CASSAZIONE

Redditometro: legittima la riduzione in autotutela anche se effettuata in corso di giudizio

Tributi – IRPEF – Redditometro – Avviso di accertamento – Riduzione in autotutela, durante il procedimento tributario, dell’importo originariamente contestato con l’avviso impugnato – Legittimità – Continuazione del procedimento tributario in relazione alla residua pretesa erariale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34971 del 17 novembre 2021, intervenendo  in tema di accertamento delle imposte ha ritenuto legittima la riduzione in autotutela, svolta durante il procedimento tributario, dell’importo originariamente contestato perché non esprime una nuova pretesa tributaria e non costituisce quindi un atto nuovo, ma è da intendersi come una revoca parziale di quello precedente che non deve rispettare il termine decadenziale di esercizio del potere impositivo, né costituisce atto specificamente impugnabile non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto. In tal senso, come nel caso di specie, con l’avviso di accertamento emesso in sede di autotutela, l’ufficio finanziario ha ridotto la sua pretesa erariale complessiva, apportando così una modifica favorevole al contribuente.

In effetti appare chiaro che, secondo gli Ermellini, la giurisprudenza sull’argomento risulta nutrita, esaustiva e unita nell’affermare una interpretazione chiara come quanto affermato dalla sentenza n. 13807/2020, nella quale la Suprema Corte ricordava che la c.d. autotutela “sostitutiva”, con la quale l’Amministrazione annulla l’atto illegittimo e lo sostituisce con un altro di contenuto sostanzialmente identico ma privo dei vizi originari, può essere esercitata anche in pendenza di giudizio perché l’emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione. Pertanto, in caso di riduzione in autotutela durante il procedimento tributario, dell’importo originariamente contestato con l’avviso impugnato, permane l’interesse della Pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’Autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale, come peraltro affermato anche dalle pronunzie n. 29595/2018, n. 22019, n. 11699/2016, n. 7511/2016 e n. 27543/2018.

In ogni caso la citata sentenza n. 13807/2020 viene ricordata proprio  per le motivazioni contenute, sintesi dei molti precedenti in materia che venivano  ripresi e citati in considerazione del fatto che l’autotutela sostitutiva deve sempre rispettare il divieto di doppia imposizione e il diritto di difesa del contribuente, dove il secondo atto – legittimo purché “tempestivo” e non elusivo del giudicato – deve espressamente annullare il precedente (come peraltro precedentemente affermato anche dalla sentenza Cass. n. 27091/2019). Sebbene le varie forme di autotutela esaminate costituiscano l’esercizio del potere di ricontrollare la propria azione e, conseguentemente, di annullare gli atti amministrativi illegittimi o infondati in attuazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, la Suprema Corte non ha mancato di rilevare in più occasioni la differenza tra l’autotutela sostitutiva e quella integrativa. Quest’ultima, in estrema sintesi, non determina la sostituzione dell’atto originario, che non è valutato illegittimo, non è sostituito e continua a spiegare i propri effetti, mentre l’accertamento integrativo, tuttavia, richiede la sopravvenuta conoscenza (oggetto di specifica motivazione) di nuovi elementi e non può fondarsi sulla rivalutazione fattuale o giuridica degli stessi già posti a base dell’atto annullato (cfr. Cass. n. 7293/2020).

A questi importanti principi si associa anche che l’annullamento sostitutivo è un comportamento doveroso, e ciò anche nel caso che sia stata emessa una sentenza che abbia annullato il primo atto per motivi formali, in quanto all’Amministrazione non è rimesso il potere di rinunciare, facendo decorrere i termini di legge, all’azione di recupero del credito fiscale (in questi termini, cfr. Cassazione n. 22336/2018). In particolare, era stato messo in chiara evidenza anche il fatto che l’autotutela cosiddetta sostitutiva può essere esercitata addirittura in pendenza di giudizio, perché l’emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione (ex multis Cassazione n. 7751/2019). Anche la giurisprudenza evocata, inerente all’esercizio del potere di autotutela, affermava che non si presuppone necessariamente che l’atto ritirato sia stato colpito da vizi di forma, perché è facoltà dell’Amministrazione sostituire l’atto impositivo illegittimo con innovazioni che possono investirne tutti gli elementi strutturali costituiti dai destinatari, dall’oggetto, dal contenuto e dalla motivazione (cfr. Cass. n. 4272/2010) e, quindi, non soltanto in presenza dei soli vizi di forma.

Altra differenza esaminata insiste tra modifica “in aumento”, che necessita di un atto formale (che può integrare o sostituire quello precedente) specificamente motivato, e “in diminuzione”, che, se si limita a una mera riduzione del petitum (cfr. Cassazione n. 27543/2018) e costituisce una mera revoca parziale dell’atto originario, che non incontra il limite del termine decadenziale (cfr. Cassazione 11699/16) e non è autonomamente impugnabile (cfr. Cassazione nn. 7511/2016 e 29595/2018).

Infine, i Supremi Giudici hanno anche dichiarato che era possibile procedere con l’autotutela definita di “secondo grado”, intendendo l’annullamento di un atto che a sua volta dispone l’annullamento di un precedente provvedimento (cfr. Cassazione n. 25055/2019 e 22827/2013), con la precisazione che ciò non comporta l’automatico ritorno in vita di quest’ultimo, ormai definitivamente eliminato dall’ordinamento, che dovrà essere – se ne ricorrono le note condizioni della tempestività e dell’assenza di giudicato – emesso ex novo.

Tanto premesso e tornando al caso de quo, un contribuente impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva calcolato un maggior reddito con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38 del DPR 600/1973, determinando conseguentemente maggiori imposte oltre a interessi e sanzioni. Rivoltosi alla giustizia tributaria, il contribuente vedeva in primo grado accogliere parzialmente l’istanza, mentre in sede regionale l’appello veniva rigettato.

Da qui il ricorso in Cassazione, con cui si contestava il fatto che il potere di autotutela dell’Amministrazione tributaria, inteso come potere di revoca dell’atto originario, non può essere esercitato dopo il termine di decadenza quadriennale del potere accertativo.  La Suprema Corte ha ritenuto il motivo palesemente inammissibile, confermando che “… Secondo questa Corte (v. da ultimo Sez, VI, 6 aprile 2021, n. 9215) in tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell’originario avviso – a differenza dell’accertamento integrativo, fondato sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti (Cass., Sez. V, 16 marzo 2020, n. 7293) – non esprime una nuova pretesa tributaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello precedente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543; Cass., Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019), che non deve rispettare il termine decadenziale di esercizio del potere impositivo (Cass., Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699), né costituisce atto specificamente impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto (Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7511; Cass., Sez. V, 16 novembre 2018, n. 29595). Pertanto, in caso di riduzione in autotutela, durante il procedimento tributario, dell’importo originariamente contestato con l’avviso impugnato, permane l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., Sez. VI, 7 settembre 2020, n. 18625).Invero, come evidenziato dalla C.T.R., nel caso di specie, “con l’avviso di accertamento emesso in sede di autotutela (n. TEX10600487/20013 del 26-11-2013) l’Ufficio ha ridotto la sua pretesa erariale complessiva, così apportando una modifica favorevole al contribuente e non peggiorativa”. Al riguardo va rammentato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’integrazione o la modifica “in diminuzione” di un precedente avviso, non integrando una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela, non necessita di adempimenti formali, né di una specifica motivazione, a differenza della modifica “in aumento” che, determinando una pretesa “nuova”, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un avviso di accertamento, integrativo o sostitutivo di quello preesistente, il quale, a garanzia del contribuente, esige specifica motivazione, con l’indicazione dei nuovi elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza, così come prescritto a pena di nullità dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973» (cfr. tra le tante, Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543, Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699 e Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019).  Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. lamentando che la C.T.R. non avrebbe considerato che con l’atto di accertamento originario e con l’atto sostitutivo o rettificativo, l’Agenzia aveva violato il divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto per la presenza contemporanea di più atti, non essendo ammesso che un atto si affianchi a quello originario, che viene riprodotto con qualche correzione, senza la preventiva revoca o ritiro di quello originario. Per detto motivo, palesemente inammissibile in quanto sollevato per la prima volta con il ricorso in cassazione e pertanto del tutto nuovo, valgono le considerazioni di cui al sopra, dovendosi ribadire che la modifica “in diminuzione” di un precedente avviso, non integra una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela. Solo la modifica “in aumento”, determinando una pretesa “nuova”, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un avviso di accertamento, integrativo o sostitutivo del preesistente. (cfr. decisioni già citate, Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543, Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699 e Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019). Il ricorso va quindi rigettato”.

Corte di Cassazione Ordinanza 17 novembre 2021, n. 34971

sul ricorso n. 22320/2015 R.G. proposto da:

S. D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell’avv. Claudio Lucisano del Foro di Roma che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente, unitamente con l’avv. Natale Mangano del Foro di Torino e con l’avv. M. Sonia Vulcano del Foro Roma

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 214/26/15, pronunciata il 15.1.2015 e depositata il 12.2.2015.

 Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 30 settembre 2021 dal consigliere dott. Giuseppe Saieva 

Rilevato che

1. S.D. impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate di Torino, aveva determinato con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 600 del 1973, per l’anno d’imposta 2007, un maggior reddito di 234.603,00 euro a fronte di un reddito dichiarato di 30.230 euro, determinando conseguentemente maggiori imposte oltre a interessi e sanzioni. La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo come dovuta la pretesa erariale di 210.512 euro risultante dall’atto di autotutela medio tempore emesso dall’Ufficio.

2. La Commissione tributaria regionale, con sentenza n. 214/26/15, depositata il 12.2.2015, rigettava l’appello del contribuente il quale proponeva quindi ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato nell’adunanza camerale del 30 settembre 2021, ai sensi degli artt. 375, ult. comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.

4. Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato una memoria insistendo nell’accoglimento delle proprie richieste.

Considerato che

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. assumendo che il potere di autotutela dell’amministrazione tributaria inteso come potere di revoca o integrazione dell’atto originario non può essere esercitato dopo il termine di decadenza quadriennale del potere accertativo, talché nel caso in esame la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere ammissibile l’esercizio del potere dell’Ufficio, nonostante la notifica eseguita oltre il termine di decadenza del 31/12/2012 dell’atto rettificativo dell’accertamento originario.

Il motivo è infondato.

Secondo questa Corte (v. da ultimo Sez, VI, 6 aprile 2021, n. 9215) in tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell’originario avviso – a differenza dell’accertamento integrativo, fondato sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti (Cass., Sez. V, 16 marzo 2020, n. 7293) – non esprime una nuova pretesa tributaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello precedente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543; Cass., Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019), che non deve rispettare il termine decadenziale di esercizio del potere impositivo (Cass., Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699), né costituisce atto specificamente impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto (Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7511; Cass., Sez. V, 16 novembre 2018, n. 29595).

Pertanto, in caso di riduzione in autotutela, durante il procedimento tributario, dell’importo originariamente contestato con l’avviso impugnato, permane l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., Sez. VI, 7 settembre 2020, n. 18625).

Invero, come evidenziato dalla C.T.R., nel caso di specie, “con l’avviso di accertamento emesso in sede di autotutela (n. TEX10600487/20013 del 26-11-2013) l’Ufficio ha ridotto la sua pretesa erariale complessiva, così apportando una modifica favorevole al contribuente e non peggiorativa”.

Al riguardo va rammentato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’integrazione o la modifica “in diminuzione” di un precedente avviso, non integrando una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela, non necessita di adempimenti formali, né di una specifica motivazione, a differenza della modifica “in aumento” che, determinando una pretesa “nuova”, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un avviso di accertamento, integrativo o sostitutivo di quello preesistente, il quale, a garanzia del contribuente, esige specifica motivazione, con l’indicazione dei nuovi elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza, così come prescritto a pena di nullità dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973» (cfr. tra le tante, Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543, Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699 e Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. lamentando che la C.T.R. non avrebbe considerato che con l’atto di accertamento originario e con l’atto sostitutivo o rettificativo, l’Agenzia aveva violato il divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto per la presenza contemporanea di più atti, non essendo ammesso che un atto si affianchi a quello originario, che viene riprodotto con qualche correzione, senza la preventiva revoca o ritiro di quello originario.

Per detto motivo, palesemente inammissibile in quanto sollevato per la prima volta con il ricorso in cassazione e pertanto del tutto nuovo, valgono le considerazioni di cui al sopra, dovendosi ribadire che la modifica “in diminuzione” di un precedente avviso, non integra una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela. Solo la modifica “in aumento”, determinando una pretesa “nuova”, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un avviso di accertamento, integrativo o sostitutivo del preesistente. (cfr. decisioni già citate, Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27543, Sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11699 e Sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22019).

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del contribuente che condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle entrate che liquida in 5.600,00 euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 30 settembre 2021

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