CASSAZIONE

Rinvio a un nuovo esame delle SS. UU. per la questione della valenza precettiva

Tributi – Rimborso IRPEG – Eccezione di prescrizione – Termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – Art.2, comma 58, Legge n.350/2003 – Art. 2946 cod. civ. – Questione di legittimità costituzionale – Termine di prescrizione ordinario – Ordinanza n.112/2013 della Corte Costituzionale

La Sezione Quinta civile ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 3, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, idonea a riproporsi in futuri giudizi, attinente alla specifica questione della valenza precettiva (o meno) dell’art.2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 che testualmente recita: “… Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con  i contribuenti, e di rimborso delle imposte,  l’Agenzia  delle  entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG  dovute  in base alle dichiarazioni dei redditi  presentate  fino  al  30  giugno 1997, senza far valere la  eventuale  prescrizione  del  diritto  dei contribuenti”.

Si tratta, in effetti, di un interesse del contribuente la cui tutela è sicuramente coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico, in particolare con il principio di capacità contributiva e di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art.97 Cost., di cui la mancata restituzione delle somme non dovute costituisce una palese violazione.

Interesse riconosciuto anche nella sentenza delle Sezioni Unite, n. 2787 del 7 febbraio 2007, che nella motivazione pone in rilievo la necessaria relazione tra gli esiti del controllo cartolare o formale delle dichiarazioni e il dovere degli uffici finanziari di procedere (oltre che alla liquidazione delle somme dovute) ai rimborsi eventualmente spettanti al contribuente. Pertanto il Collegio ha ritenuto che, alla luce delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza n. 112/2013 della Corte Costituzionale, sia opportuno un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell’art. 2, comma 58, della legge 350/2003.

Il ragionamento degli Ermellini, seguito per la disamina dell’odierna questione e per la necessaria opera di confronto con l’orientamento giurisprudenziale della Corte, trae origine dalla pronunzia delle Sezioni Unite n. 2787/2007, alla quale si ricollega un nutrito orientamento giurisprudenziale di legittimità (ex multis, Cass. Sent. n. 7706/2013 e Ord. n. 25619/2022). In quell’occasione le Sezioni Unite, investite della risoluzione del contrasto di giurisprudenza sul momento di decorrenza del termine di prescrizione di cui all’art. 2946 cod. civ., avevano enunciato il principio, secondo cui  “… qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria”.

Il successivo orientamento della sezione tributaria, che si è conformato a detto principio, facendone come innanzi rilevato la ratio decidendi di plurime pronunce, non affrontava sempre in modo diretto la questione sulla portata precettiva della norma, limitandosi a richiamare il principio enunciato dalle Sezioni Unite senza verificarne la tenuta alla stregua della successiva pronuncia della Corte Costituzionale n. 112/2013.

Ciò in quanto, secondo la Cassazione, in ragione del tenore letterale della disposizione non era possibile una diversa interpretazione, conforme alla Costituzione, che la mettesse al riparo dal sospetto di illegittimità costituzionale, in quanto essa prevedeva che l’amministrazione dovesse provvedere all’erogazione degli indicati crediti d’imposta senza avvalersi della prescrizione.

La premessa del ragionamento svolto allora dalle Sezioni unite risiedeva nella considerazione che l’esposizione di un credito d’imposta nella denuncia dei redditi costituisce istanza di rimborso, soddisfacendo essa medesima la condizione posta dall’art. 38, DPR 602/1973 per evitare la decadenza del credito e, di conseguenza, non è applicabile il termine di decadenza previsto dall’art. 38 citato, ma troverebbe applicazione il termine di prescrizione ordinario che decorre dalla data di esposizione del credito in dichiarazione.

In ordine alla proponibilità dell’eccezione di prescrizione da parte dell’Amministrazione finanziaria, ricordiamo semplicemente che l’eccezione di prescrizione è tipica allegazione di un fatto estintivo della pretesa altrui e, anzi, costituisce la fattispecie esemplare di una difesa che si concreta nell’opporre a una domanda in giudizio fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto fatto valere con tale domanda.

In effetti il richiamato intervento della Consulta riguardava  il ricorso proposto dalla società D. Bank A.G. nei confronti dell’Agenzia delle entrate che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della citata legge 350/2003. La disposizione sottoposta al vaglio di costituzionalità prevede che “… nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l’Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti”, che si era concluso con la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della legge 350/2003, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 6, comma 2, della legge 212/2000 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, dichiarando altresì la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 113, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Più nello specifico i giudici delle leggi avevano concretamente osservato anche che “… Considerato che, come correttamente rileva la Commissione tributaria provinciale di Milano, per decidere sull’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto all’istanza di rimborso del credito d’imposta IRPEG, anno 1983, deve farsi applicazione della norma in esame, essendo stata eccepita dal fisco la prescrizione del credito; che in ragione del tenore letterale della disposizione non è possibile una diversa interpretazione, conforme a Costituzione, che la metta al riparo dal sospetto di illegittimità costituzionale, in quanto essa prevede che l’amministrazione debba provvedere all’erogazione degli indicati crediti d’imposta senza avvalersi della prescrizione; che va ribadito, in proposito, che l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenze n. 78 del 2012, n. 26 del 2010 e n. 219 del 2008);che l’odierna questione, quindi, tende realmente a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale;che, in via preliminare, va osservato che l’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), invocato, in relazione al principio di uguaglianza, per la asserita lesione del principio di irretroattività delle disposizioni tributarie e di non prorogabilità dei termini di prescrizione e decadenza, e l’art. 6, comma 2, della stessa legge, richiamato in ordine alla violazione dell’art. 97 Cost., non possono essere assunti quale parametro di legittimità costituzionale, in quanto hanno rango di legge ordinaria e non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali (ex multis, sentenza n. 247 del 2011); che, pertanto, la questione sollevata con riguardo a queste disposizioni legislative deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;che le altre questioni di legittimità costituzionale sono manifestamente infondate;che la norma – priva di carattere retroattivo, in quanto conforma l’agire processuale dell’amministrazione dalla sua entrata in vigore – è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenza n. 10 del 2013);che, come emerge dal dibattito svoltosi nel corso dell’approvazione della legge finanziaria per il 2004 alla Camera dei deputati nella seduta del 15 dicembre 2003, con la disposizione impugnata si è inteso dare effettività ai crediti vantati per eccedenza di imposta poiché appariva iniquo che, a fronte del condono fiscale, non si restituissero a molti contribuenti gli importi pagati oltre il dovuto;che in questa prospettiva la norma impugnata comporta un ragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore in quanto costituisce una disciplina eccezionale adottata per riequilibrare situazioni di disparità, in ragione di una complessiva situazione di ritardo nell’effettuare le restituzioni;che non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore abbia delimitato l’ambito di applicazione della norma, in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte, non è fonte di illegittimità costituzionale il limite alla estensione di norme che, come quella ora in esame, costituiscono deroghe a principi generali (ex multis, ordinanza n. 49 del 2013, sentenza n. 131 del 2009)”.

In ogni caso la disposizione in esame appare finalizzata a tutelare l’affidamento del contribuente sulla correttezza e tempestività dell’amministrazione tributaria nell’effettuare la restituzione dell’imposta corrisposta in eccedenza e, dunque, oltre i limiti delineati dal principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.

Tanto premesso e tornando alla vicenda de quo, essa sorge dopo che l’Istituto regionale per il Credito alla Cooperazione aveva ottenuto il parere favorevole dei giudici tributari di secondo grado per ottenere il rimborso del credito IRPEG rifiutato dall’Agenzia delle entrate. La parte pubblica si rivolgeva alla Cassazione con un ricorso formato da quattro motivi, nei quali essenzialmente veniva posto in evidenza che anche successive decisioni della Suprema Corte (Cass. n. 7706 del 27 marzo 2013, Cass. n.11943 del 10 giugno 2016, Cass. n.11323 del 31 maggio 2016) avevano ribadito che a seguito dell’introduzione dell’art. 2, comma 58, della òegge 350/2003, non era venuta meno la facoltà degli uffici di eccepire la prescrizione che si fosse maturata per l’inerzia del contribuente. Inoltre, nel caso di specie era circostanza pacifica che fino all’istanza di rimborso del 22 maggio 2009 non vi fosse stato alcun atto interruttivo della prescrizione relativamente al credito di imposta, risalente all’anno 1986; pertanto, correttamente. l’ufficio ne aveva eccepito la prescrizione.

I Supremi Giudici di legittimità hanno quindi ritenuto che: “… Nessuna delle pronunce citate si confronta con l’ordinanza della Corte costituzionale n.112 del 29 maggio 2013, successiva alla sentenza delle Sezioni Unite, da cui origina l’orientamento giurisprudenziale sopra indicato. Sebbene tale ordinanza non sia vincolante né per i giudici di merito, né per la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di cassazione, tuttavia, non può non rilevarsi che essa presuppone un’interpretazione normativa affatto diversa rispetto a quella data dalle Sezioni Unite nella esaminata pronuncia. Invero, la Corte costituzionale, nel ritenere la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 113, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, in un giudizio in cui l’Agenzia delle entrate aveva eccepito la prescrizione del credito del contribuente, ha affermato che, “per decidere sull’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto all’istanza di rimborso del credito d’imposta IRPEG, anno 1983, dovesse farsi applicazione della norma in esame, essendo stata eccepita dal fisco la prescrizione del credito”. Ciò in quanto, secondo la Corte, “in ragione del tenore letterale della disposizione non era possibile una diversa interpretazione, conforme a Costituzione, che la mettesse al riparo dal sospetto di illegittimità costituzionale, in quanto essa prevedeva che l’amministrazione dovesse provvedere all’erogazione degli indicati crediti d’imposta senza avvalersi della prescrizione”. Inoltre, la Corte costituzionale, ha precisato che  la norma – priva di carattere retroattivo, in quanto conforma l’agire processuale dell’amministrazione dalla sua entrata in vigore – è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenza n. 10 del 2013). Sul punto, l’ordinanza della Corte costituzionale fa riferimento al dibattito svoltosi nel corso dell’approvazione della legge finanziaria per il 2004 alla Camera dei deputati nella seduta del 15 dicembre 2003, dal quale emerge che, con la disposizione in oggetto, si è inteso dare effettività ai crediti vantati per eccedenza di imposta poiché appariva iniquo che, a fronte del condono fiscale, non si restituissero a molti contribuenti gli importi pagati oltre il dovuto. Pertanto, il giudice delle leggi, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della legge n. 350 del 2003, ha rilevato che, date le finalità, la norma impugnata comporta un ragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore, in quanto costituisce una disciplina eccezionale adottata per riequilibrare situazioni di disparità, in ragione di una complessiva situazione di ritardo nell’effettuare le restituzioni, restando irrilevanti, nell’ambito del sindacato espresso, gli inconvenienti di fatto non riconducibili direttamente all’applicazione della disposizione censurata. Tali affermazioni sembrano presupporre il riconoscimento del carattere precettivo della disposizione in esame, tanto che la Corte costituzionale ribadiscein proposito, che l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenze n. 78 del 2012, n. 26 del 2010 e n. 219 del 2008)”. 2.3. Alla luce dell’ordinanza della Corte costituzionale, il collegio ritiene che sia opportuno sottoporre a nuovo esame delle Sezioni Unite la questione della portata precettiva o meno dell’art. 2, comma 58, l. n.350/2003.In primo luogo, come già evidenziato sopra e rilevato dalla difesa dell’istituto controricorrente, la sentenza delle Sezioni Unite n.2787/2007, dopo aver precisato che nella vicenda all’esame non incideva l’art.2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n.350, svolge delle considerazioni sulla portata della norma che non trovano alcun riferimento nella precedente esposizione del fatto e che esprimono un enunciato incidentale, privo di rilevanza nel caso specifico deciso dalla succitata pronuncia. Il successivo orientamento della sezione tributaria, che si è conformato a detto principio, facendone, come innanzi rilevato, la ratio decidendi di plurime pronunce, non affronta sempre in modo diretto la questione sulla portata precettiva della norma, limitandosi a richiamare il principio enunciato dalle Sezioni Unite, senza verificarne la tenuta alla stregua della successiva pronuncia della Corte costituzionale. Inoltre, come riconosciuto anche dal PG nelle conclusioni scritte, fin dai lavori preparatori la disposizione in esame appare finalizzata a tutelare l’affidamento del contribuente sulla correttezza e tempestività dell’amministrazione tributaria nell’effettuare la restituzione dell’imposta corrisposta in eccedenza e, dunque, oltre i limiti delineati dal principio di capacità contributiva di cui all’art.53 Cost. Si tratta di un interesse del contribuente, la cui tutela è sicuramente coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico, in particolare con il principio di capacità contributiva e di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art.97 Cost., di cui la mancata restituzione delle somme non dovute costituisce una palese violazione. Interesse riconosciuto anche nell’esaminata sentenza delle Sezioni Unite, che, nella motivazione, pone in rilievo la necessaria relazione tra gli esiti del controllo cartolare o formale delle dichiarazioni ed il dovere degli uffici finanziari di procedere (oltre che alla liquidazione delle somme dovute) ai rimborsi eventualmente spettanti al contribuente. Non sembra potersi escludere, quindi, che l’art.2 in oggetto, il cui ambito di applicazione è circoscritto alle istanze di rimborso delle eccedenze Irpef ed Irpeg dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, abbia una portata precettiva, vincolante per l’amministrazione, e contenga una norma di carattere eccezionale, derogatoria della disciplina generale, che, peraltro, ha già superato il vaglio della Corte costituzionale, in considerazione della ragionevolezza delle finalità perseguite. Né dall’incipit dell’art.2, comma 58, l. n.350/2003, laddove si legge che la disposizione si inserisce <<nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte>>, si può evincere che la norma sia rivolta unicamente ai contribuenti che si siano avvalsi del condono, attesa la genericità delle espressioni utilizzate. Peraltro, dallo stesso dibattito parlamentare richiamato nell’ordinanza della Corte Costituzionale, sembra emergere la finalità del legislatore di garantire alla generalità dei contribuenti, che ne facessero richiesta, l’erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG, dovute in base alle dichiarazioni dei redditi più risalenti nel tempo, presentate fino al 30 giugno 1997. Invero, deve rilevarsi che l’intervento normativo in oggetto si inserisce nel contesto di provvedimenti che hanno determinato sostanziali modifiche nel sistema dei rimborsi: pochi anni prima dell’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2003, n. 350, il legislatore aveva introdotto, con il d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241, la disciplina del versamento unitario e della compensazione, con la quale è stato consentito al contribuente di compensare i crediti per alcuni tributi con i debiti per altri, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, il 12 agosto 1997. Si spiegherebbe, quindi, l’esigenza, recepita nell’art.2 l. n.350/2003, di definire i rapporti pregressi con riguardo ai rimborsi, emergenti dalle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997, che si sarebbero dovuti operare e che non erano stati assolti per carenza di risorse o per mera negligenza. Viceversa, come rilevato dalla difesa di parte controricorrente, negando carattere precettivo alla norma in esame si finirebbe per concludere che essa sia inutiliter data, atteso che risulterebbe una mera riproposizione dell’art.2937 cod. civ., in base al quale la scelta se far valere o meno la prescrizione compete al debitore. Ritiene il Collegio che, alla luce delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza n.112/2013 della Corte costituzionale, successiva alla sentenza della Sezioni Unite, alla quale si ricollega l’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, sia opportuno, per la rilevanza della questione, idonea a riproporsi in futuri giudizi, un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell’art.2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n.350, onde va disposta la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art.374, terzo comma, cod. proc. civ”.

Corte di Cassazione – Ordinanza interlocutoria 24 marzo 2023, n. 8475

Omissis…

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 marzo 2023 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

Rilevato che

1. L’Agenzia delle entrate ricorre con quattro motivi contro l’Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione (di seguito istituto o I.R.C.A.C.), che resiste con controricorso, avverso la sentenza n.57/30/16 della Commissione tributaria regionale della Sicilia (di seguito C.t.r.), pronunciata in data 23 novembre 2015, depositata in data 11 gennaio 2016 e non notificata, che ha accolto l’appello del contribuente contro la decisione n.52/09/12 della Commissione tributaria provinciale di Palermo, che aveva rigettato il ricorso dell’istituto avverso il diniego tacito di rimborso del credito Irpeg risultante dal Modello 760/87.

2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che, ai sensi dell’art.2, comma 58, legge n.350/2003, l’amministrazione, a seguito di istanza di rimborso avanzata dal contribuente in data 22 maggio 2009, non potesse eccepire la prescrizione del diritto dell’istituto al credito di imposta indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1986.

Il giudice di appello riteneva, inoltre, che, nel caso di specie, il credito fosse sufficientemente provato, perché indicato nella dichiarazione dei redditi presentata nei termini dal contribuente e, comunque, espressamente riconosciuto dall’amministrazione finanziaria con il successivo avviso di accertamento n.70068/1992, emesso dall’ufficio distrettuale di Palermo per l’anno di imposta 1986.

3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 15 marzo 2023, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 – bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.

4. Il P.G., F.T., ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con l’assorbimento dei rimanenti.

In prossimità dell’udienza camerale, parte contribuente ha depositato memoria, insistendo per il rigetto del ricorso.

Considerato che

1.1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2937 e 2946 cod. civ. e dell’art. 2, comma 58, l. 24 dicembre 2003, n. 350, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che le conclusioni cui è pervenuta la C.t.r., in merito all’interpretazione del comma 58 dell’art. 2 della legge n. 350/2003, sono del tutto errate, nella parte in cui ha ritenuto che la norma vieti all’Agenzia delle Entrate di eccepire la prescrizione.

Secondo l’Agenzia delle entrate, la norma, come riconosciuto dalla sentenza n. 2787 del 7 febbraio 2007 delle Sezioni Unite di questa Corte, non ha carattere precettivo nei confronti dell’amministrazione, ma contiene un mero “invito” rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice.

Né l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 112 del 29 maggio 2013, richiamata dalla difesa dell’istituto, può portare a diversa conclusione, in quanto nel rilevare l’eccezionalità della norma in oggetto, ha confermato la disciplina generale relativa alla prescrizione, evidenziando che la finalità della disciplina in esame consisteva nel “riequilibrare la posizione dei contribuenti che si erano avvalsi del condono fiscale”, situazione ben diversa da quella relativa al rimborso di cui è causa.

La ricorrente richiama anche successive decisioni di questa Corte (Cass. n. 7706 del 27 marzo 2013, Cass. n. 11943 del 10 giugno 2016, Cass. n. 11323 del 31 maggio 2016), che, nel richiamarsi alla pronuncia delle sezioni Unite, hanno ribadito che, a seguito dell’introduzione dell’art. 2, comma 58, l. 24 dicembre 2003, n. 350, non era venuta meno la facoltà degli uffici di eccepire la prescrizione, che si fosse maturata per l’inerzia del contribuente.

Nel caso di specie, secondo l’Agenzia delle entrate, era circostanza pacifica che, fino all’istanza di rimborso del 22 maggio 2009, non vi fosse stato alcun atto interruttivo della prescrizione relativamente al credito di imposta, risalente all’anno 1986; pertanto correttamente l’ufficio ne aveva eccepito la prescrizione.

1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 cod. civ., nonché dell’art. 2, comma 58, l. 24 dicembre 2003, n. 350, e dell’art. 11 delle disp. sulle leggi in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Sia pure subordinatamente al rigetto del primo motivo di impugnazione, parte ricorrente ritiene che i giudici di appello avrebbero comunque violato le norme richiamate per avere ritenuto applicabile la disposizione di cui comma 58 dell’art. 2 citato laddove già si era maturata la prescrizione del credito relativo all’anno 1986.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate sostiene che la possibilità di non eccepire la prescrizione, sebbene relativa alle dichiarazioni presentate fino al 1997, non poteva incidere su situazioni già definite per essersi ormai estinto il diritto al rimborso, con il decorso del termine prescrizionale.

La ricorrente richiama un passo dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 112 del 29 maggio 2013 in cui si evidenzia come “la norma di cui all’art. 2 citato – priva di carattere retroattivo in quanto conforma l’agire processuale dell’amministrazione dalla sua entrata in vigore – è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali, con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza”.

1.3. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento alla prova del credito, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

L’Agenzia delle Entrate sostiene che i secondi giudici non avrebbero considerato che la semplice produzione della copia della dichiarazione, dalla quale risulti un credito di imposta, non appare sufficiente affinché sia assolto l’onere probatorio, considerato anche che l’ufficio non era più in possesso di alcuna documentazione, atteso il lungo lasso di tempo trascorso.

1.4. Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 5, 37, 38 e 44 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nonché dell’art. 1224 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. nella parte in cui il giudice di appello avrebbe riconosciuto in maniera automatica il risarcimento da svalutazione monetaria.

2.1. La sentenza delle Sezioni Unite n. 2787 del 7 febbraio 2007 ed il successivo orientamento della giurisprudenza di legittimità.

In ordine al primo motivo, il cui esame è logicamente prioritario rispetto a quello dei motivi successivi, è necessario confrontarsi con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte che trae origine dalla richiamata pronunzia delle Sezioni Unite n. 2787 del 7 febbraio 2007, precedente all’ordinanza n. 112 del 2013 della Corte Costituzionale. In quel caso le Sezioni Unite, investite della risoluzione del contrasto di giurisprudenza sul momento di decorrenza del termine di prescrizione di cui all’art. 2946 cod. civ., hanno enunciato il principio, secondo cui “qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria”.

La premessa del ragionamento svolto dalle Sezioni unite risiede nella considerazione che <<l’esposizione di un credito d’imposta nella denuncia dei redditi costituisce istanza di rimborso>>, soddisfacendo essa medesima la condizione posta dall’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 per evitare la decadenza del credito: di conseguenza, non è applicabile il termine di decadenza previsto dall’art. 38 cit., ma trova applicazione il termine di prescrizione ordinario, che decorre dalla data di esposizione del credito in dichiarazione.

Nella motivazione della sentenza, il Collegio precisa che è doveroso un attento esame dell’art. 36-bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (introdotto dall’art. 2 d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920) che, nel regolare il controllo cd. formale o cartolare sulle dichiarazioni dei redditi, impone agli uffici finanziari di procedere (oltre che alla liquidazione delle somme dovute) ai rimborsi eventualmente spettanti al contribuente.

Infine, le Sezioni Unite, nella sentenza citata, hanno ritenuto che non incidesse sulla vicenda al loro esame l’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, il quale prevede che “nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l’Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere l’eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti”.

Ciò in quanto “la disposizione non modifica i termini di prescrizione ordinaria, ma si limita a invitare l’amministrazione a non “far valere” tale prescrizione. Dunque il giudice non deve procedere ad una diretta applicazione della norma, spettando alla Amministrazione non proporre in giudizio l’eccezione di prescrizione (forse anche abbandonarla in caso di controversia già in atto)”. Tale affermazione, pur non essendo centrale nelle argomentazioni delle Sezioni Unite, è diventata la ratio di successive pronunce di questa Corte, senza ulteriori approfondimenti.

Invero, molte di esse si limitano a riportare incidentalmente il principio di massima della sentenza delle Sezioni Unite in occasione dell’esame di questioni di diversa natura (ad esempio Cass. n. 2392 del 31 gennaio 2018 e Cass. n. 32271 del 2 novembre 2022 che hanno escluso l’applicabilità dell’art. 2, l. n. 350/2003 al rimborso degli interessi; Cass. n. 34853 del 17 novembre 2021, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 2, l. n. 350/2003 all’ILOR; Cass. n. 11323 del 31 maggio 2016, che ha ritenuto inammissibile la questione perché nuova; Cass. n. 16630 del 4 agosto 2020, che si è pronunciata sulla decadenza dall’istanza di rimborso; Cass. n. 11943 del 10 giugno 2016 che ha ritenuto assorbita la questione per la tardività dell’eccezione di prescrizione), mentre altre si uniformano al principio delle Sezioni Unite senza ulteriori motivazioni (Cass. n. 7706 del 27 marzo 2013) o reiterando e facendo proprie le argomentazioni già contenute nella decisione delle Sezioni Unite (Cass. n. 25619 del 31 agosto 2022).

2.2. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 112 del 29 maggio 2013.

Nessuna delle pronunce citate si confronta con l’ordinanza della Corte costituzionale n. 112 del 29 maggio 2013, successiva alla sentenza delle Sezioni Unite, da cui origina l’orientamento giurisprudenziale sopra indicato.

Sebbene tale ordinanza non sia vincolante né per i giudici di merito, né per la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di cassazione, tuttavia, non può non rilevarsi che essa presuppone un’interpretazione normativa affatto diversa rispetto a quella data dalle Sezioni Unite nella esaminata pronuncia.

Invero, la Corte costituzionale, nel ritenere la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 113, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, in un giudizio in cui l’Agenzia delle entrate aveva eccepito la prescrizione del credito del contribuente, ha affermato che, “per decidere sull’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto all’istanza di rimborso del credito d’imposta IRPEG, anno 1983, dovesse farsi applicazione della norma in esame, essendo stata eccepita dal fisco la prescrizione del credito”.

Ciò in quanto, secondo la Corte, “in ragione del tenore letterale della disposizione non era possibile una diversa interpretazione, conforme a Costituzione, che la mettesse al riparo dal sospetto di illegittimità costituzionale, in quanto essa prevedeva che l’amministrazione dovesse provvedere all’erogazione degli indicati crediti d’imposta senza avvalersi della prescrizione”.

Inoltre, la Corte costituzionale, ha precisato che la norma – priva di carattere retroattivo, in quanto conforma l’agire processuale dell’amministrazione dalla sua entrata in vigore – è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenza n. 10 del 2013).

Sul punto, l’ordinanza della Corte costituzionale fa riferimento al dibattito svoltosi nel corso dell’approvazione della legge finanziaria per il 2004 alla Camera dei deputati nella seduta del 15 dicembre 2003, dal quale emerge che, con la disposizione in oggetto, si è inteso dare effettività ai crediti vantati per eccedenza di imposta poiché appariva iniquo che, a fronte del condono fiscale, non si restituissero a molti contribuenti gli importi pagati oltre il dovuto.

Pertanto, il giudice delle leggi, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 58, della legge n. 350 del 2003, ha rilevato che, date le finalità, la norma impugnata comporta un ragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore, in quanto costituisce una disciplina eccezionale adottata per riequilibrare situazioni di disparità, in ragione di una complessiva situazione di ritardo nell’effettuare le restituzioni, restando irrilevanti, nell’ambito del sindacato espresso, gli inconvenienti di fatto non riconducibili direttamente all’applicazione della disposizione censurata.

Tali affermazioni sembrano presupporre il riconoscimento del carattere precettivo della disposizione in esame, tanto che la Corte costituzionale ribadisce “in proposito, che l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenze n. 78 del 2012, n. 26 del 2010 e n. 219 del 2008)”.

2.3. Alla luce dell’ordinanza della Corte costituzionale, il collegio ritiene che sia opportuno sottoporre a nuovo esame delle Sezioni Unite la questione della portata precettiva o meno dell’art. 2, comma 58, l. n. 350/2003.

In primo luogo, come già evidenziato sopra e rilevato dalla difesa dell’istituto controricorrente, la sentenza delle Sezioni Unite n. 2787/2007, dopo aver precisato che nella vicenda all’esame non incideva l’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, svolge delle considerazioni sulla portata della norma che non trovano alcun riferimento nella precedente esposizione del fatto e che esprimono un enunciato incidentale, privo di rilevanza nel caso specifico deciso dalla succitata pronuncia.

Il successivo orientamento della sezione tributaria, che si è conformato a detto principio, facendone, come innanzi rilevato, la ratio decidendi di plurime pronunce, non affronta sempre in modo diretto la questione sulla portata precettiva della norma, limitandosi a richiamare il principio enunciato dalle Sezioni Unite, senza verificarne la tenuta alla stregua della successiva pronuncia della Corte costituzionale.

Inoltre, come riconosciuto anche dal PG nelle conclusioni scritte, fin dai lavori preparatori la disposizione in esame appare finalizzata a tutelare l’affidamento del contribuente sulla correttezza e tempestività dell’amministrazione tributaria nell’effettuare la restituzione dell’imposta corrisposta in eccedenza e, dunque, oltre i limiti delineati dal principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

Si tratta di un interesse del contribuente, la cui tutela è sicuramente coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico, in particolare con il principio di capacità contributiva e di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 Cost., di cui la mancata restituzione delle somme non dovute costituisce una palese violazione.

Interesse riconosciuto anche nell’esaminata sentenza delle Sezioni Unite, che, nella motivazione, pone in rilievo la necessaria relazione tra gli esiti del controllo cartolare o formale delle dichiarazioni ed il dovere degli uffici finanziari di procedere (oltre che alla liquidazione delle somme dovute) ai rimborsi eventualmente spettanti al contribuente.

Non sembra potersi escludere, quindi, che l’art. 2 in oggetto, il cui ambito di applicazione è circoscritto alle istanze di rimborso delle eccedenze Irpef ed Irpeg dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, abbia una portata precettiva, vincolante per l’amministrazione, e contenga una norma di carattere eccezionale, derogatoria della disciplina generale, che, peraltro, ha già superato il vaglio della Corte costituzionale, in considerazione della ragionevolezza delle finalità perseguite.

Né dall’incipit dell’art. 2, comma 58, l. n. 350/2003, laddove si legge che la disposizione si inserisce <<nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte>>, si può evincere che la norma sia rivolta unicamente ai contribuenti che si siano avvalsi del condono, attesa la genericità delle espressioni utilizzate.

Peraltro, dallo stesso dibattito parlamentare richiamato nell’ordinanza della Corte Costituzionale, sembra emergere la finalità del legislatore di garantire alla generalità dei contribuenti, che ne facessero richiesta, l’erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG, dovute in base alle dichiarazioni dei redditi più risalenti nel tempo, presentate fino al 30 giugno 1997.

Invero, deve rilevarsi che l’intervento normativo in oggetto si inserisce nel contesto di provvedimenti che hanno determinato sostanziali modifiche nel sistema dei rimborsi: pochi anni prima dell’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2003, n. 350, il legislatore aveva introdotto, con il d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241, la disciplina del versamento unitario e della compensazione, con la quale è stato consentito al contribuente di compensare i crediti per alcuni tributi con i debiti per altri, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, il 12 agosto 1997. Si spiegherebbe, quindi, l’esigenza, recepita nell’art. 2, l. n. 350/2003, di definire i rapporti pregressi con riguardo ai rimborsi, emergenti dalle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997, che si sarebbero dovuti operare e che non erano stati assolti per carenza di risorse o per mera negligenza.

Viceversa, come rilevato dalla difesa di parte controricorrente, negando carattere precettivo alla norma in esame si finirebbe per concludere che essa sia inutiliter data, atteso che risulterebbe una mera riproposizione dell’art. 2937 cod.civ. in base al quale la scelta se far valere o meno la prescrizione compete al debitore.

Ritiene il Collegio che, alla luce delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza n. 112/2013 della Corte costituzionale, successiva alla sentenza della Sezioni Unite, alla quale si ricollega l’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, sia opportuno, per la rilevanza della questione, idonea a riproporsi in futuri giudizi, un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, onde va disposta la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, terzo comma, cod. proc. civ.

P.Q.M. Dispone la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni Unite.

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