CASSAZIONE SENTENZE

Se il debito tributario è stato pagato si annulla il sequestro per sottrazione fraudolenta

Tributi – Omessa dichiarazione dei redditi percepiti in Italia – Sottrazione fraudolenta – Sequestro finalizzato – Autoriciclaggio – Avvenuto pagamento del debito – Accertamento induttivo – Profitto confiscabile commisurato al valore dei beni sottratti alla garanzia del credito – Domicilio fiscale estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12084 del 22 marzo 2023, intervenendo nell’ambito del profitto del reato di cui all’art. 11 D.lgs. 74/2000 e sul rilievo dell’estinzione del debito tributario di cui agli artt. 317 e 319-quater c.p., ha stabilito che anche per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte il sopravvenuto integrale pagamento del debito tributario comporta l’impossibilità di mantenere il sequestro finalizzato alla confisca.

Pertanto, secondo gli Ermellini, il profitto confiscabile anche per equivalente del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria.

In altre parole è noto che il provvedimento di sequestro è finalizzato a imporre un vincolo sui beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’erario, ma quando il debito tributario è estinto viene meno anche l’esigenza di salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore. Va quindi affermato che nel caso in cui il debito tributario sia stato soddisfatto, trattandosi di una fattispecie che, al pari di quella in cui è stata riconosciuta l’insussistenza della pretesa tributaria, si caratterizza ugualmente per il venir meno del debito rispetto al quale il patrimonio del contribuente funge da garanzia patrimoniale per l’erario.

Col pagamento del debito viene meno la finalità del sequestro, dove tale disposizione si inserisce nella più ampia logica del sistema penale tributario, nel cui ambito le condotte di ravvedimento mediante pagamento del debito tributario sono valorizzate anche al fine di escludere la punibilità del reato o di attenuarne la relativa gravità.

L’intero sistema sanzionatorio è ponderato in modo tale da tener conto dell’adempimento del debito, valorizzando la strumentalità dell’apparato penale rispetto all’esigenza di recupero delle imposte evase. In sostanza gli Ermellini hanno ritenuto che non vi siano valide ragioni per escludere l’applicabilità di tale disposizione anche al sequestro del profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11, D.lgs. 74/2000).

Occorre premettere che il tema dell’individuazione del profitto del reato della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte si connota come uno dei pochi reati di pericolo a presidio di un interesse erariale in sovente difficoltà e, più generale, uno di quelli più seriamente temuti nel sistema del diritto penale a vocazione economica. Le si attribuisce, essenzialmente, la carente determinatezza di alcune componenti del precetto, con il difetto di esporre al pericolo di diffuse criminalizzazioni atti di disposizione patrimoniale da cui possa scaturire una depressione della garanzia patrimoniale erariale sol perché disallineati dalle “ordinarie regole commerciali e di mercato”.

La Suprema Corte, consapevole di alcune criticità del dettato normativo, non ha nel tempo risparmiato inviti alla cautela interpretativa, a fronte della labilità del confine tra atti dispostivi legittimi e fraudolenti, come ad esempio in merito al rapporto tra il sequestro fondato sul reato ex art. 11, D.lgs. 74/2000 e l’annullamento degli atti di accertamento da parte della Commissione tributaria regionale.

A fronte dell’annullamento dell’avviso di accertamento da parte della Commissione tributaria di primo grado, nel rigettare l’eccezione di illegittimità del provvedimento di sequestro per non debenza delle imposte richieste, per sottrarsi al cui pagamento era stato realizzato l’atto simulato o fraudolento, la Corte di Cassazione (n. 13233/2016) ha offerto significative indicazioni a proposito della natura del reato di pericolo concreto e della condotta modale che lo contraddistingue.

Da esse discende il fatto che, nella specie, sia intervenuto annullamento dell’avviso di accertamento, tanto più in quanto non si afferma in ricorso essere tale sentenza passata in giudicato, non può significare il venir meno del fumus del reato proprio perché da valutare, quest’ultimo, in funzione alla natura dell’illecito, che non richiede neppure una previa azione di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria (v. Sent. n. 39079/2013) e che si caratterizza per il detrimento che le ragioni dell’erario possono subire per effetto di condotte insidiose e “oblique” rispetto a pretese, pur se ancora in nuce, esercitabili dall’Amministrazione.

Anche in precedenza (Cass., Sez. 3, n. 40534/2015) la Corte di legittimità, rispetto a sentenze della Commissione tributaria regionale che avevano annullato gli accertamenti dei debiti tributari rispetto ai quali era contestata la fattispecie di cui all’art. 11 del D.lgs. 74/2000, aveva rilevato “….che le stesse, pur essendo provvisoriamente esecutive, non fanno venire meno in via definitiva la pretesa tributaria, essendo soggette ad impugnazione con ricorso per cassazione”.

La Cassazione aveva valorizzato la circostanza che non emergeva dalla documentazione prodotta che l’Agenzia delle entrate avesse dichiarato in via definitiva l’insussistenza del debito, essendosi limitata a prendere atto delle richiamate sentenze, “… che impediscono, ma solo allo stato attuale, la riscossione”.

Con diversa sentenza, n. 39187/2015, la Cassazione aveva però affermato il principio che se “… in  tema di reati tributari il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di ‘sgravio’ da parte dell’Amministrazione finanziaria”.

Secondo tale pronuncia, in particolare, è l’intervenuto sgravio delle somme di cui all’avviso di accertamento che renderebbe privo di qualsiasi giustificazione, “allo stato”, il mantenimento del sequestro in assenza dì qualsivoglia “attuale” pretesa erariale, sembrando non esservi infatti nell’attualità nulla da salvaguardare a seguito non solo dell’annullamento degli avvisi di accertamento, ma anche del conseguente provvedimento di sgravio del debito tributario, ciò che manifesterebbe l’assenza, appunto, attuale, di pretese erariali, rendendo quindi illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto, in atto, inesistente. (v. Cass. Sent. n. 17071/2006 ).

Di non minore rilievo risulta, inoltre, la sent. n. 10763/2021, nella quale la Corte ha affermato che, l’illecito costituito dal fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a tali imposte, ricorre anche quando l’atto simulato o fraudolento sia compiuto pure per finalità ulteriori, distinte e autonome, in quanto la norma incriminatrice non richiede che la finalità di sottrarsi al pagamento dei debiti tributari sia esclusiva.

Al riguardo, il giudice di legittimità ha chiarito che la giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite, è pervenuta a conclusioni analoghe con riferimento al fine di evasione caratterizzante il dolo specifico del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – strutturato dall’art. 2, D.lgs. 74/2000 con analoga tecnica normativa – osservando che lo stesso può concorrere con altre finalità, senza che ciò escluda la configurabilità dell’illecito, eventualmente in concorso formale con altre fattispecie delittuose.

A chiarimento dell’asserto s’è precisato che tale conclusione risulta pienamente in linea con la struttura e con la ratio dell’incriminazione, atteso che l’illecito in oggetto è un reato di pericolo per il quale è richiesta la mera esistenza di un credito erariale relativo a imposte sui redditi o sul valore aggiunto, suscettibile di essere azionato coattivamente, e che scopo dell’incriminazione è quello di tutelare la garanzia patrimoniale offerta al fisco e, con essa, l’azionabilità della pretesa dell’erario.

La confisca in ambito tributario è, per sua natura, collegata al recupero delle imposte evase e in quest’ottica l’art. 12-bis del citato D.lgs. 74/2000 introduce un sistema finalizzato a favorire l’adempimento del debito tributario prevedendo, a fronte di tali condotte, l’esclusione della confisca del profitto. Il comma 2 di tale articolo prevede, infatti, che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca e’ sempre disposta”.

Da ultimo, deve farsi cenno alla pronunzia n. 28457/2021, in cui la Corte ha affermato che l’illecito in oggetto è un reato di pericolo di natura eventualmente permanente, che si perfeziona nel primo momento di realizzazione della condotta finalizzata a eludere le pretese del fisco e la cui consumazione può protrarsi per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a mettere in pericolo l’obbligazione tributaria, traendo dall’asserto la conseguenza che la competenza per territorio si determina in base al luogo in cui viene compiuto il primo atto finalizzato a eludere le pretese del fisco, mentre il termine di decorrenza della prescrizione coincide con il momento di cessazione della consumazione del reato.

In sostanza, l’eventuale provvedimento di sequestro è finalizzato a imporre un vincolo sui beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’erario, ma laddove il debito tributario è estinto viene meno anche l’esigenza di salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore.

Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi in esame, una società contribuente sottoposta a giudizio per reati tributari era condannata a un sequestro preventivo diretto e per equivalente, in relazione ai beni conferiti nel trust denominato “The MC f. trust number 1”, delle somme dovute all’erario risultanti dall’accertamento induttivo operato dal fisco. Applicando i relativi principi di diritto, il Tribunale del riesame di Brescia riteneva sussistenti i presupposti per disporre il sequestro preventivo in relazione all’omessa dichiarazione di redditi percepiti in Italia, commessa dichiarando falsamente il domicilio fiscale fuori dal territorio nazionale.

La parte contribuente si rivolgeva alla Cassazione con un ricorso formulato da quattro motivi in cui essenzialmente poneva in risalto che nel precedente giudizio era stata ritenuta irrilevante l’intervenuta estinzione del debito tributario da parte degli indagati, e ciò sull’assunto secondo cui il profitto del reato sarebbe scollegato dall’entità del debito e andrebbe parametrato al valore dei beni sottratti alla garanzia dell’erario. La Suprema Corte accoglieva i motivi di ricorso della società contribuente, affermando che: “… Il primo motivo di ricorso concerne la ritenuta irrilevanza dell’avvenuto adempimento del debito tributario, in relazione al quale era stato disposto il sequestro dei beni confluiti nel trust costituito dal A.A., nonché nell’acquisto dell’immobile in cui questi abita, pur se formalmente intestato ad una società ricollegabile al predetto indagato. Occorre premettere che, nella sentenza rescindente, tale profilo non è stato esaminato, in quanto all’epoca non era intervenuto l’integrale pagamento, bensì vi era stato solo il parziale accoglimento dell’istanza di rateizzazione delle somme iscritte a ruolo (si veda p.3.1.5 Sez.2, n. 16538 del 25/2/2022). Sul punto, quindi, il Tribunale, decidendo in sede di rinvio, non era vincolato da alcun principio di diritto, né la questione dedotta dai ricorrenti esula dall’oggetto del giudizio così come delimitato per effetto della sentenza rescindente. A tal riguardo, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che, in materia di impugnazioni di provvedimenti cautelari, il giudice del rinvio non può abbandonare il thema decidendum, segnato dai motivi di ricorso che hanno determinato l’annullamento, e definire il giudizio attraverso l’introduzione di nuovi punti per la decisione, ma deve, in primo luogo, eliminare il vizio rilevato dalla Corte di cassazione, e solo successivamente, muovendo da tale presupposto, può affrontare ulteriori questioni attinenti all’attualità delle condizioni legittimanti la cautela, poiché, per effetto del collegamento sequenziale tra pronuncia rescindente e fase rescissoria, non deve venire meno la continuità di oggetto del giudizio (Sez.6, n. 2, n. 11209 del 9/2/2016, Rosi, Rv. 266427).Applicando tale principio al caso di specie, il Tribunale ha provveduto a rivedere il giudizio precedentemente espresso in ordine all’individuazione del profitto del reato, così come richiesto nella sentenza rescindente e, una volta acclarato tale dato, era tenuto a verificare l’effetto della sopravvenuta estinzione del debito tributario. 2.1. Acclarato che l’esame del fatto nuovo non determina il superamento dei limiti di giudizio riconosciuti al giudice del rinvio, si può procedere a valutare la correttezza della soluzione recepita dal Tribunale, secondo cui sarebbe irrilevante l’intervenuta estinzione del debito tributario, proprio perché il profitto del reato sarebbe scollegato dall’entità del debito ed andrebbe parametrato al valore dei beni sottratti alla garanzia dell’erario. Si tratta di una soluzione che non è condivisibile per una pluralità di ragioni. In primo luogo, occorre premettere che il tema dell’individuazione del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 deve essere tenuto distinto dall’ulteriore aspetto concernente gli effetti conseguenti all’estinzione del debito tributario, dovendosi valorizzare il rapporto strumentale esistente tra il sequestro preventivo e le finalità complessivamente sottese alla disciplina della confisca contenuta all’art. 12-bis. La confisca in ambito tributario è, per sua natura, collegata al recupero delle imposte evase ed in quest’ottica l’art. 12-bis introduce un sistema finalizzato a favorire l’adempimento del debito tributario prevedendo, a fronte di tali condotte, l’esclusione della confisca del profitto. Si tratta di una disposizione che si inserisce nella più ampia logica del sistema penale tributario, nell’ambito del quale le condotte di ravvedimento, mediante pagamento del debito tributario, sono valorizzate anche al fine di escludere la punibilità del reato o di attenuazione della sua gravità (artt. 13 e 14). In definitiva, l’intero apparato sanzionatorio è calibrato in modo tale da tener conto – sia con riguardo alle conseguenze patrimoniale, che alla configurazione dell’attenuante speciale o della causa di non punibilità – dell’adempimento del debito, valorizzando la strumentalità dell’apparato penale rispetto all’esigenza di recupero delle imposte evase o non dichiarate. Fatta tale premessa, si ritiene che non vi siano valide ragioni in punto di diritto per escludere l’applicabilità dell’art. 12-bis anche al sequestro del profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Una volta che l’adempimento è intervenuto, infatti, viene meno il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e la procedura di riscossione coattiva, proprio perché tale fase non è più necessaria. Ne consegue che, ferma restando la sussistenza del reato, l’esigenza di disporre la misura cautelare reale viene necessariamente meno, non ponendosi più la necessità della riscossione coattiva e non essendo neppure ipotizzabile una maggiore difficoltà nel recupero dell’imposta dovuta.Il sequestro del profitto del reato di cui all’art. 11, infatti, è finalizzato ad imporre un vincolo sui beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’erario, ma ove il debito tributario è estinto, cessa anche l’esigenza di salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore. All’argomento logico-sistematico se ne aggiunge un altro di natura prettamente letterale, dovendosi valorizzare il fatto che l’art. 12-bis, nell’escludere la confiscabilità del profitto nel caso di adempimento del debito, non limita affatto l’ambito applicativo solo a taluni dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, sicchè deve ritenersi che la norma sia applicabile anche al reato di sottrazione fraudolenta dei beni. 2.2. Tali considerazioni trovano l’avallo della giurisprudenza, essendosi ritenuto che il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez.3, n. 39187 del 2/7/2015, Lombardi, Rv. 264789). Analogo principio deve essere affermato anche nel caso in cui il debito tributario sia stato adempiuto, trattandosi di una fattispecie che – al pari di quella in cui è stata riconosciuta l’insussistenza della pretesa tributaria – si connota ugualmente per il venir meno del debito rispetto al quale il patrimonio del contribuente funge da garanzia patrimoniale per l’erario. 2.3. Sulla base di tali principi, pertanto, l’ordinanza va annullata senza rinvio limitatamente all’accoglimento dell’appello del pubblico ministero cui è conseguito il sequestro preventivo in relazione ai capi comma 2) e comma 3), rispettivamente aventi ad oggetto i beni confluiti nel trust costituito dagli indagati, nonché l’immobile acquistato in data 24 giugno 2020 dalla “(Omissis) Spa “ e nella materiale disponibilità di A.A. e B.B.. 3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo e terzo motivo, riguardanti rispettivamente il criterio di determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta e la legittimità costituzionale, nonché la compatibilità con i principi Europei, del suddetto criterio. 4. Il quarto motivo di ricorso, concernente il sequestro disposto in relazione al capo A), avente ad oggetto l’omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia da parte di società fittiziamente operante all’estero, è fondato. I ricorrenti lamentano di aver sollevato specifiche contestazioni sia in ordine alla legittimità del ricorso all’accertamento presuntivo ex art. 39 D.P.R. n. 600 del 1973, sia in relazione alla correttezza dei criteri in concreto utilizzati per la determinazione dell’imposta evasa. Premesso che nel caso di ricorso per cassazione avverso misure cautelari reali non è consentito dedurre vizi di motivazione, si ritiene che nel caso in esame sia stata effettivamente evidenziata l’omessa motivazione su un punto specificamente devoluto all’esame del Tribunale. Invero, nell’ordinanza impugnata, l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 non viene sostanzialmente esaminato, limitandosi il Tribunale a prendere atto che – in base al principio di diritto affermato nella sentenza rescindente – anche in sede penale possono assumere valenza indiziaria gli accertamenti induttivi/presuntivi previsti dalla disciplina tributaria. Il Tribunale si è limitato a dare atto del principio, omettendo di verificare, rispondendo alle puntuali doglianze sollevate dai ricorrenti, la correttezza dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza, sia pur nei limiti consentiti dalla fase cautelare. L’omessa motivazione è ancor più evidente ove si consideri che i ricorrenti avevano dedotto uno specifico motivo in diritto relativo alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo. La risposta su tale questione era necessariamente preliminare e propedeutica al successivo esame del fumus. Altrettanto dicasi per le ulteriori questioni di merito sollevate dai ricorrenti, rispetto alle quali il Tribunale era tenuto a fornire una risposta, non potendosi limitare ad affermare il principio di diritto a sua volta indicato da questa Corte nella sentenza rescindente. 5. Alla luce di tali considerazioni, deve disporsi l’annullamento senza rinvio in relazione ai sequestri disposti con riferimento ai reati di cui ai capi comma 2) e comma 3), mentre, per quanto attiene al sequestro relativo al capo a), l’ordinanza impugnava va annullata con rinvio, dovendo procedere il Tribunale a riesaminare la questione devoluta alla luce di quanto sopra indicato.

Corte di Cassazione Sentenza 22 marzo 2023, n. 12084

sui ricorsi proposti da :

XX nato a XXX ; YY nata a XXX

avverso l’ordinanza emessa il 12/7/2022 dal Tribunale di Brescia;

visti gli atti,

l’ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

udito l’avvocato … difensore di XX la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio in relazione al capo c2);

udito l’avvocato … difensore di YY la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’avvocato … , difensore di …  che chiede l’accoglimento del ricorso;

udito l’avvocato difensore di … che chiede  l’annullamento senza rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Brescia, pronunciando in sede di rinvio e accogliendo parzialmente l’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di sequestro preventivo, emessa dal giudice per le indagini preliminari in data 25 gennaio 2021, disponeva il sequestro preventivo, diretto e per equivalente fino a concorrenza della somma di €1.091.077,34 nei confronti di XX e della XX Ltd (in relazione al capo A);  nonché il sequestro preventivo, diretto e per equivalente, nei confronti di …  e … in relazione ai beni conferiti nel trust denominato “The MC f. trust number 1” sino a concorrenza dell’importo di €52.275.751,13 (capo c.2) e dei beni immobili acquistati il 24.6.2020 dalla s.p.a., ma risultanti nell’effettiva disponibilità di ovvero di valore equivalente, fino a concorrenza dell’ammontare di €1.900.000 (capo c.3).

1.1. L’ordinanza impugnata veniva emessa a seguito di annullamento con rinvio disposto, in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, da Sez.2, n. 16538 del 25/2/2022, con la quale:

si riteneva che la determinazione del profitto confiscabile, in relazione al reato di cui all’art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, dovesse essere commisurato non già all’importo del debito tributario, bensì al valore dei beni sottratti alla garanzia del credito (in relazione al capo C);

si affermava la piena utilizzabilità, in ambito penale, dell’accertamento induttivo svolto dalla Guardia di Finanza ai sensi dell’art. 39, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973.

Applicando i principi di diritto sopra indicati, il Tribunale del riesame di Brescia riteneva sussistenti i presupposti per disporre il sequestro preventivo in relazione: all’omessa dichiarazione di redditi percepiti in Italia, commessa dichiarando falsamente il domicilio fiscale fuori dal territorio nazionale (cd. esterovestizione) della “ …” Ltd limitatamente ai redditi prodotti nel 2018, mentre per le annualità precedenti (2016, 2017) si riteneva che la società avesse effettivamente operato esclusivamente all’estero;

al reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente agli importi ed alle condotte descritte ai capi c.2 (costituzione del trust) e c.3 (acquisto di un immobile in Italia).

Il Tribunale, infine, riteneva l’insussistenza del fumus commissi delitti in ordine ai reati di omessa dichiarazione dei redditi personali del (capo b); di trasferimento fraudolento di partecipazioni nella “da parte del (capo c) e di autoriciclaggio (capo d).

2. Avverso la suddetta ordinanza, i ricorrenti hanno formulato quattro motivi, di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, deducono – in relazione ai capi c.2) e c.3) – violazione degli artt. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto il Tribunale, pur dando atto del sopravvenuto integrale pagamento del debito tributario, l’ha ritenuto non ostativo al mantenimento del sequestro finalizzato alla confisca.

Si assume che l’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nel prevedere che la confisca non opera per la parte del debito che il contribuente si impegna a versare all’erario, implica che, a maggior ragione, l’estinzione del debito sia ostativo al provvedimento ablatorio. Né è ipotizzabile di escludere dal campo di applicazione di tale norma la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11, sia perché l’art. 12-bis non pone alcuna limitazione quanto alle diverse ipotesi di reato suscettibili di dar luogo alla confisca, sia perché la ratio della norma è quella di garantire l’esazione del debito tributario, esigenza che evidentemente viene meno nel caso di volontario pagamento.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione degli artt. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione all’individuazione del profitto del reato che, secondo la tesi recepita dal Tribunale di Brescia, sarebbe del tutto scisso dall’ammontare del debito tributario, mentre andrebbe determinato con esclusivo riferimento al valore dei beni sottratti alla garanzia dell’erario. Evidenziano i ricorrenti come, seguendo tale impostazione, si è giunti al sequestro di beni per oltre 52 milioni di euro, a fronte di un debito tributario pari ad €664.535,38 (come risultante dall’avviso di accertamento del 30 novembre 2016).

Il risultato sarebbe una assoluta sproporzione tra le esigenze di tutela, anche in sede penale, della garanzia per l’adempimento del debito e l’effettivo ammontare dello stesso. Peraltro, si assume che la soluzione recepita nell’ordinanza impugnata non sarebbe stata affatto imposta dalla decisione della Corte di cassazione che, nella sentenza rescindente, si era limitata a stabilire che il profitto confiscabile non coincide con l’ammontare del debito, senza che ciò comporti l’irrilevanza di tale dato. Sottolineano i ricorrenti come in tutte le pronunce di legittimità richiamate sul punto nella sentenza rescindente, l’esclusione della commisurazione del profitto del reato di riduzione fraudolenta all’ammontare del debito tributario è affermata nell’ottica del favor rei, essendosi ritenuto che se il valore dei beni oggetto di simulato o fraudolento trasferimento è inferiore all’ammontare del debito, la confisca – anche per equivalente – può essere disposta solo nei limiti del valore del bene sottratto e non già per il maggior importo pari all’ammontare del debito.

In sostanza, il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, in tal modo disponendo un sequestro preventivo pari ad un valore del tutto sproporzionato rispetto all’ammontare del debito. I ricorrenti hanno richiesto la rimessione alle Sezioni unite in ordine alla corretta determinazione del profitto confiscabile.

2.3. Il terzo motivo di ricorso è direttamente collegato al secondo, atteso che i ricorrenti dubitano della legittimità costituzionale, nonché della compatibilità con la normativa comunitaria, dell’interpretazione recepita dal Tribunale di Brescia in ordine alla determinazione del profitto del reato previsto dall’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000. Si segnala, in particolare, che la soluzione recepita nell’ordinanza consentirebbe il sequestro e la confisca dell’intero patrimonio che si assume sottratto alla garanzia dell’erario, a prescindere da qualsivoglia raffronto con il debito rimasto inadempiuto, il che violerebbe il principio di proporzionalità desumibile dagli artt. 3, 25 e 27 Cost., nonché dagli artt. 17 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

2.4. Con il quarto motivo, infine, si deduce – in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo a) – la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, ritenuta sulla base del solo accertamento induttivo svolto dalla Guardia di Finanza, senza che si sia in alcun modo motivato sulle deduzioni difensive. L’ordinanza impugnata aveva ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato applicando il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, secondo cui l’accertamento induttivo, basato su elementi indiziari, può assumere rilievo anche nel giudizio penale. Invero, a fronte dell’affermazione astratta del principio, il Tribunale sarebbe venuto meno all’obbligo di confrontarsi con le puntuali considerazioni svolte in ordine alla sussistenza stessa del presupposto per procedersi all’accertamento ex art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973.

Quanto detto comporta che difetterebbe la motivazione in punto di diritto – relativamente al presupposto legittimamente l’accertamento – avendo i ricorrenti sostenuto che la società in questione, essendo soggetta ad un regime semplificato in base alla normativa inglese, non era tenuta a predisporre il conto economico. Ciò andrebbe a smentire in radice l’assunto di partenza seguito dagli inquirenti, secondo i quali l’accertamento ex art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 era consentito proprio in considerazione dell’incompletezza della documentazione contabile.

Nel merito, i ricorrenti avevano contestato la determinazione dell’utile conseguito dalla società, giungendo ad affermare che – sulla base di una corretta ricostruzione – per l’anno d’imposta del 2018 risultava una perdita, il che escluderebbe in radice la configurabilità del reato.

3. Le difese depositavano memorie illustrative.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.

2. Il primo motivo di ricorso concerne la ritenuta irrilevanza dell’avvenuto adempimento del debito tributario, in relazione al quale era stato disposto il sequestro dei beni confluiti nel trust costituito dal A.A., nonché nell’acquisto dell’immobile in cui questi abita, pur se formalmente intestato ad una società ricollegabile al predetto indagato.

Occorre premettere che, nella sentenza rescindente, tale profilo non è stato esaminato, in quanto all’epoca non era intervenuto l’integrale pagamento, bensì vi era stato solo il parziale accoglimento dell’istanza di rateizzazione delle somme iscritte a ruolo (si veda p.3.1.5 Sez.2, n. 16538 del 25/2/2022). Sul punto, quindi, il Tribunale, decidendo in sede di rinvio, non era vincolato da alcun principio di diritto, né la questione dedotta dai ricorrenti esula dall’oggetto del giudizio così come delimitato per effetto della sentenza rescindente. A tal riguardo, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che, in materia di impugnazioni di provvedimenti cautelari, il giudice del rinvio non può abbandonare il thema decidendum, segnato dai motivi di ricorso che hanno determinato l’annullamento, e definire il giudizio attraverso l’introduzione di nuovi punti per la decisione, ma deve, in primo luogo, eliminare il vizio rilevato dalla Corte di cassazione, e solo successivamente, muovendo da tale presupposto, può affrontare ulteriori questioni attinenti all’attualità delle condizioni legittimanti la cautela, poiché, per effetto del collegamento sequenziale tra pronuncia rescindente e fase rescissoria, non deve venire meno la continuità di oggetto del giudizio (Sez.6, n. 2, n. 11209 del 9/2/2016, Rosi, Rv. 266427).

Applicando tale principio al caso di specie, il Tribunale ha provveduto a rivedere il giudizio precedentemente espresso in ordine all’individuazione del profitto del reato, così come richiesto nella sentenza rescindente e, una volta acclarato tale dato, era tenuto a verificare l’effetto della sopravvenuta estinzione del debito tributario.

2.1. Acclarato che l’esame del fatto nuovo non determina il superamento dei limiti di giudizio riconosciuti al giudice del rinvio, si può procedere a valutare la correttezza della soluzione recepita dal Tribunale, secondo cui sarebbe irrilevante l’intervenuta estinzione del debito tributario, proprio perchè il profitto del reato sarebbe scollegato dall’entità del debito ed andrebbe parametrato al valore dei beni sottratti alla garanzia dell’erario.

Si tratta di una soluzione che non è condivisibile per una pluralità di ragioni.

In primo luogo, occorre premettere che il tema dell’individuazione del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 deve essere tenuto distinto dall’ulteriore aspetto concernente gli effetti conseguenti all’estinzione del debito tributario, dovendosi valorizzare il rapporto strumentale esistente tra il sequestro preventivo e le finalità complessivamente sottese alla disciplina della confisca contenuta all’art. 12-bis.

La confisca in ambito tributario è, per sua natura, collegata al recupero delle imposte evase ed in quest’ottica l’art. 12-bis introduce un sistema finalizzato a favorire l’adempimento del debito tributario prevedendo, a fronte di tali condotte, l’esclusione della confisca del profitto. Si tratta di una disposizione che si inserisce nella più ampia logica del sistema penale tributario, nell’ambito del quale le condotte di ravvedimento, mediante pagamento del debito tributario, sono valorizzate anche al fine di escludere la punibilità del reato o di attenuazione della sua gravità (artt. 13 e 14).

In definitiva, l’intero apparato sanzionatorio è calibrato in modo tale da tener conto – sia con riguardo alle conseguenze patrimoniale, che alla configurazione dell’attenuante speciale o della causa di non punibilità – dell’adempimento del debito, valorizzando la strumentalità dell’apparato penale rispetto all’esigenza di recupero delle imposte evase o non dichiarate.

Fatta tale premessa, si ritiene che non vi siano valide ragioni in punto di diritto per escludere l’applicabilità dell’art. 12-bis anche al sequestro del profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Una volta che l’adempimento è intervenuto, infatti, viene meno il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e la procedura di riscossione coattiva, proprio perché tale fase non è più necessaria. Ne consegue che, ferma restando la sussistenza del reato, l’esigenza di disporre la misura cautelare reale viene necessariamente meno, non ponendosi più la necessità della riscossione coattiva e non essendo neppure ipotizzabile una maggiore difficoltà nel recupero dell’imposta dovuta.

Il sequestro del profitto del reato di cui all’art. 11, infatti, è finalizzato ad imporre un vincolo sui beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’erario, ma ove il debito tributario è estinto, cessa anche l’esigenza di salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore.

All’argomento logico-sistematico se ne aggiunge un altro di natura prettamente letterale, dovendosi valorizzare il fatto che l’art. 12-bis, nell’escludere la confiscabilità del profitto nel caso di adempimento del debito, non limita affatto l’ambito applicativo solo a taluni dei reati previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000, sicchè deve ritenersi che la norma sia applicabile anche al reato di sottrazione fraudolenta dei beni.

2.2. Tali considerazioni trovano l’avallo della giurisprudenza, essendosi ritenuto che il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez.3, n. 39187 del 2/7/2015, Lombardi, Rv. 264789).

Analogo principio deve essere affermato anche nel caso in cui il debito tributario sia stato adempiuto, trattandosi di una fattispecie che – al pari di quella in cui è stata riconosciuta l’insussistenza della pretesa tributaria – si connota ugualmente per il venir meno del debito rispetto al quale i patrimonio del contribuente funge da garanzia patrimoniale per l’erario.

2.3. Sulla base di tali principi, pertanto, l’ordinanza va annullata senza rinvio limitatamente all’accoglimento dell’appello del pubblico ministero cui è conseguito il sequestro preventivo in relazione ai capi comma 2) e comma 3), rispettivamente aventi ad oggetto i beni confluiti nel trust costituito dagli indagati, nonché l’immobile acquistato in data 24 giugno 2020 dalla “(Omissis) Spa “e nella materiale disponibilità di A.A. e B.B..

3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo e terzo motivo, riguardanti rispettivamente il criterio di determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta e la legittimità costituzionale, nonché la compatibilità con i principi Europei, del suddetto criterio.

4. Il quarto motivo di ricorso, concernente il sequestro disposto in relazione al capo A), avente ad oggetto l’omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia da parte di società fittiziamente operante all’estero, è fondato. I ricorrenti lamentano di aver sollevato specifiche contestazioni sia in ordine alla legittimità del ricorso all’accertamento presuntivo ex art. 39 D.P.R. n. 600 del 1973, sia in relazione alla correttezza dei criteri in concreto utilizzati per la determinazione dell’imposta evasa.

Premesso che nel caso di ricorso per cassazione avverso misure cautelari reali non è consentito dedurre vizi di motivazione, si ritiene che nel caso in esame sia stata effettivamente evidenziata l’omessa motivazione su un punto specificamente devoluto all’esame del Tribunale.

Invero, nell’ordinanza impugnata, l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 non viene sostanzialmente esaminato, limitandosi il Tribunale a prendere atto che – in base al principio di diritto affermato nella sentenza rescindente – anche in sede penale possono assumere valenza indiziaria gli accertamenti induttivi/presuntivi previsti dalla disciplina tributaria.

Il Tribunale si è limitato a dare atto del principio, omettendo di verificare, rispondendo alle puntuali doglianze sollevate dai ricorrenti, la correttezza dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza, sia pur nei limiti consentiti dalla fase cautelare. L’omessa motivazione è ancor più evidente ove si consideri che i ricorrenti avevano dedotto uno specifico motivo in diritto relativo alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo. La risposta su tale questione era necessariamente preliminare e propedeutica al successivo esame del fumus.

Altrettanto dicasi per le ulteriori questioni di merito sollevate dai ricorrenti, rispetto alle quali il Tribunale era tenuto a fornire una risposta, non potendosi limitare ad affermare il principio di diritto a sua volta indicato da questa Corte nella sentenza rescindente.

5. Alla luce di tali considerazioni, deve disporsi l’annullamento senza rinvio in relazione ai sequestri disposti con riferimento ai reati di cui ai capi comma 2) e comma 3), mentre, per quanto attiene al sequestro relativo al capo a), l’ordinanza impugnava va annullata con rinvio, dovendo procedere il Tribunale a riesaminare la questione devoluta alla luce di quanto sopra indicato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata in relazione ai sequestri disposti con riferimento al reato di cui al capo C2 e C3, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.

Annulla l’ordinanza impugnata in relazione al sequestro disposto con riferimento al capo A) e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Brescia, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, c.p.p.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p. Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2023.

Conclusione Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2023

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