Società truffata, come si rettifica l’IVA e si qualificano IRES e IRAP
Una S.r.l. riferisce di essere stata vittima di una truffa, effettuata dal dipendente di un’altra azienda, alla quale la prima era legata da un rapporto di agenzia.
In pratica il dipendente preparava ordini di acquisto per merce peraltro mai richiesta dai clienti della società istante, contattava i trasportatori e dirottava la merce in posti di cui disponeva per poi venderla in nero a terzi: nel frattempo, questa merce veniva regolarmente fatturata dalla società istante, che solo in seguito si accorgeva dell’inesistenza dei relativi crediti perché non riconosciuti dai clienti ovviamente all’oscuro delle operazioni.
Dopo aver risolto il contratto di agenzia con l’altra azienda la S.r.l. nel 2015 ha presentato un atto di denuncia-querela alla Procura della Repubblica nei confronti del truffatore; il Tribunale ha emesso una sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale nei suoi confronti, divenuta irrevocabile il 5 settembre 2017, dalla quale risulta che il danno subito dalla società ammontava a oltre 760.000 euro, IVA compresa). Inoltre, nel 2016 l’istante ha promosso un’azione nei confronti del signore per merce da lui ordinata a uso personale e non pagata, a fronte della quale il Tribunale ha emesso un decreto ingiuntivo, esecutivo nel 2017, per il pagamento di circa 15.000 euro.
Le indagini sulla situazione patrimoniale del truffatore hanno condotto all’unico bene immobile di sua proprietà – valore periziato 224.000 euro – sottoposto a procedura esecutiva dal 2013 e gravato da ipoteche giudiziali a favore di varie banche per un totale di 810.000 euro. La S.r.l., valutata l’assoluta incapienza della procedura immobiliare, ha deciso per un’azione esecutiva mobiliare presso la residenza del debitore, conclusa comunque con esito negativo vista l’assenza di beni mobili pignorabili, come evidenziato nel verbale di pignoramento emesso dall’Ufficiale giudiziario nel maggio 2019 dal quale risulta l’assenza di ulteriori beni e crediti pignorabili. Tale verbale, come la successiva dichiarazione patrimoniale effettuata a giugno 2019 presso la Corte di Appello dal debitore, sono stati trasmessi in sede di documentazione integrativa, nell’ambito della quale la società istante precisa inoltre:
– che non ha mai preteso fideiussioni, garanzie reali o personali dai clienti e che non gode di alcun patto di riservato dominio sulla merce fornita;
– che non ha intrapreso azioni risarcitorie nei confronti della seconda azienda, anche ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, non sussistendone i presupposti giuridici, stante la confessione resa implicitamente dal dipendente. L’agente ha agito privatamente con dolo a fini personali e per scopo di illecito lucro, in danno anche del suo datore di lavoro, che ne ha successivamente disconosciuto le mansioni e l’azione, interrompendo quindi il nesso di “causalità necessaria” che avrebbe potuto coinvolgere quest’ultimo (articolo 2049 c.c.);
– che nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2014 ha operato conformemente al principio OIC 31 accantonamenti al fondo rischi per 665.000 euro, in ragione della (allora) sospetta truffa. Questo fondo ha raggiunto l’importo di oltre 860.000 euro nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2015 – ritenuto congruo dall’Istante in quanto su parte delle forniture il collegamento con la truffa non era ancora certo – ed è rimasto invariato negli esercizi successivi;
– che il fondo “(…) – nel caso fosse confermato il riconoscimento della definitività della perdita e la sua effettiva manifestazione – verrà utilizzato ai sensi del principio contabile citato”.
Il quesito oggetto di interpello
Una volta esposti i fatti, la società chiede di conoscere:
1. la condotta da adottare, ai fini dell’IVA, per rettificare l’imposta a suo tempo versata all’Erario senza poter realizzare la rivalsa, per evitare di restare inciso dal tributo e rispettare il principio di neutralità dell’imposta;
2. la corretta qualificazione, ai fini IRES e IRAP, dei componenti negativi di reddito in questione, dando per scontato che sono di competenza temporale del periodo d’imposta 2017, esercizio nel quale la sentenza è divenuta irrevocabile fornendo così all’istante la certezza giuridica della truffa subita e del conseguente danno patrimoniale.
Rispetto all’IVA, la S.r.l. ritiene legittimo operare una rettifica ai sensi dell’art. 26, comma 2, del DPR 633/1972, considerato che la perdita dei beni conseguente alla truffa subita e il suo ammontare risultano accertati dal Tribunale con sentenza, citando al riguardo la risoluzione 410713 del 1978 e le sentenze della Corte di Giustizia Ue 14 luglio 2005, C-435/03, e 4 ottobre 2012, C-550/11.
Ai fini delle imposte dirette la società riferisce che, non avendo motivi per ritenere non veri gli ordini ricevuti nel 2014 e nel 2015 attraverso il suo agente – successivamente risultati falsi – ha contabilizzato i relativi ricavi negli anni di competenza, facendoli concorrere alla determinazione del reddito d’impresa. Poiché nel 2017 è intervenuta e divenuta definitiva la sentenza che ha accertato questi ordini come falsi, l’istante ritiene che “quei ricavi devono essere stornati ad ogni effetto – contabile, civilistico e tributario – attraverso una registrazione contabile successiva (…) che esprima la sopravvenienza dell’evento”.
L’IVA
Ai fini dell’IVA, con la Risposta n. 331/2019, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che in situazioni come queste si può procedere alla rettifica IVA, corrisposta all’Erario senza potere realizzare la rivalsa, e alla rideterminazione dell’IRES e dell’IRAP. L’art. 26, comma 2 del DPR 633/1972 riconosce al cedente il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola in base all’art. 25 del medesimo DPR, quando l’operazione viene meno in tutto o in parte “in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili” e “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”. Quando, infatti, il passaggio dei beni avviene indipendentemente dalla volontà del cedente, del tutto assente come nei casi di furto, oppure artatamente manipolata come nei casi di truffa, mancano i presupposti per assoggettare la cessione all’IVA, come si è verificato nel caso in esame. In particolare, pur mancando i requisiti per l’assoggettamento a IVA dell’operazione, l’imposta è stata fatturata dalla società in regime di imponibilità e l’imposta è stata versata senza esercitare in concreto la rivalsa.
Per recuperare l’imposta, nelle ipotesi di furto o truffa esiste la possibilità di emettere note di variazione ai sensi dell’art. 26, presupponendo che al momento dell’emissione delle fatture attive il contribuente non sapeva e non poteva ragionevolmente sapere che si trattasse di un furto o di una truffa.
L’IRES e l’IRAP
Per quanto concerne l’IRES, l’Agenzia ritiene che l’utilizzo del fondo rischi rende possibile operare una variazione in diminuzione nel periodo d’imposta in cui avviene, nei limiti della quota precedentemente accantonata: spetterà all’istante predisporre e conservare la documentazione che permetta all’Amministrazione finanziaria di riscontrare la puntuale riconduzione della variazione in diminuzione all’ammontare originario dei ricavi, divenuti insussistenti a seguito della truffa. Ai fini IRAP, l’Agenzia evidenzia che il principio generale è quello della “presa diretta da bilancio” delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi, alla luce dello “sganciamento del tributo regionale dall’imposta sul reddito stesso, rendendo così le modalità di calcolo del tributo più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio”.
In proposito, fermo restando che gli accantonamenti per rischi e oneri non devono assumere rilevanza nella determinazione dell’IRAP – lo ha chiarito la circolare 12/E del 2008 – i costi corrispondenti risultano deducibili dalla base imponibile IRAP solo al momento dell’effettivo sostenimento, e sempre che siano riconducibili a voci rilevanti nella determinazione della base imponibile IRAP.
Di conseguenza l’insussistenza dei ricavi originari, che hanno concorso alla formazione del valore della produzione netta IRAP, assume rilievo ai fini del tributo regionale, nel periodo d’imposta in cui avviene l’utilizzo del fondo (art. 5, comma 4, del decreto IRAP).
