Reati tributari: nel penale si confisca anche la prima casa
Reati tributari – Processo penale – Sottrazione al pagamento di imposte – Dichiarazione fraudolenta mediante fatture inesistenti – Art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Simulazione – Sequestro preventivo e confisca prima casa – D.L. 69/2013
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 45707 dell’11 novembre 2019, ha di nuovo affrontato il tema del sequestro finalizzato alla confisca della prima casa, ritenendolo possibile per i reati fiscali a rilevanza penale e sottolineando, al contempo, l’irrilevanza del fatto che l’immobile sia intestato solo alla partner del presunto autore della frode.
È ormai noto che il Dl 69/2013 (cosiddetto “decreto del fare”), che ha modificato gli artt. 76 e ss. del DPR 602/1973, vieta il pignoramento della prima casa da parte dell’Agente della Riscossione esattoriale tutte le volte in cui il contribuente non ha pagato le cartelle esattoriali, a prescindere dall’importo del debito. Inoltre, proprio all’art. 52, comma 1, lett. g, si prevede che l’Agente della riscossione “… non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”.
È necessario, tuttavia, che sussistano determinati requisiti, ovvero: il contribuente non deve avere nessun altro immobile oltre a quello in cui vive; l’immobile in questione deve essere adibito a civile abitazione; il contribuente deve aver fissato la propria residenza presso l’immobile, che non deve essere di lusso. Se il contribuente, invece, commette reato fiscale – ciò avviene quando l’evasione fiscale supera una certa soglia – allora si ricade nel procedimento penale e, eventualmente, anche nel sequestro preventivo. In tal caso la prima casa può essere confiscata.
Peraltro, la giurisprudenza penale sino ad ora aveva ritenuto che tale disposizione non trovava applicazione nell’ambito del processo penale e, di conseguenza, non poteva impedire il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dell’abitazione dell’imputato, neppure in caso di reati fiscali (cfr. n. 7359/14 ; e n. 3011/2016).
Inoltre, ancor più recentemente la Corte di Cassazione, nella pronunzia n. 22581/2019, richiamando tale orientamento precisava tuttavia che si trattava di una conclusione che “potrebbe essere oggetto di revisione critica”. Il ragionamento della Corte muove da questa base: la legge si riferisce solo al divieto di pignoramento e non al sequestro.
Tuttavia, i giudici costruiscono una ulteriore riflessione basandosi sulle recenti e importanti riflessioni sull’argomento.
La prima si riferisce al sequestro dello stipendio (Cass. n. 14606/2019), mentre la seconda al sequestro della pensione (Cass. n. 17386/2019): in entrambi i casi si è detto che le norme del decreto del fare (legge 98/2013) sui limiti al pignoramento dell’Agente della Riscossione si possono applicare anche ai sequestri preventivi.
Questa interpretazione è conforme anche con quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale. Quest’ultima, infatti, ha rilevato che con l’espressione “confisca per equivalente” si indica una particolare misura di carattere ablativo che è stata predisposta appositamente dal legislatore nel caso in cui, a seguito di una condanna penale, non sia possibile aggredire i beni del condannato che siano in rapporto di pertinenzialità diretta con il reato.
Quindi, la confisca di valore o per equivalente ha una valenza eminentemente sanzionatoria e afflittiva, andando a colpire specificamente altri beni del convenuto.
Tanto premesso torniamo al caso di specie, che vedeva questa misura cautelare irrogata a carico di una coppia indagata per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante fatture inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
I due avevano impugnato la decisione del Tribunale del riesame, confermativa del sequestro, davanti ai giudici di legittimità, lamentando un’erronea applicazione della legge penale. Inoltre, sempre secondo la tesi difensiva dei ricorrenti il bene in parola, acquistato prima dei fatti contestati, non avrebbe potuto costituire il prezzo o il profitto del reato e quindi non sarebbe stato confiscabile. La Terza sezione penale della Cassazione ha disatteso tali rilievi, ritenendo l’impugnazione dei ricorrenti inammissibile.
La Corte ha respinto tutti gli argomenti dei ricorrenti e ha smontato la tesi basata sull’impignorabilità della prima casa, in base alla norma che non consente la riscossione coattiva mediante espropriazione forzata sull’unico immobile di proprietà del debitore (con esclusione delle abitazioni di lusso) quando è adibito a uso abitativo ed egli vi risiede anagraficamente.
Proprio sullo specifico argomento gli Ermellini hanno voluto ricordare quanto già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, ovvero che “… Invero questa Corte ha già sancito (cfr. Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014 Rv. 261500 – 01 Foini), in un caso relativo ad un reato diverso da quello di cui all’art. 11 del Dlgs 74/2000 (in particolare trattavasi del reato ex art. 10 ter del Dlgs 74/2000), che riguardo al tema della rilevanza del “principio dell’impignorabilità dell’immobile costituente prima casa del contribuente” le limitazioni imposte con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” e convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, riguardano, comunque, il solo agente della riscossione e sono limitate a specifiche ipotesi e condizioni e non svolgono alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente, evidentemente, finalità del tutto diverse.
L’operatività, pur riconosciuta dalla Suprema Corte, rispetto al reato ex art. 11 cit., si spiega per la peculiare struttura del medesimo, laddove la fattispecie di pericolo presuppone l’idoneità dell’atto simulato o fraudolento a ostacolare la procedura esecutiva, cosicché solo sotto tale aspetto “strutturale” di quest’ultimo reato assume rilievo la disposizione di cui all’art. 76 richiamata, senza che tuttavia essa possa acquisire una portata generale anche rispetto a fattispecie – come l’art. 2 del Dlgs. 74/2000 – che si connotino diversamente nei loro elementi costitutivi. Va aggiunto, sempre con riferimento a tale ultima disposizione ed alla luce delle considerazioni difensive formulate, che vanno anche al riguardo disattese, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto corrispondente all’imposta evasa può essere applicato anche ai beni acquistati dall’indagato in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, che ha esteso tale misura ai reati tributari, in quanto il principio di irretroattività attiene solo al momento di commissione della condotta, e non anche al tempo di acquisizione dei beni oggetto del provvedimento (cfr. Sez. 5, n. 25490 del 28/05/2014 Rv. 259184 – 01 Runci). La fondatezza della motivazione elaborata dal tribunale del riesame a sostegno della misura reale contestata, evidenziata al precedente paragrafo, rende superflua l’analisi del primo motivo di impugnazione siccome diretto a censurare la seconda delle argomentazioni formulate a sostegno del sequestro e quindi inidonea ove fondata, a determinarne la totale illegittimità così da travolgerne la conformità all’ordinamento giuridico.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento”.

Corte di Cassazione – Sentenza 11 novembre 2019, n. 45707
Sul ricorso proposto da:
1. M. R., nato in Germania il 03/04/1965
2. P. E. nata a Abano Terme il 10/06/1966 avverso l’ordinanza del 27/04/2019 del tribunale di Padova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi il difensore, avv. Luigi Ciccarese, che ha concluso chiedendo riportandosi ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza del 27 aprile 2019, il Tribunale del riesame di Padova ha respinto l’appello proposto nell’interesse di M. R. e P. E. avverso l’ordinanza del Gip del tribunale di Padova di rigetto, tra l’altro, della richiesta di dissequestro dell’immobile di residenza degli istanti, sequestrato ai sensi degli artt. 321 e 322 ter cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2 e 11 del Dlgs. 74/2000.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione M. R. e P. E. deducendo mediante il proprio difensore due comuni motivi di impugnazione
3. Con il primo motivo è stato dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 321 e 322 ter cod. proc. pen. in relazione all’art. 11 del Dgs. 74/2000 e 76 del D.P.R. 602/73. Il tribunale avrebbe erroneamente escluso l’operatività nel caso in esame della previsione di cui all’art. 76 del D.P.R. 602/73, laddove secondo la giurisprudenza di legittimità ove l’oggetto della simulata alienazione/ ritenuta integrante il reato di cui all’art. 11 del Dlgs 74/2000 risulti essere – come nel caso di specie – un bene immobile avente le caratteristiche delineate dal predetto art. 76 non può ravvisarsi il reato in oggetto, trattandosi in tal caso di bene non sottoponibile ad azione esecutiva.
4. Con il secondo motivo è stato dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 321 e 322 ter cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 del Dlgs. 74/2000 e 76 del D.P.R. 602/73.
Il tribunale avrebbe incidentalmente quanto erroneamente sostenuto che, in ogni caso il sequestro dell’immobile in parola sarebbe stato operato non solo in funzione della confisca diretta disposta in relazione all’art. 11 citato bensì anche di quella per equivalente considerata in relazione al diverso reato di cui all’art. 2 del Dlgs. Laddove invece l’immobile in parola, acquistato prima dei fatti contestati, non potrebbe costituire il prezzo o profitto del reato di cui all’art. 2 e quindi non sarebbe confiscabile.
Ove si ritenesse che anche un bene comunque facente parte del patrimonio del debitore, possa essere aggredito dall’Erario per imposte evase successivamente al suo acquisto, occorre comunque valutare se non debba comunque trovare applicazione la previsione limitativa di cui all’art. 76 sopra citata, avendo il Legislatore deciso di garantire in ogni caso, al debitore – evasore, una sorta di perimetro vitale, a garanzia della prima casa, entro cui è compreso l’immobile che abbia le caratteristiche di cui all’art. 76 cit.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto da M. R., stante la carenza di interesse. Invero come rilevato dallo stesso ricorrente, l’immobile in sequestro è intestato esclusivamente a P. E.. Come tale unica legittimata alla restituzione in caso di dissequestro. Rileva al riguardo il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare – e dunque, deve ritenersi, anche appello – purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 5, n. 22231 del 17/03/2017 Rv. 270132 – 01 Paltrinieri).
2. Quanto al ricorso proposto da P. E. occorre esaminare innanzitutto il secondo motivo di impugnazione, siccome assorbente rispetto alle questioni prospettate con il primo.
A fronte della deduzione di cui alla ordinanza impugnata, per cui il sequestro è stato disposto sull’immobile in esame anche in funzione della confisca per equivalente correlata all’art. 2 del Dlgs. 74/2000, va osservato che la stessa appare giuridicamente corretta senza trovare alcun ostacolo nella previsione di cui all’art. 76 citato.
Invero questa Corte ha già sancito (cfr. Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014 Rv. 261500 – 01 Foini), in un caso relativo ad un reato diverso da quello di cui all’art. 11 del Dlgs 74/2000 (in particolare trattavasi del reato ex art. 10 ter del Dlgs 74/2000), che riguardo al tema della rilevanza del “principio dell’impignorabilità dell’immobile costituente prima casa del contribuente” le limitazioni imposte con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” e convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, riguardano, comunque, il solo agente della riscossione e sono limitate a specifiche ipotesi e condizioni e non svolgono alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente, evidentemente, finalità del tutto diverse.
L’operatività, pur riconosciuta dalla Suprema Corte, rispetto al reato ex art. 11 cit., si spiega per la peculiare struttura del medesimo, laddove la fattispecie di pericolo presuppone l’idoneità dell’atto simulato o fraudolento a ostacolare la procedura esecutiva, cosicché solo sotto tale aspetto “strutturale” di quest’ultimo reato assume rilievo la disposizione di cui all’art. 76 richiamata, senza che tuttavia essa possa acquisire una portata generale anche rispetto a fattispecie – come l’art. 2 del Dlgs. 74/2000 – che si connotino diversamente nei loro elementi costitutivi.
Va aggiunto, sempre con riferimento a tale ultima disposizione ed alla luce delle considerazioni difensive formulate, che vanno anche al riguardo disattese, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto corrispondente all’imposta evasa può essere applicato anche ai beni acquistati dall’indagato in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, che ha esteso tale misura ai reati tributari, in quanto il principio di irretroattività attiene solo al momento di commissione della condotta, e non anche al tempo di acquisizione dei beni oggetto del provvedimento (cfr. Sez. 5, n. 25490 del 28/05/2014 Rv. 259184 – 01 Runci).
3. La fondatezza della motivazione elaborata dal tribunale del riesame a sostegno della misura reale contestata, evidenziata al precedente paragrafo, rende superflua l’analisi del primo motivo di impugnazione siccome diretto a censurare la seconda delle argomentazioni formulate a sostegno del sequestro e quindi inidonea ove fondata, a determinarne la totale illegittimità così da travolgerne la conformità all’ordinamento giuridico.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/07/2019.