FISCALITA SANZIONI

Sanatoria per le liti tributarie e giudizi pendenti

L’Agenzia delle entrate, in riferimento ai periodi d’imposta 2012, 2013 e 2014, ha notificato a una società tre avvisi di accertamento, contestando sia l’utilizzo di fatture d’acquisto per operazioni oggettivamente  inesistenti sia l’emissione di fatture aventi ad oggetto gli stessi beni e servizi indicati nelle predette fatture d’acquisto.

Con provvedimenti successivi sono state irrogate le sanzioni amministrative collegate a IVA e IRES per infedeltà delle dichiarazioni presentate (art. 1, comma 2, e art. 5, comma 4, D.lgs. 471/1997) e indebita detrazione dell’IVA (art. 6, comma 6).

Per le fatture relative alle operazioni inesistenti è stata applicata la sanzione (art. 8, comma 2, decreto-legge 16/2012) del 25% dell’importo dei costi indeducibili riportati nelle fatture d’acquisto ritenute false (anche alla luce dei chiarimenti contenuti nella circolare n. 32/E del 3 agosto 2012).

La società, che ha impugnato sia gli avvisi di accertamento che i corrispondenti atti di irrogazione delle  sanzioni – i cui giudizi sono attualmente pendenti in Commissione tributaria provinciale – pur ritenendo legittimo il proprio operato, sta valutando la possibilità di chiudere le controversie pendenti con le modalità previste dall’art. 6 del decreto legge 119/2018, convertito dalla legge 136/2018.

Il dubbio

Tuttavia, evidenzia la presenza di “obiettive condizioni di incertezza”, posto che i contenuti del comma 3 del citato art. 6 non permettono di capire se, ai fini della definizione, le sanzioni indicate all’art. 8 comma 2, del Dl 16/2012 possano considerarsi “collegate ai tributi” recuperati a tassazione con i separati avvisi di accertamento.

Se queste sanzioni risultassero collegate al tributo, una volta definita l’imposta non risulterebbero più dovute; diversamente, gli atti di irrogazione sanzioni andrebbero definiti in via autonoma con il pagamento del 40% delle sanzioni in questione. Da ciò scaturisce la richiesta di chiarire se gli atti di irrogazione delle sanzioni vadano definiti in via autonoma oppure se sono assorbiti dalla definizione degli avvisi di accertamento.

La società istante ritiene che, ai fini della definizione di cui al Dl 119/2018, le sanzioni previste dall’art. 8, comma 2, del Dl 16/2012 siano da considerare collegate ai tributi e, di conseguenza, che la definizione degli avvisi di accertamento e quella degli atti di irrogazione delle sanzioni citati nel quesito si realizzi pagando solo il 90% delle maggiori imposte contestate e non anche il 40% dell’ammontare delle sanzioni irrogate con atti separati.

Il chiarimento

L’Agenzia nella Risposta n. 113 fa presente che il comma 1-bis del citato decreto 119/2018 prevede che in caso di ricorso pendente in primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del suo valore. Nel caso in questione questa previsione va collegata con il successivo comma 3, secondo cui le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo si possono definire pagando il 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate “nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto”e pagando il 40% negli altri casi.Mentre, in caso di lite relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo per le sanzioni “qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione”.

L’articolo 8, comma 2, del Dl 16/2012, dispone che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono a formare il reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente attinenti “a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”.

Con la circolare 32/E del 2012 è stato chiarito che tale previsione ha voluto introdurre una “specifica sanzione per il comportamento antigiuridico consistente nella deduzione di costi e spese sostenuti in relazione a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati e, al tempo stesso, in attuazione del principio costituzionale di capacità contributiva, ha disposto che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, i componenti positivi di reddito direttamente afferenti ai costi per operazioni inesistenti, a anche se imputati a conto economico e dichiarati dal contribuente, non sono considerati imponibili entro i limiti dell’ammontare dei correlati componenti negativi per operazioni inesistenti”.

Nella stessa circolare è stato inoltre evidenziato che nell’ipotesi in cui non vi siano componenti positivi di reddito direttamente inerenti a componenti negativi relativi a operazioni inesistenti, o nel caso in cui l’ammontare di questi ultimi sia superiore ai collegati componenti positivi, “l’indeducibilità dei suddetti componenti negativi, o della quota di questi ultimi eccedente i correlati componenti positivi, determina invece l’applicazione delle ordinarie sanzioni, quali quelle per infedele dichiarazione”. In pratica, le sanzioni tributarie amministrative in questione, rapportate all’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi, ai fini della definizione agevolata delle controversie tributarie non si possono considerare “collegate ai tributi cui si riferiscono”, poiché non sono correlate a maggiori imposte accertate. Al riguardo il citato comma 2 dell’art. 8 del decreto 16/2012 dispone che “non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”.

L’Agenzia aggiunge, inoltre, che le violazioni in questione non possono neppure beneficiare della definizione agevolata delle irregolarità formali (commi da 1 a 8 dell’art. 9, Dl 119/2018), aspetto precisato tra le motivazioni dal relativo provvedimento di attuazione del Direttore delle Entrate prot. 62274/2019, secondo cui, non trattandosi di violazione che provoca esclusivamente pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, “non rientra nell’ambito di applicazione della regolarizzazione la violazione punita – in ragione del comportamento antigiuridico consistente nella deduzione di costi o spese sostenuti in relazione a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati – con la sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell’ammontare di tali componenti negativi indeducibili indicati nella dichiarazione dei redditi (comma 2 dell’articolo 8 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44)”.

Per queste ragioni, ai fini della definizione delle liti concernenti gli atti di irrogazione delle sanzioni (Dl 16/2012, art. 8, comma 2) deve essere versato il 40% del valore della lite, che non si può considerare assorbita dalla definizione della controversia riguardante le maggiori imposte accertate.

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