EUROPA FISCALITA

Rientro dei cervelli: detassazione anche per chi ne ha già fruito ed è in aspettativa all’estero

Gli incentivi per il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all’estero sono regolamentati da l’art. 44 del Dl 78/2010, convertito dalla legge 122/2010, disposizione che ha subito le modifiche normative apportate dal Dl 34/2019 (legge 58/2019), che si applicano “ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal periodo d’imposta

successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, quindi dal periodo d’imposta 2020. L’agevolazione prevede l’esclusione, ai fini delle imposte sui redditi, dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo del 90% degli emolumenti percepiti da docenti e ricercatori non occasionalmente residenti all’estero, che abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività e acquisiscono la residenza fiscale in Italia. Circa il periodo di permanenza all’estero la norma non specifica la durata, che assume però rilevanza in merito all’attività di ricerca o docenza, che deve esser durata all’estero per almeno due anni consecutivi.

I documenti di prassi

La norma si propone di contrastare il fenomeno della fuga dei cervelli e di favorire lo sviluppo tecnologico e scientifico del Paese e si rivolge, oltre che ai cittadini italiani o europei emigrati decisi a tornare in Italia, a tutti i residenti all’estero, italiani e stranieri, che possono favorire lo sviluppo della ricerca attraverso le conoscenze e l’esperienza acquisiti all’estero (circolare 17/E del 2017).

Per accedere alla tassazione (più che) agevolata, nel documento di prassi si precisa che devono verificarsi le seguenti condizioni:

a) essere in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato;

b) essere stati non occasionalmente residenti all’estero;

c) aver svolto all’estero documentata attività di ricerca o docenza per almeno due anni continuativi, presso centri di ricerca pubblici o privati o università;

d) svolgere attività di docenza e ricerca in Italia;

e) acquisire la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

La circolare 22/E del 2004 ha inoltre precisato che non rileva la natura del datore di lavoro o del soggetto committente, che per l’attività di ricerca può essere una università, pubblica o privata, un centro di ricerca pubblico o privato o un’impresa o un ente che, in base alla specificità del settore economico in cui opera, disponga di strutture organizzative finalizzate alla ricerca.

La residenza in Italia

Condizione essenziale, tra le altre, è che il ricercatore acquisisca e mantenga la residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR, in base al quale sono residenti le persone fisiche che per la maggior parte dell’anno (183 giorni o 184, in caso di anno bisestile) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato la residenza o il domicilio ai sensi del codice civile: tali condizioni sono alternative, dunque è sufficiente l’esistenza anche di una sola delle due.

Il caso di specie

L’istanza di interpello è presentata da un docente che dichiara di:

– essere professore ordinario presso un’università in Italia dal 1° novembre 2019;

– essere attualmente residente in Spagna, iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) dal 29/10/2020, risultando fiscalmente residente in Spagna per gli anni 2021 e 2022;

– avere un contratto a tempo determinato, fino al 31 agosto 2022, con un’università spagnola;

– essere stato collocato in aspettativa senza assegni dal 1° novembre 2020 al 31 agosto 2022 dall’università in Italia, ai sensi dell’art. 7 della legge 240/2010;

– aver già usufruito dei benefici fiscali previsti dal Dl 78/2010 negli anni tra il 2016 e il 2019, dopo essere rientrato dopo cinque anni di lavoro in Australia.

Il professore, che dichiara l’intenzione di rientrare in Italia nel corso del 2022 per riprendere l’attività di insegnamento presso l’ateneo italiano acquisendo la residenza fiscale nel nostro Paese, chiede se può nuovamente fruire nuovamente delle agevolazioni fiscali pur essendo in aspettativa senza assegni avendone già beneficiato in precedenza.

La risposta delle Entrate

Nella risposta 239/2022 l’Agenzia precisa che con la risoluzione 92/E del 2017 è stato chiarito che un docente universitario trasferito all’estero e iscritto all’AIRE per svolgere attività di ricerca e di didattica a seguito di collocamento in aspettativa senza assegni, una volta rientrato in Italia e acquisendo la residenza fiscale, può avvalersi delle agevolazioni previste dal citato art. 44 del Dl 78/2010, in presenza delle altre condizioni richieste. Dunque, non costituisce un impedimento la circostanza che l’attività di ricerca o docenza all’estero sia stata svolta avvalendosi di aspettativa senza assegni, prevista dalla legge 240/2010: tale norma, riferendosi alla mobilità dei professori e dei ricercatori universitari, stabilisce infatti che questi, a domanda, possono essere collocati in aspettativa per un periodo massimo di 5 anni, anche consecutivi.

Quindi, secondo l’Amministrazione finanziaria, l’istante potrà avvalersi delle agevolazioni a partire dall’anno d’imposta del rientro in Italia e non rileva che abbia già fruito della detassazione al 90% sui redditi dopo essere rientrato da un quinquennio di lavoro all’estero.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay