FISCALITA

Redditometro, è ora di cambiare

Tributi – Accertamento fondato sul redditometro – Rettifica del reddito – Nullità e illegittimità normativa del redditometro – Carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione di poteri – Illegalità costituzionale e comunitaria – Irragionevolezza

La sentenza n. 473-13-16 della CTP di Catania, pubblicata il 18 gennaio 2016, ripropone un argomento, quello della validità del c.d. “nuovo redditometro”, particolarmente sentito dalla recente giurisprudenza tributaria. La Corte di Cassazione, con la sentenza cardine, la n. 6396 del 19/2/2014, espresse con convinzione la necessità di revisione di quell’orientamento che riteneva che la prova necessaria a superare la presunzione di maggior reddito non poteva limitarsi alla sola dimostrazione di una disponibilità finanziaria pregressa e che il contribuente doveva provare il collegamento tra quest’ultima e la spesa per incrementi patrimoniali. La Suprema corte motivò il cambio di rotta facendo innanzitutto riferimento al tenore letterale della norma, che “non impone affatto la dimostrazione dettagliata dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione – semplice o legale che sia – che il reddito dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a ben considerare, significa che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi. Né […] pare potersi evincere un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente”.

All’inizio del 2016 i giudici tributari di Catania, nella sentenza in commento, riprendono i temi caldi, arrivando ad affermare che i decreti ministeriali di attuazione e disciplina del redditometro sono da ritenersi illegittimi e nulli, poiché emanati in carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione, senza che la legge abbia mai attribuito al Governo il potere di attuare tale materia. E poiché ogni norma di rango regolamentare deve essere prima autorizzata dal Parlamento, vi sarebbe un difetto assoluto di attribuzione di poteri. In buona sostanza, continua il ragionamento iniziato dai giudici etnei, la legge che disciplina il redditometro – art. 38, Dpr n. 600/1973 – non ha mai affermato che esso dovesse essere regolamentato con i decreti ministeriali che oggi vengono invece utilizzati. Essi, in definitiva, si pongono al di fuori dei limiti individuati dalla normativa primaria e dei suoi presupposti, nonché al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria. Se i decreti ministeriali che disciplinano il redditometro sono nulli, il giudice tributario ha il giusto potere di disapplicarli, con conseguente nullità anche dello stesso accertamento fiscale basato su tale strumento.

Per di più, la CTP di Catania critica il redditometro sotto altri aspetti associati, con giudizi particolarmente severi su questo strumento con il quale da tempo l’Agenzia delle Entrate sta ispezionando i contribuenti. La sentenza censura, in particolare, il riferimento alle spese effettuate dal “nucleo familiare”, atteso che la norma in questione parla di contribuenti e non di famiglie, ma non sono critiche isolate nel panorama del recente indirizzo giurisprudenziale. Basterebbe ricordare quanto affermato dalla Cassazione, con la sentenza numero 21994 del 25 settembre 2013, che aveva  ritenuto illegittimo l’accertamento sintetico, fondato su un alto tenore di vita, con il contribuente che era riuscito a provare che era determinato dai risparmi accumulati nel tempo. Infatti sull’argomento, cioè riuscire in un compito difficilissimo, quello di difendersi dall’accertamento fiscale, i giudici etnei ricordano che “… risulta impossibile fornire la prova di aver speso di meno di quanto risultante dalle medie Istat, e infatti non si vede come si possa provare ciò che non si è fatto, ciò che non si è comprato”. Su questa linea interpretativa si mosse la decisione della CTP di Campobasso, la n.117/2013, con la quale sanciva la nullità dell’accertamento fiscale fondato sul redditometro in quanto regolamento “illegittimo” che, basandosi esclusivamente sull’attività Istat, non considera i dati oggettivi per stabilire il reddito delle famiglie italiane. Anche la CTP di Bari, con sentenza n. 146/2013, ricordava che l’ufficio non può emettere l’atto impositivo basato sui parametri senza personalizzare la pretesa fiscale sulle indicazioni fornite dal contribuente durante il contraddittorio: si tratta, infatti, di presunzioni semplici e l’onere della prova rimane a carico  dell’ufficio. In quella circostanza  i giudici statuirono anche che l’accertamento da redditometro ricadeva nella categoria dei c.d. “accertamenti standardizzati”  e tendeva a determinare, mediante l’impiego delle presunzioni semplici, il reddito complessivo del contribuente: ciò comporta che l’ufficio debba adeguare la propria attività alla reale situazione del contribuente.

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Come se non bastasse, recentemente il redditometro ha dovuto subire ulteriori e pesanti attacchi su vari fronti e con alterne fortune. Ricordiamo, ad esempio, la sentenza della Cassazione n. 14324 del 13/7/2016, secondo la quale i redditi esteri privi di rilevanza fiscale in Italia possono essere addotti dal contribuente come prova contraria nella difesa dal redditometro. I redditi prodotti all’estero, non soggetti a imposizione nel nostro Paese, rappresentano infatti una provvista finanziaria idonea a giustificare lo scostamento fra le spese per incrementi patrimoniali sostenute e il reddito dichiarato. Anche con la sent. 10474 del 6/6/2016 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una contribuente in quanto era stata rilevata la mancata analisi, da parte del Giudice di secondo grado, della documentazione – assegni circolari e dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà – attestante le liberalità ricevute dal convivente facoltoso. La motivazione della sentenza impugnata, secondo la Suprema Corte, è insufficiente perché non contiene alcun riscontro sull’esame e la valenza probatoria della documentazione difensiva prodotta dalla contribuente. La CTR della Lombardia, con la sent. 1263 dell’8/3/2016, ha ritenuto che la dimostrazione offerta dal contribuente circa l’esistenza di una provvista finanziaria pregressa sul conto corrente è sufficiente per “rendere inefficace” il redditometro. Secondo i giudici, in particolare, il patrimonio finanziario accumulato in passato può ragionevolmente motivare il tenore di vita del contribuente ed escludere l’esistenza di maggiori redditi non dichiarati. Nel caso di specie, inoltre, l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito dimostrazione circa la notifica del questionario preventivo, legittimando il ricorrente a produrre la documentazione bancaria probatoria in giudizio. Per la Corte di Cassazione (sent. 930 del 20/1/2016) anche l’acquisto della nuda proprietà di un immobile non legittima l’Agenzia delle Entrate a considerare l’intero prezzo quale incremento patrimoniale ai fini del redditometro. Secondo gli Ermellini, nel caso in questione era palese che il contribuente aveva acquistato esclusivamente la nuda proprietà, in quanto il diritto di usufrutto era stato costituito a favore di un soggetto terzo. Ancora la CTR della Lombardia, con la sentenza n. 139 del 15/1/2016, affermava che il rispetto del principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.) impone all’Amministrazione finanziaria di compiere ogni sforzo per ricostruire il reddito del contribuente. A tal proposito assume un ruolo fondamentale il contraddittorio fra le parti coinvolte. Ciò chiarito, secondo i giudici l’Agenzia delle Entrate ha l’onere di fornire ulteriori riscontri alle risultanze del redditometro, mentre il contribuente deve contestare la validità o fornire la prova contraria.

Per la Commissione Tributaria Regionale del Lazio l’impiego come lavoratore dipendente non esonera il contribuente dal redditometro. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, il potenziale ridotto ambito di evasione del lavoro dipendente non è sufficiente per escludere la legittimità di un avviso di accertamento fondato sul redditometro. Per la CTR non sono necessari neppure elementi di prova più concreti e specifici, rispetto all’ipotesi in cui l’accertamento riguardi un contribuente con altre tipologie di redditi. Ancora, con la sentenza n. 70/03/2015 del 12/6/2015, la CTP di Sondrio affermava che l’Agenzia delle Entrate non può applicare ai soggetti senza obblighi di tenuta delle scritture contabili le metodologie d’indagine tipicamente rivolte ai contribuenti con obblighi contabili: nel caso di specie i Giudici hanno accolto il ricorso, in quanto la documentazione bancaria prodotta è stata considerata sufficiente a provare il sostenimento delle rate di mutuo contestate dall’Agenzia delle Entrate con il redditometro. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 18911 del 24/9/2015, ha anche dichiarato illegittimo un accertamento da redditometro per l’acquisto di un immobile. Nel caso trattato, infatti, il contribuente ha dimostrato di aver compiuto l’esborso utilizzando le risorse finanziarie derivanti da risparmi pregressi e dal trattamento di fine rapporto del coniuge. La Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui l’imputazione delle spese per incrementi patrimoniale su 5 anni (quello di sostenimento e i quattro precedenti) è una mera presunzione che può essere superata dal contribuente.

Per chiudere questa piccola rassegna ricordiamo la pronunzia della Cassazione n. 21362 del 21/10/2015, nella quale i Supremi giudici hanno sostenuto che il riferimento al nucleo familiare del redditometro deve essere interpretato restrittivamente, in modo da includere esclusivamente i coniugi conviventi e i figli. I redditi di altri parenti, anche se conviventi (si pensi, ad esempio, a un/una nonno/a), non possono essere considerati automaticamente al fine di giustificare il tenore di vita di un componente del nucleo familiare.

Tutte questioni poste all’attenzione e ben riassunte in definitiva dai giudici della CTP di Catania che hanno in parte abbattuto buona parte della disciplina del redditometro, ritenendolo peraltro una illegittima intrusione nella vita privata dei cittadini.

La fattispecie trattata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Catania prende il via dal questionario inviato al contribuente con il quale l’Agenzia delle Entrate richiedeva specifica dei redditi e dei beni mobili e immobili posseduti e utilizzati per gli anni 2007 e 2008. A seguito della produzione documentale, nella quale emergeva come il contribuente non avesse alcun obbligo dichiarativo attesa la sussistenza di soli redditi già tassati alla fonte, l’Agenzia, rispettivamente in data 4/12/2013 (per l’anno d’imposta 2007) e in data 22/4/2014 (per l’anno d’imposta 2008), notificava due distinti avvisi di accertamento nei quali determinava un presunto maggior reddito stimando come il possesso di un’automobile di grossa cilindrata avrebbe determinato un maggior reddito annuo di oltre 42.000 euro. Il contribuente proponeva due distinti ricorsi avverso i rispettivi atti di accertamento, riuniti dalla CTP di Catania, nei quali contestava la decadenza dell’Amministrazione finanziaria atteso che l’art. 43 del DPR 600/73 stabilisce che “… Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del titolo I l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”, mentre nel caso in esame l’ufficio aveva erroneamente applicato il 2° comma dell’articolo sopra citato, in quanto la pretesa impositiva doveva essere avanzata “a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno “, in quanto che il contribuente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni d’imposta 2007 e 2008 non avendone alcun obbligo giuridico e non per sottrarre redditi all’erario, atteso che gli unici redditi dallo stesso percepiti erano già soggetti a ritenuta alla fonte.

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Inoltre, con ulteriore motivo di ricorso, il contribuente rimarcava l’incoerenza della ricostruzione sintetica operata affrontando il concetto di “… spese indici di capacità contributiva e dimostrandone l’irragionevolezza del reddito presunto”. La Commissione Tributaria di Catania ha accolto il ricorso del contribuente evidenziando come l’illegittimità vada ricercata innanzitutto nell’utilizzo di “… categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva, la quale richiede l’identificazione di categorie di contribuenti”.  Il redditometro è discriminatorio anche per la mancata previsione di una adeguata difformità territoriale tra cittadini che vivono in luoghi profondamente diversi in quanto a capacità di spesa (una cosa, ad esempio, è una metropoli, un’altra un piccolo centro): lo strumento, infatti, ricolloca all’interno di ciascuna tipologia (suddivisa per cinque aree geografiche) figure di contribuenti del tutto dissimili tra loro, non operando alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti, come disposto invece dall’art. 38, DPR n. 600/1973 e dall’art. 53 della Costituzione.

In un campo che dovrebbe avere maggior tutela nella riservatezza si assiste – prosegue il giudice tributario – alla “… soppressione definitiva di ogni discrezione e dignità riguardante peraltro non solo il singolo contribuente ma in realtà tutti i componenti di quel nucleo familiare“. Basta leggere le tabelle dei decreti, spiegano i giudici, per prendere atto che il Fisco può sapere di ciascuna famiglia “quante e quali calzature, pantaloni, biancheria intima, ecc. utilizzano i suoi componenti; se questi preferiscono il vino, la birra o analcolici e di che tipo – o ancora – quanta acqua utilizzano”. In tal modo, pertanto, ha concluso la CTP, l’Autorità esecutiva “… si autoattribuisce un potere di raccogliere e immagazzinare ogni singolo dettaglio, dal più insignificante al più sensibile della vita di ciascun componente di un nucleo familiare, conferendo all’Agenzia delle entrate un potere che va manifestamente oltre quello della ispezione fiscale astrattamente consentito dall’art. 14, comma 3, della Costituzione, potere di cui non gode neppure l’autorità giudiziaria penale”.

 

Commissione Tributaria di Catania sentenza n. 473-13-16 del 18 gennaio 2016

 

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