CASSAZIONE

Scomputo delle ritenute, no al duplice prelievo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14138 del 7 giugno 2017 in tema di accertamento, conferma la possibilità di produrre una documentazione alternativa e seguendo la linea interpretativa della stessa Corte – confermata peraltro da numerose pronunce – affermando che l’attestato del sostituto è certamente una prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza, però, non determina preclusioni difensive o duplicazione di prelievo.

Le motivazioni della decisione portano in luce alcuni aspetti particolarmente rilevanti in tema di prova di legittimità dello scomputo delle ritenute d’acconto sui redditi di lavoro autonomo, e ricordano che per l’obbligo di allegazione era stato comunque già statuito che, anche nel caso in cui non avesse allegato alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta, ed era possibile contestare in giudizio il recupero della detrazione essendo bastevole il produrre dinanzi al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, attesa la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (cfr. Cass. 19 febbraio 2004, n. 3304).

A ulteriore riprova di tale impostazione, la giurisprudenza della stessa Corte ricorda che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare celermente la certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (v. Cass. 4 agosto 1994, n. 7251).

La norma dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto, peraltro, ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state effettivamente “operate” (art. 22, DPR 917/1986), rilevando pertanto il fatto storico (decurtazione del corrispettivo) che, pur potendo essere provato, tipicamente mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere comunque provato con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito.

La S.C. ha voluto anche confermare esplicitamente quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione del 19 marzo 2009, n. 68, nella quale si evidenziava che lo scomputo delle ritenute subite potesse avvenire, a opera del sostituito, anche in assenza della certificazione del sostituto, sempre che sia dimostrata l’effettuazione della ritenuta mediante documentazione alternativa.

Ricordiamo che l’art. 22 del TUIR subordina lo scomputo delle ritenute non al possesso della certificazione, ma al fatto che le stesse siano state “operate“.

Del resto, anche l’art. 36-ter del DPR 600/1973 va interpretato nel senso che lo scomputo va negato solo quando non sia dimostrata l’esecuzione della ritenuta e non solo perché il sostituto non ha rilasciato la certificazione, fatto che può essere indipendente dalla volontà del sostituito.

La norma sul controllo formale delle dichiarazioni deve essere quindi integrata secondo i principi generali della prova, dovendo concludersi che, quando stabilisce che gli uffici “possono” escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36-ter del DPR 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e i giudici tributari) “possono” apprezzare anche prove diverse dal certificato ad esso equipollenti.

Nel caso in esame la Commissione Tributaria Regionale aveva respinto l’appello del contribuente in quanto lo stesso non era stato in grado di esibire le certificazioni del sostituto d’imposta per lo scomputo delle ritenute.

Il giudice d’appello aveva quindi condiviso la decisione del primo giudice circa l’impossibilità per il sostituito di utilizzare, a fini di scomputo, meri equipollenti probatori del certificato del sostituto.

Il contribuente, con il ricorso in Cassazione, lamentava il recupero della detrazione con rischio di doppia imposizione, fondato solo sulla circostanza che il sostituito non aveva potuto esibire i certificati pur avendo egli provato le ritenute in altro modo (con fatture e registro entrate).

La censura secondo i giudici di legittimità era fondata, ed enunciano così il presente principio di diritto: “…”in tema di imposte sui redditi, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 14138 del 7 giugno 2017

La Commissione tributaria regionale della Sardegna respingeva l’appello di F.P. avverso il rigetto dell’impugnazione da lui proposta contro la cartella di pagamento notificatagli in seguito a controllo formale della dichiarazione modello Unico 2001, che aveva evidenziato lo scomputo di ritenute d’acconto su redditi di lavoro autonomo per le quali il contribuente non era in grado di esibire le certificazioni del sostituto d’imposta.

Il giudice d’appello condivideva la ratio decidendi espressa dal primo giudice circa l’impossibilità per il sostituito di utilizzare a fini di scomputo meri equipollenti probatori del certificato del sostituto.

F.P. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Ragioni della decisione

  1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36- ter d.P.R. 600/1973, art. 6 I. 212/2000, art. 8 d.P.R. 602/1973, il secondo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 35 d.P.R. 602/1973 e del principio dell’onere della prova, il terzo violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 67 d.P.R. 600/1973 nonché difetto di motivazione.

I motivi devono essere trattati insieme perché logicamente connessi.

Si lamenta che sia stato dichiarato legittimo il recupero della detrazione – con rischio di doppia imposizione – sol perché il sostituito non aveva potuto esibire i certificati, pur avendo egli provato le ritenute in altro modo (con fatture e registro entrate).

  1. I motivi sono fondati.

2.1. Nel sostenere che la certificazione del sostituto d’imposta non ammetta equipollenti quale prova delle ritenute d’acconto, il giudice d’appello ha richiamato un precedente di legittimità fondato sull’art. 3 d.P.R. 600/1973 (Cass. 14 maggio 2008, n. 12072, Rv. 603786).

Tuttavia, detto precedente – come altro conforme (Cass. 5 settembre 2014, n. 18734, Rv. 632073) – si riferisce al quadro normativo anteriore all’art. 1 d.l. 330/1994, conv. I. 473/1994, che ha modificato l’art. 3 d.P.R. 600/1973, sopprimendo l’obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta attestante le ritenute operate.

La modifica normativa ha attenuato la rilevanza formale della certificazione, che in ogni caso non può travolgere la realtà sostanziale del rapporto trilatero fra sostituito, sostituto e fisco.

2.2. Numerose pronunce della Corte segnalano che l’attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive o duplicazione di prelievo.

Vigente pro tempore l’obbligo di allegazione, si è statuito che, anche ove non abbia allegato alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta, il sostituito può contestare in giudizio il recupero della detrazione, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, attesa la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (Cass. 19 febbraio 2004, n. 3304, Rv. 570293).

Si è altresì deciso che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass. 4 agosto 1994, n. 7251, Rv. 487652).

Ancor prima, la Corte ha affermato che il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco (Cass. 3 luglio 1979, n. 3725, Rv. 400153).

2.3. La norma dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state «operate» (art. 22 d.P.R. 917/1986).

Rileva un fatto storico (decurtazione del corrispettivo), che, seppur viene provato tipicamente mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito.

Significativo appare che la stessa Agenzia delle entrate si sia infine determinata a consentire lo scomputo delle ritenute non certificate, ove il contribuente ne dia prova equivalente al certificato (risoluzione 19 marzo 2009, n. 68/E).

2.4. La norma sul controllo formale delle dichiarazioni usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate deve essere integrata secondo i princìpi generali della prova.

In altri termini, quando stabilisce che gli uffici «possono» escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36-ter d.P.R. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti.

  1. Il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio per nuovo esame e regolamento delle spese.

Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: «in tema di imposte sui redditi, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo».

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sardegna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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