Si al sequestro preventivo, anche se c’è un lieve ritardo nei pagamenti
Tributi – Reati tributari – Omesso versamento IVA oltre la soglia stabilita dall’art. 10-ter, D.lgs. n. 74 del 2000 – Sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente – Tenuità dello sforamento – EsclusioneLa Corte di Cassazione con la sentenza n. 10805 del 12 marzo 2019, ha affermato che in tema di reati tributari non conta che il ritardo sia “lieve”o che sia avvenuto dopo qualche mese.
Nel caso di sequestro preventivo, se finalizzato alla confisca, non si può invocare la tenuità dello sforamento dal pagamento del debito rateale.
La Corte di Cassazione, in precedenza ancora con la recente sentenza Sez. 3 Pen. n. 33389/2018, aveva peraltro affermato che il giudice di appello, anche d’ufficio, deve porsi la questione se persistano i presupposti per disporre la confisca nei limiti della somma fissata dalla sentenza di primo grado, laddove l’imputato esibisce di avere concordato il pagamento rateale del debito verso l’Erario, di avere corrisposto alcuni ratei e di aver estinto parte del debito. Ciò al fine di evitare il determinarsi un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
Nella giurisprudenza di legittimità si è anche consolidato il principio per cui la disposizione di cui al comma secondo dell’articolo12-bis del D.lgs. n. 74/2000 (introdotta dal D.lgs. n. 158/2015), secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo a essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito.
Sotto questa interpretazione solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può evitare la confisca, essendo insufficiente la mera ammissione a un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo.
Pertanto, tale indicazione e volontà di pagamento deve essere rispettata nei tempi e nei modi concordati con l’A.F., come peraltro già affermato dagli stessi giudici di legittimità che con la sentenza 5728/2016 hanno fatto notare come il legislatore del 2015 abbia definito, al comma 2 dell’art. 12-bis cit., che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, aggiungendo però subito dopo che “nel caso di versamento la confisca è sempre disposta”.
Tale disposizione, è proprio laddove la stessa appare contemplare la “non operatività” della confisca in caso di “impegno” a versare all’erario il debito d’imposta formatosi a seguito dell’evasione, che potrebbe far ritenere, a prima vista, non più sostenibile l’approdo giurisprudenziale rammentato, ma ad avviso del Collegio ciò non è sostenibile poiché nella precisazione della nozione di “impegno” si afferma che :” … la dizione, con tutta evidenza atecnica, utilizzata dalla norma, potrebbe suggerire come sufficiente ai fini dell’esclusione della confisca la mera esternazione unilaterale del proposito di adempiere al pagamento svincolata da ogni scadenza e da ogni obbligo formale nei confronti della controparte; ma una tale conclusione condurrebbe a far dipendere la operatività della sanzione, in contrasto con i criteri di logicità e ragionevolezza che devono sempre presiedere all’operazione interpretativa, e in maniera tale da condurre ad una sostanziale neutralizzazione generalizzata dell’istituto, da propositi unilaterali e per di più sforniti di ogni sanzione in caso di mancato rispetto dell’impegno assunto. E’ per tale motivo, dunque, che non può non privilegiarsi una possibile seconda opzione interpretativa, ovvero quella volta a circoscrivere l’area di applicabilità della previsione ai soli casi di un obbligo assunto in maniera formale e nei quali non potrebbe non rientrare l’ipotesi di specie di un accordo per il pagamento rateale del debito d’imposta intervenuto con l’Agenzia delle Entrate”.
Tanto ciò premesso, e tornando al caso dibattuto, una società otteneva il dissequestro dei beni in considerazione del fatto che secondo il giudice del Tribunale non sussistevano pericoli di dispersione dei beni, considerando che la società aveva rispettato il piano di pagamento rateale del debito, anche se con ritardo, “sforando” il pagamento pattuito di soli tre mesi.
La Corte di Cassazione non ha condiviso questa tesi, evidenziando invece che questo leggero ritardo non è giustificabile e che “… Qualora, come nel caso in esame, il sequestro preventivo non abbia carattere impeditivo, ossia non abbia la funzione di evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o l’agevolazione della commissione di altri reati, secondo quanto previsto dall’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., ma sia strumentale alla confisca, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, per poter disporre o mantenere tale secondo tipo di sequestro deve solamente essere verificato, una volta accertata la sussistenza di indizi di responsabilità, che i beni da assoggettare al vincolo rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del pericolo nel ritardo (che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo), sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni, in quanto in tale ipotesi la pericolosità della res non è suscettibile di valutazioni discrezionali, ma è presunta dalla legge (cfr. Sez. 3, n. 43945 del 25/06/2013, Liccardi, Rv. 257418; Sez. 2, n. 31229 del 26.6.2014, Borda, Rv. 260367; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263408).
Poiché la confisca, diretta o per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei reati previsti dal d.lgs. 74/2000, dunque anche di quello di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000) contestato alla ricorrente, è prevista come obbligatoria dall’art. 12 bis d.lgs. 74/2000, non rileva, nella valutazione della richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo strumentale a una tale confisca, il permanere del pericolo nel ritardo, dovendo aversi riguardo solamente alla sussistenza degli indizi della commissione del reato e alla confiscabilità dei beni. Ne consegue la contrarietà alle disposizioni denunciate dal pubblico ministero ricorrente della valutazione compiuta dal Tribunale di Venezia, che ha annullato il provvedimento di sequestro impugnato dalla indagata in considerazione del venir meno del pericolo nel ritardo, che, come notato, non rileva nel caso di sequestro preventivo strumentale alla confisca. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio per nuovo esame della richiesta di riesame presentata dalla indagata, da compiere sulla scorta dei criteri e dei principi di diritto enunciati. Va aggiunto, per quanto riguarda la rilevanza degli eventuali accordi conclusi dalla obbligata con l’amministrazione finanziaria e dei pagamenti parziali eventualmente eseguiti in esecuzione di tali accordi, che la disposizione contenuta al secondo comma secondo dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, va circoscritta ai soli casi di obblighi assunti in maniera formale, tra i quali rientrano le ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, di attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266037; Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268383)”.

Corte di Cassazione – Sentenza 12 marzo 2019, n. 10805
Sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia nel procedimento nei confronti di S. L., nata a Venezia il 10/4/1985 avverso l’ordinanza del 13/6/2018 del Tribunale di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio Romano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per l’indagata l’avv. Marco Serena, in sostituzione dell’avv. Marco Vianello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13 giugno 2018 il Tribunale di Venezia, provvedendo sulla richiesta di riesame presentata da L. S. nei confronti dell’ordinanza del 21 maggio 2018 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo, in via diretta e per equivalente, fino alla concorrenza della somma di euro 960.894,00, in relazione al reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 (contestato alla S., quale legale rappresentante della S. T. S.r.l., per avere omesso di versare l’acconto dell’imposta sul valore aggiunto dovuto da tale società per l’anno 2015, dell’ammontare di euro 960.984,00), ha annullato l’ordinanza impugnata, disponendo la restituzione dei beni sequestrati, ritenendo insussistente il pericolo di dispersione dei beni della debitrice e della indagata, sottolineando che la società aveva sostanzialmente rispettato il piano di pagamento rateale del debito tributario, posticipando solamente di tre mesi il pagamento delle ultime due rate, con la conseguente insussistenza del pericolo di occultamento dei beni della obbligata e della loro sottrazione all’adempimento della obbligazione tributaria.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, che lo ha affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen. e 12 bis d.lgs. 74/2000, in quanto dal combinato disposto di tali disposizioni si desumerebbe la non necessarietà della sussistenza del pericolo nel ritardo per poter disporre il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto di reati tributari, che richiederebbe solamente la sussistenza di indizi di reato, ma non anche una prognosi negativa circa la libera disponibilità dei beni, che, proprio perché confiscabili, debbono ritenersi di per sé oggettivamente pericolosi.
Il riferimento compiuto dal Tribunale alla mancanza di pericolo nel ritardo risulterebbe, pertanto, improprio e in contrasto con le disposizioni denunciate.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato ulteriore violazione ed errata applicazione degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen. e 12 bis d.lgs. 74/2000, in riferimento alla affermazione del Tribunale secondo cui il parziale adempimento dell’obbligazione tributaria giustificherebbe la totale caducazione della misura cautelare, in quanto il pagamento parziale della obbligazione tributaria non determina il venir meno della confiscabilità del bene, ma consentirebbe solamente di ridurre l’importo del sequestro, in misura corrispondente alle somme versate all’Erario, in esecuzione dell’accordo concluso tra contribuente e amministrazione finanziaria, rimanendo irrilevante, per il resto, la sola assunzione dell’obbligo di provvedere al pagamento rateale delle somme residue.
3. L’indagata ha resistito alla impugnazione del pubblico ministero, con memoria depositata il 23 novembre 2018, mediante la quale ha ribadito la necessità, nel disporre la confisca facoltativa, di dare conto delle ragioni di possibile modifica, dispersione, deterioramento, utilizzazione o alienazione delle cose da sottoporre al provvedimento ablatorio, nonché del loro diretto collegamento con il profitto del reato, che nel caso di specie doveva essere escluso, in considerazione della rateizzazione del debito tributario e del pagamento da parte della obbligata delle rate concordate, con un ritardo di soli tre mesi nel pagamento di una rata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente.
2. Qualora, come nel caso in esame, il sequestro preventivo non abbia carattere impeditivo, ossia non abbia la funzione di evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o l’agevolazione della commissione di altri reati, secondo quanto previsto dall’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., ma sia strumentale alla confisca, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, per poter disporre o mantenere tale secondo tipo di sequestro deve solamente essere verificato, una volta accertata la sussistenza di indizi di responsabilità, che i beni da assoggettare al vincolo rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del pericolo nel ritardo (che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo), sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni, in quanto in tale ipotesi la pericolosità della res non è suscettibile di valutazioni discrezionali, ma è presunta dalla legge (cfr. Sez. 3, n. 43945 del 25/06/2013, Liccardi, Rv. 257418; Sez. 2, n. 31229 del 26.6.2014, Borda, Rv. 260367; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263408).
Poiché la confisca, diretta o per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei reati previsti dal d.lgs. 74/2000, dunque anche di quello di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000) contestato alla ricorrente, è prevista come obbligatoria dall’art. 12 bis d.lgs. 74/2000, non rileva, nella valutazione della richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo strumentale a una tale confisca, il permanere del pericolo nel ritardo, dovendo aversi riguardo solamente alla sussistenza degli indizi della commissione del reato e alla confiscabilità dei beni.
Ne consegue la contrarietà alle disposizioni denunciate dal pubblico ministero ricorrente della valutazione compiuta dal Tribunale di Venezia, che ha annullato il provvedimento di sequestro impugnato dalla indagata in considerazione del venir meno del pericolo nel ritardo, che, come notato, non rileva nel caso di sequestro preventivo strumentale alla confisca.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio per nuovo esame della richiesta di riesame presentata dalla indagata, da compiere sulla scorta dei criteri e dei principi di diritto enunciati.
3. Va aggiunto, per quanto riguarda la rilevanza degli eventuali accordi conclusi dalla obbligata con l’amministrazione finanziaria e dei pagamenti parziali eventualmente eseguiti in esecuzione di tali accordi, che la disposizione contenuta al secondo comma secondo dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro, va circoscritta ai soli casi di obblighi assunti in maniera formale, tra i quali rientrano le ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, di attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266037; Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268383).
Tale disposizione deve, poi, essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito (Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038, nella quale è stato chiarito che funzione del vincolo cautelare è quella di garantire che l’adottata misura ablativa, inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno, esplichi i propri effetti qualora il versamento “promesso” non si verifichi; conf. Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268384), e va limitata agli importi non ancora corrisposti (Sez. 3, n. 42087 del 12/07/2016, Vitale, Rv. 268081).
4. L’ordinanza impugnata deve, dunque, essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Venezia, che dovrà verificare, al fine della valutazione della proporzionalità del sequestro, sia l’esistenza di un valido accordo tra la debitrice e l’amministrazione, sia la misura in cui questo sia eventualmente già stato adempiuto, anche allo scopo di consentire alla indagata di poter beneficiare della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. 74/2000.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Venezia, Sezione per il riesame. Così deciso il 5/12/2018