CASSAZIONE

Salvo prova contraria, la società è ritenuta di comodo anche se svolge solo attività stagionali

Tributi –  IVA – Disciplina società di comodo ex art 30 della Legge n. 724/1994 – Test di operatività – Accertamento reddito minimo – Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale – Norme anti elusive- Agevolazioni fiscali – Definizioni – Natura stagionale dell’attività – Esimente – Esclusione

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 25266 depositata il 10 novembre 2020, intervenendo sull’applicazione della disciplina sulle società non operative o di comodo, ha dichiarato che  la natura stagionale dell’attività esercitata dalla società non è causa di esclusione ab origine del campo di applicazione della disciplina della società di comodo, fatta salva l’esibizione di una prova contraria da parte del contribuente oppure la richiesta, in sede procedimentale con interpello, della disapplicazione della disciplina.

Come è noto l’argomento suscita oggi più di un interesse, stante anche il particolare momento economico–sanitario per effetto del Covid 19, sull’applicazione di tale disciplina per il 2020, caratterizzato da una perdurante e diffusa crisi che si è abbattuta su numerose imprese a carattere turistico stagionale.

La disciplina sulle società non operative, o di comodo, introdotta dall’articolo 30, L. 724/1994 (rimasto inalterato nella sua struttura fondamentale), considera di comodo, salvo prova contraria, le società commerciali che conseguono un volume di ricavi, risultanti dal conto economico, inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione di una serie di percentuali al valore di determinati elementi iscritti nello stato patrimoniale del bilancio (ossia al valore di determinate articolazioni del capitale investito). Alle società considerate di comodo viene attribuito presuntivamente un reddito non inferiore alla somma degli importi derivanti dall’applicazione, al valore dei beni posseduti nell’esercizio, di appositi “coefficienti di redditività”. Viene delineata, in sostanza, una disciplina antielusiva/antievasiva, fondata sul presupposto che determinati beni del patrimonio societario (partecipazioni e altre attività finanziarie, beni immobili e mobili registrati, crediti etc.) sono “oggettivamente” in grado di produrre reddito, e l’inserimento dei medesimi all’interno di un assetto societario rafforza la presunzione relativa di un loro impiego a scopi reddituali

La categoria delle società che rientrano nella disciplina in commento è stata poi ampliata dal comma 36-decies, articolo 2, D.L. 138/2011.

La funzione principale della normativa in questione  è quella di disincentivare l’adozione di una struttura societaria non adeguata rispetto all’attività effettivamente esercitata, attraverso la presunzione di un reddito minimo riconducibile agli assetti patrimoniali di tale struttura societaria e la previsione di agevolazioni per lo scioglimento o la trasformazione delle società commerciali “non operative” in società semplici (che rappresentano la forma giuridica “naturale” per l’esercizio collettivo di un’attività economica di tipo non commerciale).

Nell’impianto di fondo si tratta, come detto, di una legislazione di contrasto e deterrenza, che almeno nelle intenzioni dichiarate dal legislatore, dovrebbe perseguire uno scopo antielusivo, dove la ratio della norma che ha introdotto la disciplina sulle società di comodo o cosiddette “non operative”, ha il fine quindi di “sfavorire”, sul piano tributario, le società “senza impresa”, quelle cioè che al di là dell’oggetto sociale dichiarato sono costituite al solo fine di amministrare i patrimoni personali dei soci, “anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale” ed entrare a far parte del processo produttivo.

In particolare, il citato articolo 30 della legge 724/1994 considera non operativi i soggetti sopra indicati quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, così detti ricavi effettivi risultanti dal conto economico, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinate percentuali alle voci delle immobilizzazioni dei beni materiali e immateriali, i cosiddetti ricavi presunti. Sia il valore dei ricavi effettivi, sia il valore delle immobilizzazioni vanno assunti in base alle risultanze medie dell’esercizio in corso e dei 2 precedenti. Qualora i ricavi effettivi non superino i ricavi presunti, la società si considera non operativa a partire dall’esercizio in corso.

La disciplina sulle società di comodo trova un limite di applicazione al verificarsi di una delle cause di esclusione o di disapplicazione: le cause di esclusione, che valgono sia per le società non operative sia per quelle in perdita sistematica, sono indicate nell’articolo 30, L. 724/1994.

Tutte le società per cui non operano le cause di esclusione citate sono sottoposte alla disciplina delle società di comodo. Tuttavia, il comma 4-ter, art. 30, L. 724/1994, prevede la possibilità di individuare, da parte del direttore dell’Agenzia delle entrate, ulteriori situazioni oggettive in presenza delle quali non trova applicazione la disciplina in oggetto. A tal fine sono stati emanati i provvedimenti dell’Agenzia del 14 febbraio 2008 (riferito alle società non operative) e dell’11 giugno 2012 (riferito alle società in perdita sistematica). 

Sull’argomento ricordiamo che la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 12777/2016, ha anche affermato che a un’impresa industriale in stato di crisi non è applicabile la normativa prevista per le imprese non operative, qualora non sia in grado di svolgere la propria attività caratteristica indipendentemente dalle cause di esclusione o disapplicazione stabilite dalla disciplina ordinaria.  Quindi, secondo la Cassazione, la cartella esattoriale può essere impugnata, ai sensi del D.lgs. 546/1992, art. 19, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva.

Ciò posto, qualora il contribuente contesti la fondatezza della pretesa impositiva, l’Amministrazione finanziaria è gravata dell’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti. Naturalmente, l’applicazione della disciplina incontra un limite in tutti i casi in cui ci siano cause oggettivamente previste dalla normativa nonché quelle documentate dal contribuente, che di fatto impediscono concretamente il superamento delle soglie fissate.

La vigente interpretazione data dalla Suprema Corte – v. Cass. n. 5080/2017 – conferma il principio per cui l’impossibilità dell’impresa a locare l’unico bene strumentale, dovuta alle effettive condizioni del mercato di riferimento, giustifica la disapplicazione della normativa sulle società di comodo ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis della L. 724/94 e la successiva pronunzia, la n.8218/2017, ha stabilito che un canone particolarmente basso di affitto di azienda può condurre all’applicazione della disciplina delle società non operative.

La società, però, non risulta di comodo quando, seppur dal mero calcolo matematico derivante dall’applicazione dei coefficienti ai beni strumentali derivi un valore di ricavi presunti superiore rispetto a quello effettivamente conseguito, e il canone può essere considerato ragionevole. Questa linea interpretativa si basa su un principio applicabile anche a tutte le attività imprenditoriali di carattere turistico, per le quali la stagionalità non rappresenta motivo sufficiente per il mancato raggiungimento dei ricavi previsto per le società di comodo.

Peraltro anche la CTR e la Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, condividendo il contenuto dei principi esposti ebbe a stabilire, con la sentenza n. 51/2015, che non può essere considerata una condizione oggettiva per il mancato raggiungimento dei ricavi minimi di cui all’art. 30 della legge 724/94, la sola e semplice circostanza di svolgere la propria attività d’impresa in una località turistica a carattere stagionale. Tuttavia, tale sentenza fa riferimento a un’attività turistica operante nel comprensorio delle Dolomiti del Brenta ma non vi è dubbio che tale interpretazione possa trovare accoglimento anche per tutte le attività imprenditoriali svolte in forma societaria – e per questo soggette alla disciplina delle non operative – collegate al turismo e alla conseguente stagionalità esistenti in Italia.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, l’Agenzia delle entrate notificava a una società operante nel settore turistico stagionale un avviso di accertamento per recuperare a tassazione il maggior reddito accertato. L’ufficio, infatti, riteneva che la contribuente rientrasse nella categoria delle società di comodo alla luce della mancata presentazione dell’interpello disapplicativo della normativa, della mancata compilazione del quadro RS relativo all’operatività della società, del risultato di non congruità e non coerenza e dell’andamento non economico della gestione.

Il provvedimento veniva impugnato innanzi alle Commissioni Tributarie, che accoglievano le doglianze della contribuente anche nel successivo giudizio di rinvio. In particolare, i giudici della CTR hanno motivato il rigetto dell’appello proposto dall’ufficio sulla base di due elementi: la riduzione in autotutela del maggior reddito accertato e la natura stagionale dell’attività svolta dalla contribuente, osservando anche che non era stato provocato il contraddittorio endoprocedimentale.

I Supremi Giudici hanno però condiviso la tesi della difesa erariale che si basa sull’assunto di denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30, L. 724/94 in relazione all’art 360, 1° comma, n. 3 c.p.c., nella quale si evidenzia che la natura stagionale dell’attività svolta non sia in alcun modo contemplata dalla norma quale causa di non applicazione della disciplina antielusiva, né la disposizione citata, nella versione applicabile ratione temporis, prevede la necessità del contraddittorio endoprocedimentale, affermando che: “… Il successivo comma 4-bis, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, stabilisce che “ in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 “.

Alla luce della suesposta ricognizione normativa può affermarsi con certezza che la natura stagionale dell’attività esercitata della società non sia causa di esclusione ab origine, dal campo di applicazione della disciplina delle società di comodo. Altra questione è se, accertato il mancato superamento del test di operatività, il contribuente possa fornire mediante il meccanismo procedurale previsto dal comma 4 bis la prova contraria attraverso la dimostrazione del carattere stagionale dell’attività.

Va precisato che la determinazione di non avviare la procedura di interpello non può precludere al contribuente la possibilità di provare nel giudizio di opposizione all’avviso di accertamento, volto a recuperare a tassazione il maggior reddito stabilito ex lege, la sussistenza delle obiettive situazioni che legittimano la richiesta disapplicazione della normativa antielusiva. Il comma 4 bis dell’art 30 legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevede infatti che la società “può” richiedere la disapplicazione che tale opzione è rimessa alla libera scelta della contribuente.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è attestata sul principio secondo cui “la procedura di interpello con cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituisce per il contribuente una facoltà che consente di conseguire (in caso di risposta positiva dell’Ufficio) una certezza nei rapporti con la Amministrazione. Ma l’utilizzo di tale strumento non costituisce una via obbligata per il superamento della presunzione posta a carico del contribuente stesso dalle disposizioni anti-elusiva.

Quindi al contribuente è sempre consentito fornire in giudizio la prova delle condizioni che consentono di superare la presunzione posta dalla legge a suo danno” (cfr. Cass. 17010 /2012 e 16183/2014).  Ciò premesso va rilevato che la società interessata per ottenere la disapplicazione della disciplina di cui all’art. 30 legge citata deve dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive che non le hanno consentito di superare il test di operatività.

Le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 “vanno identificate in situazioni esterne che non dipendono e/o sono influenzate dalle scelte del contribuente.  Tali rilievi sono stati ripetutamente condivisi da questa Corte la quale ha avuto modo di affermare che «siccome la L. n. 724 del 1994, art. 30 individua la società “non operativa” esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis ha previsto la possibilità di presentare istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “relative disposizioni antielusive”) in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui all’art. 30, comma 1» (cfr. Cass. 21352/2019, nr 9852/2018) ed ancorail meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio.

Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto” (cfr Cass. n. 21358/2015). In sostanza il contribuente che non ha conseguito i ricavi e i conseguenti redditi presunti dalla legge, avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di particolari situazioni oggettive e straordinarie in termini economici quali ad esempio la crisi del settore, il mancato rilascio delle autorizzazioni, la protrazione dei lavori per cause non dipendenti dall’imprenditore.  Nella fattispecie i giudici di seconde cure hanno ritenuto che la presunzione di società di comodo fosse superata dalla sola e semplice circostanza che la stessa svolgesse la propria attività di locazione degli immobili stagionalmente.

La stagionalità dell’attività di locazione turistica è frutto di una consapevole scelta dell’imprenditore il quale opera affinché i ricavi dei mesi utili siano tali da essere quanto meno allineati al test di operatività.  Se così non fosse, tutte le imprese operanti all’interno di un comprensorio turistico potrebbero, solo a causa della stagionalità della loro attività, considerarsi automaticamente escluse dalla disciplina delle società non operative.

Venendo all’esame dell’altro profilo di censura della sentenza nella parte in cui si contesta l’illegittimità dell’accertamento per il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale. Và rilevato come sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” ( cfr. Cass. sez. un. n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017). Orbene a seguito dell’entrata in vigore della legge nr. 223/2006 che ha modificato l’art 30 I. 724/1994 la procedura del test di non operatività non richiede alcun contraddittorio con il contribuente. Dunque per quanto concerne la ripresa fiscale dell’Irap l’accertamento “a tavolino” è legittimo. In relazione alla parte dell’accertamento concernente l’IVA, il ricorrente non ha in alcun modo prospettato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che avrebbero potuto comportare un esito diverso del procedimento.

La stessa CTR, del resto, ha dato atto che lo svolgimento del contraddittorio tra le parti prima di dar vita al contenzioso giudiziario avrebbe consentito a T. srl di dedurre le stesse argomentazioni difensive relative alla stagionalità dell’attività che sono state spese in giudizio e sono state contestate dall’Ufficio in ogni grado”.

 Corte di Cassazione – Ordinanza 10 novembre 2020, n. 25266

sul ricorso 10805-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del  Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro G. S. in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della T. SAS DI G. S. E C., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato FABIO PACE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 947/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.

Ritenuto che

1. La Soc. T. sas di C.S. e C proponeva ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Belluno avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, riscontrata la mancata presentazione di interpello disapplicativo, la mancata compilazione del quadro RS relativo all’operatività della società, il risultato di non congruità e non coerenza, l’andamento antieconomico della gestione, accertava, in conseguenza del mancato superamento del test di operatività, il reddito imponibile minimo, ai sensi dell’art 30 della I. 724/1994, in € 179.144,98. Nelle more del giudizio di primo grado l’Amministrazione finanziaria provvedeva a notificare al contribuente provvedimento in autotutela che ricalcolava il reddito minimo nel minore importo di € 99.980.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso riducendo il reddito nella misura indicata dal provvedimento di autotutela; la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, accogliendo l’eccezione della società annullava la sentenza, ordinando l’integrazione del contraddittorio nei confronti della socia G.S.; riassunto il giudizio ed espletato tale incombente la CTP accoglieva il ricorso ritenendo che, attraverso l’atto di autotutela, l’Ufficio avesse fatto venir meno l’atto originariamente impugnato.

3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e, con appello incidente dagli appellati; la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello principale e quello incidentale osservando:

 a) che non poteva essere condivisa la decisione del giudice di prime cure posto l’Ufficio non aveva rimosso l’originario avviso di accertamento ma aveva solo ridotto l’importo in conseguenza con il minor reddito presuntivo accertato sicché non era necessaria l’emissione di un nuovo atto impositivo,

b) che la disciplina contenuta nell’art 30 della I. 724/1994 non trovava applicazione alle attività stagionali quale era quella esercitata dalla società contribuente;

c) che non era stato provocato il contraddittorio endoprocedimentale.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un motivo: la Soc. T. sas di C.S. e la socia C.S. si sono costituiti depositando controricorso.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

Considerato che

1. Va preliminarmente disattesa l’istanza avanzata dai controricorrenti nella memoria ex art 378 c.p.c. di riunione del presente procedimento con altro ricorso iscritto a ruolo con il nr 10803/2019 RG avente ad oggetto le medesime riprese a tassazione riferite a diversa annualità, non sussistendo alcuna ragione di opportunità o di economicità che consiglia il differimento del presente procedimento, già pronto per la decisione , per consentire la trattazione congiunta.

2. Con l’unico motivo di impugnazione l’Ufficio denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30 I. 724/94 in relazione all’art 360 1° comma nr 3 c.p.c., si sostiene che la natura stagionale dell’attività svolta non sia in alcun modo contemplata dalla norma quale causa di non applicazione della disciplina antielusiva né la disposizione citata, nella versione applicabile ratione temporis, prevede la necessità del contraddittorio endoprocedimentale.

3 II motivo di impugnazione è fondato.

3.1 La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724; trattasi di una normativa antielusiva volta a contrastare le c.d. società di comodo e, in particolare, a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società. Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma – mancato superamento “test operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando i determinati coefficienti – sono considerati di comodo e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti.

3.2 La disposizione normativa sopra richiamata, al comma 1°, elenca una serie di ipotesi, in presenza delle quali , non trova applicazione il regime delle “società di comodo” indicando, a tal fine, uno specifico elenco che si riferisce “

1) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;

2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;

3) alle società in amministrazione controllata o straordinaria;

4) alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente;

5) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto;

6) alle società con un numero di soci non inferiore a 50;

6-bis) alle società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità;

6-ter) alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo;

6-quater) alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale;

6-quinquies) alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale”.

3.3. Il successivo comma 4-bis, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, stabilisce che “ in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 “.

3.4 Alla luce della suesposta ricognizione normativa può affermarsi con certezza che la natura stagionale dell’attività esercitata della società non sia causa di esclusione ab origine, dal campo di applicazione della disciplina delle società di comodo.

3.5 Altra questione è se, accertato il mancato superamento del test di operatività, il contribuente possa fornire mediante il meccanismo procedurale previsto dal comma 4 bis la prova contraria attraverso la dimostrazione del carattere stagionale dell’attività.

3.6 Va precisato che la determinazione di non avviare la procedura di interpello non può precludere al contribuente la possibilità di provare nel giudizio di opposizione all’avviso di accertamento, volto a recuperare a tassazione il maggior reddito stabilito ex lege, la sussistenza delle obiettive situazioni che legittimano la richiesta disapplicazione della normativa antielusiva. Il comma 4 bis dell’art 30 legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevede infatti che la società “può” richiedere la disapplicazione che tale opzione è rimessa alla libera scelta della contribuente.

3.7 Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è attestata sul principio secondo cui “la procedura di interpello con cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituisce per il contribuente una facoltà che consente di conseguire (in caso di risposta positiva dell’Ufficio) una certezza nei rapporti con la Amministrazione. Ma l’utilizzo di tale strumento non costituisce una via obbligata per il superamento della presunzione posta a carico del contribuente stesso dalle disposizioni anti-elusiva. Quindi al contribuente è sempre consentito fornire in giudizio la prova delle condizioni che consentono di superare la presunzione posta dalla legge a suo danno” (cfr. Cass. 17010 /2012 e 16183/2014).

3.8 Ciò premesso va rilevato che la società interessata per ottenere la disapplicazione della disciplina di cui all’art. 30 legge citata deve dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive che non le hanno consentito di superare il test di operatività.

3.9 Le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4” vanno identificate in situazioni esterne che non dipendono e/o sono influenzate dalle scelte del contribuente.

3.10 Tali rilievi sono stati ripetutamente condivisi da questa Corte la quale ha avuto modo di affermare che «siccome la L. n. 724 del 1994, art. 30 individua la società “non operativa” esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis ha previsto la possibilità di presentare istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “relative disposizioni antielusive”) in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui all’art. 30, comma 1» (cfr. Cass. 21352/2019, nr 9852/2018) ed ancora” Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto” (cfr Cass. n. 21358/2015).

3.11 In sostanza il contribuente che non ha conseguito i ricavi e i conseguenti redditi presunti dalla legge, avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di particolari situazioni oggettive e straordinarie in termini economici quali ad esempio la crisi del settore, il mancato rilascio delle autorizzazioni, la protrazione dei lavori per cause non dipendenti dall’imprenditore.

3.12 Nella fattispecie i giudici di seconde cure hanno ritenuto che la presunzione di società di comodo fosse superata dalla sola e semplice circostanza che la stessa svolgesse la propria attività di locazione degli immobili stagionalmente. La stagionalità dell’attività di locazione turistica è frutto di una consapevole scelta dell’imprenditore il quale opera affinché i ricavi dei mesi utili siano tali da essere quanto meno allineati al test di operatività. Se così non fosse, tutte le imprese operanti all’interno di un comprensorio turistico potrebbero, solo a causa della stagionalità della loro attività, considerarsi automaticamente escluse dalla disciplina delle società non operative.

3.13 Venendo all’esame dell’altro profilo di censura della sentenza nella parte in cui si contesta l’illegittimità dell’accertamento per il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale.

Và rilevato come sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” ( cfr. Cass. sez. un. n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017)

3.14 Orbene a seguito dell’entrata in vigore della legge nr. 223/2006 che ha modificato l’art 30 I. 724/1994 la procedura del test di non operatività non richiede alcun contraddittorio con il contribuente. Dunque per quanto concerne la ripresa fiscale dell’Irap l’accertamento “a tavolino” è legittimo.

3.15 In relazione alla parte dell’accertamento concernente l’IVA, il ricorrente non ha in alcun modo prospettato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che avrebbero potuto comportare un esito diverso del procedimento. La stessa CTR, del resto, ha dato atto che lo svolgimento del contraddittorio tra le parti prima di dar vita al contenzioso giudiziario avrebbe consentito a T. srl di dedurre le stesse argomentazioni difensive relative alla stagionalità dell’attività che sono state spese in giudizio e sono state contestate dall’Ufficio in ogni grado.

4. In conclusione il ricorso va accolto; segue la cassazione della sentenza impugnata e la decisione nel merito ex art 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con l’accoglimento dell’originario ricorso introduttivo.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo mentre quelle dei giudizi di merito vanno interamente compensati tra le parti.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto Soc. T. sas di C.S. e C e C.S.

– Condanna i contribuenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 5.600 per compensi oltre spese a debito.

– Dispone la compensazione tra le parti delle spese relative ai gradi di merito. Così deciso nella Camera di Consiglio del 24 settembre 2020

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