CASSAZIONE FISCALITA SENTENZE

Riciclaggio: doppia verifica se il reato presupposto è commesso all’estero

Reati Tributari – Evasione fiscale – Sequestro – Reato di riciclaggio – Reato presupposto commesso all’estero – Nozione – Profitto – Art. 648 ter c.p. – Rilevanza penale del fatto accertata dal giudice straniero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23190 del 27 maggio 2019, intervenendo nella composita materia relativa alle forme di riciclaggio, ha affermato che la rilevanza penale del fatto commesso all’estero, che costituisce il presupposto del delitto del reato di riciclaggio, deve essere accertata sia dal giudice straniero che da quello italiano, secondo i rispettivi ordinamenti.

Se è noto che la esplicitazione del termine di  riciclaggio di denaro include quell’insieme di operazioni mirate a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così più difficile l’identificazione e il successivo eventuale recupero, è parimenti noto che tale reato è contrastato dall’art. 648-ter c.p. introdotto dal decreto-legge 59/1978, e si distingue da quello di riciclaggio previsto dall’art. 648-bis c.p. perché ha per oggetto proventi illeciti normalmente già “ripuliti” e da quello di comune ricettazione (previsto dall’art. 648 c.p.), rispetto al quale l’elemento specializzante consiste essenzialmente nel fatto che l’impiego dei proventi illeciti, a differenza di quanto si verifica nella ricettazione, non costituisce un “post factum” non punibile ma assume rilievo penale in quanto collocato in “attività economiche o finanziarie”.

Inoltre, e per quello che ci riguarda, il delitto di cui all’art. 648-ter c.p. è configurabile anche se per il reato presupposto, commesso all’estero, sia stata disposta dall’autorità giudiziaria straniera l’archiviazione per ragioni esclusivamente processuali che non escludono la sussistenza del reato.

Infine, è utile ricordare che più recentemente sono state introdotte importanti novità per contrastare tali reati, come risulta dalla Gazzetta Ufficiale UE del 19 giugno 2018, in cui è stata pubblicata la V direttiva antiriciclaggio, direttiva n. 2018/843 del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.

Scopo delle norme è quello di ostacolare le attività criminali senza limitare il normale funzionamento dei sistemi di pagamento.

La direttiva 2018/843 è parte di un piano d’azione lanciato dopo l’ondata di attentati terroristici che ha investito l’Europa nel 2016.

Sul piano nazionale ricordiamo, infine, che il D.Lgs. n. 90 del 2017 ha sostanzialmente riscritto il D.Lgs. n. 231 del 2007 (attuativo della normativa europea antiriciclaggio), introducendo diverse innovazioni che riguardano i soggetti destinatari degli obblighi, l’attività di registrazione, le comunicazioni alle competenti autorità, la nozione di titolare effettivo, le misure di adeguata verifica della clientela, i controlli, gli obblighi di conservazione e le sanzioni.

La controversia, tornando al caso in esame, nasce a seguito dell’impugnazione da parte della Procura della Repubblica della decisione del Tribunale del riesame di annullamento del decreto di sequestro per il reato di riciclaggio ex art. 648-bis del c.p., relativo a somme di denaro fatte rifluire da società spagnole riconducibili all’imputato e investite in un’azienda italiana.

In Spagna il giudizio amministrativo e penale sulla presunta illiceità dell’operazione si era concluso con l’assoluzione dell’imprenditore e con la conseguente dichiarazione di regolarità della stessa.

La Procura della Repubblica ha invece ritenuto che, essendo la condotta presupposta al riciclaggio commessa in territorio estero, è dovere del giudice italiano procedere autonomamente a una nuova valutazione del fatto, anche se giudicato dall’autorità giudiziaria straniera, volendo di fatto porre una sorta di controllo delle decisioni definitive del giudice estero.

La suprema Corte di legittimità non ha ritenuto condivisibile tale tesi perché: “… La operazione economica, considerata dall’ufficio della Procura della Repubblica come ‘sospetta’, risulta essere stata oggetto di approfondita valutazione dall’autorità giudiziaria e dal fisco spagnolo; sotto il profilo dell’accertamento di eventuali illeciti penali e fiscali, il M. G.., sulla base della motivazione del provvedimento impugnato, risulta essere stato assolto con affermazione della regolarità dell’operazioni economico finanziare svolte dalla suddetta persona.  Di qui consegue che la valutazione circa la provenienza delle somme reinvestite in Italia (ritenute lecite), appare sorretta da motivazione che non ha i caratteri della apparenza. La motivazione qui censurata elimina in radice l’elemento costitutivo della fattispecie contestata.  Sul punto va infatti ribadito che in tema di riciclaggio, se non è necessario che il delitto non colposo presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, va peraltro tenuto presente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo (come avvenuto nel caso in esame) (Cass. sez. 5 n. 527 del 13.9.2016, Dell’Anna, rv 269017-01). Il Tribunale (pp. 12 e ss. dell’ordinanza) con motivazione non apparente ha preso in considerazione, per escluderle, anche le possibili alternative fonti del denaro messo a disposizione della C. M., verificandone l’eventuale illiceità.  Il Tribunale ha pertanto concluso che se per quanto attiene alle operazioni finanziarie riferibili al G.. M. possono essere avanzati dei sospetti, coerentemente afferma e conclude (con motivazione non apparente ed adeguata) che detti sospetti sono privi di concretezza anche alla luce della considerazione che non è comunque dato di comprendere se dette operazioni abbiano carattere di illiceità penale, come delitto, nello Stato ove sono state concluse od eseguite. Le considerazioni svolte dall’ufficio della Procura, lungi dal dimostrare il carattere di apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, si concretano invece in autonome valutazioni di merito, che si contrappongono a quelle del Tribunale, senza riuscire a dimostrare la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. in uno dei suoi diversi aspetti (motivazione assente o motivazione apparente). L’ufficio ricorrente muove infine tre ulteriori considerazioni censorie nei confronti dell’ordinanza affermando che:

a) il Tribunale confonde l’astratta ipotizzabilità di configurare il delitto presupposto del riciclaggio con l’effettiva repressione, nello Stato estero, ove la condotta sottesa a tale delitto si è verificata;

b) il Tribunale esclude la possibilità/doverosità della valutazione incidentale – e non diretta – della condotta consumata nel paese estero al fine di verificare se essa costituisca delitto presupposto del riciclaggio;

c) se la ratio dell’incriminazione del riciclaggio è quella – tra le altre – di evitare che capitali di origine delittuosa vengano immessi nel circuito economico lecito, non si vede perché ciò non varrebbe anche per le operazioni di dissimulazione in Italia di capitali generati da attività di cittadino italiano che, ancorché commesse all’estero, sono riconducibili a fattispecie incriminatrici presenti nel nostro ordinamento. Le prime due censure non sono fondate, perché smentite dalla motivazione dell’ordinanza del Tribunale che si è fatto carico di considerare nella loro dinamica le vicende economiche e finanziarie del G.. M. svolte all’estero, con ciò dimostrando di avere affrontato il problema di una verifica incidentale ed indiretta della liceità delle suddette operazioni che sono state valutate in relazione al delitto contestato, procedendo alla doverosa esclusione derivante dall’accertamento giudiziario compiuto dalla Autorità Spagnola.  La terza considerazione non è condivisibile, perché, secondo la tesi della Procura della Repubblica il giudizio di liceità della condotta presupposta al reato di riciclaggio, qualora commessa in territorio estero, dovrebbe essere parametrata sulla legge italiana con la conseguenza che sarebbe onere del giudice italiano di procedere ad un’eventuale diversa valutazione di un fatto giudicato dalla autorità giudiziaria straniera, così procedendo ad una sorta di revisione di fatto delle decisioni definitive del giudice straniero. La tesi non è condivisibile. Il fatto che costituisce il presupposto del delitto di riciclaggio può anche essere un illecito (fiscale) commesso all’estero, ma il fatto deve rivestire il carattere della penale rilevanza per l’ordinamento straniero (v. Cass. sez. 2 n. 42120 del 9.10.2012, Scimone, rv 253830-01; Cass. sez. 2 n. 49427 del 17.11.2009, Iammetti e altri, rv 246469-01). Una volta stabilita la natura illecita, secondo l’ordinamento del paese straniero, del fatto ritenuto presupposto del delitto di riciclaggio, il giudice italiano deve verificare la contestuale rilevanza penale del medesimo fatto anche secondo l’ordinamento italiano.  In tale caso il giudice nazionale ben può assumere il fatto (ritenuto illecito in entrambi gli ordinamenti) come presupposto del delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen. e ciò anche nel caso in cui sia stata disposta dall’autorità giudiziaria straniera l’archiviazione per ragioni esclusivamente processuali che non escludano la sussistenza del reato (Cass. sez. 2 n. 47218 del 13.11.2013, Mango, rv 257644-01), dovendo, per contro prendere in considerazione le sentenze assolutorie pronunciate nel paese straniero. Il provvedimento impugnato supera così le censure mosse con il ricorso che deve essere considerato inammissibile, essendo stata dedotta una violazione di legge che non sussiste”.

Cassazione – Sentenza 27 maggio 2019, n. 23190

Sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI ASTI

nei confronti di:

M. G.. nato a ALBA il 17/05/1944; M. C. nata a PINEROLO il 14/04/1972 avverso l’ordinanza del 30/11/2018 del TRIB. LIBERTA’ di ASTI

udita la relazione svolta dal Consigliere UGO DE CRESCIENZO;

lette/sentite le conclusioni del PG MARCO DALL’OLIO Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio.

udito il difensore L’avvocato BELLINI EMANUELA insiste perché si valuti l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto.

L’avvocato PETTITI BARTOLOMEO, dopo aver discusso brevemente, chiede il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Il Procuratore della Repubblica di Asti ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza 30.11.2018 con la quale il Tribunale per il riesame ha annullato il decreto di sequestro emesso dal Giudice delle indagini preliminari di Asti il 29.10.2018 nel procedimento penale a carico di M. G.. e M. C. indagati per la violazione dell’art. 648 bis cod. pen.

L’ufficio ricorrente chiede l’annullamento della decisione impugnata, deducendo i seguenti motivi così riassunti entro i limiti di cui all’art,. 173 disp. att. cod. proc. pen 1) ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. violazione dell’art. 125 codice di rito.

Il Procuratore della Repubblica afferma che l’ordinanza ha una motivazione apparente, perché priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.

Con riferimento al difetto di coerenza il ricorrente segnala che il Tribunale, rilevata l’opacità della provenienza delle somme di denaro fatte rifluire da società spagnole (riconducibili al M. G..) sui conti della M. Caterina, ha poi svilito il dato nella analisi del “fumus commissi delicti”.

L’ufficio denuncia l’incompletezza della motivazione nel profilo della ricostruzione della provenienza sospetta delle somme (trasferite in Italia), sovvenienti dalla liquidazione della Promociones Almenacir SI.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso del Pubblico Ministero, ricadendo sotto la disciplina dell’art. 325 cod. proc. pen. è inammissibile.

E’ infatti esclusa, dalla citata disposizione, la possibilità di formulare censure ricadenti nella fattispecie di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge; in tale nozione sono ricompresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (in tal senso da ultimo v. Cass. sez. 2 n. 18951 del 14.3.2017, Napoli e altro, rv 269656-01).

L’ordinanza è pertanto scrutinabile per la eventuale violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.(v. Cass. sez. 6 n. 50946 del 18.9.2014, Catalano, rv 261590-01).

La suddetta violazione ricorre solo in caso di assenza (nel senso di mancanza in senso grafico) della motivazione, cui, la giurisprudenza di legittimità ha equiparato la ipotesi della c.d. motivazione apparente che ricorre solo quando la motivazione sia avulsa dalle risultanze processuali, si avvalga di argomentazioni generiche o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata è fittizio fittizio e quindi sostanzialmente inesistente (v. Cass. sez. 5 n. 9677 del 14.7.2014, P.G. in proc. Vassallo, Rv 263100-01).

 Così fissati i limiti dell’indagine sulla legittimità del provvedimento, vanno svolte le seguenti considerazioni.

Il tema devoluto in sede di legittimità vede esclusivamente sulla sussistenza del fumus commissi delicti relativo alla contestata violazione dell’art. 648 bis cod. pen., che è stata esclusa dal Tribunale del riesame per assenza di elementi concreti sulla cui base affermare in modo tranquillante l’esistenza del c.d. delitto presupposto del di riciclaggio che si sarebbe realizzato nel trasferimento dalla Spagna all’Italia, in un periodo compreso tra il 2006 e il 2016) di somme sovvenienti da illeciti commessi in Spagna dal M. G.., e in Italia successivamente investite in un’azienda agricola gestita dalla M. C.

La pubblica accusa, come è descritto nel capo di imputazione, riconduce la origine dei denaro (9.735.000 di euro) ad attività delittuosa – compresa quella di corruzione – ed afferma che la suddetta somma è stata trasferita dal M. G., tramite società spagnole da lui stesso, fra le quali si segnala la Musa Marbella SI amministrata da M. M. quale prestanome del M. G..

Il Tribunale del riesame, sulla scorta delle allegazioni difensive, ha escluso il fumus commissi delicti del reato di concorso in riciclaggio, reputando convincenti le giustificazioni documentate dalla difesa circa la legittimità delle somme trasferite alla M. C..

Ciò premesso, va ancora rammentato che in sede di riesame dei provvedimenti cautelari reali al giudice è demandata una valutazione solo sommaria degli elementi della fattispecie concreta contestata (Cass. sez. 2 n. 18331 del 22.4.2016, Iommi e altro, rv 266896-01) che va attuata attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, alla luce delle contestazioni difensive (Cass. sez. 6 n. 49478 del 21.10.2015, P.M. in proc. Macchione, rv 265433-01) mentre non è necessaria la valutazione della esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro (v. Cass. sez. 1 n. 18491 del 30.1.2018, Armeli, rv 273069-01).

Con riferimento al delitto qui contestato va osservato che elemento costitutivo della fattispecie (in questo caso ampiamente scrutinato) ricomprende la constatazione del delitto presupposto essendo elemento strutturale coessenziale al delitto di riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen.

Il primo aspetto che mina alla base la correttezza della prospettazione del fatto sul piano giuridico compiuta dalla Pubblica accusa, si evince dall’illustrazione del contenuto dell’accusa da parte della stessa Procura della Repubblica; questa riconduce l’illecita provenienza delle somme di denaro a delitti non colposi commessi (quantomeno in via di concorso) dal G.. M. che in Spagna si sarebbe reso responsabile di reati di corruzione e violazione di norme tributarie oltre ad eventuali ulteriori illeciti rimasti indefiniti.

Sul punto, il Tribunale del riesame, con motivazione convincente e corretta in diritto, ha messo in evidenza che il reato di riciclaggio non potrebbe essere contestato al M. G., siccome compartecipe del delitto presupposto e stante la clausola di riserva di cui al primo comma dell’art. 648 bis cod. pen.

Altrettanto correttamente il Tribunale del riesame ha messo in rilievo che a carico del G.. M. potrebbe essere configurata una responsabilità per il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.) limitatamente ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge 186 del 15.12.2014.

La necessaria esclusione del G.. M. dalla consumazione del delitto di riciclaggio così da ricondursi alla esclusiva (e non concorrente) responsabilità della C. M., porta ad escludere (per diversità del fatto configurato) il requisito del fumus commissi delicti.

Va infatti rammentato che il Tribunale del riesame mentre può porre a fondamento della conferma del provvedimento di sequestro il medesimo fatto anche se diversamente qualificato, non può invece configurare un fatto diverso (Cass. sez. 6 n. 18767 del 18.2.2014, Giacchetto, rv 259679), riconsiderando la ipotesi del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen., in delitto monosoggettivo.

Superando tale ultimo aspetto, il Tribunale ha comunque approfondito il fatto, relativamente alla posizione della sola C. M., valutando in concreto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di riciclaggio. Attraverso articolata motivazione (non sindacabile) il Tribunale è giunto alla conclusione che il denaro (reinvestito nella azienda dell’indagata) sovveniene dalla liquidazione della quota di partecipazione del G.. M. nella società Promociones Almenacir, nella misura di 25 milioni di euro.

La operazione economica, considerata dall’ufficio della Procura della Repubblica come “sospetta”, risulta essere stata oggetto di approfondita valutazione dall’autorità giudiziaria e dal fisco spagnolo; sotto il profilo dell’accertamento di eventuali illeciti penali e fiscali, il M. G.., sulla base della motivazione del provvedimento impugnato, risulta essere stato assolto con affermazione della regolarità dell’operazioni economico finanziare svolte dalla suddetta persona.

Di qui consegue che la valutazione circa la provenienza delle somme reinvestite in Italia (ritenute lecite), appare sorretta da motivazione che non ha i caratteri della apparenza.

La motivazione qui censurata elimina in radice l’elemento costitutivo della fattispecie contestata.

Sul punto va infatti ribadito che in tema di riciclaggio, se non è necessario che il delitto non colposo presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, va peraltro tenuto presente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo (come avvenuto nel caso in esame) (Cass. sez. 5 n. 527 del 13.9.2016, Dell’Anna, rv 269017-01).

Il Tribunale (pp. 12 e ss. dell’ordinanza) con motivazione non apparente ha preso in considerazione, per escluderle, anche le possibili alternative fonti del denaro messo a disposizione della C. M., verificandone l’eventuale illiceità.

Il Tribunale ha pertanto concluso che se per quanto attiene alle operazioni finanziarie riferibili al G.. M. possono essere avanzati dei sospetti, coerentemente afferma e conclude (con motivazione non apparente ed adeguata) che detti sospetti sono privi di concretezza anche alla luce della considerazione che non è comunque dato di comprendere se dette operazioni abbiano carattere di illiceità penale, come delitto, nello Stato ove sono state concluse od eseguite.

Le considerazioni svolte dall’ufficio della Procura, lungi dal dimostrare il carattere di apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, si concretano invece in autonome valutazioni di merito, che si contrappongono a quelle del Tribunale, senza riuscire a dimostrare la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. in uno dei suoi diversi aspetti (motivazione assente o motivazione apparente).

L’ufficio ricorrente muove infine tre ulteriori considerazioni censorie nei confronti dell’ordinanza affermando che:

a) il Tribunale confonde l’astratta ipotizzabilità di configurare il delitto presupposto del riciclaggio con l’effettiva repressione, nello Stato estero, ove la condotta sottesa a tale delitto si è verificata;

b) il Tribunale esclude la possibilità/doverosità della valutazione incidentale – e non diretta – della condotta consumata nel paese estero al fine di verificare se essa costituisca delitto presupposto del riciclaggio;

c) se la ratio dell’incriminazione del riciclaggio è quella – tra le altre – di evitare che capitali di origine delittuosa vengano immessi nel circuito economico lecito, non si vede perché ciò non varrebbe anche per le operazioni di dissimulazione in Italia di capitali generati da attività di cittadino italiano che, ancorché commesse all’estero, sono riconducibili a fattispecie incriminatrici presenti nel nostro ordinamento.

Le prime due censure non sono fondate, perché smentite dalla motivazione dell’ordinanza del Tribunale che si è fatto carico di considerare nella loro dinamica le vicende economiche e finanziarie del G.. M. svolte all’estero, con ciò dimostrando di avere affrontato il problema di una verifica incidentale ed indiretta della liceità delle suddette operazioni che sono state valutate in relazione al delitto contestato, procedendo alla doverosa esclusione derivante dall’accertamento giudiziario compiuto dalla Autorità Spagnola.

La terza considerazione non è condivisibile, perché, secondo la tesi della Procura della Repubblica il giudizio di liceità della condotta presupposta al reato di riciclaggio, qualora commessa in territorio estero, dovrebbe essere parametrata sulla legge italiana con la conseguenza che sarebbe onere del giudice italiano di procedere ad un’eventuale diversa valutazione di un fatto giudicato dalla autorità giudiziaria straniera, così procedendo ad una sorta di revisione di fatto delle decisioni definitive del giudice straniero.

La tesi non è condivisibile.

Il fatto che costituisce il presupposto del delitto di riciclaggio può anche essere un illecito (fiscale) commesso all’estero, ma il fatto deve rivestire il carattere della penale rilevanza per l’ordinamento straniero (v. Cass. sez. 2 n. 42120 del 9.10.2012, Scimone, rv 253830-01; Cass. sez. 2 n. 49427 del 17.11.2009, Iammetti e altri, rv 246469-01).

Una volta stabilita la natura illecita, secondo l’ordinamento del paese straniero, del fatto ritenuto presupposto del delitto di riciclaggio, il giudice italiano deve verificare la contestuale rilevanza penale del medesimo fatto anche secondo l’ordinamento italiano.

In tale caso il giudice nazionale ben può assumere il fatto (ritenuto illecito in entrambi gli ordinamenti) come presupposto del delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen. e ciò anche nel caso in cui sia stata disposta dall’autorità giudiziaria straniera l’archiviazione per ragioni esclusivamente processuali che non escludano la sussistenza del reato (Cass. sez. 2 n. 47218 del 13.11.2013, Mango, rv 257644-01), dovendo, per contro prendere in considerazione le sentenze assolutorie pronunciate nel paese straniero.

Il provvedimento impugnato supera così le censure mosse con il ricorso che deve essere considerato inammissibile, essendo stata dedotta una violazione di legge che non sussiste.

P.Q.M

 Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma il 7.2.2019

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