale interpretazione non trova invero univoco riferimento nel dato positivo, specie alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di cui sopra si è detto. Il riferimento testuale alle imposte “versate”, in particolare, non può assumere il significato scriminante che intende attribuirgli l’amministrazione, non rinvenendosi in materia ragione alcuna per derogare al principio fissato dall’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in forza del quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituirò) (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14406; Cass. 29/07/2015, n. 16105), rimanendo quest’ultimo, comunque, il contribuente/debitore principale e come tale beneficiario diretto del provvedimento agevolativo di che trattasi».
Pertanto si deve confermare che il lavoratore, che si identifica con il contribuente, vanta e può esercitare il diritto al rimborso per le somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, restando del tutto indifferente ai fini della spettanza del beneficio la circostanza che la somma, oggetto di richiesta di rimborso, sia stata versata tramite ritenute operate dal sostituto d’imposta.
Tale principio ha peraltro recentemente trovato l’avallo del Legislatore che con l’art. 16-octies, comma 1, lett. b), della legge n. 123 del 2017, di conversione con modifiche del d.l. n. 91 del 2017, ha modificato l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 specificando espressamente che tra «i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, […], che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni e che «hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, […] al rimborso di quanto indebitamente versato», sono «compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite».
E nel senso dell’effettiva spettanza del rimborso ai lavoratori dipendenti si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, emesso ai sensi del terzo periodo del novellato comma 665 dell’art. 1 della legge 190/2014, che prevede che «Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma».
Al riguardo va rilevato che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura «pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017», la novella introdotta dalla legge n. 123 del 2017, art. 16 – octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati «nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma» (primo periodo del comma 665 modificato dalla lettera a) del citato art. 16-octies, comma 1), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che «in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi» (quinto periodo del comma 665 come introdotto dalla lettera b) del citato art. 16-octies, comma 1), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca «le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma», in precedenza riservando il citato comma 665 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un «decreto» con cui stabilire «i criteri di assegnazione dei predetti fondi».
Ritiene il Collegio che tale ius superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, non incide sulla questione della quale è investita la Corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, qual è il controricorrente, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza.
Il che rende irricevibile la richiesta avanzata dalla difesa erariale di rimessione della causa alla pubblica udienza della Quinta Sezione civile di questa Corte.
Inoltre costituisce jus receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (es. tra le tante Cassazione civile, sez. trib., 24/04/2015, n. 8373, in tema di IVA).
Il che rende complessivamente tuttora operanti e pienamente attuali i principi di diritto già consolidatamente enunciati in materia da questa Corte e, dunque, “decidibile” l’odierno ricorso con rito camerale a mente degli artt. 375 e 380-bis cod. proc. civ., senza la necessità della celebrazione della pubblica udienza, pur sollecitata dalla difesa erariale. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 9, comma 17, legge 289 del 2002, 21, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 546 del 1992, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, 12 e 14 delle preleggi nonché 112 cod. proc. civ., poiché la CTR ha errato nel ritenere tempestiva l’istanza di rimborso, proposta in data 22 gennaio 2008 e quindi oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002.
La censura è infondata.
Quanto al termine per la presentazione dell’istanza questa Corte, nella già citata sentenza n. 18205 del 2016, ha infatti affermato che lo ius superveniens costituito dall’art. 1, comma 665, ultima parte, della legge n. 190 del 2014, ha espressamente previsto che «Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza é calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248» e cioè dal Io marzo 2008.
Ne consegue che le istanze de quibus sono all’evidenza tempestive. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile, il secondo ed il terzo motivo vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo motivo; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.000 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.