CASSAZIONE

Rimborso IRAP per il medico di base convenzionato con il SSN

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 15412del 21 giugno 2017, ha stabilito che l’IRAP pagata dal medico di base convenzionato con il SSN che impiega una sola dipendente partime con mansioni di segretaria, dovrà essere rimborsata.

L’IRAP (Imposta Regionale Attività Produttive) è un’imposta istituita con il D. Lgs. 446/1997 e successivamente divenuta, con la Legge Finanziaria del 2008, una tassa a tutti gli effetti, con il 90% del gettito ottenuto attribuito alle Regioni con l’obiettivo di finanziare il Fondo Sanitario Nazionale.

Si tratta di un’imposta strettamente legata al fatturato di Aziende, Enti o liberi professionisti: sono quindi soggetti al suo pagamento, in buona sostanza, tutti coloro i quali esercitano un’attività anche non commerciale, comprese le Pubbliche Amministrazioni e i produttori agricoli i quali, però, in alcuni casi, possono essere esonerati.

L’assoggettabilità dei liberi professionisti all’Irap è da lungo tempo un tema sufficientemente controverso.

Nonostante la l. n. 446/1997 stabilisca che “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”, un consolidato orientamento giurisprudenziale ha individuato alcuni criteri ritenuti più puntuali per l’applicazione del tributo.

Secondo tale filone interpretativo, per l’assoggettamento all’Irap non è sufficiente il semplice svolgersi dell’attività produttiva, ma è necessario approfondire le modalità di svolgimento della stessa e in particolare, soffermandosi sulla sussistenza o meno di un’autonoma organizzazione.

Come emerge dalla vasta produzione delle pronunce prodotte dalla Cassazione, quest’ultima si realizza quando il contribuente impiega, in via non occasionale, personale dipendente, collaboratori a progetto, collaboratori esterni che svolgono attività tipica, ovvero beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile.

In tale quadro giurisprudenziale, con l’Ordinanza n. 6330 del 27 marzo 2015, la Corte di Cassazione si è espressa in merito alla sussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP in riferimento agli studi medici associati convenzionati con il servizio sanitario nazionale (SSN).

A tal riguardo, i supremi Giudici hanno sottolineato che la medicina di gruppo realizza un fenomeno di aggregazione di interessi, riconducibile ad un’associazione atipica che costituisce modalità organizzativa del lavoro e di condivisione funzionale delle strutture di più professionisti, per sviluppare e migliorare le potenzialità assistenziali di ciascuno di essi.

Sotto questo profilo, una parte della giurisprudenza ritiene che l’esercizio dell’attività da parte di tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, integri in ogni caso presupposto d’imposta, prescindendo da un’ulteriore verifica circa l’assenza dell’autonoma organizzazione (Cass. 28 novembre 2014, n. 25315; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317).

Diversamente, altre pronunce di legittimità ammettono la possibilità in capo al contribuente di dimostrare che il reddito dello studio sia derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (Cass. 6 marzo 2015, 4578; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27007; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1575), mentre altre valorizzano invece, anche in relazione alle società, il concreto rapporto che intercorre tra i fattori produttivi (Cass. 25 febbraio 2015, n. 3870).

Inoltre, per gli studi medici associati convenzionati, l’Ordinanza della Corte di Cassazione citata, attesta la non assoggettabilità all’Irap.

Nello specifico, la pronuncia evidenzia che la disponibilità da parte dei medici di strumenti di diagnosi, anche complessi e costosi, non è idonea a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi dell’Irap, posto che, sul piano funzionale, l’attività del medico in regime di convenzione è volta a migliorare l’effettiva tutela della salute, prima che alla produzione del lucro per il professionista.

Allo stesso modo, l’utilizzo da parte dei medici convenzionati di uno studio avente le caratteristiche previste dall’articolo 22 dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, in quanto obbligatorio ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra il presupposto impositivo.

In particolare, l’art. 22 dispone che lo studio del medico convenzionato debba essere dotato degli arredi e delle attrezzature indispensabili per l’esercizio della medicina generale, di sala d’attesa adeguatamente arredata, di servizi igienici, di illuminazione e aerazione idonea, ivi compresi idonei strumenti di ricezione delle chiamate.

Se lo studio è ubicato presso strutture adibite ad altre attività non mediche o sanitarie soggette ad autorizzazione, lo stesso deve avere un ingresso indipendente e deve essere eliminata ogni comunicazione tra le due strutture.

Lo studio professionale deve infine essere aperto agli aventi diritto per 5 giorni alla settimana, preferibilmente dal lunedì al venerdì, secondo un congruo orario determinato autonomamente in relazione alle necessità degli assistiti iscritti nel suo elenco ed alla esigenza di assicurare una prestazione medica corretta ed efficace.

 

Tornando al caso esaminato dalla Corte, la CTR del Lazio con sentenza aveva accolto l’appello proposto dalla contribuente, medico di base convenzionato con il SSN, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso il diniego dell’Ufficio sull’istanza di rimborso che la stessa aveva presentato per l’IRAP versata per quattro anni.

Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e attinente all’utilizzazione da parte della contribuente, medico di base convenzionato con il SSN, di personale dipendente non occasionale per gli anni di riferimento.

Ma, ricordano gli Ermellini, nella fattispecie in esame si è trattato della collaborazione di una sola dipendente con mansioni di segretaria impiegata partime e che pertanto: “…Sennonché – e di ciò dà atto la stessa Agenzia delle Entrate in ricorso- nella fattispecie in esame si è trattato della collaborazione di una sola dipendente con mansioni di segretaria impiegata partime. A ciò consegue che la pronuncia impugnata risulta avere correttamente escluso la sussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP alla luce dei principi enunciati da Cass. 10 maggio 2016, n. 9451, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza, secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, quale presupposto impositivo del suddetto tributo ricorre invece quando il contribuente: «a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segretaria ovvero meramente esecutive».

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va pertanto rigettato.

 

CASSAZIONE Ordinanza 21 giugno 2017, n. 15412

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 3948/38/2015, depositata il 9 luglio 2015, non notificata, la CTR del Lazio ha accolto l’appello proposto dalla dott. ssa S.S. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Roma 1, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso il diniego dell’Ufficio sull’istanza di rimborso che la dott.ssa B. aveva presentato per l’IRAP versata per gli anni dal 2005 al 2008.

Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.

La contribuente resiste con controricorso.

Con l’unico motivo l’Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e relativo all’utilizzazione da parte della contribuente, medico di base convenzionato con il SSN, di personale dipendente non occasionale per gli anni di riferimento.

Sennonché – e di ciò dà atto la stessa Agenzia delle Entrate in ricorso- nella fattispecie in esame si è trattato della collaborazione di una sola dipendente con mansioni di segretaria impiegata partime. A ciò consegue che la pronuncia impugnata risulta avere correttamente escluso la sussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP alla luce dei principi enunciati da Cass. 10 maggio 2016, n. 9451, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza, secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, quale presupposto impositivo del suddetto tributo ricorre invece quando il contribuente: «a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segretaria ovvero meramente esecutive».

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va pertanto rigettato.

La sopravvenienza della citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte in pendenza del giudizio di legittimità ne giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti medesime.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115 (ndr art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali.

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