Redditi immobiliari e libera circolazione dei capitali, chiarimenti Ue
Con la sentenza 12 aprile 2018 (causa C-110/17), innescata da un ricorso della Commissione europea, la Corte Ue afferma che il Belgio ha violato la normativa sulla libera circolazione dei capitali in relazione al calcolo dell’imposta sul reddito. Ha applicato norme interne in base alle quali i redditi degli immobili non locati o locati a persone fisiche al di fuori di un uso professionale oppure a persone giuridiche che li mettono a disposizione di persone fisiche per fini privati, sono calcolati secondo le seguenti diverse modalità:
– su una base forfettaria, se ubicati in Belgio;
– in base al valore locativo effettivo o al canone locativo effettivo, se situati in un altro Paese membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (See).
Nella pronuncia la Corte Ue sostiene che il Belgio non ha rispettato gli obblighi derivanti dall’art. 63 TFUE e dall’art. 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo relativi ai redditi sopra indicati, la cui base imponibile si calcola partendo dal valore catastale, per i beni che si trovano sul territorio nazionale e sul valore locativo effettivo, per gli immobili che invece si trovano all’estero.
Così facendo, ossia applicando in sede di determinazione dei redditi immobiliari due metodi di calcolo differenti a seconda del luogo di ubicazione del bene immobile, con la conseguenza di aver realizzato una disparità di trattamento atta a sconsigliare, di fatto, i cittadini residenti in Belgio dagli investimenti immobiliari in Stati membri dell’Unione o del See diversi dal loro Paese, è stata attuata una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata in linea di principio dalle disposizioni citate.
Il contesto normativo
Nel contesto normativo del Diritto dell’Unione, infatti, l’art. 40 dell’accordo See prevede che “Nel quadro delle disposizioni del presente accordo, non sussistono fra le Parti contraenti restrizioni ai movimenti di capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri della Comunità europea o negli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (Aels) né discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o sulla residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali”.
Sulla base delle disposizioni del diritto belga relative ai redditi dei beni immobili ubicati all’estero, con una lettera di diffida del 7 novembre 2007, la Commissione ne ha rilevato la possibile incompatibilità con gli obblighi derivanti dall’art. 63 TFUE e dall’art. 40 dell’accordo See, che risulterebbe dalle differenti modalità di determinazione del reddito imponibile a seconda che l’immobile si trovi in Belgio o in un altro Stato.
In quest’ultimo caso, in sede di tassazione dei redditi dei residenti in Belgio, i redditi immobiliari sarebbero trattati con minor favore dei redditi relativi agli immobili ubicati in Belgio e questa differenza di trattamento sarebbe idonea a restringere la libera circolazione dei capitali.
Un percorso complicato
Con una lettera del 17 marzo 2008, il Belgio ha contestato le deduzioni della Commissione, che con una diffida del 26 giugno 2009 ha precisato che gli addebiti riguardavano sia i redditi dei beni immobili edificati sia quelli dei beni immobili non edificati.
Con una nota del 16 novembre 2009 il Belgio ha confermato la sua posizione e successivamente, nel 2012, ha comunicato di accettare la posizione della Commissione e si è impegnato a elaborare un progetto di legge in grado di porre rimedio alla violazione.
A seguito di questa “dichiarazione d’intento” la Commissione ha sospeso il procedimento di infrazione, anche alla luce del deferimento alla Corte, nel settembre 2013, di una questione pregiudiziale sul trattamento fiscale in Belgio di un immobile situato in Francia, che ha generato la sentenza dell’11 settembre 2014, nella quale la Corte ha decretato che l’art. 63 TFUE doveva essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro relativa alla tassazione dei redditi dei residenti nel suo territorio nei limiti in cui questa “è idonea a dar luogo, in sede di applicazione di una clausola di progressività contenuta in una convenzione contro la doppia imposizione, a un’aliquota dell’imposta sui redditi più elevata per la sola ragione che il metodo di determinazione dei redditi dei beni immobili fa sì che i redditi derivanti da beni immobili non concessi in locazione situati in un altro Stato membro siano valutati a un importo superiore a quelli derivanti da beni del genere situati nel primo Stato membro”. A seguito di tale sentenza, la Commissione ha deciso di proseguire il procedimento di infrazione dinanzi alla Corte mediante il ricorso che ha poi generato la pronuncia dello scorso 12 aprile.
Il giudizio della Corte
Con il suo ricorso la Commissione sostiene che il Belgio ostacola la libera circolazione dei capitali, prevedendo un trattamento fiscale discriminatorio per i residenti in Belgio proprietari di un immobile in un altro Paese.
In merito alla restrizione alla libera circolazione dei capitali, la Corte Ue evidenzia che le misure vietate dal citato art. 63 in quanto restrizioni dei movimenti di capitali comprendono tutte le misure idonee a dissuadere i residenti di uno Stato membro dal fare investimenti immobiliari in altri Stati membri (sentenza 11 settembre 2014, C-489/13). Nel caso in questione, la normativa belga prevede che i redditi oggetto della contestazione siano determinati su una base forfetaria – costituita dal loro valore catastale – per i beni situati in Belgio e sulla base del valore locativo effettivo o del canone locativo effettivo per quelli situati in un altro Stato. Il valore locativo effettivo è dato dal canone locativo lordo medio annuo che potrebbe essere riscosso in caso di locazione di tale bene e serve da base per determinare i redditi relativi ai beni immobili non locati situati in uno Stato estero; al riguardo, il Belgio non nega che il valore catastale di un immobile ivi ubicato sia inferiore al canone locativo effettivo di tale bene o al suo valore locativo effettivo, pur facendo presente che il divario tra il valore catastale e il valore locativo effettivo di un immobile “domestico” non certifica necessariamente che il reddito di un immobile situato in un altro Stato sia più elevato rispetto al valore catastale di un immobile comparabile che insiste sul territorio belga. Non è escluso, in effetti – rileva la Corte – che i canoni locativi di altri Stati membri siano molto inferiori a quelli praticati in Belgio; tuttavia, si legge nella sentenza, il reddito di un bene immobile situato in Belgio o altrove, considerato dalle autorità fiscali belghe è calcolato, alla fine, in funzione dei canoni locativi che un immobile è idoneo a generare, circostanza che il Belgio conferma nelle sue osservazioni presentate alla Corte.
Di conseguenza, per appurare se la valutazione differenziata del reddito immobiliare – a seconda dell’ubicazione del bene – determini una disparità di trattamento, si devono comparare il valore catastale, quello locativo e i canoni locativi che possono essere effettivamente ottenuti sul mercato.
Dalla sentenza emerge, al riguardo, che da un lato il valore catastale di un bene immobile in Belgio è inferiore ai canoni locativi che possono essere conseguiti sul mercato locale e, dall’altro lato, che il valore locativo effettivo di un bene immobile corrisponde, in via di principio, al canone locativo lordo medio annuo che potrebbe essere riscosso in caso di locazione dello stesso. Ne consegue che, con la valutazione differenziata dei redditi a seconda dello Stato nel quale si trovano, il reddito di un immobile situato in uno Stato membro diverso dal Belgio è sopravvalutato rispetto a quello di un bene che si trova in Belgio.
Alla luce di quanto esposto, la Corte prende atto del fatto che la normativa secondo la quale i redditi di fabbricati vengono calcolati in maniera differente a seconda che si trovino in Belgio o in un altro Stato, concorre a dissuadere i residenti in Belgio dal fare investimenti immobiliari in altri Stati e, quindi, mette in atto una restrizione alla libera circolazione dei capitali.
Il Belgio sostiene che, in applicazione delle Convenzioni contro la doppia imposizione sottoscritte con la maggior parte degli Stati membri, i redditi degli immobili che si trovano in tali Stati non sono imponibili in Belgio all’imposta sulle persone fisiche, mentre tali redditi farebbero parte della base imponibile per il calcolo dell’imposta e per questo, una violazione dell’art. 63 TFUE potrebbe essere constatata solo se l’importo effettivamente dovuto in Belgio a titolo di tassazione totale dei redditi delle persone fisiche ivi residenti fosse più elevato per il proprietario di un bene immobile situato in un altro Stato membro.
Ma questa tesi deve essere respinta, secondo la Corte Ue, anche perché viene constatato che il Belgio non ha presentato alcuna ragione di interesse generale che, nel caso in questione, possa giustificare la restrizione della libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 63 TFUE, e le stesse considerazioni vengono fatte anche in merito alla violazione dell’art. 40 dell’accordo See.
Per queste ragioni viene ritenuto fondato il ricorso proposto dalla Commissione e il Belgio è condannato alle spese.